Serie TV > Il paradiso delle signore
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Autore: InvisibleWoman    28/07/2021    0 recensioni
Irocco | Con questa storia esco un po' dalla mia comfort zone del canon per dedicarmi alla fantasia (e non so quanto sarà una buona idea a lungo termine lol). Prende il via dagli eventi delle ultime settimane: tra Rocco e Irene non c'è più niente e lui è ufficialmente fidanzato con Maria. Ho ripreso un personaggio che avevo buttato lì tempo fa in una storia (https://efpfanfic.net/viewstory.php?sid=3976440&i=1) e che speravo arrivasse anche nella fiction per far svegliare Rocco. In realtà l'hanno fatto, ma con Maria, argh.
Da qui proseguirò la storia, che avrà più capitoli (spero per me non tanti), e proverò a dare la felicità al mio personaggio del cuore: Irene. Con o senza Rocco. Vedremo.
PS: troverete qualche errore o tempo verbale sbagliato in alcuni personaggi (Rocco e Maria e gli Amato), giuro che è voluto. Se dovesse capitare con gli altri fustigatemi pure!
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Quella mattina Irene era stata svegliata presto da Stefania che la informava che sarebbe andata al lavoro con Anna. Irene aveva bofonchiato qualcosa, ancora mezza addormentata, rigirandosi nel letto per tornare a riposare ancora qualche minuto. Irene tendeva sempre a rimandare l’orario per alzarsi e in quella fase di dormiveglia non era in grado di processare tutte informazioni che le venivano consegnate. Le ascoltava, le recepiva, ma le passavano oltre, incapaci di mettere radici all’interno della sua testa. Il suo cervello era infatti già spento quando Stefania l’aveva messa in guardia sul fatto che Maria era in casa e sarebbe andata al lavoro dopo pranzo. Informazione completamente dimenticata. 
Si era quindi alzata con comodo dal letto dopo un po’, preparandosi con calma e tranquillità. Aveva acceso la radio come ultimamente aveva fatto Stefania per risollevarle il morale e si era seduta al tavolo a intingere nel caffelatte dei biscotti al burro che probabilmente era stata proprio Maria a cucinare. Era allegra, pensava all’evento al circolo di quella sera, a trascorrere del tempo con Rocco. Era certamente preoccupata del loro ingresso ufficiale come coppia, specialmente davanti alla famiglia di Rocco. Ma in fondo a motivarla quel giorno era più la felicità che la preoccupazione. Aveva deciso di lasciarsi alle spalle i pregiudizi, che fino a quel momento l’avevano fin troppo condizionata, e godersi quel periodo piacevole della sua vita, senza lasciarselo avvelenare da chi giudicava senza sapere quello che c’era dentro i loro cuori.
Tuttavia, mentre posava la tazzina dentro il lavello e spegneva la radio per avviarsi al lavoro, sentì dei singhiozzi provenire dalla stanza di Maria e Anna. Solo in quel momento si ricordò di quello che le aveva detto Stefania a proposito della loro coinquilina. Si morse il labbro inferiore per l’imbarazzo di aver ballato e canticchiato fino a quel momento come se niente fosse, e si avvicinò alla sua porta. Era certa che Irene fosse l’ultima persona da cui Maria desiderava essere consolata, ma non se la sentì di ignorarla e andare via facendo finta di niente. Anche se spesso non sembrava, Irene un cuore lo aveva eccome. E a Maria in fondo era seriamente affezionata. Nonostante tutto. 
Bussò piano alla porta e, senza aspettare che Maria le desse il permesso di entrare, la oltrepassò. La trovò seduta sul letto con le gambe rannicchiate contro il petto e un fazzoletto di stoffa tra le dita. I folti ricci capelli erano sciolti e le ricadevano davanti, impedendo a Irene di poterla vedere bene in volto. 
“Che vuoi” aveva esordito Maria stizzita, tirando su col naso. 
“Mi dispiace, non sapevo fossi ancora in casa” aveva detto Irene sedendosi con cautela sul suo letto, mantenendo quel minimo di distanza per evitare di invadere il suo spazio vitale e portare Maria a saltarle al collo. 
Maria non rispose, non alzò nemmeno lo sguardo dalla parete accanto al suo letto che fissava con particolare interesse. Tutto pur di non guardare lei. 
“Lo so che hai detto che scusarsi non serve a niente, ed è vero, non si può rimediare al male fatto. Ma ciò non toglie che io sia comunque dispiaciuta per come siano andate le cose. Non era mia intenzione ferirti. Se ho agito in quel modo era proprio perché volevo evitare di farlo” ammise Irene con inaspettato candore. 
Solo in quel momento Maria alzò la testa e la guardò con un’espressione indecifrabile. Irene non capiva se fosse confusa o irritata. Forse entrambe le cose. 
“Ah certo, non volevi ferirmi e ti sei presa il mio fidanzato. Chissà cosa avresti fatto se avessi voluto ferirmi” rispose con amara ironia. 
Rocco non era un pacco, glielo aveva ricordato proprio lui stesso. Non era qualcosa che né Irene e né Maria potevano prendersi. Soprattutto non adesso che aveva finalmente imparato a farsi valere e decidere con la propria testa. Nessuno poteva costringerlo a fare ciò che non desiderava. E poi davvero Maria avrebbe preferito trascorrere tutta la sua vita accanto a un uomo che non la amava? Davvero per lei le convenzioni sociali, sistemarsi più per mettere a tacere le voci degli altri che per rendere felice se stessa, erano più importanti?
“La verità è che mi sono allontanata da Rocco perché…” iniziò con titubanza. Non era da lei mostrarsi sincera, aperta e vulnerabile, specialmente davanti a chi al momento si mostrava sua nemica. Eppure sapeva che Maria meritava la verità, nonostante tutto. “Perché ho avuto paura, Maria. Paura di quello che provavo, paura di perdere la vostra amicizia e paura di ferire te, che sapevo quello che provavi per lui” finalmente pronunciò, guardandola coraggiosamente negli occhi, senza abbassare lo sguardo. Era fieramente se stessa, al cento per cento. Le aveva aperto il proprio cuore nella speranza che potesse perdonarla, sebbene la sua unica colpa fosse stata quella di averle nascosto di quei primi baci. Che poteva farci se si era innamorata anche lei della stessa persona? Non era colpa sua. Se fosse stata in grado di spingere il proprio cuore verso una direzione specifica, Lorenzo sarebbe stata la soluzione migliore per tutti. Irene avrebbe vissuto la vita agiata che aveva sempre creduto di volere e Maria avrebbe avuto il suo Rocco. Ma non potevano fingere che quei sentimenti non esistessero. In fondo in fondo anche Maria doveva pensarlo, Irene sperava. 
Per un attimo le sembrò che Maria stesse cedendo, che si fosse lasciata addolcire dalle sue parole, poi vide il suo sguardo indurirsi nuovamente e allora sospirò. 
“E pensavi che scoprirlo dopo sarebbe stato meglio? O pensavi di continuare a fingere e lasciarmelo sposare?” le domandò con rabbia.
“Non lo so cosa volevo, Maria. Io ci ho provato davvero, volevo farmi da parte. Tutti dicevano che eri tu la persona giusta per Rocco e alla fine ho pensato che forse in fondo avevano ragione. Lorenzo era così perfetto, solo che... non era perfetto per me” si strinse nelle spalle con aria contrita. 
“Ho quasi ventisei anni, Irè” Maria sbottò d’un tratto, scuotendo la testa con rassegnazione. “Per la mia famiglia sono una zitella, sono un peso. E adesso mio padre vuole costringermi a tornare a Partanna a farmi sposare il primo che capita solo per mettere a tacere le voci che girano in paese dopo la rottura del fidanzamento. Ecco in che posizione mi avete messo. E voi pensate che dire ‘scusa’ sia abbastanza?” le sputò addosso tutta la rabbia che provava non solo per lei e per Rocco, ma anche per suo padre, per la sua famiglia, per il paese, per essere costretta a seguire delle regole che forse iniziavano a stare strette anche a lei, ma a cui non aveva il coraggio di ribellarsi. 
“E tu non tornare a Partanna” le suggerì semplicisticamente Irene.
“La fai facile tu. Mio padre è capace che sale fino a qua per trascinarmi dai capelli” disse prima di asciugarsi il naso con il fazzoletto. 
“Non so come sia tuo padre, e non so cosa significhi vivere in un piccolo paese dove la gente mormora. Ma solo tenendo testa al mio sono riuscita a ottenere la mia indipendenza. Lo sai come mi ha trattata, cosa mi ha detto” le ricordò Irene. Suo padre le aveva dato della poco di buono solo per aver indossato quel vestito corto della collezione di Gabriella. Tommaso Cipriani non era mai stato accomodante nei suoi confronti, quella figlia ribelle non gli era mai andata a genio e aveva sempre cercato di placarla, di mettere un freno a quelli che riteneva dei grilli per la testa. Allontanandosi da lui e da quella casa, Irene era riuscita a trovare lo spazio che per tanto tempo aveva cercato. E lo aveva trovato lì, anche grazie a Maria.
“Mio padre non è tuo padre, Irè. Mio padre viene da Partanna” ribatté lei scuotendo la testa.
“Anche il padre di Elena veniva da Partanna, eppure alla fine ha accettato il matrimonio tra lei e Antonio, no?” cercò disperatamente qualche appiglio.
“Ma qui non c’è nessun matrimonio. Mio padre dovrebbe accettare che cosa, Irè? Che resterò zitella qui a Milano?” esclamò sardonica. 
“Non resterai zitella, ma sì: alla fine accetterà che tu voglia rimanere qui a Milano. Sono sicura che la signora Agnese, ma anche il signor Amato ormai, intercederanno per te. Metti in mezzo Don Saverio, magari se lo rassicura un prete è più tranquillo, no?” con un sorriso provò a suggerire, lei che di religione non ci capiva niente. Ma per gente come loro bastava sempre un’Ave Maria per assolvere ogni peccato, no?
“La signora Agnese e il signor Giuseppe dovevano già tenermi d’occhio prima. Mio padre aveva acconsentito a lasciarmi vivere da sola a Milano solo per loro. Dopo quello che ha fatto Rocco, non vuole proprio sentire parlare degli Amato, figurati” le fece sapere Maria. 
Aveva ragione, pensò Irene. Erano stati proprio gli Amato gli artefici di quella che il padre di Maria probabilmente riteneva una vergogna, una sciagura. A questo Irene non ci aveva pensato. Viveva nella Milano del ‘62, si era sempre sentita libera di frequentare chiunque desiderasse, come aveva fatto con Lorenzo e come aveva fatto con Claudio, l’uomo che le aveva spezzato il cuore diverso tempo prima. Non c’erano contratti, impegni a lungo termine, famiglie di mezzo che decidevano per lei. L’unica regola era quella di non compromettersi e lei, quella regola imposta con forza dalla società solo alle donne, nonostante le sue apparenze da mangiauomini, non l’aveva mai infranta. Ci era andata molto vicina con Claudio, ma era ancora giovane, sua madre era ancora al suo fianco, e una signorina per bene certe cose non le faceva. Ogni tanto si insinuava dentro di sé il pensiero di come sarebbe stato con Rocco, ma poi lo scacciava prontamente via. Lui non avrebbe mai acconsentito a fare niente del genere al di fuori dal matrimonio e Irene di sposarsi adesso non ne aveva proprio intenzione.
“Tu vuoi rimanere?” le domandò allora d’un tratto.
“Ma che domande sono, Irè. Ovvio che voglio rimanere, ma non posso. Sono a casa perché mio padre deve chiamare dagli Amato per farmi sapere quando scendere” rispose Maria stizzita.
“Non farlo. Resta. Lo so che non sempre siamo andate d’accordo, che spesso ci siamo fatte i dispetti e che la situazione con Rocco ha peggiorato le cose” aggiunse Irene. “Ma se ho trovato il mio posto, è anche grazie a te che mi hai accolta in questa casa. Voglio fare il possibile per aiutarti, perché anche se non riesco a dirlo e spesso nemmeno a dimostrarlo, ti voglio bene” ammise allungando una mano verso quella che Maria teneva ancora ancorata alle sue ginocchia ricoperte da quell’orrenda gonna grigia che Irene avrebbe da sempre voluto bruciarle. 
“Non conta ciò che voglio io” rispose Maria, senza tuttavia ritrarre la mano dalla stretta della sua coinquilina.
“Invece sei proprio tu che conti, Maria. E’ la tua vita. E l’hai detto anche tu: hai venticinque anni, non sei una bambina. Non lasciare che tuo padre decida per te. Cosa potrà mai fare? Toglierti il saluto? Vale la pena vivere una vita che non hai scelto solo per tenerti buone delle persone che dovrebbero volere solo il meglio per te? Se davvero ti vogliono bene, prima o poi cambieranno idea e accetteranno qualsiasi cosa tu deciderai di fare” strinse ancora più forte la mano di Maria per infonderle il coraggio di cui certamente avrebbe avuto bisogno quella mattina. Irene non avrebbe mai scelto di vivere secondo delle regole imposte da qualcun altro. Avrebbe preferito sacrificare il rapporto già precario con suo padre, se questo voleva dire essere libera. Non era una scelta semplice, ne era consapevole, ma i genitori di Maria non sarebbero rimasti in vita per sempre. Avrebbe dovuto convivere lei con quelle decisioni sbagliate che non era stata lei a prendere per altri cinquanta? Sessant’anni? Ne valeva davvero la pena? 
“Quell’Alfredo scommetto che tornerebbe a ronzarti intorno, se glielo permettessi. Altro che zitella” aggiunse poi facendole l’occhiolino.
“Troppo presto, Irè. Troppo presto” rispose lei, facendo riferimento ai suoi tentativi di fare pettegolezzo come se nulla fosse mai accaduto. Aveva seppellito l’ascia di guerra e forse, in fondo, dentro di sé, l’aveva già perdonata da tempo. Aveva sfogato su Irene tutte le sue frustrazioni, quando la verità era che era arrabbiata con tante persone, soprattutto se stessa, ma non con lei, che era solo il soggetto più facile a cui addossare ogni colpa. Accennò un lieve sorriso che Irene accolse come una tregua e allora lo ricambiò, prima di alzarsi per lasciarla da sola e andare al lavoro. D’altronde era già in ritardo, come sempre, ma almeno stavolta era per una buona causa.

 

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Quel giorno gran parte delle sue colleghe avevano deciso di pranzare in spogliatoio. La serata al circolo richiedeva molto sforzo fisico e mentale, e in realtà erano tutte talmente elettrizzate all’idea di indossare i loro abiti migliori per sfoggiarli davanti all’élite di Milano, che volevano spendere meno tempo possibile in attività futili come il pranzo.
“Devo mangiare leggero, altrimenti il vestito non mi entra” si era lamentata Dora osservandosi allo specchio prima di prendere dall’armadietto il suo pasto: che consisteva in un’insalata e una mela.
“Mi sembri Marina” ribatté Irene con una punta di disgusto, mentre teneva tra le mani il suo solito panino con la frittata. Non aveva mai il tempo, né la voglia e le capacità, di cucinarsi qualcosa la mattina. Di norma era sempre in ritardo già così, figurarsi se avesse dovuto persino mettersi a cucinare. Imbranata com’era lei tra i fornelli, avrebbe finito col creare un enorme caos, macchiarsi tutti i vestiti e arrivare al Paradiso direttamente per la pausa pranzo. E poi un panino non le avrebbe certamente rovinato la silhouette, dato che si muoveva tutto il giorno come una trottola per il grande magazzino, e dunque bruciava già tutte le calorie assunte con quel pranzo. 
“Marina mangiava solo la mela. Lei almeno si è portata un’insalata” ribatté Paola con un sorriso, mentre tirava fuori il suo stufato di verdure.
“E tu che scusa hai?” le fece notare Irene. Paola era magra come uno spaghetto, non aveva di certo bisogno di fare alcun tipo di dieta. Come d’altronde valeva all’epoca anche per Marina.
“Magari stasera mangeremo più del solito, meglio tenersi leggeri, ha ragione Dora” si strinse nelle spalle. 
“Al circolo? Al massimo serviranno qualche tartina minuscola che spacceranno per cena” rispose Irene con fare da snob. 
“Ma tu una volta non adoravi queste cose? Non vivevi per tartine e caviale?” la prese in giro Stefania appoggiando il mento alla sua spalla. “Stare con Rocco ti ha fatto scendere al nostro livello?” scherzò facendole una linguaccia. 
“Ma quando mai” ribatté lei smorfiosa. “Proprio perché conosco quel mondo vi dicevo di non farvi chissà quali aspettative” disse atteggiandosi mentre accartocciava la carta unta del panino e si alzava per portarla al cestino. Un paradosso. 
“Ah, ora conosci quel mondo?” la canzonò Dora. “Perché hai frequentato un pilota per un paio di settimane?” ridacchiò toccandole il braccio. 
“Guarda che mi portava in locali molto esclusivi. Sei solo invidiosa” le fece una smorfia, prima di avventurarsi fuori dallo spogliatoio. 
“Non so Dora, ma io in effetti sono invidiosa” le venne dietro Stefania, l’unica che l’aveva assecondata nella scelta di mangiare un panino dalla caffetteria. Neanche lei era un’appassionata di cucina, sebbene se la cavasse già molto meglio di lei. Ma non c’era mai abbastanza tempo la mattina per cucinare. Solo per chi, come Maria, faceva della cura della casa la propria aspirazione di vita, poteva alzarsi alle cinque o alle sei per mettere qualcosa in pentola. Le donne moderne come Irene preferivano sfruttare quel tempo in modo più costruttivo: ad esempio dormendo.
“Potevi provarci tu con Lorenzo, magari gli piacevi” scherzò Irene avvicinandosi alla propria postazione per piegare un paio di maglioncini rimasti fuori posto. 
“Ma ti pare?” ridacchiò Stefania. “Però sono invidiosa perché adesso anche tu sei fidanzata, stasera andrai al ballo come Cenerentola col tuo principe, mentre io Federico posso solo sognarlo la notte” sbuffò lei con aria stralunata, mettendo il broncio.
“Ora lo sogni pure? Siamo messe male qui” rispose Irene con una smorfia. “E poi Rocco più che un principe è ancora un rospetto” precisò ironica, prendendolo in giro. A dirla tutta stava estremizzando: Rocco le era piaciuto sin da subito, non era il suo aspetto quello che l’aveva disturbata all’inizio, quanto più i suoi modi da uomo della giungla, che tuttavia col tempo si erano per fortuna raffinati. Un grazie lo doveva anche a lei e ai suoi preziosi insegnamenti.
“Ma dai! Hai tra le mani un attore di fotoromanzi, non dimenticarlo. Non farà sfigurare miss eleganza, stai tranquilla” rispose Stefania facendo un pomposo inchino davanti a sua maestà Irene. 
Lei scoppiò a ridere guardandola con aria regale. Proprio in quel momento, però, qualcosa attirò la sua attenzione. Salvatore era appena entrato al Paradiso con aria trafelata. Aveva uno sguardo preoccupato e sembrava diretto verso il magazzino con qualcosa tra le mani. 
“Torno subito” disse a Stefania, allontanandosi per seguire Salvo. La sua mente acuta la portò subito a intuire che qualcosa non andava. Salvatore non entrava mai al Paradiso senza salutare, e quel suo fare frettoloso era sintomo di qualcosa di strano. 
“Salvo?” gli si avvicinò, toccandolo per un braccio. “Che succede?”
“Ah non lo sai? A quanto pare Rocco è caduto dalla bici. Quell’imbranato non sa dove ha la testa, è un miracolo che sia sopravvissuto due anni interi a Milano” sentenziò Salvo scuotendo la testa. 
“Ma come è caduto, si è fatto male?” chiese Irene, iniziando a seguirlo con preoccupazione fin dentro il magazzino.
“Ma che ne so, ha chiamato il signor Armando chiedendo di portare del ghiaccio, quindi qualcosina si sarà fatto” la informò lui con costernazione.
Quando entrò in magazzino, Irene vide Rocco seduto sulla sedia che in genere spettava al signor Ferraris. La stessa in cui pochi giorni prima si erano seduti anche loro per baciarsi di nascosto. Il mento leggermente scorticato, così come il ginocchio e il gomito destro. Armando gli massaggiava la caviglia dolorante, mentre Rocco teneva l’altra mano sulla spalla dello stesso lato con aria sofferente. 
“Rocco!” esclamò lei andandogli incontro.
“Irè, che ci fai qua? Non è orario di apertura?” le fece notare con una smorfia di fastidio mentre si girava a guardarla.
“Non ancora, ma che hai combinato tu?” gli sfiorò la mascella con due dita. 
“Ma niente di grave, signorina, non si preoccupi” la rassicurò Armando. “Per la pioggia di stanotte il pavimento probabilmente era ancora umido e le ruote sono slittate in curva” disse poggiando la busta di ghiaccio che aveva portato Salvo sulla caviglia di Rocco per non farla gonfiare. “Un paio di giorni e passerà tutto, stia tranquilla” aggiunse notando lo sguardo sorprendentemente apprensivo di Irene. 
“E’ colpa mia, non avrei dovuto farli allenare oggi” ammise il signor Ferraris aggrottando le sopracciglia, mentre Pietro andava a cambiarsi. “E’ che…” fece per dire, ma Rocco lo fulminò con lo sguardo, facendogli cenno di stare in silenzio. 
“Mi dispiace” disse quest’ultimo con un’espressione mortificata, cambiando discorso.
“E per cosa?” gli chiese lei, aprendo la scatola con l’attrezzatura di pronto intervento che il signor Armando aveva già preso e appoggiato alla scrivania. Afferrò una garza e la intinse nel disinfettante, avvicinandola al mento di Rocco. 
“Au, brucia” ribatté lui con una smorfia.
“Ma va?” rispose Irene, mettendogli una mano dietro la testa per tenerlo fermo. 
“Mi dispiace per stasera. Al circolo” puntualizzò infine Rocco, ricordandole solo in quel momento che se lui aveva una caviglia fuorigioco, era impossibile che riuscisse a partecipare a quell’evento che, doveva ammettere, Irene aspettava con particolare impazienza. Non solo perché si teneva in uno dei posti più esclusivi di Milano, ed era un sogno poterci entrare per la seconda volta. Ma anche perché si era già abituata all’idea di andare insieme a lui. Di farsi vedere finalmente insieme davanti a tutti, insieme alle sue amiche e alle persone che facevano parte della loro vita.
Irene abbassò lo sguardo con aria delusa, iniziando a mordicchiarsi la guancia dall’interno.
“Va bene, io intanto torno al lavoro, allora. Per tornare a casa…” Salvo lasciò in sospeso la frase, nella speranza che fosse Armando a riaccompagnare il cugino. Lui in quel momento non poteva proprio lasciare la caffetteria, dato che Marcello era fuori per una consegna.
“Ci penso io, Salvo, non ti preoccupare” rispose Armando che in quel momento si alzò, lasciando la gamba di Rocco appoggiata su una cassa con il ghiaccio sulla caviglia. 
“Qui ci pensa lei?” Armando chiese a Irene. “Io vado a parlare con la signorina Moreau e avviso tua zia” aggiunse prima di uscire dal magazzino con una fretta tale da non dare a Rocco nemmeno il tempo di protestare. Non aveva proprio voglia di vedere sua zia, soprattutto in quel momento. Ma a quanto pare non aveva voce in capitolo. Come sempre.
Irene era appoggiata alla scrivania, mentre continuava a disinfettare anche il gomito di Rocco graffiato dallo scontro con l’asfalto. La sola idea che potesse farsi male sul serio, l’aveva per un attimo mandata nel panico. E mentre lo medicava in silenzio, suo malgrado la sua mente la riportò a un paio di anni prima, quando sua madre era malata e Irene aveva provato a prendersi cura di lei finché aveva potuto. Le si formò un nodo in gola, che prontamente scacciò via con un profondo respiro. A causa sua non sopportava di stare a contatto con la sofferenza. Cercava sempre di scacciare via pensieri negativi di qualsiasi tipo, col risultato spesso di sembrare distaccata o insensibile, talvolta persino venale e superficiale. La verità era che erano talmente tante le emozioni che provava, che preferiva fingere che non ci fossero. Lo aveva detto anche a Roberta qualche tempo prima. Non era in grado di sacrificarsi come aveva fatto lei per Federico: Irene non ne era capace, non era abbastanza altruista. L’aveva già fatto per tanto tempo con sua madre e quella malattia che se l’era portata via lentamente, trasformando nella sua mente il ricordo della donna piena di vita che l’aveva cresciuta. La malattia aveva distrutto ogni cosa e Irene odiava averle dato il permesso di prendersi anche i bei ricordi condivisi con lei. Trovava triste accostarla sempre agli ultimi anni della sua vita, come se tutti i momenti trascorsi con lei prima non fossero mai contati. Sua madre era stata molto, molto di più. Non era giusto.
“Au, non dici nenti?” Rocco chiese a Irene, ora che erano stati lasciati da soli. Sollevò una mano e la poggiò sul suo fianco, sfregandoglielo con dolcezza. “Chi c’hai?” aggiunse comprensivo, notando il suo sguardo serio e pensieroso. 
“E che devo dire?” rispose lei stringendosi nelle spalle. Il pensiero di sua madre l’aveva turbata. In più era delusa e dispiaciuta, non poteva negarlo. Non ne faceva una colpa a lui, ma non poteva nemmeno fingersi contenta. Le si leggeva sempre tutto in faccia. Tante volte avrebbe preferito avere in ogni frangente la stessa faccia tosta che tutti le invidiavano. Irene dissimulava, ma chi la conosceva bene capiva perfettamente quando qualcosa non andava, e non le piaceva affatto essere tanto trasparente: la faceva sentire vulnerabile.
“Guarda che mi dispiace pure a me, ah. Ci avevo pure già detto al signor Armando se ti poteva prestare quel vestito blu che hai provato ieri” ammise serrando le labbra.
Irene alzò di scatto gli occhi su di lui, guardandolo con riconoscenza e tenerezza. Lui si stava prodigando per lei, per farla contenta, e lei era lì a tenergli il broncio senza motivo. Si sentì estremamente infantile. Ogni tanto le capitava di avere reazioni spropositate per questioni futili e superficiali. In fondo quella serata al circolo lo era. Ogni tanto i piani cambiavano e lei doveva imparare ad accettarlo. Con un sorriso si chinò su di lui e gli schioccò un bacio sulle labbra, tenendo per qualche istante la fronte appoggiata sulla sua. 
“Lo so, è che ci tenevo ad andare. Non solo per il circolo, eh, ma perché era un modo per metterci alle spalle il passato e ricominciare, in un certo senso. Alla luce del sole, questa volta” si strinse nelle spalle con rammarico. 
“Guarda che il signor Armando ha già parlato con la signorina Moreau: il vestito lo puoi usare lo stesso stasera” la informò prendendole una mano.
Lei scosse la testa con convinzione. “Non sarebbe la stessa cosa” ribatté.
“E va bene, ho capito, ma ci sono le tue amiche e vedi che a Tina ci fa piacere se ci vai, ah. L’ho incontrata stamattina e mi ha detto proprio che voleva che ci andavamo” disse Rocco.
“Ci andassimo” lo corresse lei con un sorriso. Certo, c’era sempre l’eventualità di andare senza di lui. Aveva senso, in fondo. Stefania sarebbe stata contenta di avere la sua amica tutta per sé, senza nessun principe azzurro o rospetto tra i piedi a farla sentire in difetto perché in assenza di un accompagnatore. 
“E vabbè, quello che è” ribatté lui frettolosamente. Durante l’estate, quando in genere c’era meno movimento in città e al Paradiso, dato che i milanesi e i tanti emigrati si spostavano per le vacanze, Rocco intendeva mettersi sotto con lo studio, ma in quel momento la questione che più gli interessava era che lei andasse al circolo anche senza di lui. Alla grammatica avrebbe pensato in seguito. Si sentiva già abbastanza in colpa così, gli faceva piacere sapere che almeno lei avrebbe potuto godere di quella serata, a cui lui in fondo avrebbe partecipato sin dall’inizio solo per fare contente lei e sua cugina. 
“Avanti, tu ci vai, così Tina è felice. E poi mi dici tutto quando torni, va bene?” le propose Rocco intrecciando le dita con le sue. 
Irene soppesò per qualche istante quell’idea, ma poi fece spallucce. Non se la sentiva di andare da sola, ma d’altro canto aveva anche tanta voglia di andare e di passare una serata spensierata con le sue amiche. Se lo meritava anche lei, in fondo.  
“Ci penserò” gli concesse.
Lui le sorrise e poi allungò lo sguardo verso le casse alle spalle di lei. “Là dentro c’è il vestito della tua taglia. Così se vuoi andare, lo sai dov’è” disse alzando il braccio destro per indicarle la cassa giusta, ma il suo sguardo venne attraversato da una smorfia di dolore.
“Ti fa male anche la spalla?” gli domandò Irene preoccupata. “Povero rospetto” aggiunse con un pizzico di ironia, posandogli un bacio sulla fronte. 
“Au, rospetto a chi?” la guardò aggrottando le sopracciglia. 
“Niente, lascia stare” ridacchiò lei, passando dalla fronte sulle sue labbra. Gli prese il viso tra le mani, lasciando scorrere le dita lungo la linea della sua mandibola. L’odore pungente del disinfettante le penetrò nelle narici ma, nonostante quello e la posizione scomoda, rimase qualche istante a godersi il contatto con i suoi baci, mentre la mano di Rocco continuava a indugiare sul suo fianco. 
“Niente, non ce la faccio più” disse staccandosi di colpo, passandosi le dita sulle labbra. “Odori di ospedale” si giustificò con una smorfia. 
“Avà, e mica è colpa mia” protestò lui, cercando di trattenerla. Non ne aveva mai abbastanza di lei. 
“Stai fermo che ti fai male” sorrise Irene, spostando la garza imbevuta sul ginocchio che non era ancora stato medicato. 
Proprio in quel momento, tuttavia, sentì dei passi concitati alle sue spalle e una voce inconfondibile. 
“Rocco, gioia, stai bene?” Agnese domandò allarmata, fermandosi di colpo alla vista di Irene china su di lui. Le sembrò surreale trovarla lì a prendersi cura di suo nipote. Non l’aveva mai ritenuta il tipo tale da sporcarsi le mani senza svenire alla vista del sangue. Tuttavia, nonostante lo stupore, non le riconobbe il merito e invece avanzò, oltrepassandola, come se nemmeno esistesse. Si avvicinò a Rocco e iniziò a toccargli il viso. 
“Ma che ti sei fatto, fatti guardare” esclamò continuando a osservarlo per assicurarsi che fosse ancora tutto intero. 
“Avà zì, sto bene, non ti preoccupare” rispose lui, trattenendo Irene per la mano mentre lei cercava di allontanarsi. “Irene e il signor Armando mi hanno già sistemato, va” le fece notare. Irene posò sulla scrivania la garza che teneva ancora in una mano e riuscì infine a defilarsi dalla presa di Rocco. Aver deciso di lasciarsi alle spalle la signora Agnese e tutta la sua famiglia, non voleva dire che non si sentisse comunque ancora a disagio in sua presenza. Si sentiva osservata e giudicata per ogni singolo movimento che compiva. D’altronde niente di quello che faceva sarebbe mai stato abbastanza, mai all’altezza di Maria Puglisi. 
“Torno al lavoro. La signorina Moreau mi starà aspettando” si giustificò infatti, facendo una veloce carezza a Rocco prima di allontanarsi per sgattaiolare fuori da lì il prima possibile.
“Divertiti stasera. Quando torni passa dal signor Armando e mi dici tutto. Io ti aspetto sveglio, ah” le intimò lui con un tono che sembrava quasi una minaccia.
“Certo, come no” lo prese in giro lei, sapendo che in genere non riusciva a stare sveglio oltre le dieci, come i bambini piccoli. Adesso che era infortunato era certa che sarebbe stato intrattabile e piagnucoloso proprio come loro.
Senza guardarsi indietro e sentendo la voce di Agnese tornare a concentrarsi su Rocco, Irene uscì dal magazzino. Per la prima volta nella sua vita stava pensando davvero di mettere davanti qualcun altro rispetto a se stessa e ai propri bisogni. L’idea di andare al circolo anche senza di lui la allettava particolarmente, poi però ripensava ai suoi tentativi di farla felice, ai suoi continui sforzi perché si sentisse a suo agio e accettata e alle tante belle parole che aveva speso per lei, e allora si sentiva in colpa. Immaginandolo dolorante in casa da solo, dato che anche Armando e Marcello avrebbero preso parte alla serata, si chiedeva come avrebbe mai potuto divertirsi davvero senza di lui. Forse il signor Ferraris avrebbe rinunciato ad andare per fare compagnia a Rocco, e allora ci sarebbe stato qualcuno a occuparsi di lui. Irene non sapeva proprio cosa fare, ma per fortuna aveva ancora tutto il pomeriggio per pensarci.

 

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Irene aveva rimuginato a lungo prima di prendere una decisione. Aveva tentennato fino all’ultimo, ma poi non era riuscita a resistere. Se da un lato le andava di godersi una serata leggera in compagnia e moriva dalla voglia di vedere Tina esibirsi in quell’evento per il Paradiso, dall’altra ripensava a Rocco in casa da solo, mentre lei e tutta la sua famiglia andavano al circolo, e non le sembrava giusto. Non aveva paura del loro giudizio, di doverli affrontare da sola senza lui al suo fianco. Irene era abituata a farsi valere, a difendersi con le unghie e con i denti da tutto e tutti. Non sarebbe stata una novità per lei. Ma indubbiamente avrebbe avuto tutto un peso differente se Rocco fosse stato presente. Sarebbe stato un supporto non solo fisico, ma soprattutto psicologico. L’Irene di un tempo non si sarebbe fatta troppe domande. Avrebbe pensato a cosa desiderasse di più e l’avrebbe afferrata, senza pensare alle conseguenze o a chi feriva con le sue parole o con i suoi gesti. Ma adesso era cresciuta e aveva imparato a dare importanza anche gli altri, soprattutto se questi altri contavano davvero per lei. 
Mentre si incamminava sul ballatoio con Stefania sottobraccio, immaginava come sarebbe stata quella serata: cosa avrebbe detto il dottor Conti, col sottofondo di quali canzoni cantate da Tina avrebbero ballato lei e le sue amiche? Non si sentiva nessun rumore provenire dall’appartamento di fianco al loro e immaginò che la cugina di Rocco dovesse già essere andata al circolo prima degli altri per definire i dettagli del suo spettacolo. 
“Sei proprio sicura di non voler venire lo stesso?” le domandò Stefania per l’ultima volta. 
“Sì, sicura, divertitevi” accennò un sorriso. “Ma fai attenzione a ogni dettaglio, ogni dialogo, appuntati tutto e poi stasera mi racconti” la guardò riducendo gli occhi a due fessure, come a volerla minacciare. 
“Va bene, va bene, agente segreto. Tanto lo sai che l’avrei fatto in ogni caso” ammise Stefania con aria colpevole. Irene la salutò con un cenno della testa e iniziò a incamminarsi per il piano superiore.
Prima di uscire dal Paradiso aveva già avvisato il signor Armando di prepararsi per l’evento, dato che sarebbe stata lei a rimanere in casa con Rocco. Lui l’aveva guardata dapprima perplesso, ma poi non aveva proferito parola e aveva semplicemente accettato la sua decisione con sorpresa. Se le persone cambiavano davvero, Irene ne era la dimostrazione più lampante, si ritrovò a pensare Armando accennando un sorriso. 
“Rocco sta riposando, ma sveglialo pure quel cialtrone, che è tutto il pomeriggio che dorme” esordì subito il signor Ferraris quando Irene andò a bussare alla loro porta. 
“E voleva pure aspettare sveglio che tornassi dalla festa” scherzò lei scuotendo la testa. “Buona serata” gli disse poi, dopo che lui la salutò ridacchiando, chiudendosi la porta alle spalle. 
Irene si tolse il soprabito e appoggiò la borsetta sul mobiletto all’ingresso. C’era una pentola sul tegame e si avvicinò, togliendo il coperchio per scoprire del risotto che certamente era stato Armando a cucinare. Tutto sommato aveva fatto bene a mangiare quel panino a pranzo: non aveva alcun motivo di tenersi leggera, dato che sarebbe rimasta a casa a oziare sul divano. In fondo non poteva lamentarsi: il dolce far niente era una delle sue due attività preferite.
Riposizionò il coperchio, in modo che la pietanza restasse al caldo ancora un po’ e si avvicinò alla provvisoria stanza di Rocco che Marcello gli aveva dato in prestito. Lui era sdraiato sul letto addormentato e coperto solo in parte dal lenzuolo di cotone. Si sedette accanto a lui, nello spazio tra il suo fianco e il materasso. Avvicinò una mano ai suoi capelli, convinta bastasse una carezza a svegliarlo. Ma evidentemente Rocco era esattamente come lei: servivano i coperchi che Stefania ogni tanto sbatteva tra di loro per convincerla ad alzarsi finalmente dal letto.
“Rocco” lo chiamò allora, toccandogli brevemente la spalla, dimenticandosi che era quella dolorante.
“Irè” si svegliò di scatto lui, fissandola con l’aria colpevole di chi si era fatto trovare con le mani dentro il vasetto della marmellata. “Che ci fai qua tu?”
“Oggi è già la seconda volta che mi saluti così. Fa’ che non ce ne sia una terza” gli intimò lei guardandolo male.
“Avà, picchì non ci sei andata?” le domandò Rocco deluso. Gli dispiaceva che a causa sua lei rinunciasse a un evento al quale voleva disperatamente andare. L’aveva vista felice e sorridente dentro il camerino o mentre provava i vestiti con le sue amiche, lo mortificava l’idea che avesse deciso di rimanere a casa per lui. 
“Quindi vuoi proprio che me ne vada, ho capito” rispose Irene con aria offesa, spostandosi per alzarsi.
“Avà, no, non farti tirare che non posso” disse lui cercando di allungare il braccio destro per afferrare quello di lei. “U sai ca non è questo” ammise lui aggrottando le sopracciglia.
“Rocco, e tu sai perché non sono andata. Perché non sarebbe stata la stessa cosa, perché mi sarei sentita in colpa nei tuoi confronti, e perché…” mi saresti mancato, avrebbe voluto aggiungere, ma si strinse invece soltanto nelle spalle.
“Picchì preferivi restare qua a darmi un bacio?” chiese lui con un sorriso, protendendo le labbra per tentarla, risultando in questo modo tutt’altro che affascinante.  
“Non ti spingere troppo in là” lo redarguì lei cercando di soffocare un sorriso per non dargliela vinta, bloccando sin da subito quella sua aria spavalda che tanto le piaceva, ma che non voleva dimostrargli, facendo la sostenuta. 
“Irene Cipriani che si perde una serata al circolo: vedi che ‘sta cosa va segnata, va” la prese in giro Rocco, mettendosi seduto.
“Stai zitto che tu dovevi aspettarmi sveglio” lo rimbeccò lei con una smorfia.
“Vedi che io ho fatto un riposino proprio picchì sapevo che dovevo aspettare a te, ah” aggiunse con superiorità. “Dammi la mano, forza” allungò il braccio sano per farsi aiutare da Irene a rimettersi in piedi.
“Senti, vedi di volare basso” lo riprese nuovamente. “Ché te la faccio pagare anche se sei invalido” disse mentre lui le circondava le spalle con il braccio con la scusa di sorreggersi. A dirla tutta la caviglia iniziava a fargli già meno male e riusciva a stare in piedi tranquillamente, se non ci metteva su troppo peso. Ma farsi coccolare da lei, che di norma si faceva sempre pregare, era un incentivo che lo portava a prolungare quella farsa un po’ più a lungo. 
“E non ti credere: sappi che mi devi ancora un ballo” aggiunse lei mentre lo accompagnava al tavolo. Irene sistemò il risotto sui piatti e gli allungò un bicchiere di vino. Se dovevano rimanere da soli a casa, tanto valeva divertirsi almeno un po’.
“Tanto domani tu non lavori, no?” lo tentò con un sorriso. 
“A parte che non lo so” iniziò Rocco. “E poi tu sì” provò a metterla in guardia.
“Ma sei tu quello che non lo regge, non io” Irene si strinse nelle spalle con aria innocente.
“Ma non è vero” protestò Rocco, consapevole di quanto in realtà lei avesse ragione. Un paio di bicchieri di vino a dirla tutta li beveva senza problemi, era quando andava a inserire lo spumante che perdeva ogni contatto con la realtà. Lei era sempre stata più brava di lui anche sotto quel punto di vista.
 

“Avà, vieni qua” disse Rocco dopo aver finito di mangiare. Durante la cena le aveva fatto accendere nuovamente la radio per creare un po’ di atmosfera e proprio in quel momento stavano passando una canzone di sua cugina Tina: gli sembrò l’occasione perfetta per alzarsi e invitarla a ballare. Fingere, almeno per quei pochi minuti, di essere andati davvero al circolo come lei avrebbe tanto voluto.
“Ma dove vuoi andare con quella gamba” rifiutò lei dandogli un colpetto sulla mano che lui aveva allungato per invitarla ad alzarsi. 
“Ma tanto è un lento, avà” la guardò con insistenza.
“E’ solo una scusa per tenermi tra le braccia, allora?” ribatté lei, mentre si lasciava convincere dal suo sguardo supplichevole. 
“Cettu” disse lui con aria fiera, mentre lei gli circondava il collo con le braccia e lui passava le sue sulla schiena. Non era la prima volta che ballavano un lento. La primissima volta, in caffetteria, si erano mossi con una tale distanza che chiamarlo ballo sarebbe stato un eufemismo. Adesso invece il corpo di Irene aderiva senza distacco al suo e la sua mano gli solleticava la nuca, mentre le mani grandi e calde di Rocco le ricoprivano la schiena. A Irene in genere non piaceva il contatto fisico. Raramente era lei a cercarlo e si mostrava sempre reticente davanti a effusioni di quel tipo. Eppure ogni sua convinzione perdeva di sostanza quando si trovava in compagnia di Rocco. Il suo contatto, i suoi abbracci, i suoi baci, erano le uniche cose che desiderava, sebbene fingesse il contrario. 
“Stavolta sembra che il gesso alla gamba ce l’hai sul serio” lo prese in giro mentre lo vedeva ondeggiare sul posto con il piede steso, sfiorando il pavimento solo col tallone. Un tempo avrebbe reputato assurdo trovare la felicità in momenti come quello. Se le avessero detto che le sarebbe bastato stare in un appartamento popolare a ballare un lento con la persona più rigida che conosceva, quando dall’altra parte della città aveva luogo un evento esclusivo al quale era stata peraltro invitata, li avrebbe presi per squilibrati. Eppure in quel momento non desiderava davvero stare da nessun’altra parte. 
“Non ti piaci?” rispose lui senza cedere al suo sfottò. 
“Eccome: mi sembra di ballare con Pietro Gambadilegno” continuò Irene soffocando una risata. “Ma tanto caviglia o meno il risultato non cambia più di tanto” lo provocò sollevando le sopracciglia.
“Avà, vedi che mi sono sciolto dalla prima volta che mi hai invitato a ballare” infine rispose lui risentito, dandogliela vinta.
“Se così credi di essere sciolto, è meglio che non ti ricordi com’eri due anni fa” aggiunse arricciando il naso. 
Lui la guardò imbronciato per qualche istante, prima di afferrarle il naso con la punta dei denti, provocandole una risata. Quanto aveva imparato ad amare il modo in cui le sue labbra si aprivano quando sorrideva, quel gesto del naso e il suono della sua voce. Ne aveva fatta di strada Rocco da due anni prima, quando non riusciva nemmeno a guardarla negli occhi mentre ballavano. Gli era sempre sembrata così inarrivabile, così fuori portata per uno come lui. ‘La signorina Cipriani cu mia? Avà’, aveva detto una volta ad Armando, quando ancora non era in grado nemmeno di chiamarla per nome. Gli sembrava impossibile che una come lei potesse provare dell’interesse nei suoi confronti. Irene era così diversa da lui, così lontana da qualsiasi ideale avesse mai avuto in mente. Chi l’avrebbe mai detto che proprio lui che non voleva neppure spostare un piatto dalla tavola al lavello, sarebbe finito con una fimmina tanto indisciplinata e sopra le righe come Irene? Rocco aveva subito una trasformazione evidente. Non era più il ragazzo serio, rigido e imbronciato arrivato dalla Sicilia, con lei era diventato una persona più leggera, in grado anche di non prendersi sempre sul serio. Irene gli aveva complicato la vita, gliel’aveva scombussolata come un terremoto, ma l’aveva anche resa infinitamente più divertente. 
Mentre la guardava sorridere e cercare di defilarsi dalla sua stretta, sentì un nodo alla gola e una stretta al cuore. Le parole gli uscirono di bocca senza che nemmeno se ne rendesse conto. Non aveva bisogno di ragionarci su, di capire cosa fosse effettivamente quella strana sensazione alla bocca dello stomaco ogni volta che la vedeva, quella voglia inarrestabile di stringerla a sé e non lasciarla andare. Rocco, pur non avendolo mai sperimentato prima, sapeva perfettamente che quello era amore. Non l’infatuazione infantile e superficiale per Marina che Rocco aveva erroneamente scambiato per innamoramento due anni prima. Era quello. Era svegliarsi la mattina e pensare al momento in cui l’avrebbe rivista. Era mettersi alla prova e fare qualcosa che sapeva l’avrebbe resa fiera di lui. Era mettere talvolta da parte se stesso e i suoi desideri in favore della sua felicità, perché vederla sorridere valeva più di qualsiasi altra cosa. Non aveva dubbi sulla definizione da usare per descrivere ciò che avvertiva per la prima volta. Rocco era innamorato di Irene, e su questo non aveva alcun dubbio. Amava di lei persino le cose che odiava. 
“Ti amo” le disse infatti di getto, mentre ancora ondeggiava e Irene sorridente si toccava il naso sfiorato dalle labbra di lui.
Tuttavia, il sorriso sembrò morirle sul viso. “Cosa?” replicò lei d’istinto. Eppure aveva capito perfettamente quello che le aveva detto. 
“Ho detto che ti amo, Irè” aggiunse con sguardo improvvisamente serio nel vedere il volto sbiancato di lei. Sembrava avesse visto un fantasma. Era prevedibile che Rocco immaginasse una replica. Nella sua testa entrambi si sarebbero dichiarati amore eterno e si sarebbero baciati mentre nelle loro orecchie risuonava ancora la voce melodiosa di Tina a fare da sottofondo. Ma la realtà si stava scontrando col sogno. Irene gli aveva dimostrato con gesti evidenti che il sentimento che provava per lui era importante. Se in un primo momento si era sentito in difetto, a disagio e dubbioso, più la guardava e più iniziava a domandarsi il motivo di quella sua reticenza. Per la prima volta, Rocco non dubitava di ciò che lei provava per lui. Poteva essere ingenuo, e fino a poco tempo prima aveva travisato i suoi comportamenti, ma adesso Rocco lo sapeva. Lo sentiva. Allora perché non riusciva a dirglielo?
“Ah” aggiunse lei palesemente a disagio, dopo qualche istante in cui non aveva fatto altro che guardarlo negli occhi in silenzio. “Forse dovremmo sparecchiare, prima che torni il signor Ferraris” disse staccandosi dalla sua presa come se le braccia di Rocco la stessero stringendo in una morsa letale. Perché aveva così paura di ammettere ad alta voce i suoi sentimenti? Sapeva bene cosa provava per lui. Ma dirlo, ammetterlo, significava renderlo realtà. Era stata una stupida in passato. Aveva donato il proprio cuore a chi non lo meritava, a chi lo aveva calpestato come se non contasse nulla. In quegli anni aveva cercato di preservarlo, nascondendolo dietro una maschera di indifferenza, ma più tempo trascorreva con Rocco e più si rendeva conto che in realtà non aveva fatto altro che limitarsi, impedendosi da sola di essere veramente felice. Il suo unico ostacolo era se stessa.
Non poteva sopportare lo sguardo deluso di Rocco mentre lei si allontanava per mettere via i piatti. Per quel motivo fino a quel momento gli aveva sempre impedito di continuare a pronunciare quelle due semplici parole che per lei invece avevano quasi il peso di un’ammissione di colpa. Ma l’aveva talmente colta alla sprovvista, che non era stata in grado di prevederlo, né di reagire in modo appropriato e adesso non sopportava di vederlo così. Forse avrebbe fatto davvero meglio ad andare al circolo. Quanto si sentiva ridicola a trovare più sopportabile finire nella fossa dei leoni a subire il giudizio dell’intera famiglia Amato, piuttosto che ammettere anche a lui quello che provava?
“Forse è meglio che vada” disse Irene voltandosi verso Rocco che si era riseduto sulla sua sedia. 
“Picchì? Ho fatto qualcosa che non dovevo?” chiese lui confuso, facendole stringere il cuore.
“No, no” rispose lei rigida. “E’ solo che si è fatto tardi e domani si torna al lavoro” disse stringendosi nelle spalle. “E voglio prepararmi per aspettare Stefania e farmi raccontare tutto” accennò un sorriso, mentre si avvicinava per schioccargli un bacio sulle labbra. Dio, se lo amava anche lei. Perché non aveva avuto il coraggio di dirglielo? Erano tre semplici parole: ti amo anch’io. Eppure la sua lingua sembrava essersi annodata su se stessa, la salivazione azzerata e ormai il momento era passato, portandosi dietro ogni traccia del suo coraggio. 
“Va bene” ribatté lui mogio, afferrandole la mano prima che potesse allontanarsi. “Ma non mi rimangio ciò che ho detto, Irè” aggiunse con aria seria e stranamente sicura, mentre lei annuiva e si allontanava con il cuore pesante.

 

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“Maria, che ci fai ancora sveglia?” aveva detto Agnese alla ragazza, al rientro dalla serata al circolo. Si era sentita a disagio per tutta la serata in quel luogo a cui non apparteneva e sarebbe sempre stato distante da lei anni luce, ma l’orgoglio di vedere sua figlia su quel palco, acclamata da tutti i partecipanti ed elogiata dal loro capo, che aveva voluto persino metterla sulla copertina del Paradiso Market, l’aveva ripagata di ogni sforzo. Aveva pensato per un attimo di andare al piano di sopra insieme ad Armando per vedere come stava il nipote, ma Giuseppe le camminava dietro come un avvoltoio e non se l’era sentita di deviare dal percorso predefinito. Anche perché dubitava che Rocco avesse piacere di vederla. Lui non capiva che tutto ciò che faceva, lo faceva per lui e per i suoi figli. Ogni sua parola, ogni suo gesto, era solo in funzione della loro felicità. Forse sbagliava, ma era convinta di fare il loro bene, lei che di esperienza ne aveva tanta e sapeva come funzionava il mondo, a differenza loro. 
Arrivati davanti alla porta, Giuseppe aveva fatto un cenno con la testa alla ragazza e poi si era rintanato dentro l’appartamento, seguito a ruota da Salvo. Tina si era attardata insieme alla madre sul pianerottolo per fare conversazione. Anche lei era dispiaciuta per la situazione che si era creata e soprattutto per quello che stava passando la povera Maria a causa di suo cugino. Nonostante i loro trascorsi e le apparenze che potevano portare fuori strada, Tina teneva a Irene ed era contenta che Rocco avesse fatto la sua scelta seguendo solo il suo cuore. Ma d’altro canto provava pena per Maria e, anche se la conosceva solo in modo superficiale, era una brava ragazza ed era legata a lei per spirito di fratellanza: in fondo provenivano dallo stesso paese, avevano dovuto affrontare le stesse problematiche, e avevano parenti che vedevano il mondo dalla stessa cieca prospettiva. 
“Eh, non riuscivo a dormire, signora Agnese” rispose lei che fino a quel momento era stata affacciata fuori dal ballatoio a rimuginare sul proprio futuro. Aveva in parte seguito il consiglio di Irene e quella mattina non si era fatta trovare all’altro capo del telefono quando il padre aveva chiamato. Voleva prendere tempo e capire come comportarsi. C’era una sola cosa di cui era assolutamente certa: lei a Partanna non ci voleva proprio tornare.
“Pensieri, eh?” chiese Tina posando una mano sulla schiena della ragazza che annuì concorde.
“Vedrai che una soluzione la si trova, Maria” intervenne Agnese con sguardo comprensivo. 
“Speriamo” ribatté lei stringendosi nelle spalle. “Ah, ma com’è andata stasera?” 
“Benissimo, mi hanno fatto un sacco di complimenti e il dottor Conti ha scelto una mia foto per la copertina del Paradiso Market. Ci pensi? Finirò nelle case di tutta Italia” rispose Tina con entusiasmo.
“Ma ci sei già da anni con la radio” la riprese Maria con un sorriso.
“Vabbè, che c’entra, così è diverso. Adesso vedono la mia bella faccia, no?” disse mettendosi una mano sotto il viso. 
“E la tua amica lì come mai non è venuta?” chiese stizzosa Agnese alla figlia Tina.
“Quale amica? Irene? Ma se siamo come cane e gatto” rispose lei. “E poi che ne so io perché non è venuta, sarà per Rocco. A proposito, sai come sta?” domandò Tina a sua madre.
“No, non l’ho visto dopo il magazzino. Il signor Ferraris dice che stava dormendo quando è uscito di casa” replicò Agnese. “Ma poi figurati se quella rinunciava a farsi vedere al circolo per fare compagnia a Rocco” aggiunse poi con una leggera risata, ripensando a quello che Rocco aveva detto a Irene in magazzino. Le era sembrato avessero concordato la sua partecipazione anche senza la presenza di lui. Allora come mai aveva cambiato idea?
“Guardi signora Agnese che Irene è sicuramente con lui. L’ho sentita mentre parlava con Stefania” intervenne Maria. 
La mora, che era rientrata in casa solo pochi minuti prima della famiglia Amato, sentendo il proprio nome si affacciò dalla porta socchiusa da Maria e tirò fuori la testa.
“E’ vero, signora Agnese. Irene questa sera ha preferito rimanere con Rocco” confermò annuendo, con un biscotto tra le labbra. Aveva ragione Irene: non avevano mangiato granché quella sera, ma si era divertita molto e in fondo era questo ciò che contava. Avrebbe riempito quel buco nello stomaco con latte caldo e biscotti. Per quanto le sembrasse entusiasmante ed elitaria, la vita mondana non faceva per lei, che in fondo era una ragazza semplice e per farla felice bastavano poche e piccole cose. 
Agnese, spiazzata, guardò per qualche istante le tre giovani, cercando una risposta che giustificasse l’assenza di quella sfacciata. Se era davvero rimasta a casa per Rocco, doveva esserci qualche altro motivo dietro. Magari lo stava facendo per farsi bella agli occhi suoi e di suo marito e di chiunque la giudicasse aspramente. Doveva essere una tattica, perché in quei tre anni non aveva mai visto quella ragazza agire per puro e semplice altruismo. Dietro le sue azioni c’erano sempre dei secondi fini nascosti. 
“Mah, chi lo sa cosa sta progettando quella” si strinse nelle spalle con scetticismo. 
“Ma che deve progettare? Non è un architetto” intervenne Tina ironica, scocciata dal modo in cui sua madre riuscisse a vedere il marcio in qualsiasi cosa o persona non le andasse a genio. Se voleva bene a qualcuno, stravedeva per loro, tanto da mettersi dei veri e propri paraocchi per non giudicare negativamente nessun loro passo falso. Per sua madre suo fratello Antonio era sempre perfetto, sempre giustificabile. Mentre con Tina era l’esatto opposto. 
“Signora Agnese” aggiunse Stefania, sfilandosi il mezzo biscotto per assumere un’espressione improvvisamente più seria. “Scusi se le parlo così, ma lei non conosce Irene. Non ha idea dei problemi che si è fatta per via di Rocco e di Maria. Lei lo sapeva che si è fatta da parte proprio perché aveva a cuore i sentimenti di Maria e non voleva ferirla?” la guardò dritta negli occhi, riuscendo a mettere addirittura a disagio Agnese, che colta in fallo non sapeva cosa rispondere. “No, non lo sapeva, perché voi conoscete solo una piccola parte di ciò che è realmente Irene. Lei vuole bene a suo nipote, no? Sa che persona buona sia. Signora Agnese, pensa si sarebbe mai innamorato di Irene se fosse davvero la strega che voi tanto dipingete? Gli dia un po’ di fiducia” fece spallucce, trovandosi stranamente supportata sia da Tina che da Maria.
“E’ vero, signora Agnese” ammise Maria a fatica. Le costava tanto perdonare Irene e accettare quello che era successo. Ma in fondo sapeva anche lei che non era colpa sua. Non era stata lei a portare avanti quella messinscena, a parlare con suo padre, a regalarle quell’anello e metterla in quella posizione difficile. Le sue azioni avevano contribuito, ma nessuno aveva obbligato Rocco a comportarsi in quel modo. Era su di lui che avrebbe dovuto riversare la propria rabbia, non su di lei. 
“L’ha detto anche a me. Con Irene ci ho parlato proprio oggi” aggiunse, mentre Agnese non riusciva proprio a contemplare l’idea che potesse aver sbagliato. Aveva sempre agito avendo in mente il benessere e il futuro di Rocco, che niente aveva in comune con quella ragazza. Provenivano da mondi completamente diversi, volevano cose differenti, avevano caratteri distanti. Ma, pensandoci, non aveva trovato anche lei l’amore nella persona per la quale non avrebbe mai pensato di provare dei sentimenti? In passato aveva sbagliato altre volte, e non era mai stata in grado di ammetterlo. Salvatore le rinfacciava la sua intromissione nella storia tra lui e Gabriella, e se poteva comprendere il risentimento di suo figlio riguardo al gesto di nascondere quella lettera, d’altra parte non aveva però avuto ragione lei? Gabriella aveva sposato Cosimo, era felice con lui. Farle ricevere quella missiva avrebbe cambiato le cose? Era tutt’ora convinta di aver agito nel giusto. Non riusciva ad accettare diversamente, perché in genere il suo istinto non si sbagliava. E il suo istinto quella volta le diceva che quella ragazza si sarebbe presto annoiata di un ragazzo buono e semplice come suo nipote. Eppure, anche se non lo avrebbe mai ammesso, una piccola parte di sé stava iniziando ad aprirsi alla possibilità di aver preso una cantonata sulla veridicità dei sentimenti che li legavano. Aveva creduto che Rocco fosse innamorato, mentre lei agisse spinta da altre intenzioni. Adesso, tuttavia, iniziava a mettersi in dubbio. Forse teneva davvero a suo nipote. Ma era abbastanza? Agnese era tutt’ora convinta di no. Nonostante iniziasse a intravedere dei sentimenti anche nei gesti e nelle intenzioni di quella ragazza, la verità era che nella sua testa nulla era cambiato: non era lei la persona più giusta per Rocco, non lo sarebbe stata mai. Come facevano a non capirlo?
“Cosa c’è qui? Una riunione di condominio?” esordì Irene con una smorfia mentre stava tornando a casa, trovandosi davanti persone che avrebbe preferito evitare, almeno per quella sera. Era ancora scossa per ciò che era accaduto con Rocco. Avrebbe voluto tanto sbattere la testa contro la porta per riportare un po’ di sale in quella zucca vuota che teneva. Perché le costava così tanto? Perché non riusciva ad esternare i propri sentimenti con la stessa facilità di Rocco e Stefania?
“Oh no, ci hai scoperte. Stavamo parlando male di te” rispose Tina arricciando le labbra.
“Ah, guarda, su quello non avevo dubbi” ribatté Irene mentre rubava la metà del biscotto che Stefania teneva ancora tra le mani. 
“Ehi” protestò lei imbronciata. 
“Ti posso parlare un secondo?” Agnese le chiese d’un tratto, fissandola con aria seria. 
“A me?” rispose Irene sorpresa che le stesse innanzitutto rivolgendo la parola, e poi volesse persino parlarle in privato.
“A te, certo, e chi se no?” aggiunse Agnese spostandosi più in là per allontanarla dal resto delle ragazze. 
“Dobbiamo controllarle o possiamo rientrare?” chiese Stefania alle altre sottovoce.
“Fossi in voi mi apposterei almeno alla finestra, io invece me ne torno a casa che queste scarpe non le sopporto più. Buonanotte, ragazze” disse Tina, stringendo la spalla di Maria in un gesto di solidarietà.
Le due ragazze guardarono preoccupate per qualche istante Irene e Agnese da sole, e poi rientrarono titubanti dentro il loro appartamento. Stefania avrebbe tenuto sotto controllo la situazione sbirciando ogni tanto dalla finestra della cucina per assicurarsi che la signora Agnese non prendesse Irene per i capelli.
“Ho saputo che sei stata con Rocco questa sera” esordì la siciliana priva di qualsiasi intonazione. Le costava parecchio quella conversazione. Non era da lei fare il primo passo e provare ad avere un confronto. Non stava ammettendo di avere sbagliato, perché in cuor suo lei sapeva di avere ancora ragione. Ma stava concedendo un pizzico di apertura nei suoi confronti, le stava concedendo il beneficio del dubbio, almeno per il momento.
“Sì, e quindi?” rispose Irene subito sulla difensiva. Era abituata alle battute e alle offese della signora Agnese ed era certa ci fosse un secondo fine dietro quel suo tentativo di parlarle da parte.
“E quindi ti volevo…” disse Agnese, cercando di trovare il modo di ringraziarla per esserci stata per lui. Ma non riuscì a mettere da parte l’orgoglio. “Ti volevo chiedere come stava” le spiegò infine.
“Ah, beh… sta meglio” rispose Irene, incrociando le braccia al petto nella tipica posizione di chiusura. “Zoppica ancora un po’, ma dice che gli fa già meno male. Tra qualche giorno tornerà come nuovo, come diceva il signor Ferraris” aggiunse, facendo per andarsene. Era stanca, aveva voglia di buttarsi sul letto e dormire due giorni interi. E forse, se si fosse trovata di umore ben disposto, avrebbe persino parlato a Stefania di quella serata. I suoi consigli le avrebbero fatto bene.
“Signorina Cipriani” Agnese la richiamò dopo qualche passo. “Irene” si corresse poco dopo. “Ti ringrazio di aver badato a lui. Sono sicura che ci ha fatto molto piacere non restare da solo” le concedette infine con un gesto della testa che sanciva la tregua avvenuta. Non sapeva ancora come sarebbero andate le cose tra tutti loro, o se Rocco sarebbe tornato a casa così presto, ma per amor suo Agnese aveva deciso di darle una possibilità. Avevano ancora parecchia strada da fare: forse lei e Irene erano due rette destinate a non incontrarsi mai, o forse un giorno avrebbero trovato il modo di ricongiungersi, trovando in Rocco l’elemento che metteva d’accordo entrambe. Quello era tuttavia il primo mattoncino che gettava le fondamenta del loro rapporto. Non avrebbe mai rivelato a nessuno che in realtà era stato proprio Armando a convincerla. Le parole di Stefania e Maria le avevano dato l’ulteriore spinta di cui aveva bisogno, ma era stata lui la miccia, era stata la sua convinzione a darle fiducia. Armando voleva il meglio per Rocco e se lui credeva davvero che quella ragazza potesse esserlo, se si fidava talmente tanto di lei, forse avrebbe potuto fare questo sforzo anche Agnese. Intanto avrebbe continuato a guardarla a vista. In fondo era molto più di quanto avesse concesso a Elena o chiunque altro. 

  
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