Libri > Le Cronache di Narnia
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Autore: Dhialya    24/07/2021    1 recensioni
Il legame profondo tra una ragazza divenuta Regina e una guerriera dallo sguardo dolce e le frecce dalle piume bianche.
Un passato di cui pochissimi sono a conoscenza, risalente a prima dell'arrivo di Jadis e dei cento anni d'inverno.
Il compito di una lupa dagli occhi di ghiaccio ed un destriero dal manto nero come la notte.
Cosa si cela realmente dietro la Grande Magia e il cui potere è conosciuto solo dal grande Aslan?
C'erano regole che erano state rotte, accordi strappati e segreti che non potevano più essere taciuti, legami che andavano ripristinati e compiti da svolgere. E tutto ciò sarebbe venuto a galla, presto. E non osava - o non voleva - immaginare le conseguenze che tutto ciò avrebbe comportato.
Sulle persone coinvolte e sull'equilibrio di Narnia stessa.

Sullo sfondo della guerra contro Telmar un segreto, tenuto nascosto per più di milletrecento anni, sta per essere rivelato.
[Revisione totale programmata alla sua conclusione.]
Genere: Generale, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro Personaggio, Caspian, Edmund Pevensie, Famiglia Pevensie
Note: Movieverse, What if? | Avvertimenti: Incest
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The Spirits Within - The Just and the Sly special moments.'
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Narnia's Spirits
Sotto lo scintillio delle stelle.















-Dorme?-

Antares spostò lo sguardo dal bosco verso il terreno, sporgendosi quel tanto che bastava con il busto per poter osservare in faccia la causa dell'interruzione dei suoi pensieri dal grosso ramo su cui stava provando a rilassarsi, invano, ormai da parecchi minuti.

Dhem lo raggiunse con l'agilità di una gatta nel giro di pochi secondi e gli si sedette accanto, i suoi movimenti accompagnati solo da una leggera brezza che sentì sfiorargli la pelle nuda. Chiunque non l'avrebbe sentita arrivare, ed era in quel modo sfuggente che era sempre riuscita a defilarsi dai Telmarini – specialmente quando, proprio sotto i loro nasi, si intrufolava nella cittadella per cercare qualcosa da mangiare durante gli inverni più rigidi.

Dhemetrya, con il corpo esile e slanciato ed i capelli neri come le piume dei corvi, riusciva a confondersi nelle ombre con la stessa facilità con cui il resto del mondo respirava.

Ma Antares era abituato da millenni alla sua presenza da riconoscerla ormai anche ad occhi chiusi negli impercettibili cambiamenti di ciò che gli stava intorno: una brezza leggera, l'increspatura di uno stagno, un tremore leggero del sottosuolo... tutti modi in cui Narnia aveva sempre accolto la loro presenza.

-Non credo, però è insieme a Lia. Immagino che il tuo giro di ronda sia andato bene invece.- constatò, tornando ad osservare il bosco circostante e lasciandosi dietro quei ricordi veloce tanto quanto li aveva evocati, quando si accorse di come Dhem lo stesse osservando per quel silenzio prolungato.

Se ci fosse stato qualche pericolo l'avrebbe sicuramente sentito.

Era vero che Narnia era come morta nel suo silenzio, chiusa in uno stato catatonico come mai l'avevano vissuta prima, ma la stessa presenza degli ultimi Narniani parlanti era l'unica prova di cui necessitava per credere che ci fosse ancora speranza. Una tenue fiammella, tenuta a bada dalla rigida crudezza oggettiva degli eventi che si erano susseguiti durante quei secoli, ma che non riusciva a far spegnere – esattamente come l'essenza del fuoco che gli scorreva ancora tra le vene.

Due facce della stessa medaglia: se ne fosse mancata una, se la speranza per una Narnia dei tempi d'oro e delle Guardiane si fosse spenta, anche la sua stessa esistenza si sarebbe accartocciata come carta bruciata.

Antares non riusciva a togliersi dalla mente che, forse, non tutto era davvero perduto come invece sembrava averlo sempre creduto Dhemetrya. Altrimenti, sarebbe stata la fine. Per Narnia. Per loro. E non voleva nemmeno vagliare quell'ipotesi, per quanto vicina alla realtà fosse: immaginare di tornare a fondersi con l'essenza di quel mondo, per quanto pacifico sarebbe stato, rinunciando a tutto ciò a cui era abituato, a tutto ciò che lo rendeva lui... lui, era un pensiero angosciante.

Non voleva rinunciare alla propria esistenza, non voleva lasciarsi andare come successo ai loro antenati, Antares. Non era pronto, perché... perché voleva continuare a vivere.

E desiderava che lo facessero anche Lia e Dhemetrya, insieme a lui, compagne di una vita che potenzialmente poteva essere eterna.

La ragazza si passò una mano tra i capelli per sciogliere qualche nodo, lanciandogli l'ennesima occhiata da quando l'aveva raggiunto per soppesare il velo di tensione che sentì improvvisamente provenire dall'amico e che la mise istintivamente in allerta.

-Sembra che non ci sia nessuno in giro.- sussurrò, ripercorrendo con la mente i propri spostamenti. Socchiuse gli occhi per mettere a fuoco la vegetazione circostante, ad accogliere quel gesto solo la penombra. Erano abbastanza distanti dal fiume dove i Telmarini avevano quasi terminato il ponte, ma allo stesso modo erano lontani dalla Casa di Aslan e dalla sicurezza delle sentinelle appostate nei dintorni di essa pronte a segnalare eventuali pericoli. La foresta era troppo silente perché li potesse avvertire in anticipo e con sicurezza se arrivava qualcuno di sgradito, secondo il suo giudizio, quindi aveva smesso di farci affidamento da svariato tempo.

Dhemetrya si era quindi dovuta spingere fino al limite della foresta, osservando da una piccola sporgenza sopra una cascata l'accampamento delle truppe di Telmar cadere progressivamente preda del sonno. Solo le poche torce che si muovevano nel buio segnalavano i movimenti dei soldati che ne controllavano il perimetro, qualche frase spezzata dei loro discorsi portatale da dei soffi di vento: Dhem li aveva ascoltati con quel poco di interesse che era riuscita a racimolare nel caso potesse trattarsi di informazioni preziose, ma la sua espressione si era presto mutata in una smorfia di disgusto mista a noia e disprezzo. I soldati già pensavano di avere la vittoria in pugno, decantando i loro piani futuri una volta sconfitte “quelle creature del demonio inutili anche ad essere esposte come trofei”.

-Dovresti riposare.- constatò Antares, attirando nuovamente la sua attenzione. Dhem socchiuse la bocca, senza ribattere, lanciandogli solo una breve occhiata prima di fissare lo sguardo al cielo scuro ed accorgendosi di aver iniziato a digrignare i denti per il nervoso che ripensare a quelle frasi le aveva inevitabilmente portato.

Come osavano...?

Qualche timida stella faceva capolino tra le nubi sparse, dei fari che provavano a ravvivare con scarso successo quelle notti particolarmente pesanti.

-Sono stati giorni intensi.- percepì uno spasmo nella zona del petto che le chiuse la gola e si costrinse a prendere un profondo respiro. Poteva ancora rimembrare le emozioni che aveva provato, sentendole vibrare sottopelle, pronte ad esplodere al minimo cambio d'umore – segnale inconfondibile di quanto Eve fosse ancora scossa, nonostante non avesse più ritirato fuori ciò che era accaduto e preferendo isolarsi nei propri pensieri.

Dhemetrya si umettò le labbra, cercando di mettere un muro tra il suo animo e quello di Narnia in cui a sua volta vi veniva riflesso quello della Pevensie. Era qualcosa di leggero, un legame – Dhem aveva dovuto ammetterlo a se stessa ingoiando un boccone parecchio amaro – per niente paragonabile a quello che per millenni aveva condiviso con sua sorella e i due Narniani, eppure abbastanza solido da farla rimanere sconvolta ad ogni cambiamento che investiva l'umore della Pevensie e che rischiava di mischiarsi con i suoi sentimenti.

Si chiese come facessero Lia e Antares ad essere così tranquilli quando avrebbero dovuto attingere a quello stesso bacino di emozioni e magia.

Chiuse per brevi attimi gli occhi, espirando pesantemente, e riposandoli poi sul Narniano per scrutarne il volto.

No, c'era qualcosa nel modo in cui era seduto, nelle braccia tese e l'espressione impassibile...

Antares era sempre stato bravo a nascondere ciò che provava dietro una leggerezza palesemente esagerata e dei silenzi troppo alti da poter essere superati. Era stato così fin dai tempi che furono, da quando Ahislyn li aveva abbandonati e quella sorta di maledizione era ricaduta su lui e Lia relegandoli a forma animale – perché senza la presenza della Guardiana le Guide, gli elementi che dovevano fungere da madre e padre, non avevano motivo di esistere...

Quanti muri aveva retto Antares, trasformando in cenere quello che provava, per farle da spalla sicura in cui andare a rifugiarsi, quando Narnia era in balia del gelo sempre più inespugnabile e il dolore per la perdita della sorella la mangiava viva?

Dhemetrya si rese conto, con una fitta al cuore, di quanto dolore la circondasse da secoli. Cosa avevano fatto per meritarsi delle sofferenze simili?

Provando dolore, dolore, dolore, solo dolore.


Cos'era rimasto di bello nella sua esistenza, se nemmeno ne capiva più la ragione dietro essa?

-Sai...- iniziò, e nel giro di un battito di ciglia si ritrovò gli occhi del ragazzo puntati addosso. Nel profondo delle sue iridi di un nocciola talmente chiaro che ricordava l'oro, le parve di vedere il fuoco che lo animava riversarsi all'interno della pupilla.

Piccole pagliuzze che scintillavano e scoppiettavano come le fiamme di un falò.

Dhemetrya restò qualche attimo a fissarlo, la bocca semiaperta in un'espressione di puro stupore. Le sembrò di essere ricatapultata a millenni prima, quando ogni fibra di loro stessi ricordava l'animo elementale da cui avevano avuto origine. Allungò le braccia prendendogli una mano tra le proprie. La trovò calda, esattamente come ricordava, e si sorprese di come gli occhi le diventarono lucidi senza preavviso quando si rese conto, tra le ombre della notte, che la sua espressione si era addolcita, avvolgendole il cuore con lo stesso calore del fuoco da cui era nato e che le era sempre rimasto accanto come lo spirito protettore che era.

-Nonostante le circostanze... è bello rivedervi.-


***


-Quindi... mi spiegate?- Eve si sedette appoggiando la schiena al tronco del grande albero che fino a pochi istanti prima aveva sorretto Dhemetrya, sentendo una fitta di dolore partire dalla caviglia che la Narniana le aveva bendato dopo averci messo dell'unguento. Qualche escoriazione le bruciava e faceva fatica a muovere alcune dita delle mani, respirare le dava delle lievi coltellate e la consapevolezza di non essere totalmente padrona del proprio corpo e la sensazione di vulnerabilità che ciò le provocava non la faceva stare tranquilla.

Dubitava di riuscire a tenere in mano una spada, in quelle condizioni, figurarsi sostenere una battaglia contro dei soldati.

Per ironia, tutto ciò le ricordava le conseguenze di un paio di battaglie particolarmente tediose che si erano ritrovati ad affrontare durante il loro regno. Un po' come la guerra che sentiva essere iniziata giusto un paio di giorni prima, i nemici invisibili del tradimento e del dolore che continuavano a pungolarla affondando senza sosta lì dove sapevano si trovasse il suo punto debole. Il cuore.

Sospirò profondamente, cercando di non fare caso alla pesantezza delle palpebre e la lentezza con cui il suo corpo eseguì il semplice gesto di mettersi seduta. Si sentiva spossata. Totalmente svuotata di ogni energia. Piangere e rimuginare guardando il vuoto erano state le uniche cose che aveva fatto in quelle ore ed aveva la sensazione che non fosse ancora finita, sentiva l'istinto che molte volte l'aveva guidata sussurrarle che un'ombra scura troneggiava su di lei, come una catastrofe che ancora deve prendere vita.

Occhieggiò i dintorni velocemente, posando poi nuovamente l'attenzione sulle tre figure che le si erano avvicinate. Dal basso della sua visuale indagò ancora per qualche secondo sui corpi di Lia e Antares.

-Solo se la smetti di guardarci male.- ironizzò il secondo, alzando un sopracciglio. Lia gli diede una gomitata nelle costole a cui il Narniano volutamente non si sottrasse, limitandosi a lanciarle un'occhiata per nulla turbato.

-Scusatemi, avete ragione... solo che...- Eve abbassò lo sguardo per un breve momento, rilasciando un grosso sospiro e stringendosi nelle spalle per cercare di darsi un conforto che non provava davvero.

-Cercate di capire.- mormorò, studiandoli di sott'occhio. Era tutto così inspiegabile. Narnia era sempre stata magica, strana ed incredibile nel suo modo di essere praticamente unico, un connubio perfetto tra elementi reali e fantasiosi che nel mondo in cui era cresciuta erano trattati solo nei libri. Non era quindi illogico che degli animali potessero trasformarsi in esseri umani – o il contrario? Ma nei quindici anni di regno un evento simile non era mai capitato, ed era sicura che se fosse stato un evento abitudinario l'avrebbe scoperto durante quel periodo. Come le Naiadi, o le Driadi.

Ma questo era
diverso.

La mente metodica di Eve iniziò a ragionare, alienandosi dalla realtà.

C'era quindi da supporre la possibilità che non fosse, forse, una particolarità diffusa in Narnia – e quello spiegava come mai né a lei né ai suoi fratelli fosse mai giunta voce o fossero stati testimoni di qualunque cosa fosse successa a Lia e Antares, negli anni in cui erano Sovrani. Si, era piuttosto sicura che tutti gli animali parlassero, ma nessuno aveva mai detto potessero prendere sembianze umane.

Forse c'entrava il discorso delle Guardiane?

Strinse la mascella a quel pensiero tanto da sentire i denti scricchiolare. In quel caso era tutta un'altra storia. Una storia di cui faceva parte e di cui non conosceva assolutamente nulla. Cercò di non fare caso a come le mancasse il fiato ogni volta che tornava con i propri pensieri su quell'argomento.

E se invece i suoi fratelli le avessero nascosto anche quello?

Eve assottigliò gli occhi, mordendosi un labbro finché non lo percepì pizzicare per l'irritazione che si stava procurando con quel gesto. Era un'ipotesi che non aveva senso, ma quante cose potevano averle tenuto segrete?

-È normale se ti senti spaesata.- la rassicurò Lia, pacata, percependo i dubbi di Eve insinuarsi tra loro. La Pevensie sospirò nuovamente, fissandola profondamente per una manciata di secondi imprimendosi meglio che poteva l'espressione pacifica che aveva nello sguardo.

-Ammetto di non capire come sia possibile.- Era stanca di non sapere. Di non capire. Le sembrava che il mondo si fosse improvvisamente capovolto facendola cadere in un universo parallelo. Ogni fibra di se stessa si tendeva e gridava per avere giustizia per quello che considerava un enorme torto alla sua persona.

Chi era lei? Evelyn Pevensie – o non più Pevensie? O mai stata Pevensie?

Le scappò un mezzo ghigno isterico a quel pensiero. E come se non fosse bastato l'aver scoperto di essere stata praticamente adottata da un altro mondo, c'era anche la questione Edmund. ù

Evelyn non capiva cosa provasse, un miscuglio di rabbia e mancanza, fiducia ed orgoglio feriti che puntualmente la trascinavano nell'oblio della solitudine e della tristezza. Mandarlo via era stata la cosa più naturale che le fosse venuta fare, perché era arrabbiata, tremendamente arrabbiata e delusa, e tutto ciò che desiderava era proteggersi dal dolore che sentiva inciderle il cuore, mettendo più distanza possibile tra lei e uno dei motivi delle sue sofferenze.

Nemmeno il labile ricordo del loro bacio aveva avuto il potere di ammorbidirla – in realtà, aveva fatto finta non fosse mai successo nulla, perché se oltre a tutto aggiungeva anche il dettaglio del bacio con Edmund, e Peter che li aveva visti, e tutto quello che ne era scaturito... Tutto era nato per uno stupido bacio. Quello che nella sua testa aveva sempre immaginato e sognato, non dovendosi mai preoccupare delle conseguenze.


Edmund...

Eve si sfiorò inconsapevolmente le labbra, percependo gli occhi pizzicare e una morsa allo stomaco. Difendersi dalle emozioni che la stavano travolgendo l'aveva fatta scattare prima ancora di pensare a tutto ciò che quel gesto avrebbe comportato.

E se Ed non le avesse più voluto parlare? Se non fosse più tornato, per lei, decidendo che fosse tempo perso, che era meglio provare a rabbonire Peter e le sorelle? Perché lei non era mai stata veramente parte di quella famiglia – Eve sapeva che in fondo non era vero, che probabilmente se non fosse successo nulla non avrebbe mai sospettano niente, ma l'orgoglio ferito era troppo forte in quel momento perché potesse ignorarlo.

Ed era stata una mossa codarda, andarsene senza dare a nessuno la possibilità di spiegare.

Ma la rabbia, la delusione, l'incredulità, il senso di vuoto, tutto le si era appeso addosso, infiltrandosi come veleno, e lei... lei era semplicemente scappata, perché sentiva che ne stava venendo avvelenata. Se le fosse stato possibile, avrebbe voluto arrivare nella parte più recondita di Narnia senza guardarsi più indietro, fermare il tempo e cadere in un sonno lungo dei secoli.

Era incazzata, incazzata nera con ognuno di loro e il ricordo di ciò che aveva sentito le faceva venire voglia di spaccare qualunque cosa le capitasse a tiro – ma il pensiero di essere improvvisamente sola, e di aver allontanato l'unica persona che aveva provato a parlarle, l'unica che nel profondo sapeva avrebbe potuto aiutarla ad alleviare tutti i sentimenti negativi, che le era sempre stata vicino, iniziava a pesare terribilmente.

Perché, a quanto pareva, condividevano lo stesso peccato...

Evelyn sentì una punta di incertezza far vacillare lo scudo di malumore e rancore che la stava accompagnando da quella fatidica sera, così come ogni volta che si trattava di Edmund si ritrovava a provare delle emozioni contrastanti, il peso dei suoi sentimenti che inevitabilmente le offuscava i giudizi.

Se con gli altri riusciva ad arrabbiarsi per molto tempo, se voleva isolarsi perché non necessitava la vicinanza di nessuno, con Ed la sua testardaggine non riusciva fare presa: in qualche modo finiva sempre per cedere, sconfitta dalla necessità di volerlo sentire vicino per quanto poteva, piegata dalla sensazione della mancanza che finiva per toglierle il fiato. Edmund era il suo punto debole, ma anche colui che le aveva sempre dato la forza necessaria per andare avanti. E l'aveva mandato via, ritrovandosi completamente sola. Ad affrontare qualcosa di cui non conosceva praticamente nulla se non ciò che le stavano raccontando quelli che, a tutti gli effetti, erano praticamente degli sconosciuti.

Poteva andare peggio? Era abbastanza sicura di no.

Amava Edmund. Da anni. E amava i suoi fratelli, in un modo che qualcuno avrebbe potuto definire quasi morboso. Eppure le avevano nascosto forse la cosa più importante della sua vita.

Perché? Perché farle vivere una menzogna?

Evelyn si prese la testa fra le mani, massaggiandosi le tempie per cercare di non perdere il poco di lucidità che era riuscita a raccattare. Si concentrò sul proprio respiro per evitare che le emozioni prendessero nuovamente il sopravvento sulla sua mente.

Forse c'era un motivo. Evelyn ammise a se stessa che sapeva che tra di loro ognuno voleva il bene dell'altro. Erano sempre stati così. Non avevano mai avuto altri se non loro stessi, erano scappati dalla guerra, avevano combattuto battaglie, avevano rischiato di perdersi a causa di Jadis, condividevano l'aver vissuto in un mondo tutto loro, un racconto che ad orecchie esterne gli avrebbe fatto guadagnare un posto eterno in manicomio.

In una parte nel profondo del cuore ancora dolente, Eve era consapevole che non le avrebbero tenuto nascosto qualcosa così alla leggera, perché probabilmente anche lei avrebbe fatto lo stesso se il rischio di dire la verità era troppo grande e rischiava di mandare all'aria la sua famiglia. Ma era un pensiero così debole, così leggero e veloce, da venire irrimediabilmente annegato da tutto il resto, una voce soffocata senza possibilità di appello.

Evelyn si stropicciò gli occhi, stanca di tutti quei pensieri che iniziavano a farle pulsare la testa già appesantita. Sentendosi praticamente divisa in più pezzettini tra i sentimenti che si alternavano dentro di lei come onde che si annientano tra loro alzò gli occhi verso i tre Narniani che le stavano di fronte, consapevole di dover prendere una decisione.

Un passo alla volta, un tassello alla volta

Fu dalla scintilla che le aveva animato lo sguardo per un breve istante che Lia capì le intenzioni della Pevensie. Si sedette nel prato, anticipando qualsiasi domanda.

-Cosa vuoi sapere?- L'erba le solleticò le gambe nude e si beò di quella sensazione che per troppi anni le era mancata. I fili erbosi tra le mani, il vento che spirava lungo la schiena dandole la pelle d'oca, i capelli che le solleticavano le braccia... poteva sentire quei pochi rimasugli di magia provenire da ogni singola cellula che le stava attorno in modo nettamente migliore, in forma umana, per quanto deboli e solitari fossero.

Dhemetrya saltò su un ramo, sentendosi più a suo agio a controllare i dintorni mano a mano che calava la notte, rimanendo tuttavia visibile e a portata d'orecchio.

-Siete umani? O animali?- Domandò Eve, indicando i due Narniani con un cenno del capo. Antares si appoggiò al tronco, incrociando le braccia al petto nudo e sospirando. La risposta di Lia, tuttavia, fu qualcosa che nessuno di loro si aspettava.

-Siamo Narniani.-

Eve storse il naso, osservandola passare il palmo tra gli steli verdi come se ci stesse giocando, lo sguardo distante. Il dettaglio della collana che le aveva dato le tornò sotto gli occhi quando la vide ondeggiare all'altezza dell'incavo dei seni, riflettendo pigramente la luce della luna. Eve rimase spiazzata qualche attimo, riflettendo tra sé. Come aveva fatto a non notarla prima?

-Beh, questo mi sembra scontato.- obbiettò, grattandosi una guancia e riservandole uno sguardo risentito. Tutti coloro che abitavano Narnia erano Narniani. Era sempre stato così, li avevano sempre chiamati in quel modo.

-Perdonami, forse non mi sono spiegata bene.- la interruppe Lia, tornando a guardarla. Evelyn la osservò mentre si portava i lunghi ricchi dietro le spalle per non avere ostacolata la visuale. Gli smeraldi che aveva al posto degli occhi la piantarono sul posto come se fosse sotto incantesimo. Anche nelle ombre della notte luccicavano in modo innaturale, decretando senza dubbi che non erano occhi umani. Come quando aveva incontrato Dhemetrya la prima volta, gli zaffiri che aveva per iridi l'avevano ammaliata all'istante, perché era un colore così innaturale da sembrare finto, eppure... eppure le comunicavano qualcosa.

Eve trovò i due incontri molto simili ed ebbe la stessa sensazione di quando, una volta tornata a Londra, quel mondo non le appartenesse per niente. La sensazione che le mancasse un pezzo fondamentale per potersi sentire completa, un dolore pungolante e familiare.

Quindi era lo spirito di Ahislyn dentro di lei che aveva riconosciuto Lia quando l'aveva incontrata settimane prima? Era Ahislyn il motivo per cui aveva passato due anni a struggersi per Narnia, preda della frustrazione non per il Quando come Peter, quanto piuttosto del Perché?

-Quando dico che siamo Narniani, intendo dire che siamo nati da Narnia.- la Pevensie scosse la testa, continuando a non capire dove volesse andare a finire con quel discorso e domandandosi inevitabilmente quanto di ciò che provava, quanto della sua persona, fosse influenzato dallo spirito di cui era la reincarnazione.

-Ti ricordi il discorso sulle Guardiane?- Intervenne Antares, inginocchiandosi di fronte a lei. Evelyn indietreggiò con il busto finendo contro il tronco dell'albero, a disagio per la vicinanza improvvisa e deviando lo sguardo intenso che le stava rivolgendo. Le sembrava che dal suo corpo provenisse del leggero calore e cercò in tutti i modi di non guardargli i pettorali, puntando lo sguardo sul suo viso. Annuì.

-Le Guardiane nacquero da un elemento, tranne l'ultima. Scomparvero tutte.- mormorò, non capendo. A disagio, cercò nuovamente lo sguardo di Lia.

-Forse eri ancora troppo sconvolta ed è comprensibile. Comunque abbiamo accennato a delle guide che avevano il compito di alleggerire il peso di una vita di solitudine.- Eve socchiuse gli occhi, cercando di ripescare tra i ricordi le informazioni necessarie.


"-La prima Guardiana a prendere vita fu quella nata dalla Terra. Quando scomparve si riunì al proprio elemento. La Grande Magia li fece passare tutti e quattro, ma nessuna di loro fu immune dai problemi e prima o poi finirono tutte con il fallire, rischiando di mandare Narnia nel caos. Pensò fosse perché un elemento singolo fosse instabile per un carico così pesante da sopportare. Quindi raccolse le essenze di tutti e quattro, reincarnandoli in una quinta Protettrice.-

-Ma fu inutile. Era una vita di sofferenze, e avere delle guide vicino non alleviava la solitudine e la sofferenza che sentivano quelle anime.-"


Le Guide...

Evelyn smise di respirare per quelli che le parvero minuti interi, passando lo sguardo sui volti dei due Narniani di fronte a lei. Attorno sentiva il silenzio che li circondava diventare sempre più opprimente, portatore di una verità taciuta per fin troppo tempo e che faticava a prendere suono.

Deglutì un paio di volte, percependo un brivido che le diede la pelle d'oca correrle lungo la schiena. Si tese sul posto, attonita, accorgendosi di essersi persa per strada dei pezzi di verità che le erano sempre stati davanti agli occhi.

-Siete voi.- sembrò che nello spiazzo fosse improvvisamente esplosa una bomba. Tutto le fu improvvisamente più chiaro: il racconto, i comportamenti, quegli occhi così innaturali che tanto avevano catturato la sua attenzione e che sembravano suscitarle delle emozioni che non sentiva appartenerle.

-Siete le Guide.-

A quella constatazione susseguirono vari minuti di silenzio: Dhemetrya guardò ostinatamente verso la foresta, mordicchiandosi le labbra senza il coraggio di infilarsi in quel discorso. Il solo sentirlo le provocava dei brividi di emozioni non ben identificate e che avrebbe volentieri affogato nell'apatia. Antares si grattò il collo, tirando le labbra in un finto sorriso e avvicinandosi di più a Lia, ancora inginocchiata di fronte ad Eve. La lupa gli lanciò un breve sguardo di ringraziamento percependo la sua mano sulla spalla, in un muto supporto incoraggiante.

Lia sembrava sempre imperscrutabile, vigile e saggia, la più matura tra tutti loro, salda come la terra e ben ancorata come gli alberi con le loro radici, riflesso quasi perfetto dell'elemento che le aveva dato la vita – tuttavia, qualche volta c'erano i terremoti. Quei minuti erano uno di quei momenti, ed Antares la conosceva troppo bene per non notarlo.

-Già. Eravamo gli spiriti guida di Ahislyn... e Dhemetrya.- mormorò la riccia, stirando le labbra in un sorriso che svanì con la stessa rapidità di un battito d'ali di farfalla. Per qualche istante, il suo sguardo si adombrò, mentre si perdeva in una manciata di ricordi che quel discorso stava inevitabilmente riportando a galla.

Aveva fallito nel suo compito... non era stata una buona madre.

Lia socchiuse le palpebre, le lunghe ciglia che con quel gesto s'inumidirono delle lacrime che le si erano formate agli angoli degli occhi. Percepì Eve irrigidirsi di fronte a sé e si costrinse a ricacciare indietro il groppo di sofferenza che le aveva chiuso la gola.

-Quindi... Dhem non è come voi? Per quello era già... umana?- domandò la Pevensie, titubante, cercando la figura della mora tra gli alberi. I suoi occhi blu catturarono il suo sguardo ed Evelyn intuì si fosse voltata di scatto dopo quella domanda. La sentirono borbottare qualcosa di indecifrabile e strizzando gli occhi Evelyn intuì si fosse nuovamente voltata, dando loro le spalle. Lia e Antares ridacchiarono.

-No, esatto. In realtà anche noi siamo sempre stati umani. Ma le prime Guide erano animali.-

La lupa osservò come Eve stesse ascoltando avidamente ciò che diceva, le poche frasi che la rendevano partecipe di un mondo che aveva sempre ignorato che venivano accolte dallo sguardo ridotto a due fessure indagatrici e la bocca leggermente aperta per lo stupore.

-Quindi... come mai siete diventati... beh...- provò la Pevensie, non capendo. Se non era una Guida, Dhemetrya era quindi una Guardiana? Antares sospirò stanco, prendendo il ponte del naso tra indice e pollice e corrugando la fronte. Percepì lo sguardo di Lia su di sé.

-Quando Ahislyn è scomparsa parte del potere di Narnia è sparito con lei. È complicato da spiegare ma come avrai intuito è un legame molto particolare, quello tra noi, le Guardiane e Narnia stessa.- cacciò fuori il ragazzo, muovendosi lentamente avanti e indietro di fronte alle due ed ottenendo da Eve un cenno del capo.

Lia si alzò per prendere posto contro la corteccia dell'albero, approfittando dell'intervento del compagno per calmare le sensazioni che sentiva scorrerle sottopelle. Stava diventando difficile riuscire a rimanere neutra con quel discorso, ma Antares era sempre stato bravo ad essere per tutte loro la luce nei momenti di buio.

-Non sappiamo bene perché, ma è come se fosse mancato anche a noi parte di quel potere. O almeno, questa è l'ipotesi.- Di motivazioni, in realtà, ne avevano ipotizzate molte: da una sorta di maledizione, per non essere stati in grado di portare a termine il loro compito, a una cosa più semplice come il fatto che senza la Guardiana le Guide non avevano senso di esistere, alla sofferenza di Narnia che in qualche modo doveva manifestarsi, al semplice scorrere del destino già deciso prima della loro nascita. Tutte cause papabili e per niente improponibili.

-Quindi adesso siete tornati normali? Perché?-

Antares scoccò la lingua contro il palato, facendo dardeggiare lo sguardo lungo il perimetro dei cespugli, nervoso. Si osservò poi le mani, stringendole a pugno come da tempo non avevano potuto fare.

-Probabilmente è colpa tua.- mormorò, perso nei propri pensieri. Evelyn si grattò la testa, non capendo, cercando una spiegazione da parte di Lia e percependo un lieve senso di colpa darle le vertigini.

-Crediamo sia stata colpa di ciò che è successo l'altra sera. Mi spiace per il modo in cui sei venuta a conoscenza di tutta questa storia, ma era qualcosa in cui non potevamo intervenire. Dovevamo attendere che il destino facesse il suo corso, Aslan è stato chiaro su questo.- La Pevensie si umettò le labbra, processando quelle parole. Aveva la sensazione che la Narniana si stesse trattenendo dal raccontarle proprio tutto, ma non disse nulla – non aveva proprio voglia di discutere, né di pensare al leone di cui tanto si agognava il ritorno e che, capì tra la nebbia che le offuscava i ragionamenti, era la ragione dietro quella situazione di cui ne stavano soffrendo lei e la sua famiglia.

Continuò ad osservarla, alzando un sopracciglio per farle capire di continuare quel discorso quando la vide scrutarla per vari attimi.

-Tutto è stato un grande shock e la magia e Narnia devono aver risposto a ciò che stavi provando. Probabilmente tra qualche ora torneremo come prima, non appena ti sarai calmata.- Lia si sedette a terra, alzando lo sguardo verso il cielo scuro e trattenendo un sospiro. Quella situazione era destinata a durare per poco, lo sapeva benissimo. Non c'era nemmeno bisogno di discuterne con Antares.

Era una gioia passeggera, come lo era stata quando avevano incontrato la Grande Magia lungo il fiume dopo lo scontro con Jadis.

Ma per quanto fosse consapevole di meritarselo, per quanto si fosse adattata alla sua versione lupoide senza lamentarsene mai, il pensiero di doverci ritornare sotto quella che era praticamente una costrizione imposta dall'alto le stringeva lo stomaco in una morsa.

Si morse un labbro, socchiudendo gli occhi e tornando ad osservare la Pevensie, trovandola pensierosa come tutte le volte che l'aveva guardata in quelle ultime ore. Così giovane, imprigionata in un qualcosa che le aveva spezzato l'anima e il cuore.

Lia si rattristò a quel pensiero, empatizzando con la motivazione che aveva spinto Dhem ad isolarsi da tutto durante quegli anni.

-Sappiamo che è molto da capire, ma... non so nemmeno io come spiegarti al meglio le cose.- mormorò la Narniana, catturando l'attenzione di Eve. La ragazza le sorrise leggermente, ma negli occhi non c'era felicità. Solo una profonda stanchezza e un'ultima questione in sospeso, più un dubbio che una reale domanda. Era andata ad intuizione e non sapeva se si sarebbe pentita di ciò che stava per dire, ma la tentazione fu troppo forte per resisterle.

-Se Dhemetrya non era una Guida, chi era per Ahislyn?-

Nella foresta silente fu come se il tempo si fosse fermato per vari minuti. Antares si umettò le labbra e Lia si preparò a rispondere, ma Evelyn si ritrovò a fissare due occhi blu oceano che inglobarono completamente la sua attenzione. Con il fiato corto per quella presenza inaspettata e le mani rigide per la tensione, si rese conto che la punta della lingua ancora formicolava, dopo che quel nome per anni taciuto le aveva graffiato la gola per prendere vita, prendere suono proprio da lei.

Dhemetrya la osservò intensamente con un'espressione indecifrabile, come un cacciatore studia la sua preda senza tuttavia avere voglia davvero di farle del male.

-Era mia sorella.-



***


-Vado a dare il cambio a Lia.- Dhem si alzò in piedi e, senza aspettare una risposta, scese dall'albero scomparendo in un manciata di secondi nel sentiero da cui era arrivata poco prima.

Antares poteva ancora sentire sulla pelle della mano il fresco che gli aveva lasciato il contatto con i palmi della ragazza. Aveva sempre avuto le mani fredde, Dhemetrya, gelide come le acque che nascono direttamente dalle fonti più pure e nascoste delle montagne, e uno spirito così cristallino da lasciare intravedere qualsiasi sentimento gli germogliasse all'interno.

Sorrise tristemente, consapevole che l'acqua pura a cui era sempre stata associata si era fatta sempre più torbida con il passare del tempo. Dhemetrya poteva provare a nasconderlo, ma basta davvero poco perché anche la fonte più limpida venga sporcata.

Antares non si sarebbe mai sognato di considerarla debole, ma indubbiamente era la più fragile tra tutti loro, colei che di tutta quella storia ne aveva risentito di più.

E il legame che condividevano non mentiva – la sua sofferenza trascinata nei decenni era qualcosa che l'aveva consumato vivo, tanto quanto la propria. Ricordava bene i momenti in cui si era sentito spossato, come se avesse passato giorni insonni, la voglia di chiudere gli occhi per cercare di cancellare il pungolìo costante all'altezza del cuore. Aveva provato a fare ciò che riusciva meglio, cercando di infondere un po' del suo calore per equilibrare il più possibile quella sofferenza a cui, però, non c'era mai stato un vero rimedio.

Antares ci aveva provato, ci aveva provato davvero a tenere insieme i pezzi, ma dubitava che Dhemetrya sarebbe mai tornata limpida come un tempo e Narnia rigogliosa come millenni prima.

Da quando Ahislyn se n'era andata, da quando Narnia aveva iniziato a rinchiudersi nel silenzio del gelo perenne, era come se un grande buco nero fosse nato nei loro spiriti, pronto ad inghiottire tutto ciò che di buono e positivo potevano provare e riversare su quella terra che era la loro casa.

La scomparsa della quinta Protettrice era la prova dell'ennesimo fallimento della Grande Magia. Perfino lui era la prova di come le cose fossero sbagliate, consapevole di provare un sentimento di cui non avrebbe dovuto nemmeno sapere l'esistenza.

Una leggera brezza gli portò sotto il naso l'odore tipico di selvatico misto ad erba bagnata, un profumo che sentiva spesso risalire dal terreno dopo un temporale.

Antares assottigliò gli occhi, puntando lo sguardo sulla vegetazione da dove proveniva quel misto di aromi che gli annebbiò l'olfatto, un richiamo a cui non riuscì a resistere e che trovò particolarmente coincidente con le proprie riflessioni.

Lia.

La figura della Narniana spuntò al limitare dei cespugli qualche attimo dopo, il riflesso delle iridi smeraldine che saettava per sondare i dintorni come lo sguardo di un predatore. Fu quando lo scorse sopra il ramo che fermò il girovagare dei suoi occhi, rimanendo ferma a fissarlo come se avesse trovato la sua preda. Antares sentì un brivido corrergli lungo la schiena e strinse la presa sulla corteccia su cui era seduto, risucchiando l'aria e percependo le narici pizzicare per l'odore fattosi più pungente.

Percepì l'aria diventare improvvisamente elettrica attorno a loro.

Aveva cercato tutta sera di non farci caso, ma erano secoli che non la vedeva... eppure, Lia era proprio come la ricordava. Bella, circondata da quell'alone di distacco che la rendeva imperscrutabile proprio come il suo sguardo, le movenze naturali e senza malizia che catturavano inevitabilmente l'attenzione.

Ricordava quando, prima di Jadis, degli esploratori provenienti da sud provarono a rapirla per cavarle gli occhi e rivenderli perché secondo loro erano gemme frutto di qualche incantesimo. Strega, l'avevano chiamata. Quando era ciò che di più diverso si potesse definire la sua persona, uno spirito pacifico che aveva il compito di aiutare la terra a germogliare assicurandosi che la vita facesse il suo corso.

La osservò restare in piedi a qualche metro di distanza, ammutolendo di fronte all'evidenza di come la sua figura si posasse perfettamente con ciò che la circondava, la presenza leggiadra che si riprendeva una piccola parte del posto a cui apparteneva. Ne sondò la pelle nuda della vita circondata dai ricci lunghissimi, i fianchi formosi, i vestiti di emergenza che indossava che le stavano irritando la pelle dove sfregavano i bordi, procurandole delle chiazze rossastre, i fili d'erba che le accarezzavano i piedi nudi come per salutarla.

Balzò giù con un movimento fluido e le fu davanti nel giro di pochi secondi.

Lia arrossì sotto il suo sguardo, ritenendolo particolarmente intenso e fuori luogo, e alzò la testa per poterlo osservare in viso nonostante la differenza di altezza. Si costrinse a reprimere i brividi che sentì nascerle lungo le braccia, evitando volutamente di ascoltare quell'istinto primordiale che le gridò di come i propri sentimenti nei confronti del ragazzo fossero ancora vividi nonostante i millenni di separazione.

-Non poss...- Antares la tirò contro di sé facendole morire ogni protesta, sentendosi immediatamente più leggero quando, immergendo il naso nei suoi capelli, percepì il corpo formoso della lupa adattarsi al suo.

-Mi sei mancata... amore mio.-


***


Era calata la notte sull'accampamento di Narnia, una pausa dalle attività ormai svolte quotidianamente ma che i Pevensie avevano aspettato con particolare impazienza.

Per quanto lo scorrere del tempo fosse sempre stato causa di preoccupazione e dubbi, dal momento che il confronto con Telmar era sempre più vicino, quando il sole di quella giornata particolarmente pallida e fiacca era iniziato a calare lasciando posto alla sera avevano tirato tutti un sospiro di sollievo. Nessuno di loro si sentiva in grado di reggere le aspettative dei Narniani nei loro confronti, ognuno ancora perso nei propri pensieri e tormenti.

Se gli abitanti di Narnia avessero percepito qualcosa di diverso, la patina di tensione improvvisamente scesa tra i quattro Sovrani che di punto in bianco non comunicavano più tra loro, non ne avevano dato segno, continuando ad addestrarsi sotto la guida pacifica di Caspian – dimostrando quanto, durante quelle settimane insieme, il Principe fuggiasco fosse stato effettivamente accettato nonostante le rimostranze dei primi incontri.

Con la sera settembrina resa ancora più pungente dalle piogge dei giorni precedenti, Caspian si strofinò le braccia per cercare di farsi un po' di calore con il tessuto della casacca, lasciandosi alle spalle gli ultimi fuochi mentre usciva nella prateria che fronteggiava la Casa di Aslan.

Si era congedato da Susan, dopo averla aiutata a riporre le armi che stava ricontrollando e lasciandola davanti alla stanza che utilizzava come camera provvisoria, intuendo dalle poche sillabe che era riuscito a strapparle che non fosse propriamente in vena di parlare – e come darle torto? Caspian l'aveva accompagnata mentre stancamente si trascinava lungo i cunicoli con la pazienza che solo per altre poche persone si era ritrovato in grado di avere, osservandone le labbra screpolate per averle torturate troppo e l'espressione spaesata di chi è perso nel proprio mondo: solo quando le aveva dato la buonanotte una volta raggiunta la soglia la Regina aveva alzato lo sguardo, sbattendo le palpebre sugli occhi circondati da pesanti occhiaie che non le aveva mai visto addosso e che, per l'ennesima volta in quella giornata, gli avevano procurato una fitta al cuore.

A Caspian vedere Susan in quelle condizioni non piaceva per niente. Ma ciò che gli pesava maggiormente era la consapevolezza di non poter fare niente per migliorare quella situazione che le dava il tormento.

Il ragazzo sospirò, ravvivandosi i capelli e mettendo a fuoco la natura circostante: il cambio turno era appena stato fatto e scorse dei fauni addentrarsi nel bosco, dei nani appostati su dei massi rialzati ed era sicuro, inoltre, che se avesse alzato lo sguardo dietro di sé avrebbe trovato dei minotauri nella parte più alta del rifugio. Poche torce illuminavano il perimetro, ma era ancora abbastanza chiaro perché non vi fosse un buio profondo ed i contorni della vegetazione fossero ancora visibili con un minimo di sforzo – la differenza con le giornate estive di pieno agosto, però, iniziava a farsi sentire.

Caspian ripensò al freddo che l'aveva accolto appena messo piede all'esterno e l'idea di dover passare l'inverno in quelle condizioni gli diede un brivido lungo la schiena. Con tutta la buona volontà, non erano attrezzati per un'eventualità simile. Dubitava anche che i Telmarini li avrebbero lasciati andare se si fossero ritirati negli antri più lontani della foresta, ora che sapevano che le leggende non facevano più così tanta paura.

Si addentrò nella radura di qualche passo, sentendo il proprio corpo abituarsi al cambio di temperatura, cercando di cogliere, tra le ombre della sera e la calma che lo circondava, l'occasione per provare a rilassarsi un po' e togliersi di dosso la stanchezza per la giornata appena passata.

Si morse internamente una guancia, incrociando le braccia al petto e respirando pesantemente con naso: Peter era stato inavvicinabile e forse, consapevole di poter dire cose di troppo e non essere dell'umore, si era isolato per buona parte della giornata, Edmund e Susan avevano passato buona parte delle ore lontani dall'accampamento. Solo Lucy era rimasta, cercando di comportarsi il più naturale possibile, ma era palese che ci fosse qualcosa che non la lasciava totalmente serena.

Caspian non poteva dire di conoscerli tutti alla perfezione, ma ci aveva passato insieme ogni giorno degli ultimi due mesi, ed era abbastanza sicuro di poter intuire se qualcosa fosse fuori posto – e, dopo il discorso di Susan, di cose fuori posto ce n'erano parecchie.

La cosa lo preoccupava, perché per quanto lui potesse essere ormai in armonia con i Narniani era stata la presenza decisiva dei Re di un tempo a convertire anche i più restii a partecipare alla rivolta contro Telmar. Non poteva che sperare che il tutto si risolvesse il prima – e il più positivamente – possibile.

Facendo dardeggiare lo sguardo per l'ennesima volta lungo lo spiazzo erboso, notò una figura seduta sopra dei massi poco lontani.

Caspian strizzò gli occhi quel tanto che bastava per riconoscere, nel buio nella sera, la casacca blu scuro di Edmund. Il ragazzo gli dava le spalle, muovendo la testa di tanto in tanto verso l'alto, forse per osservare il cielo o perdendosi nei propri pensieri.

Vederlo lì, solo in mezzo alla radura, ricurvo su se stesso, gli fece tornare alla mente l'espressione addolorata di Susan.

Prima ancora di essersene reso conto, il Principe aveva iniziato a muoversi verso la figura del Pevensie che gli stava di fronte, ignaro della presenza che stava per rompere la sua bolla di solitudine. Caspian si fermò solo quando gli fu a un paio di metri di distanza, mordendosi l'interno di una guancia e domandandosi se effettivamente potesse fare qualcosa, consapevole che, in tutta quella storia, lui non c'entrava assolutamente nulla.

Socchiuse gli occhi, guardando dietro di sé la Casa di Aslan, studiandone i contorni illuminati dalle torce e le sentinelle appostate sulle mura.

Ricordò i Narniani rimasti imprigionati al castello, il senso di rabbia e disperazione che per giorni lo aveva accompagnato, la sofferenza sui volti di quella gente per troppo, davvero troppo tempo maltrattata ed esiliata.

Una scarica di adrenalina gli fece muovere un ennesimo passo.

Quelli erano affari suoi.


Se poteva anche solo dare una spinta per una eventuale riconciliazione non si sarebbe tirato indietro. Non avrebbe permesso che una faida famigliare fosse il motivo della loro sconfitta, avrebbe provato a fare tutto ciò che poteva per preservare più vite possibili.

E se ciò voleva dire immischiarsi negli affari dei Re di un tempo, l'avrebbe fatto ad occhi chiusi. Narnia e i suoi abitanti avevano estremo bisogno che i Pevensie tornassero ad organizzare le truppe e le guidassero nella battaglia contro Telmar, e lui aveva fatto una promessa a quel popolo che aveva intenzione di mantenere con tutto se stesso.

Ne andava della vita di tutti.






























































































































FINALMENTE CE L'HO FATTA!
Allora ragazzi, è davvero passato troppo tempo dall'ultimo aggiornamento. Sono imperdonabile, come sempre. A mia discolpa, mi sento di dire che questo è stato il capitolo più difficile che io abbia mai scritto e gli impegni della vita vera mi stanno uccidendo (Sono le tre e mezza di notte e ho la sveglia alle sette, piango).
Davvero, ci sono dietro da marzo, ma aveva preso una piega che mi ha lasciato un po' perplessa perché, nonostante accada esattamente ciò che mi ero prefissata, non è scritto come l'avevo immaginato. L'ho letto e riletto moltissime volte, cambiato e sistemato, perché comunque non me la sentivo di cancellarlo totalmente. E' parecchio pesante, tra l'altro, perché concentrato molto sui pensieri di Lia e Antares, cosa che fino ad ora non era mai successa.
Spero di portarvi presto il prossimo capitolo e di aver superato questo blocco che mi era venuto, ma non so darvi delle tempistiche: in ogni caso, spero che la storia continui a piacervi e posso anticiparvi che nel prossimo torneranno i Pevensie - ed i Telmarini. La battaglia finale si avvicina!
Ringrazio chi ha la pazienza di leggermi ancora, chi mi lascia un pensierino (cercherò di rispondere il prima possibile ma sono un po' impegnata in questi giorni!)
Love
D. <3



   
 
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