La
penna nera
If you're
lost, you can look and you will find me
Time after
time
If you
fall, I will catch you, I'll be waiting
Time after
time
(Time after
time, Cindy Lauper)
Parte 2
A pochi giorni
dalla
firma del trattato tra Vanheim e Asgard, la notizia era stata
confermata in
tutti i Nove Regni: Thor aveva assunto il ruolo di reggente e sedeva
sull’Hliðskjálf.
Il trionfo bellico di Loki aveva avuto, come diretta e immediata
conseguenza,
che il detestato fratello e rivale occupasse finalmente il ruolo per
cui era
nato, dimostrandosi la guida di cui gli Æsir avevano bisogno.
In uno slancio di
feroce lucidità, il dio dell’inganno si era reso
conto di non aver fatto altro che
accelerare il processo che si era sforzato di ostacolare per una vita.
Thor
governava il loro popolo, lui era il consigliere di
un re che non si
dimenticava mai di ricordargli il suo posto. Sarebbe potuto tornare ad
Asgard.
Fissare Odino negli occhi – dicevano che, nel giro di pochi
giorni, fosse
diventato irriconoscibile, la sua mente acutissima e brillante ridotta
a una
scatola dove ogni informazione, emozione e ricordo era confusa
l’una con l’altra.
A Sigyn capitò di ascoltare sua zia chiedere al resto della
famiglia cosa
avrebbero fatto, se l’imprevedibile Loki fosse andato via da
un momento
all’altro. La sua voce recava traccia di un freddo timore e
così il suo viso
dall’ovale perfetto: i Vanir avevano dato troppo potere al
dio dell’inganno.
Con la sua ipotetica partenza, loro avrebbero perso, rapidamente come
l’avevano
ottenuto, il prestigio acquisito presso i Nove Regni.
Ma Loki non se
ne andò.
Disse che preferiva il clima di Vanheim, più mite e generoso
di quello di
Asgard, aggiungendo che non aveva ragioni per tornare tra i fiordi. E
siccome
spiegare come mai Sigyn avesse preso la penna sarebbe stato strano e
mentire al
fabbricante di bugie era fuori discussione – i suoi occhi
ironici e taglienti
l’avrebbero smascherata immediatamente e lui
l’avrebbe trafitta con le sue
battute perfide e salaci, continuò a tenerla nel cassetto
della toletta, come
se si trattasse di un qualche artefatto magico. Forse fu per questo
motivo,
perché era la prima a dare un significato differente alla
particolarissima
penna dalla piuma nera, che Sigyn iniziò ad attribuirle dei
poteri particolari.
La usava per tradurre i passi più difficili dei suoi poemi
preferiti o quando
doveva studiare qualcosa di particolarmente ostico, come se
l’intelligenza
vibrante del suo primo possessore fosse stata assorbita
dall’elegante oggetto. Quando
una delle sue amiche o qualche dama di compagnia alludeva alla
circostanza in
cui aveva ballato con Loki, lei alzava le spalle, serrava le labbra.
Com’era
stato danzare con un uomo giovane, forte e bello? Niente di speciale,
tanto più
che Lingua d’Argento si era limitato a obbedire al volere di
suo nonno. Non
gliene faceva una colpa: lei non si sentiva affatto bella e cambiare
gli abiti
e l’acconciatura non era servito a convincerla del contrario.
Loki aveva il
passo
svelto ed elastico di chi ha troppe cose da fare in troppe poche ore.
Il
calpestio dei suoi stivali di cuoio, alti e ben lucidati, risuonava
tetro lungo
i corridoi rivestiti in marmo del palazzo di Njord. Se pure una parte
di lui
avrebbe preferito il familiare scricchiolio del legno ben curato di
Asgard, non
lo dava a vedere. Gli capitò davanti una scena che gli fece
storcere il naso:
Sigyn, la giovane nipotina di Njord, che passeggiava a braccetto con
un’amica e
veniva intercettata dallo sguardo troppo lungo di una guardia.
Lei aveva i
capelli
scarmigliati e rideva per qualcosa che doveva averle detto
l’altra ragazza; con
la mano libera, reggeva le ingombranti gonne da donna che Freya le
imponeva di
indossare, incurante dell’attenzione che catturava.
L’Ase
raggiunse il
soldato e gli si fermò davanti, incrociando le braccia
dietro la schiena. “C’è
chi è finito nelle segrete per molto meno,”
sibilò infastidito. L’uomo
impallidì e batté i tacchi, mettendosi in riga,
come se la postura rigida ed
eretta potesse cancellare il fastidio dallo sguardo del maledetto
ingannatore
che aveva le mani in pasta ovunque.
Sigyn e
l’amica si
girarono come fossero una cosa sola, incuriosite. Lei lo
sfidò con lo sguardo,
schiuse le labbra come se dovesse iniziare a parlare, ma poi si
voltò di scatto
e tirò via la compagna. Accadeva sempre più
spesso.
Ho preso io la
tua
penna. Volevo restituirla prima, ma non ne ho avuta
l’occasione. Sigyn si era
preparata con cura il
discorso da fare. I primi raggi del sole facevano splendere le
altissime
vetrate della biblioteca. Alcune casse di libri, acquistati su
consiglio di
Loki per accrescere il prestigio della collezione di re Njord,
giacevano in un
angolo, ancora imballate, pronte per essere aperte, i volumi catalogati[1].
Sigyn aprì nervosamente uno dei suoi volumi preferiti di
poesie e srotolò una
pergamena intonsa davanti a sé. Visto che doveva aspettarlo,
tanto valeva
occupare il tempo in maniera proficua, studiando. Si
concentrò sulle rime,
sulle figure retoriche, sulla bellezza dei versi, cercando di trovare
il
corrispettivo migliore nella sua lingua, ma era inquieta, nervosa.
S’immaginò
il sorriso sornione che Loki le avrebbe rivolto – davvero
non ne aveva avuta
mai l’occasione? Cos’è,
le ripeteva la voce immaginaria del dio
dell’inganno nella sua testa, avevi paura di
avvicinarti a me o ti faceva
piacere avere nella tua camera da letto un mio trofeo?
È che
sei crudele,
spietato, bugiardo. Di te non ci si può fidare. Potevi lasciarla in
biblioteca mesi fa,
allora, anziché usarla per scrivere lettere e appunti.
È bella, bellissima.
L’ho desiderata per me e temevo la vostra reazione, si
giustificava lei nel suo
discorso immaginario.
La porta si
aprì e Sigyn
si alzò di scatto. “Ti aspettavo,” disse
rapida.
L’ingannatore,
un fascio
di pergamene e missive sotto il braccio e una smorfia annoiata sulle
labbra
sottili, la fissò inarcando un sopracciglio, raggiungendo la
sua scrivania senza
rallentare né diminuire l’andatura.
C’era una proposta di matrimonio, tra le
lettere che si era portato dietro. Un buon accordo commerciale che
riguardava
lei, la cui graziosa e sottile mano veniva chiesta da un nobile della
marca
orientale[2].
“A che
devo il piacere?” s’interessò,
sistemando la corrispondenza e le carte sul ripiano davanti a
sé. Non si era
preoccupato di mascherare il suo sarcasmo.
“La
tua penna. L’avevo
io. Mi dispiace[3],”
soffiò, porgendogli
rapida l’oggetto.
Loki la
squadrò da capo a
piedi, esaminando la sua figura sottile e graziosa nella tenue luce
dell’alba. Erano
trascorsi una manciata di mesi da quando aveva visto la piuma nera per
l’ultima
volta, più o meno dalla sera in cui lei aveva fatto il suo
timido ingresso nel
mondo degli adulti partecipando a un ballo. Era più sicura e
bella di allora – nelle
segrete c’era sempre posto, per chi la guardava
così. Apprezzò il modo
diretto con cui era andata dritta al punto, ma volle sapere come mai
aveva
atteso tanto.
“L’hai
usata?”
Sigyn
sbatté le palpebre,
interdetta: non si aspettava quella domanda.
“Sì,” concesse infine. Negarlo
sarebbe stato sciocco – e poi, gli occhi chiarissimi del dio
dell’inganno
riconoscevano immediatamente le bugie.
Le dita rapide
del dio
dell’inganno sistemarono la corrispondenza.
“Avresti potuto lasciarla qui o ridarmela
in qualsiasi altro momento. Perché l’hai fatto
solo ora?”
“C’è
sempre troppa gente,
attorno a te. E, se l’avessi lasciata qui, qualcuno avrebbe
potuto prenderla al
posto tuo e non volevo.” Sigyn si tormentava le dita sottili,
libere da
qualsiasi gioiello. “Non riuscivo a trovare il momento
adatto. È così bella,”
concluse infine.
“Ti
piace,” constatò
Loki. “Non vorresti separartene, ma non riesci a dormire la
notte al pensiero
di avermi fatto un torto.” Osservò la ragazza
impallidire e giudicò di aver
indovinato i suoi pensieri. Così insistette, avvicinandosi
al tavolo dove
c’erano le carte di lei. “A voi Vanir piace che gli
altri vi definiscano pii e
nobili, ma siete esattamente come tutti noi. La soddisfazione non
è nella
vostra natura e volete di più, sempre di
più.”
La ragazza
arretrò di
fronte a quella frase tagliente. Loki, si rese conto, non era grato a
Njord per
averlo accolto. Riteneva che quello che dava a Vanheim fosse
più di ciò che
riceveva in cambio e accusava i suoi abitanti di essere ipocriti. Era
un
pensiero che anche Sigyn, nonostante la giovane età, si era
ritrovata a fare di
fronte a certi comportamenti ingiusti e fiacchi o alle numerose leggi
vecchie e
obsolete che suo nonno si rifiutava di modificare per non inimicarsi
l’aristocrazia. Sempre più spesso si scontrava con
la facciata splendente che
la sua famiglia tentava di sfoggiare per nascondere il vuoto che lei
intuiva
esserci sotto. E Loki Odinson, con la sua voce roca e beffarda e un
sorriso
divertito sulle labbra, non aveva fatto altro che dirle le stesse
identiche
cose confermando i suoi risentimenti. Solo che se era il dio
dell’inganno a
svelare le bassezze altrui, queste parevano ancora più
ignobili e
intollerabili.
“Sto
cercando di ridartela.
Non rendere le cose più difficili di
così,” lo pregò. La luce trionfante che
vide nel suo sguardo la convinse a non commettere mai più,
per nessun motivo,
un simile errore.
“Io la
usavo per scrivere
leggi, lettere, ordini e incantesimi, tu per scrivere poesie
d’amore,” osservò
Loki girandole attorno col solo scopo di vederla mentre lo seguiva con
gli
occhi. Raggiunse il tavolo dove c’erano i fogli di lei,
lasciando scorrere le
dita di mago sulla pergamena porosa. “Ti è venuta
bene, questa traduzione. Tieni
la penna, forse vorrebbe essere usata per argomenti più
lieti.”
Lei
s’irrigidì. “Non voglio
essere in debito con te.”
“Perché?”
s’interessò,
guardandola in viso – naso deliziosamente a punta, labbra
morbide, sguardo
chiaro contornato dalle ciglia lunghe e nere, pelle che si arrossava
quando
l’emozione la tradiva. Avrebbe stracciato e gettato nel fuoco
la proposta che
la voleva già sposa e lontana. Meglio che rimanesse a
Vanheim, ad arrossire alle
sue battute, a tradurre versi d’amore e di guerra.
“Tutti
ti devono
qualcosa, qui a Vanheim.”
“È
una diceria che
nasconde un fondo di verità, lo ammetto,” si
compiacque. “Ma è solo una penna,
Sigyn.”
“Potrebbe
essere
sconveniente, per te, offrirmela.” Glielo disse senza
guardarlo – nel giro di
un paio di primavere lo avrebbe fatto fissandolo negli occhi,
bellissima e
sfrontata. Ma questo, Loki, ancora non poteva saperlo.
“E per
te riceverla,
principessina. Tienila come hai fatto finora e usala per
studiare,” suggerì.
Scrivere appunti
e
pensieri tracciando le frasi con quella lunga piuma nera le sarebbe
piaciuto,
si rese conto Sigyn. Desiderò fortemente accettare,
perché amava guardare la
propria mano sottile impugnare quell’oggetto incantevole. Ma
Loki, con il suo
passo elastico e felino, col quel suo ghigno perenne disegnato sulle
labbra
sottili, con la sua voce roca e beffarda, la spaventava. Qual era il
prezzo del
trofeo del dio dell’inganno che avrebbe stretto tra le dita?
Suo nonno diceva
che Loki figlio di Odino sapeva usare ogni cosa come arma –
anche i favori e i
sorrisi.
Lasciò
la piuma nera sul
tavolo e se ne andò senza nemmeno recuperare le sue cose,
raccogliendosi le
gonne per camminare più velocemente. Nel farlo,
scoprì la caviglia sottile e
ben modellata, in un gesto involontario che l’Ase
seguì, suo malgrado, con
troppa attenzione.
♥
Col passare dei
mesi,
Sigyn acquisì una grazia e una sicurezza tali da poter
partecipare ai banchetti
indetti da Njord e intervenire nelle varie discussioni, commentando,
con i suoi
modi delicati e le sue frasi pungenti, le notizie che provenivano dagli
altri
paesi e i fatti interni. Sempre più spesso si scontrava con
Loki Odinson – o
Laufeyson, come il più delle volte preferiva farsi chiamare,
che trovava sommamente
divertente contraddirla e fare sfoggio delle sue spiccate
capacità retoriche. Lei
usciva da quelle liti immancabilmente sconfitta, senza sapere quanto
quell’allenamento sfiancante le sarebbe stato utile, un
giorno. Quello che
intuì quasi subito, invece, fu che Loki mentiva. Se pure era
d’accordo con lei
su un qualsivoglia argomento, sosteneva proditoriamente la tesi
opposta, forse
per compiacere Njord oppure, semplicemente, per stizzirla e rovinarle
la
serata.
Per lui,
probabilmente, farla
infuriare equivaleva a rendere meno tediosa una cena. Apprezzava le
occhiate
furenti che gli lanciava, il suo contegno, la passione che metteva nel
sostenere
le cause in cui credeva, l’amore per i libri che la spingeva
a varcare le
soglie della biblioteca nonostante ci fosse lui. Sapeva anche che,
ultimamente,
aveva espresso l’assurdo desiderio di poter assistere alle
riunioni tra suo
nonno e i nobili. Njord non voleva deluderla, ma trovava assurdo
l’assecondarla. Non ci voleva chissà che
immaginazione per ipotizzare che, nel
giro di qualche settimana, il vecchio re lo avrebbe fatto chiamare per
gravarlo
dell’incombenza di trovare un posto a sedere per la sua
irriverente nipotina.
Si sarebbe messo a giocare con i numerosi anelli che sfoggiava sulle
dita
adunche e ritorte, sfidandolo affinché trovasse una
soluzione ragionevole. Fu
esattamente così che avvenne.
Sigyn poteva
ascoltare e
prendere appunti, ma se avesse alzato la mano per intervenire, nessuno
l’avrebbe ascoltata. Dalla corte questo favore era stato
inteso come il
capriccio di una ragazzina esaudito da un re magnanimo. A lei, che
studiava con
slancio, fece orrore la leggerezza di certi lord imbolsiti che sedevano
stancamente attorno al trono e commentavano sfoggiando la loro
ignoranza. Per assistere
alla riunione accanto a Njord aveva scelto l’abito
più serio e scuro di tutto
il suo guardaroba. Non voleva confermare il pregiudizio che la voleva
una
ragazzina svagata che esaudiva un capriccio, ma dimostrare di essere
una
principessa colta e interessata al benessere della sua gente. Al
consiglio
c’era anche Loki, ovviamente, immancabile braccio destro di
suo nonno, per le
cui belle mani di mago passavano tutti gli affari di Vanheim. Si erano
incontrati in biblioteca, qualche sera prima.
Sigyn si era
addormentata
su una poltrona e, risvegliandosi, lo aveva trovato sfacciatamente
seduto a poca
distanza da lei, con le labbra strette in una smorfia e
un’ombra cupa negli
occhi. Tornava da una straziante visita ad Asgard, una delle poche che
si era
concesso da quando Thor era diventato reggente; le aveva parlato
più del solito,
tanto che lei si era offerta di lasciargli una tisana per quando avesse
deciso
di andare a riposare. Un semplice atto di gentilezza, nulla di
più, su cui
aveva scelto di non indagare. Che Loki avesse bevuto la tisana o meno
non aveva
importanza, in fondo[4].
L’ingannatore
si alzò in
piedi e fece ciò che gli riusciva meglio –
incantare il suo pubblico,
convincerlo, trascinarlo con sé lungo le strade ora tortuose
ora lineari dei
suoi ragionamenti. Sigyn non perse una parola del suo discorso preciso
e
brillante. Lo ascoltò senza accorgersi del cuore che batteva
più forte,
ammirando la precisione delle sue deduzioni, la rapida sicurezza con
cui
rispondeva alle obiezioni. Quando litigavano ai banchetti, lui la
canzonava e
la provocava, ma non tentava mai di convincerla a passare dalla sua
parte.
Sotto le molte paia d’occhi del consiglio di Vanheim, invece,
sfoggiava la sua
arguzia avvolgendo i nobili del regno nelle spire delle sue teorie
mirabilmente
esposte, convincendoli. La sua figura altera e slanciata sembrava
essere stata
plasmata perché fosse lì, in quel preciso
istante, a convincere un mucchio di
anziani aristocratici e un re compiacente a promulgare una legge. Se
solo fosse
stato un uomo diverso, pensò Sigyn. Se solo quel ghigno
sardonico non gli
avesse increspato le labbra, ricordando, a chi riusciva a resistere al
suo
incanto, del pericolo che voleva dire seguirlo. A parole Loki stava
rendendo
grande Vanheim, ma fino a quando e a quale prezzo?
La riunione
finì nel modo
che tutti si aspettavano – col trionfo di Loki, il volere di
Njord esaudito.
Sigyn guardò il dio dell’inganno e riconobbe
qualcosa di noto e conosciuto, sul
suo volto affilato. L’Ase osservava il suo trionfo come se si
trovasse a
un’incredibile distanza dal consiglio, dal vecchio re, da
ogni cosa. Nonostante
il ruolo che aveva giocato nell’approvazione della legge, era
e rimaneva un
elemento estraneo, uno strumento. La vittoria che stringeva tra le dita
non era
sua e non gli apparteneva – sapeva di fiele.
Sigyn,
spettatrice muta
di un dibattito in cui non avrebbe mai potuto prendere la parola,
sentì sulla
propria pelle quel medesimo disagio e se ne spaventò. In
Loki – nel suo sguardo
acuto – c’era un abisso di oscurità e di
rancore che la spaventava, che lui
indossava con fiero disprezzo, come se si trattasse di
un’insegna o di
un’armatura.
“Divertita?”
Le domandò
passandole accanto con un fascio di pergamene arrotolate sotto il
braccio.
“Illuminata,”
ribatté. “Delusa,”
aggiunse aggrottando le sopracciglia. Camminavano l’uno di
fianco all’altra, a
passo svelto, sotto le volte a tutto sesto del ricco palazzo di Njord.
Loki
sghignazzò. “Avevi
delle aspettative troppo alte, principessina.” Non le disse
quanta parte avesse
nella decisione di ammetterla: sarebbe stata una mossa troppo meschina
persino
per lui.
“Li
manipoli.”
“Si
chiama governare, credo.”
“Mio
nonno governa,”
puntualizzò rapida, provando a sfoggiare lo stesso disprezzo
di suo zio Freyr e
degli altri cortigiani. Se ne pentì immediatamente, e Loki
colse il suo
imbarazzo.
“Peccato
che, per farlo,
mi debba coinvolgere così spesso.”
“Sono
stata ingiusta. Ti
reputa importante,” ammise. “Pensi che stia
perdendo il mio tempo?”
Loki la
squadrò da capo a
piedi. Prima lo insultava, poi chiedeva il suo parere.
“Se
fossi in te, non mi
farei scappare nessuna occasione di arricchirmi. Mentalmente,
intendo,” la
provocò, ben sapendo che lei avrebbe pensato a
tutt’altro – alle voci,
assolutamente vere, circa la mole dei suoi possedimenti.
“Ascoltarli
è un
vantaggio. Capire come ragionano, anche. Che ti sottovalutino, un
bene,”
concluse con sottile perfidia, lui che era cresciuto nella lontana e
feroce
Asgard, dove nascere maschio o femmina non precludeva alcuna
possibilità.
Sigyn non
rispose, ma
continuò ad assistere alle riunioni – e fu
così che la bella piuma scura
finemente lavorata tornò tra le sue dita.
♥
Avvenne tempo
dopo, in
quelle settimane in cui prestavano una particolare attenzione al non
sfiorarsi,
in cui, quando la vicinanza si faceva eccessiva, tentavano di smettere
persino
di respirare, come se persino quello potesse tradirli. Sigyn prendeva
appunti
seduta accanto a Njord, concentrata sull’ennesima discussione
gestita da Loki.
Le parole del brillante Ase risuonavano sicure e convincenti lungo le
pareti
dell’imponente sala, ma incontravano la resistenza
dell’aristocrazia Vanir.
Njord, accanto a lei, si accarezzava meditabondo la lunga barba
candida. I
nobili rinfacciavano al re che avrebbe dovuto stringere, molti mesi
addietro,
un accordo con uno dei più potenti vassalli
dell’est, al confine con la terra
dei Nani. Se accettato, avrebbe garantito alla capitale di Vanheim un
approvvigionamento
costante di metalli lungo strade sicure. Ma questo, per qualche
inspiegabile
ragione che tutti conoscevano tranne lei, non era successo. Di
più: Njord, per
bocca di Loki, aveva ribadito di non volerne sapere, di riflettere
ulteriormente sulla proposta fatta e declinata più volte.
Sigyn inarcò un
sopracciglio, sorpresa da tanta rigidità, e forse fu per
distrazione o perché s’interrogò
sulla motivazione nascosta dietro a quel rifiuto, che premette troppo
la piuma
con cui scriveva rompendone la punta.
Loki vide tutta
la scena
e s’interruppe, fissandola un momento. “Permettimi
di offrirti la mia,” disse.
Prima che lei potesse rispondere, fece comparire la penna scura e
intarsiata e
gliela porse.
“È
bellissima,” boccheggiò
Njord, che aveva avuto modo di ammirare l’artefatto
già molte volte.
“Manifattura di Jotunheim?”
s’interessò.
“Hanno
artigiani
interessanti anche lì, sì,”
confermò l’ingannatore.
Sigyn
allungò le dita
mormorando un grazie, stando attenta a non sfiorare quelle
dell’Ase. Perché
solo la notte prima, al termine dell’ennesimo banchetto,
quelle stesse dita agili
e veloci le avevano slacciato completamente il corsetto liberandole i
seni,
saggiandone la morbidezza, sfiorandone le punte frementi. E lei,
anziché porre
fine a quella follia, aveva sospirato,
nell’oscurità del loro nascondiglio
precario, mentre gli accarezzava i capelli scuri e leggermente
arruffati,
cercandogli le labbra beffarde per lambirle con le sue, per sfiorarle e
accarezzarle fino a perdere il conto dei baci che si sarebbero
scambiati. Gli
aveva concesso – no, bugia, aveva desiderato ardentemente
– che osasse posare
la sua bocca irriverente sulla pelle calda e tesa dei suoi seni piccoli
e sodi,
si era morsa le labbra, senza nemmeno tentare di fermarlo, quando le
mani
dell’Ase avevano percorso i suoi fianchi rotondi e sollevato
la stoffa del
vestito leggero che indossava quella sera. Un abito incantevole a detta
di
tutti, tranne che di Loki – l’unico a non
concederle un solo complimento, il
solo a scoccarle un’occhiata di fuoco e a mormorarle con voce
roca che il viola
chiaro della stoffa si sposava benissimo con il gioiello dei Nani che
avrebbe
voluto le scendesse fino ai seni[5].
Il consiglio
riprese tra
il borbottio scocciato di un paio di vecchi conti seduti
dall’altra parte
dell’ampia sala, infastiditi dal fatto che la nipotina di
Njord avesse
interrotto il dibattito gestito dall’ingannatore. La mano di
Sigyn scorreva
rapida sulla pergamena, tracciando, grazie al perfetto bilanciamento
della
penna del dio dell’inganno, lettere chiare e precise e
aggraziate. Come quando,
ancora ragazzina, la tirava fuori dalla toletta col cuore che le
batteva nel
petto ogni volta che doveva studiare qualcosa di particolarmente ostico
o
affascinante, a seconda dei casi. Le aveva sempre attribuito una
qualche sorta di
potere o di malia e anche quel giorno, mentre i raggi del sole si
posavano
sulle trecce che aveva appuntato sul capo, sulle ciocche che le
ricadevano lungo
il semplice vestito grigio scelto per l’occasione,
pensò che, forse, lo
stupendo strumento potesse proteggerla dalla sensazione che tutti
sapessero
cosa faceva di notte con Loki, dal rossore che, forse, le invadeva il
collo e
le guance.
Era iniziata per
sbaglio
e, qualunque cosa fosse, non aveva futuro, ma nonostante questa nitida
consapevolezza
non riusciva a rinunciare a lui, a loro, ai minuti rubati nascondendosi
dentro
una nicchia, alle mani impazienti e nervose che frugavano sotto gli
abiti, ai
baci disperati e insolenti che non avrebbero mai dovuto scambiarsi. Non
erano
ancora amanti, anche se ogni notte pareva a entrambi di esserlo
più di quella
precedente. Le labbra insinuanti e beffarde del dio
dell’inganno avevano esaudito
il suo desiderio segreto sfiorando le sue, per poi scendere sul collo
reattivo,
sulle scapole abbellite da una finissima collana d’oro, sul
seno esposto, sulle
punte tremanti e sensibili, pronte a ricevere quelle carezze sfacciate.
Si era
inarcata nell’oscurità, mordendosi le labbra per
non sospirare, finalmente persa
tra le sue braccia, supplicandolo mentalmente di osare per entrambi
– ma non conveniva
a nessuno dei due varcare il confine tacitamente segnato e rendere quei
loro
incontri probiti una relazione. Poteva lasciare che la toccasse e la
baciasse,
che percorresse con le dita o le labbra ogni parte di lei, persino, ma
non che
l’avesse. Eppure, Sigyn voleva sciogliere quel patto mai
pronunciato e fare
l’amore con lui. Lo desiderava durante i loro convegni
clandestini così come si
ritrovava a desiderarlo di giorno, quando le passava accanto fingendo
di
ignorarla e lei lo fissava dall’alto in basso. Negarlo
sarebbe stato sciocco –
eppure ci aveva provato, con tutte le sue forze. E Loki? Per quanto
ancora sarebbe
riuscito a resistere al fascino di cui solo i divieti sono ammantati?
La voleva
come Sigyn desiderava – sognava, sperava – o la
considerava un’alternativa alla
noia, la spietata vendetta che si prendeva dall’arrogante e
ipocrita famiglia
reale di Vanheim?
Si morse le
labbra sotto
lo sguardo attento e indagatore del dio dell’inganno,
perfettamente a suo agio
in ogni situazione, anche in quel momento, di fronte a lei.
Tentò di
concentrarsi sul dibattito, di seguirne il filo e coglierne
l’essenziale,
mascherando il più possibile i propri ragionamenti, tentando
di scacciare via
la sensazione che lui potesse leggerle dentro e scrutare nei suoi
pensieri più
profondi così come, ogni notte, la spogliava lentamente di
ognuno degli indumenti
che indossava, slacciando e sfilando con la consumata
abilità di chi ha avuto
troppe amanti e ogni tipo di esperienze. Mani ammaliatrici, che
sapevano farla
sciogliere.
Il consiglio
terminò
senza aver raggiunto alcuna decisione, ma né Njord
né l’ingannatore parevano
preoccupati da questo esito, anzi. Si appartarono rapidamente per
consultarsi
fittamente. Sigyn raccolse le pergamene e si avvolse una sciarpa di
seta sul
collo – quello che lui aveva baciato –
raggiungendolo. Il dio dell’inganno
ascoltava il sovrano con pacata tranquillità, ma nei suoi
occhi brillava una
luce inquieta, feroce, pericolosa. S’intromise appena
possibile, porgendogli la
penna, ringraziandolo con la fredda cortesia che gli tributava sempre.
L’Ase
guardò lei e la
piuma nera. Manifattura Jotunn. Era un regalo di un tempo passato,
fatto da
Frigga, così intelligente e accorta da cercare di rendergli
meno estraneo e
odioso il popolo dei giganti di ghiaccio. Anche gli Jotnar erano abili
maghi.
Anche loro possedevano il senso del bello e, nelle notti invernali
tanto lunghe
da far temere che il sole non sarebbe sorto mai più,
scolpivano, creavano,
lavoravano.
“Puoi
tenerla, Sigyn. Ne
sarei onorato,” disse, accennando un breve inchino col collo
e con le spalle.
“Un
regalo generoso,”
commentò Njord soddisfatto, troppo sicuro di sé
per cogliere i sottili segnali
che il bel viso di sua nipote lasciava intravedere.
Sigyn
avvampò di
imbarazzo. Se suo nonno non fosse stato presente, avrebbe restituito la
piuma e
rifiutato il dono non per una, ma per mille ragioni, tutte ottime. Ma
Vanheim
distava troppo dalla terra dei giganti perché il vecchio re
non desiderasse per
la nipotina quel piccolo, delicato tesoro.
“Non
dovevi, Loki,” lo
rimproverò a bassa voce.
“Non
dovevi, Loki.” I
capelli di Sigyn erano sciolti sulle spalle e si aprivano a ventaglio
sul
mantello nero dell’Ase, steso sotto di lei. Lo sguardo
liquido e grigio della
ragazza era rivolto al cielo trapunto di stelle.
“La
desideravi da anni.
Impara a prenderti quello che vuoi, dalla vita,” la
rimproverò l’ingannatore
puntellandosi su un gomito. Erano sdraiati sul tetto di
un’ala abbandonata del
palazzo di Njord: uno dei luoghi che l’ingannatore scovava
con cura per
incontrarsi con lei – le rispettive stanze erano troppo
pericolose e le sere
piacevolmente fresche di Vanheim invogliavano a trascorrere qualche ora
a
fissare la luna e le stelle.
Lei volse il
capo per
guardarlo. “Come fai tu?”
Il buio non
celò il sorriso
scaltro e audace del mago. Si chinò verso di lei saggiandole
le labbra piene e
morbidi, dolci da baciare, per poi ghermirle il fianco con una mano,
sollevando
la stoffa impalpabile e sottile della sua gonna –
l’altro vantaggio del clima
mite della terra dei Vanir era che le temperature consentivano alle
donne di
indossare abiti leggeri, con fluttuanti gonne di seta e scollature
generose. La
sentì tendersi, quando le accarezzò le gambe
snelle, ma non scostarsi o tentare
di fermarlo. Valutò che potesse osare di più e,
di nuovo, le cercò le labbra,
baciandola con perfida attenzione, approfittandone per insinuarsi fino
a
risalire le cosce, carezzando con le dita l’inguine proteso,
la carne morbida e
fremente, pronta per essere sfiorata. Dalle labbra di Sigyn
sfuggì un sospiro
sorpreso, che lui raccolse con le sue. Non stavano facendo niente di
irreparabile, ma entrambi erano disposti a perdere il controllo
– e presto,
nonostante tutto, sarebbe accaduto.
Andare a letto
con Sigyn,
nipote di Njord, era alto tradimento. Baciarla tutta la notte, sotto le
stelle,
accarezzandola e stringendola a sé, desiderandola per mille
ragioni,
immaginando di farla sua ogni volta che lei, con i suoi abiti chiari e
finissimi, col suo profumo di miele e fiori, col suo sguardo grigio e
profondo,
gli passava accanto o si sedeva vicino a lui ai banchetti, era il modo
migliore
per finire con la testa su un ceppo, in attesa che il boia gli
concedesse una
morte rapida in linea col suo rango.
Non stavano
facendo ancora
niente d’irreparabile, in quella notte accompagnata dal
frinire incessante
delle cicale. Dopo, l’avrebbe riaccompagnata fino al punto in
cui il corridoio
mostrava la porta della sua stanza, per assicurarsi che rientrasse non
vista – che
fosse al sicuro, anzi, che fossero, si corresse. Smise di
accarezzarla e Sigyn
gli lanciò un’occhiata interrogativa e guardinga,
ma non disse nulla. Il modo
in cui si scioglieva quando lui la toccava o la teneva tra le braccia,
la
frenesia dei loro baci, la facilità con cui consentiva al
dio dell’inganno di
spogliare, cercare e sfiorare, unita alla certezza di stare violando
ogni
regola di Vanheim, la spaventava, facendola sentire colpevole. Si
corresse. Era
colpevole. E viva. Il desiderio pulsante che le avevano
lasciato le
attenzioni di Loki ne era la prova schiacciante.
E cosa succedeva
alle
ragazze che, come lei, sceglievano di assecondare passioni e sogni?
Espiavano i
loro comportamenti nel Tempio[6].
Si
sollevò a sedere,
stringendo le ginocchia che prima aveva volutamente scostato.
“Perché hai
insistito per rifiutare l’accordo di cui si discuteva al
consiglio? Era
vantaggioso. E generoso, anche.”
Cominciava ad
avere
freddo sulle braccia e sul seno dal corsetto appena slacciato, che
lasciava
intravedere le curve invitanti dei seni. Iniziò a riannodare
i nastri sciolti,
ma Loki la interruppe, cingendole la vita con un braccio. Non volle
fermarlo –
aveva la pelle d’oca e l’Ase
l’attirò a sé, per il piacere di
sentire il corpo
sodo e snello di lei contro il proprio.
“Non
ho nessuna voglia di
dargli ciò che chiede,” ammise con voce roca.
“Perché?”
domandò Sigyn.
“Tu lo
conosci?”
“Forse
l’ho visto una
volta, un paio d’anni fa.” La ragazza
recuperò dalla memoria l’immagine di un
vecchio dalla barba fulva striata di bianco, appesantito da un ventre
prominente, che si muoveva per la sala trascinando con
difficoltà una gamba
gonfia e malata e facendo sfoggio di un gran numero di gioielli.
Dicevano che
soffrisse per una vecchia ferita capitatagli cadendo da cavallo
più di dieci
anni prima. “Aveva un aspetto imponente e
spaventoso.”
Loki
stirò le labbra in
un ghigno perfido. Non aveva dimenticato i giri di parole con cui
l’uomo chiedeva
la mano delicata di Sigyn. “Cerca una moglie che abbia la
metà dei suoi anni,”
le confidò. “Crede che con questa, che sarebbe la
terza o la quarta, ho perso
il conto, riuscirebbe ad avere il figlio maschio che cerca.”
Trovandosi
improvvisamente la gola secca deglutì, pensando
all’enorme errore in cui stava
impaludandosi, ma da cui non si risolveva a liberarsi. Avrebbe dovuto
smettere
di corteggiare di nascosto Sigyn, interrompere quei convegni pericolosi
e
interessanti e dimenticarla nell’unico modo possibile.
Portandosela a letto una
volta per tutte, strappandole via il mistero e l’attrazione
che possiedono le
donne intoccabili come lei.
“Pensava
a te.”
La frase la
colpì come
avrebbe fatto un pugnale. Se il cielo non fosse stato un drappo scuro
illuminato dai bagliori argentei delle stelle, Loki avrebbe visto le
gote di
Sigyn scolorire, le labbra tremare, gli occhi sgranarsi per la
sorpresa, prima
ancora della paura. Lei non aveva mai pensato al matrimonio e
l’unica proposta
che aveva ricevuto veniva da un suo affezionato amico
d’infanzia, l’inetto
rampollo di un’importante famiglia di Vanheim, Theoric che
non sapeva nemmeno
andare a cavallo. E lei gli aveva rifilato una risata da ragazzina,
come
risposta – presto avrebbe dovuto pagare per
quell’insolente rifiuto, ma questo,
Sigyn, ancora non lo sapeva. Ma che si discutesse del suo futuro nel
consiglio
presieduto dal re suo nonno, che si valutasse l’idea che
potesse dare dei figli
a un vecchio dispotico reso più crudele dalla malattia con
cui non aveva niente
da dire, le mostrò la misura della sua prigionia –
la prigionia di tutte le
ragazze aristocratiche di Vanheim. Altri avrebbero scelto il suo
destino per
lei, usandola come una pedina in un gioco politico. Prima o poi sarebbe
arrivata una proposta che Sigyn non avrebbe potuto rifiutare, e,
sebbene
sapesse da tutta la vita che questo era il suo destino, trovarselo
davanti
all’improvviso la turbò. Credeva di avere
più tempo, era certa che la sua
famiglia l’avrebbe interpellata. Ora non ne era
più così sicura – certo, non
c’era motivo per agitarla rendendole nota una proposta di
matrimonio inadatta,
ma nulla le garantiva che in futuro sarebbe stata chiesta la sua
opinione. E
quel futuro era comunque più vicino di quanto Sigyn volesse.
“Non
l’avrei mai
permesso,” concluse Loki con secco orgoglio, ricordando a
entrambi come avesse
tra le mani il potere di convincere Njord a darla in sposa a un uomo
tanto più
vecchio e gretto.
Sigyn
rabbrividì, ma non
per il freddo. “Perché?” scelse di
chiedergli. Non parlavano mai di loro. Del
perché ogni sera si incontravano, di cosa li spingesse a
litigare ai banchetti,
ignorarsi durante il giorno e cercarsi con disperazione la notte, per
baciarsi
e accarezzarsi finché il desiderio inappagato o
l’ora tarda non li costringeva
a separarsi, protetti dalle tenebre e osservati dalle stelle.
Non parlavano
nemmeno del
futuro, perché non c’era, non ne avevano nessuno.
L’unica cosa che Loki si era
premurato di dirle al riguardo, concerneva
l’eventualità che venissero
scoperti. Avrebbe dovuto negare qualsiasi coinvolgimento, in ogni caso.
L’Ase
aveva la risposta ferma
in gola. Troppo giovane. Troppo bella. Non ancora mia – ma se
fosse stata
un’altra, una che non fosse Sigyn dai capelli
d’oro, Sigyn dallo sguardo di
metallo fuso, gli avrebbe fatto comodo che diventasse la devota moglie
di un
nobile distratto e imbolsito. Incastrata in un matrimonio infelice,
avrebbe
acconsentito con più slancio a vivere un rapporto
clandestino e a tenerlo ben
nascosto, senza pretendere niente in cambio. Ma accanto a
sé, su quel tetto
accarezzato dalla brezza notturna, c’era lei.
La prima volta
che aveva suggerito
a Njord di ignorare quella proposta, era ancora una ragazzina acerba e
un
pizzico insolente: era stata la pietà a fermarlo –
ad Asgard fidanzamenti e
matrimoni si celebravano più tardi. Ma dopo, quando Sigyn
era cresciuta e l’età
era, effettivamente, quella giusta, aveva sentito lo stomaco
accartocciarsi
all’idea che quella ragazza che una notte aveva osato entrare
nelle sue stanze
per curargli una ferita, facendo scorrere le sue dita delicate sulla
sua pelle
e lasciando che respirasse il suo profumo, diventasse la moglie di
qualcun
altro.
Sigyn era
intoccabile –
prima o poi avrebbe dovuto rinunciare a lei, stancarsi di lei, ma non
ancora. Quella
consapevolezza, così lucida e spiazzante, gli si
conficcò nella testa,
suggerendogli perfida di aver lasciato scoperto il fianco.
“Perché?”
insistette
Sigyn a voce più bassa, condendogli le labbra, assaggiando
le sue con lentezza,
come se avessero tutta la notte davanti e un letto sicuro dove amarsi.
Lasciò
che intrecciasse le braccia sottili dietro al suo collo, premendo il
corpo
sottile e sinuoso contro il suo.
L’unica
risposta che
aveva senso darle era continuare a baciarla. Tutto il resto erano
parole vuote
e pericolose, o menzogne che lei non meritava.
Continua,
perché i
miei piani sono come quelli di Loki, che variano di minuto in minuto
L’angolo
di Shilyss
Care Lettrici e
cari Lettori del mio
cuore ♥ ♥!
Rieccoci qua con
i Loki e Sigyn
nella versione di Tutte le mie bugie, la
mia prima long (la trovate
a pagina 3 del profilo).
Non è
necessario averla letta, ma tenete
presente che la Sigyn
che vedete per buona parte del racconto è molto giovane,
alle prese con i
primi turbamenti instillati da un giovane uomo affascinante come Loki,
ma anche
con quella fragilità propria di chi si trova in quella fase
in cui si è adulti
per certe cose e per certe cose no. Poi crescerà,
perché si andrà a raccordare
con quella di Tutte le bugie, ma ‘sto capitolo stava
diventando troppo lungo
(poi mi dite che non mi regolo).
Rispetto ad
altre storie (Accordo,
Scintille) tenete presente che il divario
d’età è maggiore, sebbene nei
limiti della legalità.
Ringrazio con
tutto il cuore i vecchi
lettori, i nuovi lettori e tutti coloro che listeranno, recensiranno o
semplicemente leggeranno questa storia: a parte gli
scherzi (lokini) siete importanti e sappiate
che leggo tutti i vostri commenti e non vi mangio. Spesso non rispondo
pubblicamente, ma se vi palesate lo faccio e sono molto alla mano,
ecco. Pensavo
di concludere in due capitoli, ma purtroppo le cose si sono ampliate e
dirottate. Spero in un agosto abbastanza sereno e tranquillo che mi
consenta di
sistemare le ultime storie e gli aggiornamenti – di questa,
di confessioni, di
Accordo, di Scintille, di Ciò che resta delle tenebre,
PERDONATEMI.
Seguitemi sulla
pagina fb (o scrivetemi
anche lì) per info, curiosità, aggiornamenti
(trovate il link in bio) e…
Ricordo che il
personaggio di Sigyn,
tolto quello che trovate alla voce “Sigyn” su
Wikipedia, è una mia personale
interpretazione/reinterpretazione/riscrittura. Loki e Sigyn nel mito
hanno dei
figli insieme, Vali e Narvi. Vali me lo sono tenuto, Narvi
l’ho sostituito con
Sonje, personaggio di mia invenzione. Nel mito Sigyn non eredita
proprio
niente, quindi anche qui è una mia idea. Non vi
autorizzo a ispirarvi o
peggio a questa versione o alle altre storie da me postate
né qui né altrove
(peggio mi sento con le fiabe) e lo stesso vale per gli headcanon su
Vanheim,
su Loki o su Asgard stessa. Lo stesso vale per il ruolo di Loki presso
Njord,
per le cariche che Loki ricopre in questa Vanheim. Creare un mondo con
usi e
costumi non è uno scherzo.
Comprendetemi
per queste
precisazioni, ma scrivo su questo fandom dal 2017 e ne ho viste di
tutti i
colori.
A presto e
grazie per tutto
l’affetto/sostegno/cose, vi si lovva (e spero voi lovviate
me).
Vostra,
Shilyss
[1]
Molte scene di questo
capitolo fanno riferimento al capitolo 1 di questa raccolta –
L’ombra che è
rimasta di te.
[2]
La marca è il confine di
un regno. Chi lo gestisce è un marchese.
[3]
Sigyn e Loki si danno del
tu in tutti i capitoli di questa saga tranne nello scorso capitolo, che
correggerò appena metto online questo. :P
[4]
Di nuovo, scena presente
nel capitolo 1.
[5]
Quello di Tutte le bugie.
[6]
E il Tempio con la Sublime
Stro**za lo conosciamo molto, molto bene, vero??