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Autore: Feisty Pants    20/07/2021    1 recensioni
La banda è ormai fuori dalla banca di Spagna e cerca di ricominciare a vivere in piena tranquillità spostandosi da un luogo a un altro. Alicia Sierra, Cesar Gandia e la polizia segreta, però, cercheranno in tutti i modi di trovare i Dalì per porre fine a una guerra che ormai stava durando troppo tempo. I veri protagonisti, questa volta, saranno i sentimenti, le emozioni e le storie personali di ogni membro della banda obbligato a fare i conti con i fantasmi e tesori della propria vita.
(Alcuni elementi della trama originali sono stati modificati. Nairobi, infatti, è ancora viva e il professore è riuscito a portare fuori la banda dalla banca di Spagna senza aver incontrato Alicia Sierra)
Genere: Azione, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Yaoi, FemSlash | Personaggi: Il professore, Nairobi, Rio, Tokyo
Note: Missing Moments, OOC, What if? | Avvertimenti: Incompiuta, Violenza
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CAPITOLO 14
MAMMA

 
“Che cazzo è successo?!” urla Nairobi correndo sul luogo, notando Tokyo a terra con un braccio pieno di sangue.

“Le hanno sparato quei figli di puttana! Ci hanno trovati!” risponde subito Rio, imbracciando un mitra ed uscendo dall’abitazione di corsa.

“RIO, RIO!!!” urla Tokyo mentre osserva il proprio uomo allontanarsi.

“Ferma! Stai ferma o qua ti dissanguerai!” dice Stoccolma giunta sul luogo.

“Bogotà, Denver e Lisbona! Correte dietro a Rio! Noi staremo qui e cureremo Tokyo!” ordina il professore, sollevando Tokyo per trascinarla via. È quando la ragazza si mette in piedi che tutti assistono a un momento che sicuramente li avrebbe messi in difficoltà.

“Porca puttana! Mi si sono rotte le acque!” dice Tokyo guardando il flusso di acqua e sangue che stava inondando il pavimento.

“Che cazzo facciamo?!” grida Nairobi, aiutando il professore a trasportare Tokyo.

“Andiamo in ascensore e raggiungiamo la panic room più vicina! Dobbiamo farla partorire o rischiamo il peggio!” comunica il prof con le gocce di sudore che gli scendono lungo le tempie, mentre Tokyo inizia ad urlare di dolore.

La squadra riesce ad entrare nell’ascensore dell’abitazione afferrando due valigette del pronto soccorso.

“Tokyo, calmati, calmati!” sussurra il professore, spalancandole le gambe per prepararla al parto, una volta all’interno della cabina.

“Helsinki, blocca l’ascensore! Dobbiamo creare una zona franca per prepararci al parto. Stoccolma tienile la testa, Nairobi prepara le siringhe per le iniezioni” ordina il prof mentre apre una valigetta di pronto soccorso per estrarne delle garze e salviette pulite.

“Non voglio cazzo! Non voglio!” urla Tokyo in preda alle contrazioni, stringendo i pugni e dimenandosi per provare ad alzarsi.

“Tokyo, devi stare calma o rischi di morire! Hai una brutta ferita al braccio e le acque si sono rotte già da molto, dobbiamo far nascere il bambino subito!” la sgrida il professore asciugandosi la fronte con la manica della camicia.

“Non voglio, non voglio! Dov’è Rio?! L’hanno preso, l’hanno preso!!” si dimena Tokyo spingendo via la mano di Stoccolma che cercava di tenerla sdraiata.

Nairobi guarda l’amica disperarsi ed è proprio in quel momento che intuisce le sue fragilità. Silene sembrava forte e sicura di sé ma, in verità, dipendeva fortemente dalle altre persone motivo per cui, quando qualcosa andava storto, cominciava a ribellarsi e fare colpi di testa. In quel momento Tokyo temeva per la vita di Rio e niente le pareva più rilevante di quello. Pure in quel momento Tokyo stava pensando a un’altra persona e sarebbe stata in grado di distruggere sé stessa pur di vedere salve le persone che amava.

“Tesoro mio, ti assicuro che Rio sta bene! Tu ora devi concentrarti o qua moriremo tutti! Ci sono io con te, stai tranquilla” le sussurra Nairobi sedendole accanto ed afferrandole una mano con una presa salda.

“Ok, iniziamo…” comunica Sergio con mano tremante, trovandosi per la prima volta di fronte a una situazione così complessa.

Tokyo, nel sentire l’incisione del bisturi nella parte più delicata di sé, stringe i denti ed affonda le unghie con il solito smalto nero nella mano di Nairobi.

“Ok, ora è il momento… spingi Tokyo” incalza il professore preparandosi ad accogliere la nuova vita che bussava per venire al mondo.

Tokyo comincia a spingere con tutta la forza che ha, prendendo delle piccole pause solo per respirare e ritrovare la grinta di urlare. Tutti sapevano che l’avrebbero sentita, ma partorire in sordina era impossibile e Tokyo in quelle grida non scaricava solo la sofferenza, ma anche la frustrazione e il dolore nel trovarsi ancora una volta in bilico, con il proprio affetto più grande chissà in quale luogo.

“Urla tesoro, urla… non fermarti” incalza Nairobi continuando a tenerle una mano mentre, con l’altra, le scosta i capelli sudati appiccicati sulla fronte.

È all’ennesimo urlo che un pianto, finalmente, invade l’ascensore ristabilendo l’ordine. In quell’istante il cuore dei presenti si ferma e gli occhi osservano la bellezza appena nata che strillava per presentarsi.

“Sei stata bravissima Tokyo… è una femmina” annuncia il prof commosso, ricevendo l’abbraccio di Stoccolma che gli fa i complimenti per la bravura con cui ha agito. Tutti sono felici e sorridenti, tutti tranne Tokyo che, come suo solito, fissa lo sguardo su un punto preciso e comincia a respirare con affanno.

“Tokyo…eccola” dice il professore avvicinando la bambina alla madre.

È in quel momento che accade qualcosa che nessuno si sarebbe mai aspettato. Tokyo, infatti, con le poche forze rimaste, spinge via il prof rischiando di destabilizzarlo con la bambina in braccio.

“Ma che cosa fai?!” domanda lui stravolto, non capendo quella reazione.

“Non la voglio!!! Via, portala viaaa!” inizia a gridare Tokyo, in balia di chissà quale demone che si stava impossessando di lei. Una madre che rigetta sua figlia appena nata era sicuramente qualcosa di difficile da capire e quel momento stava per essere giudicato negativamente da tutti, tranne da Nairobi che, ancora una volta, capisce il peso della situazione.

“Tokyo, stai calma!” sussurra la gitana chinandosi sul volto della migliore amica che era scoppiata in lacrime, portandosi una mano tremante sulla bocca per soffocare i singhiozzi.

L’atmosfera si fa ancora più tesa a causa di uno sparo che colpisce la base dell’ascensore, facendo tremare i presenti.

“Cazzo, non siamo più al sicuro! Helsinki, fai ripartire l’ascensore e raggiungi il primo piano, dove abbiamo la prima panic room” ordina il professore stringendo a sé la bambina ancora sporca di sangue, avvolta in una salvietta bianca.

“Monica, addormenta Tokyo, subito! Nairobi, prendi la bambina per favore!” continua ancora il professore in pieno caos, lasciando la piccola tra le braccia della collega.

“Che cosa?!” chiede Nairobi agitata, ricevendo la nuova vita tra le braccia tremanti che non ricordavano più l’emozione di sorreggere una responsabilità come quella.

“Non abbiamo tempo e ora dobbiamo separarci! Tieni la bambina e raggiungi la panic room del primo piano. Helsinki e Stoccolma mi copriranno mentre io trascinerò Tokyo nella panic room del secondo piano. Fate capire loro che nell’edificio non ci sia più nessuno e una volta cessato il fuoco ci potremo rincontrare” continua il professore con determinazione, pulendosi le mani e sbottonandosi ulteriormente la camicia, pronto a prendere in braccio Tokyo che stava per ricevere una trasfusione di sangue.

“No, io non posso andare da sola! Cosa faccio con la bambina?!” chiede Nairobi con le lacrime agli occhi, non sentendosi degna di custodire la piccola.

“Nairobi, lo sto chiedendo a te perché sei l’unica che può farlo ora! So che puoi occuparti di lei con tutte le accortezze possibili. Forza!” la incita ancora il professore, tenendole il volto tra le mani ed asciugandole una lacrima scappata dagli occhi neri come la pece.

“Sì, solo tu puoi farlo” si aggiunge Tokyo ancora sotto shock, continuando a piangere seppur con debolezza visto il sedativo che la stava facendo addormentare. Nairobi, in quelle parole, sente l’amica affidarsi a lei consegnandole quel tesoro che aveva appena partorito e che amava con tutta sé stessa. Tokyo aveva rifiutato la piccola per non soffrire ulteriormente, ma sapeva di amarla già con tutta la propria anima. Tokyo si sentiva morire, in un bagno di sangue che continuava a sgorgare a causa del parto e della ferita al braccio. Per questo nel consegnare la bambina a Nairobi, le stava anche donando la vita.

Nairobi stringe a sé la testa della piccola per poi chinarsi su Tokyo e posarle un bacio sulla guancia bollente.

“Resisti amore mio, resisti!” riesce a dire la gitana una volta staccate le labbra dalla pelle ardente della migliore amica e, imbracciato a sé un fucile, scende dall’ascensore mentre custodisce tra le braccia la creaturina.

Nairobi riesce a raggiungere la stanza segreta nel minor tempo possibile e, una volta serratasi dentro, lascia cadere il fucile facendo un grande sospiro di sollievo, per poi preoccuparsi della piccola in lacrime tra le sue braccia.

“Shhh, tesoro non piangere” dice la gitana scostando leggermente la salvietta dal volto della piccola e vedendola ancora sporca e nuda.

Nairobi si alza in piedi e raggiunge un armadio dove trova un kit medico con garze, pomate e uno zaino contenente tutine e pannolini nel caso in cui Tokyo avesse partorito in una delle tante stanze segrete.

La donna prende tutto l’occorrente per poi adagiare la bambina su un tavolo e prepararsi a prendersi cura di lei. Nairobi osserva il suo corpicino piccolo e screpolato e comincia a rimuoverne il sangue con salviette neutre. Non tocca un bambino appena nato da più di 9 anni eppure le pare tutto così naturale e semplice. Nairobi alza il braccino della piccola, le pulisce i pochi capelli neri ancora attaccati al liquido e si dedica poi al ventre e alla zona intima. Agata le sistema il residuo del cordone ombelicale con estrema attenzione, disinfettandolo e apponendoci una garza, per poi metterle un pannolino che la rendeva ancora più piccola e indifesa. Una volta pulita, la donna controlla anche i parametri utilizzando un fonendoscopio per poi appuntarsi tutto su un foglio.

“Hai il cuore che ti batte forte come una locomotiva” sorride Nairobi liberandosi dello strumento per poi vestire la piccola con una tutina rossa.

Terminato il processo, Nairobi si ferma un secondo davanti alla bambina, appoggiando le mani sul tavolo e non riuscendo più a trattenere le lacrime. La gitana scoppia in un pianto disperato nel quale riflette tutte le emozioni vissute in quelle poche ore. Ripensa alla sua Tokyo così distrutta, alla gioia dell’esserle stata vicina, alle sue parole, alla sua paura e rivede la propria maternità nella piccina disposta davanti a lei.

Asciugatasi qualche lacrima inutilmente, la gitana si abbassa sulla piccola avvicinandosi al suo volto roseo e leggermente gonfio per la fatica dovuta al parto.

“Sei già una della banda hai visto? Ti ho messo subito una tutina rossa” le dice Nairobi, accarezzandole delicatamente quel filo di capelli mori che aveva sul capo. La gitana rimane in silenzio ancora qualche secondo, contemplando il viso della figlia della sua migliore amica, per poi ricominciare a piangere senza ritegno.

“Sai, non pensavo di poter piangere così. La verità è che mi ricordi il mio bambino e ti chiedo scusa se all’inizio pensavo di non essere in grado di occuparmi di te” sussurra la donna asciugandosi una guancia.

“Eppure è cresciuta in me una forza che non so da dove sia arrivata e penso proprio che me l’abbia data tu. Sei un miracolo della natura pequenita! Sei nata nelle macerie durante una sparatoria, in un ascensore non attrezzato per un parto” continua il suo monologo Nairobi, vedendo la bambina intenta come ad ascoltarla.

“E per la mamma…” comincia a dire lei mangiandosi un labbro “cazzo, la tua mamma è una forza pazzesca” si ferma poi Agata emozionandosi al solo pensiero della sua Tokyo ormai mamma.

“Tu magari pensi che lei non ti voglia, ma dovrai abituarti. La mamma è una testa calda e quando qualcosa la ferisce inizia a fare scoppiare bombe. Non hai idea, però, del bene che ti vuole la tua mamma. È una figa da paura e ti assicuro che non vede l’ora di riabbracciare te e il papà” sussurra Nairobi ridendo tra le lacrime, mentre continua a contemplare la piccola.

“Il tuo papà poi… ha fatto un po’ di cavolate anche lui, ma non vedeva l’ora di diventare il tuo papà. Guarda, hai anche il suo nasino” commenta ancora la gitana, toccando con simpatia la punta del naso della bambina.

Terminato il discorso, Nairobi poggia una mano sul pancino della bambina sentendolo brontolare.

“Cazzo, non hai ancora mangiato niente!” si preoccupa allora Nairobi, portandosi una mano piena di anelli alla bocca per ragionare sulla situazione.

“Cazzo…” esclama poi, non trovando del latte nell’armadio o nei cassetti circostanti.

“Cazzo, tu devi mangiare!” ribadisce ancora Nairobi, agitata ora per la salute della bambina che doveva necessariamente nutrirsi per abilitare anche i movimenti intestinali.

È allora che le viene l’illuminazione. Un flashback si fa presente nella sua mente. Ricorda una normalissima chiacchierata con una detenuta alla quale aveva appena raccontato della separazione da Axel.

“Mio figlio mi manca troppo…” diceva la gitana, guardando le sbarre che la tenevano prigioniera.

“E come se non bastasse il mio seno continua a produrre latte!” aggiunge poi lei, vedendo in quello strano avvenimento una vera e propria maledizione.

“A molte donne capita sai? Il fatto di produrre latte seppur in assenza di gravidanze è un fattore molto particolare. Non devi vederlo come una scongiura… vedilo piuttosto come un dono. Sono sicura che sei una buona madre e una volta uscita di qui ritroverai tuo figlio e magari gli darai anche dei fratellini” la conforta quella sconosciuta di cui non conosce il nome.

Nairobi rivede quella scena e comincia a respirare a fatica, sentendo anche una morsa allo stomaco e una forte pressione risucchiarle le costole. Non ha il coraggio di provare una cosa del genere, soprattutto perché lei non vorrebbe mai sostituirsi a Tokyo, ma è consapevole che quello potrebbe essere l’unico modo per salvare la bambina.

“Devo provarci” afferma lei motivata, prendendo in braccio la bambina e sedendosi su una sedia. La donna si abbassa poi la spallina del reggiseno, liberando quella mammella che non aveva mai perso il sogno di ridonare vita.

“Ok, tranquilla” si dice poi con calma, avvicinando la testa della bambina al capezzolo. Un millesimo di secondo e la bambina si attacca a ventosa, cominciando a succhiare con quanta più forza possibile. Nairobi avverte una fitta fortissima e, strizzando gli occhi e serrando i denti, si sostiene il seno con una mano nella speranza di sentire quel dolore passare al più presto.

Nairobi porta pazienza, non ricordando la sofferenza che si provava con l’allattamento, ma guarda la bambina succhiare con voracità sperando che effettivamente uscisse qualcosa da quel seno rimasto inattivo per troppo tempo. La gitana, divorata dall’ansia, decide poi di testare e vedere se effettivamente il suo esperimento stava andando a buon fine. Stacca con delicatezza la bambina dal seno rosso e umido per poi schiacciarlo nella speranza di vedere anche solo una goccia di liquido.

“Ti prego…” si dice Nairobi, guardando attentamente il proprio capezzolo che appare però vuoto. Ed è quando la speranza sembra svanire che giunge un segno di rinascita. Nairobi preme ancora un po’ finché, con grande stupore, nota una piccola goccia di acqua dal colore biancastro.

Emozionata da quella meravigliosa visione, Nairobi si sente una donna nuova, baciata dalla fortuna e da un corpo che la pregava in ogni istante di essere mamma. Il suo cuore comincia a battere all’impazzata mentre riattacca al seno la bambina per farla saziare di quella linfa vitale.

Anche questa volta ce l’aveva fatta. Anche questa volta il suo colpo era riuscito. Anche questa volta aveva dimostrato il suo amore per Tokyo, salvando la vita di sua figlia e allattandola come se fosse sua.

“Tokyo, riprenditi perché qui c’è una bimba super affamata che non vede l’ora di conoscerti” conclude poi Nairobi emozionata, guardando la bambina poppare senza sosta dal suo seno, per poi appoggiare la testa al muro e rilassarsi.
 
  
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