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Autore: shilyss    27/07/2021    4 recensioni
Ecco a voi una raccolta di shot legate alla fanfiction "Tutte le tue bugie." Nonostante alcuni riferimenti alla long fic, potete leggere i vari capitoli anche considerandoli come testi scollegati rispetto alla storia madre.
Dal capitolo 1: Se Loki fosse stato meno sarcastico, se nei suoi occhi chiari Odino avesse visto l’ombra di un sincero pentimento, le cose sarebbero potute andare diversamente. Ma Lingua d’Argento era stato sprezzante e tronfio e si era presentato ammantato di tutta la sua feroce eleganza di fronte al padre adottivo che non lo aveva chiamato figlio, ma prigioniero. Un altro imperdonabile errore dovuto non alla mancanza di discernimento di Odino, ma all’amara constatazione di come Loki, il suo brillante figlio, non fosse poi così acuto come pensava e sembrava.
Dal cap. 4: Solo che Loki era un furfante travestito da principe, un cantastorie come nemmeno nelle piazze più oscure della città se ne trovava uno uguale.
Non tutto è come appare, quando di mezzo c'è il dio dell'inganno in persona.
Capitoli 3-9: Barbare usanze;
Cap. 10 - Forse era scritto nel destino.
Genere: Avventura, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Loki, Odino, Sigyn, Thor
Note: Lime, Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'La tela degli inganni'
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La penna nera

If you're lost, you can look and you will find me

Time after time

If you fall, I will catch you, I'll be waiting

Time after time

(Time after time, Cindy Lauper)

 

Parte 2

 

A pochi giorni dalla firma del trattato tra Vanheim e Asgard, la notizia era stata confermata in tutti i Nove Regni: Thor aveva assunto il ruolo di reggente e sedeva sull’Hliðskjálf. Il trionfo bellico di Loki aveva avuto, come diretta e immediata conseguenza, che il detestato fratello e rivale occupasse finalmente il ruolo per cui era nato, dimostrandosi la guida di cui gli Æsir avevano bisogno. In uno slancio di feroce lucidità, il dio dell’inganno si era reso conto di non aver fatto altro che accelerare il processo che si era sforzato di ostacolare per una vita. Thor governava il loro popolo, lui era il consigliere di un re che non si dimenticava mai di ricordargli il suo posto. Sarebbe potuto tornare ad Asgard. Fissare Odino negli occhi – dicevano che, nel giro di pochi giorni, fosse diventato irriconoscibile, la sua mente acutissima e brillante ridotta a una scatola dove ogni informazione, emozione e ricordo era confusa l’una con l’altra. A Sigyn capitò di ascoltare sua zia chiedere al resto della famiglia cosa avrebbero fatto, se l’imprevedibile Loki fosse andato via da un momento all’altro. La sua voce recava traccia di un freddo timore e così il suo viso dall’ovale perfetto: i Vanir avevano dato troppo potere al dio dell’inganno. Con la sua ipotetica partenza, loro avrebbero perso, rapidamente come l’avevano ottenuto, il prestigio acquisito presso i Nove Regni.

 

Ma Loki non se ne andò. Disse che preferiva il clima di Vanheim, più mite e generoso di quello di Asgard, aggiungendo che non aveva ragioni per tornare tra i fiordi. E siccome spiegare come mai Sigyn avesse preso la penna sarebbe stato strano e mentire al fabbricante di bugie era fuori discussione – i suoi occhi ironici e taglienti l’avrebbero smascherata immediatamente e lui l’avrebbe trafitta con le sue battute perfide e salaci, continuò a tenerla nel cassetto della toletta, come se si trattasse di un qualche artefatto magico. Forse fu per questo motivo, perché era la prima a dare un significato differente alla particolarissima penna dalla piuma nera, che Sigyn iniziò ad attribuirle dei poteri particolari. La usava per tradurre i passi più difficili dei suoi poemi preferiti o quando doveva studiare qualcosa di particolarmente ostico, come se l’intelligenza vibrante del suo primo possessore fosse stata assorbita dall’elegante oggetto. Quando una delle sue amiche o qualche dama di compagnia alludeva alla circostanza in cui aveva ballato con Loki, lei alzava le spalle, serrava le labbra. Com’era stato danzare con un uomo giovane, forte e bello? Niente di speciale, tanto più che Lingua d’Argento si era limitato a obbedire al volere di suo nonno. Non gliene faceva una colpa: lei non si sentiva affatto bella e cambiare gli abiti e l’acconciatura non era servito a convincerla del contrario.

 

Loki aveva il passo svelto ed elastico di chi ha troppe cose da fare in troppe poche ore. Il calpestio dei suoi stivali di cuoio, alti e ben lucidati, risuonava tetro lungo i corridoi rivestiti in marmo del palazzo di Njord. Se pure una parte di lui avrebbe preferito il familiare scricchiolio del legno ben curato di Asgard, non lo dava a vedere. Gli capitò davanti una scena che gli fece storcere il naso: Sigyn, la giovane nipotina di Njord, che passeggiava a braccetto con un’amica e veniva intercettata dallo sguardo troppo lungo di una guardia.

Lei aveva i capelli scarmigliati e rideva per qualcosa che doveva averle detto l’altra ragazza; con la mano libera, reggeva le ingombranti gonne da donna che Freya le imponeva di indossare, incurante dell’attenzione che catturava.

L’Ase raggiunse il soldato e gli si fermò davanti, incrociando le braccia dietro la schiena. “C’è chi è finito nelle segrete per molto meno,” sibilò infastidito. L’uomo impallidì e batté i tacchi, mettendosi in riga, come se la postura rigida ed eretta potesse cancellare il fastidio dallo sguardo del maledetto ingannatore che aveva le mani in pasta ovunque.

Sigyn e l’amica si girarono come fossero una cosa sola, incuriosite. Lei lo sfidò con lo sguardo, schiuse le labbra come se dovesse iniziare a parlare, ma poi si voltò di scatto e tirò via la compagna. Accadeva sempre più spesso.

 

Ho preso io la tua penna. Volevo restituirla prima, ma non ne ho avuta l’occasione. Sigyn si era preparata con cura il discorso da fare. I primi raggi del sole facevano splendere le altissime vetrate della biblioteca. Alcune casse di libri, acquistati su consiglio di Loki per accrescere il prestigio della collezione di re Njord, giacevano in un angolo, ancora imballate, pronte per essere aperte, i volumi catalogati[1]. Sigyn aprì nervosamente uno dei suoi volumi preferiti di poesie e srotolò una pergamena intonsa davanti a sé. Visto che doveva aspettarlo, tanto valeva occupare il tempo in maniera proficua, studiando. Si concentrò sulle rime, sulle figure retoriche, sulla bellezza dei versi, cercando di trovare il corrispettivo migliore nella sua lingua, ma era inquieta, nervosa. S’immaginò il sorriso sornione che Loki le avrebbe rivolto – davvero non ne aveva avuta mai l’occasione? Cos’è, le ripeteva la voce immaginaria del dio dell’inganno nella sua testa, avevi paura di avvicinarti a me o ti faceva piacere avere nella tua camera da letto un mio trofeo?

È che sei crudele, spietato, bugiardo. Di te non ci si può fidare.  Potevi lasciarla in biblioteca mesi fa, allora, anziché usarla per scrivere lettere e appunti. È bella, bellissima. L’ho desiderata per me e temevo la vostra reazione, si giustificava lei nel suo discorso immaginario.

La porta si aprì e Sigyn si alzò di scatto. “Ti aspettavo,” disse rapida.

L’ingannatore, un fascio di pergamene e missive sotto il braccio e una smorfia annoiata sulle labbra sottili, la fissò inarcando un sopracciglio, raggiungendo la sua scrivania senza rallentare né diminuire l’andatura. C’era una proposta di matrimonio, tra le lettere che si era portato dietro. Un buon accordo commerciale che riguardava lei, la cui graziosa e sottile mano veniva chiesta da un nobile della marca orientale[2].  

“A che devo il piacere?” s’interessò, sistemando la corrispondenza e le carte sul ripiano davanti a sé. Non si era preoccupato di mascherare il suo sarcasmo.

“La tua penna. L’avevo io. Mi dispiace[3],” soffiò, porgendogli rapida l’oggetto.

Loki la squadrò da capo a piedi, esaminando la sua figura sottile e graziosa nella tenue luce dell’alba. Erano trascorsi una manciata di mesi da quando aveva visto la piuma nera per l’ultima volta, più o meno dalla sera in cui lei aveva fatto il suo timido ingresso nel mondo degli adulti partecipando a un ballo. Era più sicura e bella di allora – nelle segrete c’era sempre posto, per chi la guardava così. Apprezzò il modo diretto con cui era andata dritta al punto, ma volle sapere come mai aveva atteso tanto.

“L’hai usata?”

Sigyn sbatté le palpebre, interdetta: non si aspettava quella domanda. “Sì,” concesse infine. Negarlo sarebbe stato sciocco – e poi, gli occhi chiarissimi del dio dell’inganno riconoscevano immediatamente le bugie.

Le dita rapide del dio dell’inganno sistemarono la corrispondenza. “Avresti potuto lasciarla qui o ridarmela in qualsiasi altro momento. Perché l’hai fatto solo ora?”

“C’è sempre troppa gente, attorno a te. E, se l’avessi lasciata qui, qualcuno avrebbe potuto prenderla al posto tuo e non volevo.” Sigyn si tormentava le dita sottili, libere da qualsiasi gioiello. “Non riuscivo a trovare il momento adatto. È così bella,” concluse infine.

“Ti piace,” constatò Loki. “Non vorresti separartene, ma non riesci a dormire la notte al pensiero di avermi fatto un torto.” Osservò la ragazza impallidire e giudicò di aver indovinato i suoi pensieri. Così insistette, avvicinandosi al tavolo dove c’erano le carte di lei. “A voi Vanir piace che gli altri vi definiscano pii e nobili, ma siete esattamente come tutti noi. La soddisfazione non è nella vostra natura e volete di più, sempre di più.”

La ragazza arretrò di fronte a quella frase tagliente. Loki, si rese conto, non era grato a Njord per averlo accolto. Riteneva che quello che dava a Vanheim fosse più di ciò che riceveva in cambio e accusava i suoi abitanti di essere ipocriti. Era un pensiero che anche Sigyn, nonostante la giovane età, si era ritrovata a fare di fronte a certi comportamenti ingiusti e fiacchi o alle numerose leggi vecchie e obsolete che suo nonno si rifiutava di modificare per non inimicarsi l’aristocrazia. Sempre più spesso si scontrava con la facciata splendente che la sua famiglia tentava di sfoggiare per nascondere il vuoto che lei intuiva esserci sotto. E Loki Odinson, con la sua voce roca e beffarda e un sorriso divertito sulle labbra, non aveva fatto altro che dirle le stesse identiche cose confermando i suoi risentimenti. Solo che se era il dio dell’inganno a svelare le bassezze altrui, queste parevano ancora più ignobili e intollerabili.

“Sto cercando di ridartela. Non rendere le cose più difficili di così,” lo pregò. La luce trionfante che vide nel suo sguardo la convinse a non commettere mai più, per nessun motivo, un simile errore.

“Io la usavo per scrivere leggi, lettere, ordini e incantesimi, tu per scrivere poesie d’amore,” osservò Loki girandole attorno col solo scopo di vederla mentre lo seguiva con gli occhi. Raggiunse il tavolo dove c’erano i fogli di lei, lasciando scorrere le dita di mago sulla pergamena porosa. “Ti è venuta bene, questa traduzione. Tieni la penna, forse vorrebbe essere usata per argomenti più lieti.”

Lei s’irrigidì. “Non voglio essere in debito con te.”

“Perché?” s’interessò, guardandola in viso – naso deliziosamente a punta, labbra morbide, sguardo chiaro contornato dalle ciglia lunghe e nere, pelle che si arrossava quando l’emozione la tradiva. Avrebbe stracciato e gettato nel fuoco la proposta che la voleva già sposa e lontana. Meglio che rimanesse a Vanheim, ad arrossire alle sue battute, a tradurre versi d’amore e di guerra.

“Tutti ti devono qualcosa, qui a Vanheim.”

“È una diceria che nasconde un fondo di verità, lo ammetto,” si compiacque. “Ma è solo una penna, Sigyn.”

“Potrebbe essere sconveniente, per te, offrirmela.” Glielo disse senza guardarlo – nel giro di un paio di primavere lo avrebbe fatto fissandolo negli occhi, bellissima e sfrontata. Ma questo, Loki, ancora non poteva saperlo.

“E per te riceverla, principessina. Tienila come hai fatto finora e usala per studiare,” suggerì.

Scrivere appunti e pensieri tracciando le frasi con quella lunga piuma nera le sarebbe piaciuto, si rese conto Sigyn. Desiderò fortemente accettare, perché amava guardare la propria mano sottile impugnare quell’oggetto incantevole. Ma Loki, con il suo passo elastico e felino, col quel suo ghigno perenne disegnato sulle labbra sottili, con la sua voce roca e beffarda, la spaventava. Qual era il prezzo del trofeo del dio dell’inganno che avrebbe stretto tra le dita? Suo nonno diceva che Loki figlio di Odino sapeva usare ogni cosa come arma – anche i favori e i sorrisi.

Lasciò la piuma nera sul tavolo e se ne andò senza nemmeno recuperare le sue cose, raccogliendosi le gonne per camminare più velocemente. Nel farlo, scoprì la caviglia sottile e ben modellata, in un gesto involontario che l’Ase seguì, suo malgrado, con troppa attenzione.

 

 

 

Col passare dei mesi, Sigyn acquisì una grazia e una sicurezza tali da poter partecipare ai banchetti indetti da Njord e intervenire nelle varie discussioni, commentando, con i suoi modi delicati e le sue frasi pungenti, le notizie che provenivano dagli altri paesi e i fatti interni. Sempre più spesso si scontrava con Loki Odinson – o Laufeyson, come il più delle volte preferiva farsi chiamare, che trovava sommamente divertente contraddirla e fare sfoggio delle sue spiccate capacità retoriche. Lei usciva da quelle liti immancabilmente sconfitta, senza sapere quanto quell’allenamento sfiancante le sarebbe stato utile, un giorno. Quello che intuì quasi subito, invece, fu che Loki mentiva. Se pure era d’accordo con lei su un qualsivoglia argomento, sosteneva proditoriamente la tesi opposta, forse per compiacere Njord oppure, semplicemente, per stizzirla e rovinarle la serata.

Per lui, probabilmente, farla infuriare equivaleva a rendere meno tediosa una cena. Apprezzava le occhiate furenti che gli lanciava, il suo contegno, la passione che metteva nel sostenere le cause in cui credeva, l’amore per i libri che la spingeva a varcare le soglie della biblioteca nonostante ci fosse lui. Sapeva anche che, ultimamente, aveva espresso l’assurdo desiderio di poter assistere alle riunioni tra suo nonno e i nobili. Njord non voleva deluderla, ma trovava assurdo l’assecondarla. Non ci voleva chissà che immaginazione per ipotizzare che, nel giro di qualche settimana, il vecchio re lo avrebbe fatto chiamare per gravarlo dell’incombenza di trovare un posto a sedere per la sua irriverente nipotina. Si sarebbe messo a giocare con i numerosi anelli che sfoggiava sulle dita adunche e ritorte, sfidandolo affinché trovasse una soluzione ragionevole. Fu esattamente così che avvenne.

 

Sigyn poteva ascoltare e prendere appunti, ma se avesse alzato la mano per intervenire, nessuno l’avrebbe ascoltata. Dalla corte questo favore era stato inteso come il capriccio di una ragazzina esaudito da un re magnanimo. A lei, che studiava con slancio, fece orrore la leggerezza di certi lord imbolsiti che sedevano stancamente attorno al trono e commentavano sfoggiando la loro ignoranza. Per assistere alla riunione accanto a Njord aveva scelto l’abito più serio e scuro di tutto il suo guardaroba. Non voleva confermare il pregiudizio che la voleva una ragazzina svagata che esaudiva un capriccio, ma dimostrare di essere una principessa colta e interessata al benessere della sua gente. Al consiglio c’era anche Loki, ovviamente, immancabile braccio destro di suo nonno, per le cui belle mani di mago passavano tutti gli affari di Vanheim. Si erano incontrati in biblioteca, qualche sera prima.

Sigyn si era addormentata su una poltrona e, risvegliandosi, lo aveva trovato sfacciatamente seduto a poca distanza da lei, con le labbra strette in una smorfia e un’ombra cupa negli occhi. Tornava da una straziante visita ad Asgard, una delle poche che si era concesso da quando Thor era diventato reggente; le aveva parlato più del solito, tanto che lei si era offerta di lasciargli una tisana per quando avesse deciso di andare a riposare. Un semplice atto di gentilezza, nulla di più, su cui aveva scelto di non indagare. Che Loki avesse bevuto la tisana o meno non aveva importanza, in fondo[4].

L’ingannatore si alzò in piedi e fece ciò che gli riusciva meglio – incantare il suo pubblico, convincerlo, trascinarlo con sé lungo le strade ora tortuose ora lineari dei suoi ragionamenti. Sigyn non perse una parola del suo discorso preciso e brillante. Lo ascoltò senza accorgersi del cuore che batteva più forte, ammirando la precisione delle sue deduzioni, la rapida sicurezza con cui rispondeva alle obiezioni. Quando litigavano ai banchetti, lui la canzonava e la provocava, ma non tentava mai di convincerla a passare dalla sua parte. Sotto le molte paia d’occhi del consiglio di Vanheim, invece, sfoggiava la sua arguzia avvolgendo i nobili del regno nelle spire delle sue teorie mirabilmente esposte, convincendoli. La sua figura altera e slanciata sembrava essere stata plasmata perché fosse lì, in quel preciso istante, a convincere un mucchio di anziani aristocratici e un re compiacente a promulgare una legge. Se solo fosse stato un uomo diverso, pensò Sigyn. Se solo quel ghigno sardonico non gli avesse increspato le labbra, ricordando, a chi riusciva a resistere al suo incanto, del pericolo che voleva dire seguirlo. A parole Loki stava rendendo grande Vanheim, ma fino a quando e a quale prezzo?

La riunione finì nel modo che tutti si aspettavano – col trionfo di Loki, il volere di Njord esaudito. Sigyn guardò il dio dell’inganno e riconobbe qualcosa di noto e conosciuto, sul suo volto affilato. L’Ase osservava il suo trionfo come se si trovasse a un’incredibile distanza dal consiglio, dal vecchio re, da ogni cosa. Nonostante il ruolo che aveva giocato nell’approvazione della legge, era e rimaneva un elemento estraneo, uno strumento. La vittoria che stringeva tra le dita non era sua e non gli apparteneva – sapeva di fiele.

Sigyn, spettatrice muta di un dibattito in cui non avrebbe mai potuto prendere la parola, sentì sulla propria pelle quel medesimo disagio e se ne spaventò. In Loki – nel suo sguardo acuto – c’era un abisso di oscurità e di rancore che la spaventava, che lui indossava con fiero disprezzo, come se si trattasse di un’insegna o di un’armatura.

“Divertita?” Le domandò passandole accanto con un fascio di pergamene arrotolate sotto il braccio.

“Illuminata,” ribatté. “Delusa,” aggiunse aggrottando le sopracciglia. Camminavano l’uno di fianco all’altra, a passo svelto, sotto le volte a tutto sesto del ricco palazzo di Njord.

Loki sghignazzò. “Avevi delle aspettative troppo alte, principessina.” Non le disse quanta parte avesse nella decisione di ammetterla: sarebbe stata una mossa troppo meschina persino per lui.

“Li manipoli.”

“Si chiama governare, credo.”

“Mio nonno governa,” puntualizzò rapida, provando a sfoggiare lo stesso disprezzo di suo zio Freyr e degli altri cortigiani. Se ne pentì immediatamente, e Loki colse il suo imbarazzo.

“Peccato che, per farlo, mi debba coinvolgere così spesso.”

“Sono stata ingiusta. Ti reputa importante,” ammise. “Pensi che stia perdendo il mio tempo?”

Loki la squadrò da capo a piedi. Prima lo insultava, poi chiedeva il suo parere.

“Se fossi in te, non mi farei scappare nessuna occasione di arricchirmi. Mentalmente, intendo,” la provocò, ben sapendo che lei avrebbe pensato a tutt’altro – alle voci, assolutamente vere, circa la mole dei suoi possedimenti.

“Ascoltarli è un vantaggio. Capire come ragionano, anche. Che ti sottovalutino, un bene,” concluse con sottile perfidia, lui che era cresciuto nella lontana e feroce Asgard, dove nascere maschio o femmina non precludeva alcuna possibilità.

Sigyn non rispose, ma continuò ad assistere alle riunioni – e fu così che la bella piuma scura finemente lavorata tornò tra le sue dita.

 

 

Avvenne tempo dopo, in quelle settimane in cui prestavano una particolare attenzione al non sfiorarsi, in cui, quando la vicinanza si faceva eccessiva, tentavano di smettere persino di respirare, come se persino quello potesse tradirli. Sigyn prendeva appunti seduta accanto a Njord, concentrata sull’ennesima discussione gestita da Loki. Le parole del brillante Ase risuonavano sicure e convincenti lungo le pareti dell’imponente sala, ma incontravano la resistenza dell’aristocrazia Vanir. Njord, accanto a lei, si accarezzava meditabondo la lunga barba candida. I nobili rinfacciavano al re che avrebbe dovuto stringere, molti mesi addietro, un accordo con uno dei più potenti vassalli dell’est, al confine con la terra dei Nani. Se accettato, avrebbe garantito alla capitale di Vanheim un approvvigionamento costante di metalli lungo strade sicure. Ma questo, per qualche inspiegabile ragione che tutti conoscevano tranne lei, non era successo. Di più: Njord, per bocca di Loki, aveva ribadito di non volerne sapere, di riflettere ulteriormente sulla proposta fatta e declinata più volte. Sigyn inarcò un sopracciglio, sorpresa da tanta rigidità, e forse fu per distrazione o perché s’interrogò sulla motivazione nascosta dietro a quel rifiuto, che premette troppo la piuma con cui scriveva rompendone la punta.

Loki vide tutta la scena e s’interruppe, fissandola un momento. “Permettimi di offrirti la mia,” disse. Prima che lei potesse rispondere, fece comparire la penna scura e intarsiata e gliela porse.

“È bellissima,” boccheggiò Njord, che aveva avuto modo di ammirare l’artefatto già molte volte. “Manifattura di Jotunheim?” s’interessò.

“Hanno artigiani interessanti anche lì, sì,” confermò l’ingannatore.

Sigyn allungò le dita mormorando un grazie, stando attenta a non sfiorare quelle dell’Ase. Perché solo la notte prima, al termine dell’ennesimo banchetto, quelle stesse dita agili e veloci le avevano slacciato completamente il corsetto liberandole i seni, saggiandone la morbidezza, sfiorandone le punte frementi. E lei, anziché porre fine a quella follia, aveva sospirato, nell’oscurità del loro nascondiglio precario, mentre gli accarezzava i capelli scuri e leggermente arruffati, cercandogli le labbra beffarde per lambirle con le sue, per sfiorarle e accarezzarle fino a perdere il conto dei baci che si sarebbero scambiati. Gli aveva concesso – no, bugia, aveva desiderato ardentemente – che osasse posare la sua bocca irriverente sulla pelle calda e tesa dei suoi seni piccoli e sodi, si era morsa le labbra, senza nemmeno tentare di fermarlo, quando le mani dell’Ase avevano percorso i suoi fianchi rotondi e sollevato la stoffa del vestito leggero che indossava quella sera. Un abito incantevole a detta di tutti, tranne che di Loki – l’unico a non concederle un solo complimento, il solo a scoccarle un’occhiata di fuoco e a mormorarle con voce roca che il viola chiaro della stoffa si sposava benissimo con il gioiello dei Nani che avrebbe voluto le scendesse fino ai seni[5].

 

Il consiglio riprese tra il borbottio scocciato di un paio di vecchi conti seduti dall’altra parte dell’ampia sala, infastiditi dal fatto che la nipotina di Njord avesse interrotto il dibattito gestito dall’ingannatore. La mano di Sigyn scorreva rapida sulla pergamena, tracciando, grazie al perfetto bilanciamento della penna del dio dell’inganno, lettere chiare e precise e aggraziate. Come quando, ancora ragazzina, la tirava fuori dalla toletta col cuore che le batteva nel petto ogni volta che doveva studiare qualcosa di particolarmente ostico o affascinante, a seconda dei casi. Le aveva sempre attribuito una qualche sorta di potere o di malia e anche quel giorno, mentre i raggi del sole si posavano sulle trecce che aveva appuntato sul capo, sulle ciocche che le ricadevano lungo il semplice vestito grigio scelto per l’occasione, pensò che, forse, lo stupendo strumento potesse proteggerla dalla sensazione che tutti sapessero cosa faceva di notte con Loki, dal rossore che, forse, le invadeva il collo e le guance.

 

Era iniziata per sbaglio e, qualunque cosa fosse, non aveva futuro, ma nonostante questa nitida consapevolezza non riusciva a rinunciare a lui, a loro, ai minuti rubati nascondendosi dentro una nicchia, alle mani impazienti e nervose che frugavano sotto gli abiti, ai baci disperati e insolenti che non avrebbero mai dovuto scambiarsi. Non erano ancora amanti, anche se ogni notte pareva a entrambi di esserlo più di quella precedente. Le labbra insinuanti e beffarde del dio dell’inganno avevano esaudito il suo desiderio segreto sfiorando le sue, per poi scendere sul collo reattivo, sulle scapole abbellite da una finissima collana d’oro, sul seno esposto, sulle punte tremanti e sensibili, pronte a ricevere quelle carezze sfacciate. Si era inarcata nell’oscurità, mordendosi le labbra per non sospirare, finalmente persa tra le sue braccia, supplicandolo mentalmente di osare per entrambi – ma non conveniva a nessuno dei due varcare il confine tacitamente segnato e rendere quei loro incontri probiti una relazione. Poteva lasciare che la toccasse e la baciasse, che percorresse con le dita o le labbra ogni parte di lei, persino, ma non che l’avesse. Eppure, Sigyn voleva sciogliere quel patto mai pronunciato e fare l’amore con lui. Lo desiderava durante i loro convegni clandestini così come si ritrovava a desiderarlo di giorno, quando le passava accanto fingendo di ignorarla e lei lo fissava dall’alto in basso. Negarlo sarebbe stato sciocco – eppure ci aveva provato, con tutte le sue forze. E Loki? Per quanto ancora sarebbe riuscito a resistere al fascino di cui solo i divieti sono ammantati? La voleva come Sigyn desiderava – sognava, sperava – o la considerava un’alternativa alla noia, la spietata vendetta che si prendeva dall’arrogante e ipocrita famiglia reale di Vanheim?

Si morse le labbra sotto lo sguardo attento e indagatore del dio dell’inganno, perfettamente a suo agio in ogni situazione, anche in quel momento, di fronte a lei. Tentò di concentrarsi sul dibattito, di seguirne il filo e coglierne l’essenziale, mascherando il più possibile i propri ragionamenti, tentando di scacciare via la sensazione che lui potesse leggerle dentro e scrutare nei suoi pensieri più profondi così come, ogni notte, la spogliava lentamente di ognuno degli indumenti che indossava, slacciando e sfilando con la consumata abilità di chi ha avuto troppe amanti e ogni tipo di esperienze. Mani ammaliatrici, che sapevano farla sciogliere.

Il consiglio terminò senza aver raggiunto alcuna decisione, ma né Njord né l’ingannatore parevano preoccupati da questo esito, anzi. Si appartarono rapidamente per consultarsi fittamente. Sigyn raccolse le pergamene e si avvolse una sciarpa di seta sul collo – quello che lui aveva baciato – raggiungendolo. Il dio dell’inganno ascoltava il sovrano con pacata tranquillità, ma nei suoi occhi brillava una luce inquieta, feroce, pericolosa. S’intromise appena possibile, porgendogli la penna, ringraziandolo con la fredda cortesia che gli tributava sempre.

L’Ase guardò lei e la piuma nera. Manifattura Jotunn. Era un regalo di un tempo passato, fatto da Frigga, così intelligente e accorta da cercare di rendergli meno estraneo e odioso il popolo dei giganti di ghiaccio. Anche gli Jotnar erano abili maghi. Anche loro possedevano il senso del bello e, nelle notti invernali tanto lunghe da far temere che il sole non sarebbe sorto mai più, scolpivano, creavano, lavoravano.

“Puoi tenerla, Sigyn. Ne sarei onorato,” disse, accennando un breve inchino col collo e con le spalle.  

“Un regalo generoso,” commentò Njord soddisfatto, troppo sicuro di sé per cogliere i sottili segnali che il bel viso di sua nipote lasciava intravedere.

Sigyn avvampò di imbarazzo. Se suo nonno non fosse stato presente, avrebbe restituito la piuma e rifiutato il dono non per una, ma per mille ragioni, tutte ottime. Ma Vanheim distava troppo dalla terra dei giganti perché il vecchio re non desiderasse per la nipotina quel piccolo, delicato tesoro.

“Non dovevi, Loki,” lo rimproverò a bassa voce.

 

“Non dovevi, Loki.” I capelli di Sigyn erano sciolti sulle spalle e si aprivano a ventaglio sul mantello nero dell’Ase, steso sotto di lei. Lo sguardo liquido e grigio della ragazza era rivolto al cielo trapunto di stelle.

“La desideravi da anni. Impara a prenderti quello che vuoi, dalla vita,” la rimproverò l’ingannatore puntellandosi su un gomito. Erano sdraiati sul tetto di un’ala abbandonata del palazzo di Njord: uno dei luoghi che l’ingannatore scovava con cura per incontrarsi con lei – le rispettive stanze erano troppo pericolose e le sere piacevolmente fresche di Vanheim invogliavano a trascorrere qualche ora a fissare la luna e le stelle.

Lei volse il capo per guardarlo. “Come fai tu?”

 

Il buio non celò il sorriso scaltro e audace del mago. Si chinò verso di lei saggiandole le labbra piene e morbidi, dolci da baciare, per poi ghermirle il fianco con una mano, sollevando la stoffa impalpabile e sottile della sua gonna – l’altro vantaggio del clima mite della terra dei Vanir era che le temperature consentivano alle donne di indossare abiti leggeri, con fluttuanti gonne di seta e scollature generose. La sentì tendersi, quando le accarezzò le gambe snelle, ma non scostarsi o tentare di fermarlo. Valutò che potesse osare di più e, di nuovo, le cercò le labbra, baciandola con perfida attenzione, approfittandone per insinuarsi fino a risalire le cosce, carezzando con le dita l’inguine proteso, la carne morbida e fremente, pronta per essere sfiorata. Dalle labbra di Sigyn sfuggì un sospiro sorpreso, che lui raccolse con le sue. Non stavano facendo niente di irreparabile, ma entrambi erano disposti a perdere il controllo – e presto, nonostante tutto, sarebbe accaduto.

Andare a letto con Sigyn, nipote di Njord, era alto tradimento. Baciarla tutta la notte, sotto le stelle, accarezzandola e stringendola a sé, desiderandola per mille ragioni, immaginando di farla sua ogni volta che lei, con i suoi abiti chiari e finissimi, col suo profumo di miele e fiori, col suo sguardo grigio e profondo, gli passava accanto o si sedeva vicino a lui ai banchetti, era il modo migliore per finire con la testa su un ceppo, in attesa che il boia gli concedesse una morte rapida in linea col suo rango.

Non stavano facendo ancora niente d’irreparabile, in quella notte accompagnata dal frinire incessante delle cicale. Dopo, l’avrebbe riaccompagnata fino al punto in cui il corridoio mostrava la porta della sua stanza, per assicurarsi che rientrasse non vista – che fosse al sicuro, anzi, che fossero, si corresse. Smise di accarezzarla e Sigyn gli lanciò un’occhiata interrogativa e guardinga, ma non disse nulla. Il modo in cui si scioglieva quando lui la toccava o la teneva tra le braccia, la frenesia dei loro baci, la facilità con cui consentiva al dio dell’inganno di spogliare, cercare e sfiorare, unita alla certezza di stare violando ogni regola di Vanheim, la spaventava, facendola sentire colpevole. Si corresse. Era colpevole. E viva. Il desiderio pulsante che le avevano lasciato le attenzioni di Loki ne era la prova schiacciante.

E cosa succedeva alle ragazze che, come lei, sceglievano di assecondare passioni e sogni? Espiavano i loro comportamenti nel Tempio[6].

Si sollevò a sedere, stringendo le ginocchia che prima aveva volutamente scostato. “Perché hai insistito per rifiutare l’accordo di cui si discuteva al consiglio? Era vantaggioso. E generoso, anche.”

Cominciava ad avere freddo sulle braccia e sul seno dal corsetto appena slacciato, che lasciava intravedere le curve invitanti dei seni. Iniziò a riannodare i nastri sciolti, ma Loki la interruppe, cingendole la vita con un braccio. Non volle fermarlo – aveva la pelle d’oca e l’Ase l’attirò a sé, per il piacere di sentire il corpo sodo e snello di lei contro il proprio.

“Non ho nessuna voglia di dargli ciò che chiede,” ammise con voce roca.

“Perché?” domandò Sigyn.

“Tu lo conosci?”

“Forse l’ho visto una volta, un paio d’anni fa.” La ragazza recuperò dalla memoria l’immagine di un vecchio dalla barba fulva striata di bianco, appesantito da un ventre prominente, che si muoveva per la sala trascinando con difficoltà una gamba gonfia e malata e facendo sfoggio di un gran numero di gioielli. Dicevano che soffrisse per una vecchia ferita capitatagli cadendo da cavallo più di dieci anni prima. “Aveva un aspetto imponente e spaventoso.”

Loki stirò le labbra in un ghigno perfido. Non aveva dimenticato i giri di parole con cui l’uomo chiedeva la mano delicata di Sigyn. “Cerca una moglie che abbia la metà dei suoi anni,” le confidò. “Crede che con questa, che sarebbe la terza o la quarta, ho perso il conto, riuscirebbe ad avere il figlio maschio che cerca.” Trovandosi improvvisamente la gola secca deglutì, pensando all’enorme errore in cui stava impaludandosi, ma da cui non si risolveva a liberarsi. Avrebbe dovuto smettere di corteggiare di nascosto Sigyn, interrompere quei convegni pericolosi e interessanti e dimenticarla nell’unico modo possibile. Portandosela a letto una volta per tutte, strappandole via il mistero e l’attrazione che possiedono le donne intoccabili come lei.

“Pensava a te.”

La frase la colpì come avrebbe fatto un pugnale. Se il cielo non fosse stato un drappo scuro illuminato dai bagliori argentei delle stelle, Loki avrebbe visto le gote di Sigyn scolorire, le labbra tremare, gli occhi sgranarsi per la sorpresa, prima ancora della paura. Lei non aveva mai pensato al matrimonio e l’unica proposta che aveva ricevuto veniva da un suo affezionato amico d’infanzia, l’inetto rampollo di un’importante famiglia di Vanheim, Theoric che non sapeva nemmeno andare a cavallo. E lei gli aveva rifilato una risata da ragazzina, come risposta – presto avrebbe dovuto pagare per quell’insolente rifiuto, ma questo, Sigyn, ancora non lo sapeva. Ma che si discutesse del suo futuro nel consiglio presieduto dal re suo nonno, che si valutasse l’idea che potesse dare dei figli a un vecchio dispotico reso più crudele dalla malattia con cui non aveva niente da dire, le mostrò la misura della sua prigionia – la prigionia di tutte le ragazze aristocratiche di Vanheim. Altri avrebbero scelto il suo destino per lei, usandola come una pedina in un gioco politico. Prima o poi sarebbe arrivata una proposta che Sigyn non avrebbe potuto rifiutare, e, sebbene sapesse da tutta la vita che questo era il suo destino, trovarselo davanti all’improvviso la turbò. Credeva di avere più tempo, era certa che la sua famiglia l’avrebbe interpellata. Ora non ne era più così sicura – certo, non c’era motivo per agitarla rendendole nota una proposta di matrimonio inadatta, ma nulla le garantiva che in futuro sarebbe stata chiesta la sua opinione. E quel futuro era comunque più vicino di quanto Sigyn volesse.

“Non l’avrei mai permesso,” concluse Loki con secco orgoglio, ricordando a entrambi come avesse tra le mani il potere di convincere Njord a darla in sposa a un uomo tanto più vecchio e gretto.

Sigyn rabbrividì, ma non per il freddo. “Perché?” scelse di chiedergli. Non parlavano mai di loro. Del perché ogni sera si incontravano, di cosa li spingesse a litigare ai banchetti, ignorarsi durante il giorno e cercarsi con disperazione la notte, per baciarsi e accarezzarsi finché il desiderio inappagato o l’ora tarda non li costringeva a separarsi, protetti dalle tenebre e osservati dalle stelle.

Non parlavano nemmeno del futuro, perché non c’era, non ne avevano nessuno. L’unica cosa che Loki si era premurato di dirle al riguardo, concerneva l’eventualità che venissero scoperti. Avrebbe dovuto negare qualsiasi coinvolgimento, in ogni caso.

L’Ase aveva la risposta ferma in gola. Troppo giovane. Troppo bella. Non ancora mia – ma se fosse stata un’altra, una che non fosse Sigyn dai capelli d’oro, Sigyn dallo sguardo di metallo fuso, gli avrebbe fatto comodo che diventasse la devota moglie di un nobile distratto e imbolsito. Incastrata in un matrimonio infelice, avrebbe acconsentito con più slancio a vivere un rapporto clandestino e a tenerlo ben nascosto, senza pretendere niente in cambio. Ma accanto a sé, su quel tetto accarezzato dalla brezza notturna, c’era lei.

La prima volta che aveva suggerito a Njord di ignorare quella proposta, era ancora una ragazzina acerba e un pizzico insolente: era stata la pietà a fermarlo – ad Asgard fidanzamenti e matrimoni si celebravano più tardi. Ma dopo, quando Sigyn era cresciuta e l’età era, effettivamente, quella giusta, aveva sentito lo stomaco accartocciarsi all’idea che quella ragazza che una notte aveva osato entrare nelle sue stanze per curargli una ferita, facendo scorrere le sue dita delicate sulla sua pelle e lasciando che respirasse il suo profumo, diventasse la moglie di qualcun altro.

Sigyn era intoccabile – prima o poi avrebbe dovuto rinunciare a lei, stancarsi di lei, ma non ancora. Quella consapevolezza, così lucida e spiazzante, gli si conficcò nella testa, suggerendogli perfida di aver lasciato scoperto il fianco.

“Perché?” insistette Sigyn a voce più bassa, condendogli le labbra, assaggiando le sue con lentezza, come se avessero tutta la notte davanti e un letto sicuro dove amarsi. Lasciò che intrecciasse le braccia sottili dietro al suo collo, premendo il corpo sottile e sinuoso contro il suo.

L’unica risposta che aveva senso darle era continuare a baciarla. Tutto il resto erano parole vuote e pericolose, o menzogne che lei non meritava.

 

Continua, perché i miei piani sono come quelli di Loki, che variano di minuto in minuto

 

 

 

L’angolo di Shilyss

Care Lettrici e cari Lettori del mio cuore ♥ ♥!

Rieccoci qua con i Loki e Sigyn nella versione di Tutte le mie bugie, la mia prima long (la trovate a pagina 3 del profilo).

Non è necessario averla letta, ma tenete presente che la Sigyn che vedete per buona parte del racconto è molto giovane, alle prese con i primi turbamenti instillati da un giovane uomo affascinante come Loki, ma anche con quella fragilità propria di chi si trova in quella fase in cui si è adulti per certe cose e per certe cose no. Poi crescerà, perché si andrà a raccordare con quella di Tutte le bugie, ma ‘sto capitolo stava diventando troppo lungo (poi mi dite che non mi regolo).

Rispetto ad altre storie (Accordo, Scintille) tenete presente che il divario d’età è maggiore, sebbene nei limiti della legalità.

 

Ringrazio con tutto il cuore i vecchi lettori, i nuovi lettori e tutti coloro che listeranno, recensiranno o semplicemente leggeranno questa storia: a parte gli scherzi (lokini) siete importanti e sappiate che leggo tutti i vostri commenti e non vi mangio. Spesso non rispondo pubblicamente, ma se vi palesate lo faccio e sono molto alla mano, ecco. Pensavo di concludere in due capitoli, ma purtroppo le cose si sono ampliate e dirottate. Spero in un agosto abbastanza sereno e tranquillo che mi consenta di sistemare le ultime storie e gli aggiornamenti – di questa, di confessioni, di Accordo, di Scintille, di Ciò che resta delle tenebre, PERDONATEMI.

Seguitemi sulla pagina fb (o scrivetemi anche lì) per info, curiosità, aggiornamenti (trovate il link in bio) e…

 

Ricordo che il personaggio di Sigyn, tolto quello che trovate alla voce “Sigyn” su Wikipedia, è una mia personale interpretazione/reinterpretazione/riscrittura. Loki e Sigyn nel mito hanno dei figli insieme, Vali e Narvi. Vali me lo sono tenuto, Narvi l’ho sostituito con Sonje, personaggio di mia invenzione. Nel mito Sigyn non eredita proprio niente, quindi anche qui è una mia idea. Non vi autorizzo a ispirarvi o peggio a questa versione o alle altre storie da me postate né qui né altrove (peggio mi sento con le fiabe) e lo stesso vale per gli headcanon su Vanheim, su Loki o su Asgard stessa. Lo stesso vale per il ruolo di Loki presso Njord, per le cariche che Loki ricopre in questa Vanheim. Creare un mondo con usi e costumi non è uno scherzo.

Comprendetemi per queste precisazioni, ma scrivo su questo fandom dal 2017 e ne ho viste di tutti i colori.

A presto e grazie per tutto l’affetto/sostegno/cose, vi si lovva (e spero voi lovviate me).

Vostra,

Shilyss



[1] Molte scene di questo capitolo fanno riferimento al capitolo 1 di questa raccolta – L’ombra che è rimasta di te.

[2] La marca è il confine di un regno. Chi lo gestisce è un marchese.

[3] Sigyn e Loki si danno del tu in tutti i capitoli di questa saga tranne nello scorso capitolo, che correggerò appena metto online questo. :P

[4] Di nuovo, scena presente nel capitolo 1.

[5] Quello di Tutte le bugie.

[6] E il Tempio con la Sublime Stro**za lo conosciamo molto, molto bene, vero??

   
 
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