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Autore: vero_bonnie    21/07/2021    2 recensioni
È la primavera del 1975. Il giovane meccanico Dean Winchester è tornato dal Vietnam, a pezzi non solo per una brutta ferita di guerra ma anche e soprattutto per l’incapacità di lasciarsi amare. Il giorno in cui finisce la guerra, Dean incontra casualmente Castiel Novak, il chirurgo che gli ha salvato la vita. Nel frattempo, suo fratello Sam si prepara a fare un annuncio importante che sconvolgerà la vita dei fratelli Winchester e segnerà, forse, il loro definitivo distacco.
Genere: Angst, Hurt/Comfort, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Bobby, Castiel, Dean Winchester, Jessica Moore, Sam Winchester
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Nessuna stagione
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Capitolo 1
Martedì 29 aprile 1975
 
 
Dean fletté le braccia e diede una leggera spinta al carrello su cui era disteso per tirarsi fuori da sotto la macchina, senza smettere di canticchiare sommessamente con la sua voce roca e sgraziata. Fece per alzarsi, ma subito i suoi muscoli indolenziti cedettero e dovette appoggiarsi al cofano per recuperare l’equilibrio. Chiuse gli occhi e tirò un sospiro profondo. Una volta in piedi, mosse un paio di passi incerti e posò gli attrezzi sul bancone. Andò nel retro a lavarsi rapidamente le mani sporche di grasso, poi sollevò a malincuore la puntina del giradischi dal vinile e la musica cessò, infilò il disco nella copertina, attento a toccarlo solo sul bordo e mai sui solchi, poi lo mise da parte e afferrò la giacca di pelle che, ore prima, aveva lanciato distrattamente in un angolo. Nell’uscire, si bloccò un istante quando il suo sguardo si posò su una fotografia appesa. John Winchester e Bobby Singer, abbracciati e sorridenti, in mezzo all’officina. Sul retro della fotografia, Dean lo sapeva, c’era scritto: 13 settembre 1953. Se la ricordava, quella foto. L’aveva scattata lui, infatti era un po’ storta e sfocata – dopotutto, aveva quattro anni all’epoca. Sam era appena nato. E sua madre stava per morire.
Spense l’interruttore delle luci e uscì in strada. Con uno scatto chiuse a chiave il portone del garage, sopra il quale campeggiava la scritta al neon Bobby’s.
Si voltò e d’un tratto la sua espressione dura sembrò addolcirsi appena. Di fronte a Dean, eccola, lei così bella, lei che gli aveva rubato il cuore, un gioiello tra le altre, l’unica… Quel magnifico modello di Chevrolet Impala. Dean aprì la portiera che cigolò sonoramente, si sedette dietro al volante e richiuse la portiera, gettando poi la giacca sul sedile del passeggero dove ancora conservava la collezione di cassette di suo padre, che Dean aveva ereditato insieme alla macchina. Infilò la chiave nel cruscotto, la girò e il motore dell’Impala si accese con un ruggito; subito il numero di giri calò e si stabilizzò su un rombo sommesso. Sentila, come fa le fusa.
Ingranò la prima e partì, diretto verso casa. Gli occhi fissi sull’asfalto celavano un’ombra scura che, per quanto Dean cercasse di ignorare, era sempre presente. Proseguì per le strade di periferia nel crepuscolo della sera, sforzandosi di non pensare a niente. Abbassò il finestrino e lasciò entrare nell’abitacolo l’aria fresca della primavera, un vento deciso che gli sferzava il volto. Un’altra estate a casa, e ogni volta gli pareva la prima. Era come se la guerra avesse cancellato in lui ogni ricordo dell’esistenza dell’estate e, da quando era tornato, gli pareva di riscoprirla ogni anno da capo come se dovesse imparare da zero. Sentì montare una smania irrazionale, come se l’arrivo dell’estate portasse con sé una promessa, un bisbiglio appena udibile – vivi ad alta voce, corri per le strade deserte, sei a casa adesso sei a casa sei a casa – ma subito il principio di sorriso distorse le sue labbra in una smorfia. Che senso ha l’estate se non è rimasto più nessuno? Che senso ha l’estate se niente importa più, che senso ha se si è da soli, che senso ha se non c’è più nulla che si teme di perdere?
Dean sterzò bruscamente e accostò sul lato della carreggiata. Serrò con forza gli occhi e quando li riaprì si rese conto di aver stretto i pugni con talmente tanta forza che le sue unghie avevano scavato nella carne dei palmi, lasciandovi un marchio a mezzaluna. Sbatté la mano destra sul volante, inghiottendo le lacrime. Poi ripartì.
Dopo pochi minuti era arrivato. Parcheggiò in fondo alla via e si diresse verso casa. Camminava a passo spedito, i pugni sepolti in profondità nelle tasche della giacca, con una certa pesantezza nell’incedere degli stivali sull’asfalto, ancora soffocato dai pensieri di poco prima. Un forte vociare lo riscosse. Dean sollevò lo sguardo e solo allora intravide in lontananza una folla di persone che bloccava il passaggio, una massa nera in netto contrasto con il cielo porpora e arancio e violetto. Erano raccolti sotto casa sua, dove spesso c’erano disordini, proteste studentesche contro la guerra, perché in quella stessa via c’era un centro di reclutamento. Dean corrugò la fronte e per un istante prese in considerazione l’idea di fare il giro largo per la strada parallela, ma questo avrebbe significato allungare di molto il ritorno a casa e lui davvero non si reggeva più in piedi. L’unica cosa che voleva era finire quel goccio di brandy che era avanzato e buttarsi a letto, sperando in un sonno senza sogni. Già pregustandosi quel gusto dolce che gli faceva solleticare la lingua, si avviò deciso verso la folla e prese a farsi strada tra la gente. C’era chi urlava slogan invocando il ritiro delle truppe, c’era chi agitava striscioni che schernivano il presidente Nixon – il quale in realtà si era dimesso già l’anno precedente per lo scandalo Watergate, ma era ancora visto come il principale responsabile della carneficina in Asia e per questo sempre attuale (quasi nessuno nominava mai Kennedy, Johnson o gli altri, chissà perché). Da ogni parte Dean era assordato dalle voci concitate e dalle grida, respirava l’alito caldo e alcolico dei manifestanti, lo raggiungevano zaffate di fumo di sigaretta e l’odore agro-dolciastro della marijuana. In un attimo, Dean si sentì soffocare. La vista gli si annebbiò, prese a girargli la testa, ed ecco che Palo Alto si trasformò nella giungla del Vietnam e Dean si ritrovò catapultato in un vortice di immagini grigie – il cielo immenso sopra di lui, i boati assordanti delle granate, le detonazioni delle bombe e le grida di chi in ogni momento perdeva un arto o la vita o un compagno, la monotonia di quel mondo in bianco e nero dove anche il sole pareva sul punto di spegnersi, con quella sua luce fioca che appiattiva i paesaggi, prendeva in giro Dean e la sua voglia di estate e spegneva il soffio vitale negli occhi dei soldati, e un attimo dopo Dean soffocava sotto il peso inerte di Benny Lafitte, e i suoi occhi spalancati, pieni di lacrime, erano fissi in quelli senza vita di Benny che lo squadravano come per accusarlo – perché io muoio e tu sopravvivi? – e il suo cadavere, appesantito dall’elmetto, dalle armi e dalle munizioni, premeva contro il suo corpo proprio come il corpicino di suo fratello quando se l’era stretto addosso per trascinarlo fuori dalla casa in fiamme, e il petto di Dean iniziava a bruciare come il fuoco che aveva divorato la loro casa – e non solo – e le sue mani si aggrappavano febbrilmente al corpo di Benny, i suoi piedi scalciavano inutilmente contro la sabbia, le sue labbra si torcevano in una preghiera muta…
E, d’un tratto, Dean era libero. Aprì gli occhi e si ritrovò a terra, steso sulla schiena in mezzo alla gente, mentre alcuni studenti aiutavano un loro compagno a rialzarsi. “Scusa, amico”, farfugliò il ragazzo che gli era caduto addosso. Lo sguardo vacuo confermò a Dean che si trattava semplicemente di un ubriaco che aveva perso l’equilibrio e gli era finito sopra. Il ragazzo sparì tra la folla coi suoi amici.
Dean annaspò in cerca d’aria, gli occhi frenetici traboccavano dei colori vivaci di quella serata californiana, accecandolo dopo l’immagine in bianco e nero che l’aveva appena trascinato via con sé, come il sole che faccia capolino da dietro le nuvole dopo una vita intera nell’oscurità. Incapace di alzarsi, il corpo ancora teso e pronto a scattare come per salvarsi di nuovo la vita, abbassò lo sguardo sulle mani che gli tremavano e con un brivido scoprì un pezzo di vetro conficcato nella spalla. Quella spalla. Era caduto su cocci di bottiglia. Lasciò il frammento lì dov’era, un po’ per non sbloccare l’emorragia, un po’ perché non era ancora padrone di sé. All’improvviso qualcuno lo afferrò per le spalle e lo alzò in piedi, mozzandogli nuovamente il respiro e strappandogli un gemito per la ferita riaperta.
“Ehi, mi dispiace, ho visto cos’è successo…”
A pochi centimetri dal viso di Dean c’era un paio di occhi di un blu impossibile, un blu che aveva visto solo una volta in tutta la sua vita ma che non aveva mai dimenticato. Era faccia a faccia con Castiel Novak.
“Dean?”
Dean sbatté le palpebre un paio di volte, come per accertarsi di aver messo a fuoco correttamente il volto che aveva davanti. Faceva di nuovo fatica a respirare, ma il ricordo del Vietnam era svanito. Aveva imparato che andava e veniva senza una vera logica, e non poteva mai immaginare quando sarebbe ricomparso. Un po’ come Castiel Novak.
“Quanto tempo”, sussurrò Castiel, un principio di sorriso sulle labbra.
Dean l’osservava con gli occhi spalancati. Quando si rese conto che Castiel lo teneva ancora per le spalle, e che la sua mano era proprio lì dove c’era la cicatrice, appena al di sotto del frammento di vetro, per un attimo si sentì mancare e quasi perse l’equilibrio. Castiel lo strinse più forte e, quando lo vide stabile, lasciò andare la presa e si mise a scandagliare la folla, dicendo: “Non preoccuparti, ora chiamo qualcuno e ti procuro un po’ d’acqua.”
Ma Dean si era già voltato ed era corso via.
 
Dean si richiuse la porta alle spalle e ci si accasciò contro. La spalla gli bruciava come non faceva da mesi. Con uno scatto d’ira si strappò via la giacca e scoprì la pelle nuda tirando giù il collo della maglietta. La ferita si era riaperta e Dean poteva vedere chiaramente la carne viva che pulsava, rossa di sangue fresco. Si trascinò a fatica in bagno, poi si spogliò con movimenti rapidi e rimase ad osservarsi nello specchio. Era da prima della guerra che non lo faceva. Non voleva vedere il corpo martoriato da cicatrici e ustioni, l’espressione dura sul viso e lo sguardo spento dove una volta c’erano due occhi luminosi color smeraldo, le guance scavate e la barba di qualche giorno, le occhiaie scure, i capelli biondo cenere troppo lunghi che gli cadevano in ciocche scombinate sulla fronte, le mani nervose dalle dita lunghe e affusolate che non la smettevano mai di tremare, le ossa sporgenti – clavicole, costole, creste iliache sembravano sul punto di strappare la pelle e fare capolino. Ma soprattutto, non voleva vedere la cicatrice sulla spalla. Quella cicatrice che combaciava perfettamente con la forma della mano di Castiel Novak.
Dean sferrò un pugno contro lo specchio. Non gli importò che si fosse rotto. Poi, con movimenti svelti e precisi da soldato, disinfettò la ferita e applicò una medicazione, alla bell’e meglio, come poteva con una mano sola.
Tornò in cucina alla ricerca di quell’avanzo di brandy che aveva lasciato la sera prima e si chiese distrattamente se sarebbe bastato. Nel dubbio scartò un nuovo blister di sonniferi e ne inghiottì uno insieme a un copioso sorso di brandy. Al di là del vetro del bicchiere, notò la fotografia appesa al frigorifero. Sam l’aveva ritagliata dal giornale, all’epoca, quando ancora viveva in quell’appartamento insieme a Dean, l’appartamento che John aveva lasciato ai figli insieme all’Impala. La fotografia era rimasta a lui quando Sam aveva comprato casa con Jessica.
In primo piano c’era Dean, serio nella sua uniforme e con una medaglia al collo, che dava la mano ad Alan Henderson, membro del consiglio comunale di Palo Alto. Appena dietro, Castiel Novak guardava Dean sorridendo. La didascalia diceva: Il veterano Dean Winchester premiato per il suo servizio e sacrificio in Vietnam, assieme al chirurgo che gli ha salvato la vita.
Dean scosse la testa, sbatté con forza il bicchiere sul tavolo e se ne andò a letto.
   
 
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