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Autore: Parmandil    30/07/2021    0 recensioni
Sauron il Maia fu corrotto da Melkor nel principio dei giorni. Divenne il più potente dei suoi servitori, nonché il più pericoloso, in quanto poteva assumere molte forme e ingannare chiunque, tranne i più avveduti. Così dice il Silmarillion. Ma come andarono esattamente le cose? Quali sono le origini del secondo Signore Oscuro? Quali i suoi segreti, gelosamente custoditi?
Preparatevi a un viaggio epico che inizia nella Primavera di Arda, quando le terre emerse giacciono nel giorno perenne di Illuin e Ormal, i Lumi dei Valar, e le Potenze si aggirano visibili nel mondo. È in quest’epoca di sogno che Mairon l’Ammirevole viene traviato da Melkor, imboccando quel cammino di tradimento e distruzione che lo trasformerà in Sauron l’Aborrito. La sua scelta sancirà la rovina del mondo antico e spezzerà il cuore agli altri Maiar, che dovranno affrontarlo in battaglia. Dal cataclisma dei Lumi alla Guerra dei Poteri, dal suggestivo Risveglio degli Uomini fino all’apocalittica Guerra d’Ira, ecco a voi la storia di Mairon/Sauron, di Ëonwë l’araldo, di Ilmarë la lucente, di Thuringwethil la vampira e di molti altri spiriti, coinvolti nell’eterna lotta tra Luce e Ombra.
Genere: Drammatico, Fantasy, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ancalagon, Melkor, Sauron, Thuringwethil, Valar
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo, Violenza
Capitoli:
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La Primavera perduta

 

 

-Prologo:

 

   Fu nell’infanzia di Arda che si consumò la Prima Guerra tra i Valar – le Potenze ordinatrici – e Melkor, l’Oscuro Signore del caos e della distruzione. E per molto tempo sembrò che la vittoria dovesse arridere a quest’ultimo, perché le terre erano aride e desolate. Ma già i primi germi di vita covavano nei mari, protetti da Ulmo. Le prime forme di vita erano così microscopiche che Melkor non le notò nemmeno; ma erano tenaci e resistenti. Così, lentamente e quasi in sordina, la vita si diffuse nei mari, nutrendosi della luce solare, del calore che filtrava dai fondali e del respiro tossico dei vulcani. E in cambio cominciò a produrre il prezioso ossigeno. Nel vedere i mari e il cielo farsi sempre più azzurri, Melkor schiumò di rabbia. Scatenò terremoti ed eruzioni vulcaniche, ma ciò non bastò a distruggere quelle forme di vita ancestrali. Anzi, ottenne solo di selezionare le più resistenti, accelerandone l’evoluzione. Proprio come gli aveva detto Eru Ilúvatar nelle Aule Atemporali, prima di creare il Mondo: «Nessun tema può essere eseguito, che non abbia la sua più remota fonte in me; e nessuno può alterare la Musica a mio dispetto. Poiché colui che vi si provi non farà che comprovare di essere mio strumento»[1].

   Ma questo Melkor non volle mai accettarlo. E purtroppo gli eventi successivi fecero vacillare gli stessi Valar, perché sembrava che davvero il Ribelle ostacolasse in eterno i loro disegni e con essi il volere d’Ilúvatar. Non appena la vita si fece più grande e complessa, divenne anche più vulnerabile. Melkor ebbe gioco facile a spazzarla via con eruzioni vulcaniche, piogge di meteoriti e bruschi sbalzi climatici. Più volte la vita fu quasi annientata; ma ogni volta sopravvivevano abbastanza kelvar e olvar[2] da permettere un nuovo inizio. E ogni volta l’evoluzione, saggiamente governata dai Valar, escogitava forme nuove e sorprendenti. Creature sempre più evolute e reattive prendevano il posto di quelle estinte, equipaggiate con nuovi strumenti per l’attacco e la difesa, nonché comportamenti più raffinati.

   Nacquero così occhi, pinne e una corda dorsale che divenne la lisca; si aggiunsero mandibole sempre più poderose e in taluni casi una corazza esterna. Ai molli invertebrati delle Ere più antiche si erano affiancati i pesci. Quando Melkor prosciugò le lagune in cui molti di questi pesci vivevano, alcuni di essi svilupparono polmoni per sopravvivere in mancanza d’acqua. Divennero anfibi, e con gli insetti iniziarono la colonizzazione delle terre emerse. Grandi foreste primordiali tinsero il mondo di verde, governate da Yavanna, la Regina della Terra. In quel tempo i Valar si dilettarono a far crescere gli aracnidi, gli insetti e i vermi fino a dimensioni che in seguito non furono mai più eguagliate. Ma il tempo scorreva e anche l’era carbonifera giunse al termine.

   Nuove specie si affermarono, colonizzando l’entroterra. Erano rettili, ormai; la loro pelle spessa e scagliosa e le loro uova dal guscio duro consentivano molta più autonomia dall’acqua. Alcuni si diversificarono ulteriormente: il cervello s’ingrandiva, il corpo imparava a produrre il calore da sé anziché riceverlo passivamente dal Sole. Vedendo le creature farsi sempre più scaltre e sofisticate, Melkor rinnovò i suoi assalti. E stavolta fu guerra aperta contro i Valar, fino all’ultimo respiro. Perché Melkor non era solo: molti dei Maiar – gli spiriti minori – che già avevano seguito i suoi temi dissonanti nella Musica primordiale, si erano schierati dalla sua. Nelle prime ere se n’erano stati spesso torpidi, sparpagliati per la Terra in tumulto; ma ora Melkor li aveva radunati, traendone un esercito di demoni. Terremoti ed eruzioni vulcaniche tornarono a squassare il mondo senza pace; le piante arsero, le bestie perirono. Ancora una volta le fatiche dei Valar rischiarono d’essere vanificate.

   In quell’ora di estremo bisogno, il soccorso giunse da oltre i confini di Arda. Perché non tutti gli Ainur avevano accolto l’invito di Ilúvatar a entrare nel Mondo, conoscendo il prezzo da pagare: che la loro potenza fosse contenuta e limitata in esso, fino al termine della sua esistenza. Piuttosto che confinarsi nel Piccolo Regno, come lo chiamavano, molti avevano preferito restare nelle Aule Atemporali con Ilúvatar. Dopotutto era quello il loro luogo d’origine; lì avevano dimorato fin dall’inizio, da quando il Creatore li aveva tratti dalla propria mente. Perché legarsi alla materia del Mondo, quando potevano restare con Ilúvatar, godendo della Sua luce e sapienza? Attorno a Lui potevano ancora radunarsi e intonare canti, sebbene nessuna musica potesse più eguagliare l’Ainulindalë, dopo la partenza di tanti dei loro. Ma in quelle regioni di puro spirito, gli Ainur potevano pur sempre percepire i clamori e i lamenti del Piccolo Regno. E nell’udire l’ennesima battaglia, che minacciava di vanificare gli sforzi dei suoi fratelli incarnati, uno degli Ainur non seppe più resistere. Ultimo della sua stirpe, si congedò da Ilúvatar e scese nel mondo. Qui assunse forma fisica, come i suoi fratelli avevano già fatto da tempo. E poiché era uno dei Valar, la più alta gerarchia di Ainur, fu una forma possente.

   Fu così che Tulkas, il Lottatore, si gettò nella mischia. Non essendo ancora state inventate armi, egli combatté a mani nude, rivelandosi il più vigoroso di tutti i Valar. I suoi tremendi colpi aprirono crateri e valli montane. La sua collera scatenò venti impetuosi, che spazzarono tenebre e nubi davanti a lui. La sua risata sovrastò il boato dei vulcani e i gemiti della terra. Davanti a quell’assalto inaspettato, i demoni si dispersero come foglie al vento. Allora Melkor stesso ebbe paura e volse in fuga. Inseguito per tutta Arda, non trovò un nascondiglio che gli paresse abbastanza solido. Così non gli restò che abbandonare, per il momento, la sua forma incarnata. Tornò un puro spirito, seppur consumato dall’odio e dalla vergogna per lo smacco subito. In quella forma era imprendibile, ma la luce dei Valar continuava a pungerlo e la risata di Tulkas lo rendeva ancor più furioso. Così Melkor abbandonò Arda, rifugiandosi nelle Tenebre Esterne, e il mondo ebbe finalmente pace.

 

   Ora che la guerra era finita, Tulkas rimase con i suoi fratelli e li aiutò nel difficile compito di rimodellare il mondo e le sue creature, usciti molto provati dall’ultimo scontro. Sette specie su dieci si erano estinte sulla terraferma; e più di nove su dieci nel mare. Malgrado tutti gli sforzi di Yavanna, che ne escogitava sempre di nuove quando non si poteva salvare le vecchie, stavolta servì molto tempo prima che la Terra guarisse dalle ferite.

   Infine risorse una moltitudine di piante, dai piccoli muschi alle torreggianti felci arboree. Nuove bestie colonizzarono gli ambienti: correvano nelle pianure, si abbeveravano a fiumi e laghi, si aggiravano nelle ombre delle foreste. Per la maggior parte erano rettili, che tornavano a diffondersi ancor più di prima. Alcuni continuarono a evolversi: presero ad allattare i loro cuccioli e infine a partorirli, senza più deporre le uova. Erano nati i mammiferi. Ma non c’erano ancora i fiori ad abbellire le foreste, né gli uccelli a solcare il cielo; e non c’erano nemmeno i Figli d’Ilúvatar, sebbene il loro avvento fosse profetizzato.

   Dovendo riplasmare il Mondo, i Valar tentarono per l’ultima volta di realizzare la splendida visione che avevano cantato nell’antica Musica. Con grande sforzo, radunarono le terre emerse in un’unica massa, che in ere più tarde gli Uomini avrebbero chiamato Pangea. Ci fu così un solo continente e un unico, immenso oceano. I Valar cercarono di appianarne le asperità, ma le forze geologiche messe in moto per riunire le masse continentali erano potenti: non poterono impedire la formazione di parecchie catene montuose. La più aspra formava un vasto semicerchio al Nord, separando le terre verdi dai deserti di ghiaccio. Erano rilievi vulcanici, ancora giovani e fiammeggianti; più tardi furono detti Ered Engrin, i Monti di Ferro.

   Le altre catene montuose furono più regolari e simmetriche, grazie agli sforzi dei Valar. Erano quattro in tutto, due nell’emisfero boreale e due in quello australe. Le due nordiche partivano dai Monti di Ferro e si snodavano dritte verso Sud: erano gli Ered Luin (Monti Azzurri) a occidente e gli Orocarni (Monti Rossi) a oriente. Quanto alle Montagne Nebbiose, che nelle Ere successive avrebbero costituito una formidabile barriera per gli spostamenti, non si erano ancora sollevate. Nell’emisfero meridionale c’erano le altre due catene montuose, in pratica dei prolungamenti di quelle settentrionali, fatta salva la zona pianeggiante fra i tropici. Così i Monti Grigi sorgevano a occidente e i Monti Gialli a oriente, delineando con gli omologhi settentrionali una sorta di grande rettangolo.

   Questo modellamento delle forme di Arda fu dovuto in massima parte ad Aulë, il Signore delle Rocce e dei Metalli, che più tardi fu detto il Fabbro dei Valar. Avrebbe dovuto essere Melkor a occuparsene, se non si fosse volto al male. Pur possedendo in parte i poteri di tutti i suoi fratelli, infatti, Melkor era votato soprattutto al dominio della materia solida. Ma poiché le cose erano andate altrimenti, l’immane compito ricadeva interamente sulle spalle di Aulë. Mai, in seguito, Aulë dovette faticare quanto aveva fatto nelle Ere primordiali. Per sua fortuna poté contare sull’aiuto di Tulkas, sempre pronto a prestare la sua gran forza, e su molti Maiar che condividevano il potere su rocce e metalli. Tra questi vi erano alcuni tra i Maiar più forti, di poco inferiori ai Valar stessi. Il più grande era Mairon, il cui nome significava Ammirevole, perché tutti lodavano il suo ingegno e le sue opere.

   S’è detto che le quattro catene montuose delimitavano una grande pianura rettangolare. Questo entroterra, così lontano dal mare e circondato da rilievi che bloccavano i venti, rischiava di desertificarsi. I Valar indirizzarono quindi il corso dei fiumi verso il centro, dove essi confluirono nel Grande Lago. Era la più vasta distesa d’acqua dolce del mondo, ma era poco profondo; la sua forma ovale lo faceva somigliare a un immenso occhio. E la pupilla dell’occhio era un’isola circolare, che i Valar trassero dal fondale. La chiamarono Almaren, cioè Dimora Beata, poiché la elessero loro casa.

   Fino ad allora, infatti, gli Ainur non avevano avuto fissa dimora: andavano ovunque servisse la loro opera, da soli o in piccoli gruppi. In genere ogni Vala era circondato da un corteo di Maiar suoi aiutanti, scelti tra gli spiriti a lui più affini. Gli spostamenti, anche di grande portata, non erano difficili: tutti gli Ainur potevano tornare allo stato di puro spirito, muovendosi da un capo all’altro di Arda quasi istantaneamente. Ma col trascorrere delle Ere, i Maiar e persino i Valar si accorsero che ciò diventava sempre più difficile. Che fosse per l’abitudine ad abitare un corpo solido, o per i poteri profusi nel modellare la Terra, fatto sta che erano sempre più impastoiati nella materia. Per gli spostamenti cominciarono quindi a cambiare forma, mantenendosi però incarnati: scendevano negli abissi marini come grandi pesci, correvano nelle pianure come rettili bipedi o quadrupedi, s’innalzavano nell’aria come rettili alati. Giunti a destinazione, riprendevano la forma umanoide più consueta, che avevano elaborato basandosi sui ricordi della Visione con cui Ilúvatar aveva mostrato i propri Figli. Ma anche queste trasformazioni erano diventate più gravose, col tempo. E avendo osservato che gli animali avevano spesso una tana a cui ritornare, i Valar decisero che anche loro meritavano di avere finalmente una dimora stabile.

   Furono Manwë e Varda, sovrani dei Valar, a volere che Almaren sorgesse al centro delle terre emerse, così che non ci fossero luoghi privilegiati e altri svantaggiati. Al loro avvento, i Figli d’Ilúvatar sarebbero vissuti equidistanti dagli Ainur, beneficiando in parti uguali dei loro doni e della loro sapienza. Questo fu il primo proposito dei Valar, benché gli eventi successivi lo guastassero irrimediabilmente.

   Melkor, infatti, rimuginava nella Tenebra Esterna. Non aveva dimenticato Arda, né la sconfitta subita per mano dei suoi simili. Vedendo che sotto la loro guida il Mondo rifioriva, egli fu preso dalla smania di rovinarlo; ma non di distruggerlo completamente, perché sognava ancora di dominarlo. Per questo osò compiere un’impresa che condizionò per sempre il destino di Arda e dei suoi popoli, sebbene lui stesso ancora non lo prevedesse interamente. Ricorrendo a tutti i suoi poteri, bloccò la rotazione terrestre, di modo che le terre emerse restassero prigioniere di una notte perpetua. Ora non gli restava che osservare dall’alto la morte delle piante, private della luce, e infine quella degli animali.

   Sgomenti per l’interminabile oscurità, i Valar inviarono il loro messaggero Eönwë a trattare con Melkor. Non ci furono parole, fra i due; non potevano essercene, nello spazio privo d’aria. Comunicarono trasmettendosi i pensieri, come facevano anticamente, quando dimoravano con Ilúvatar.

   «In nome di Manwë Signore dell’Aria, di Varda Regina delle Stelle e di tutti quanti i Valar, te lo comando: restituisci al Mondo la sua luce!» intimò Eönwë.

   «Che c’è, avete forse paura del buio?». Il pensiero di Melkor fluì come una fredda risata. «Ma sì, potrei prendere in considerazione la vostra richiesta, da signore misericordioso quale io sono. Alle mie condizioni, sia ben chiaro. Primo: che mio fratello Manwë si sottometta e mi restituisca il governo di Arda, da lui ingiustamente usurpato. Secondo: che Tulkas sia esiliato nella Tenebra al posto mio. Terzo: che Varda sia la mia regina. Oppure Arien: quella piccola Maia è molto stuzzicante. Quasi quasi potrei prendermele entrambe...» aggiunse l’Oscuro Signore, beffardo.

   «Resta nel tuo regno di vuoto e di tenebre» tagliò corto Eönwë. «Non riuscirai mai a spegnere la luce del Mondo». Si ritrasse e tornò verso Arda, disgustato.

   «Vedremo» ripose Melkor.

 

   Eönwë annunciò a Valar e Maiar, radunati ad Almaren nel buio, che l’avversario non intendeva cedere e anzi si faceva beffe di loro.

   «E così se la ride? Ma piangerà, quel maledetto, quando l’avrò tra le mani!» ringhiò Tulkas, facendo scrocchiare le nocche.

   «Non avresti nulla da stringere» rispose cupamente Oromë, l’altro Vala guerriero. «Per adesso si aggira nelle vacuità dello spazio come spirito incorporeo, e lo resterà finché ne avrà voglia. Cioè finché tutta la vita creata da Yavanna sarà avvizzita».

   «No!» gemette la Regina della Terra. «Vi prego, non lasciate che Melkor distrugga un’altra volta le mie opere! Fate qualcosa!». Si rivolse al marito Aulë: «Non puoi imporre alla Terra di riprendere la sua rotazione? Magari con l’aiuto dei Signori del Cielo...» aggiunse, lanciando un’occhiata speranzosa a Manwë e Varda.

   «Ahimè, lo sai che i miei poteri non uguagliano quelli di Melkor» sospirò Aulë. «Ho spostato i continenti, ho sollevato isole, ho scolpito montagne; ma non oso smuovere il pianeta. Un piccolo errore ed esso si rovescerebbe dal suo asse, o uscirebbe dall’orbita; sarebbe la rovina totale».

   «Io stesso esito a ingaggiare Melkor in una simile battaglia, che rischia d’annientare Arda» disse Manwë tristemente. «Forse verrà il giorno in cui ripristineremo la rotazione terrestre; ma dovranno trascorrere ancora molte Ere d’oscurità».

   «Allora Melkor ha vinto?!» chiese incredula Vána, sorella minore di Yavanna.

   «No; Melkor non può vincere» rispose Varda con decisione. Di tutti gli Ainur, lei sola aveva conservato pura la Luce primigenia d’Ilúvatar, che splendeva ancora sul suo volto e in tutta la sua persona. Ora che dilagavano le tenebre, quella luce divina fluiva da lei, filtrando attraverso le sue vesti, tanto da rischiarare l’adunata.

   «Come intendi agire, Signora della Luce?» chiese Ulmo, che aveva abbandonato l’usuale dimora negli abissi per partecipare al dibattito.

   «Darò al Mondo due nuovi lumi, che Melkor non possa eclissare» decise Varda. «Due Lumi che splenderanno sulle terre emerse, creando un giorno immutabile. La cieca notte sarà bandita per sempre».

   Quest’annuncio creò stupore e meraviglia tra gli Ainur, ma anche una certa perplessità. «Siete certa, mia regina, di voler bandire il riposo notturno?» chiese Irmo, il Maestro delle Visioni e dei Sogni. «Come dormiranno gli animali? E come riposeranno i Figli d’Ilúvatar, quando verrà il loro tempo?».

   «Ci saranno sempre angoli ombrosi sotto gli alberi, nelle caverne o nelle dimore che i Figli edificheranno» rispose Varda. «Non è una decisione che prendo a cuor leggero, io che amo sopra ogni cosa la bianca luce delle stelle. Ma sento che Melkor vuole pervertire la vita di Arda. La gran luce respingerà lui e i suoi demoni, impedendogli di spadroneggiare sulla Terra».

   «Ma dove sorgeranno questi Lumi, e come saranno fatti?» chiese Estë, Signora del Riposo e della Guarigione, che condivideva le perplessità del marito Irmo.

   «Data la forma delle terre emerse, per illuminarle il più possibile dovremo porre i Lumi nella Pianura Centrale» rispose Varda. «Saranno uno a nord e l’altro a sud del Grande Lago, così che le loro luci si mescolino proprio qui dove sorge la nostra beneamata isola» stabilì. «E saranno alti; più alti di qualunque montagna passata o futura. Così la loro luce oltrepasserà i monti, anche se alle loro pendici si creeranno ugualmente angoli ombrosi, fonte di riposo» aggiunse, per accontentare Irmo ed Estë.

   «Dunque stiamo parlando di pilastri» intervenne Aulë, eccitato all’idea di una nuova opera. «Sì... credo di poterli innalzare. Vedrete, saranno una bellezza: la loro cima sovrasterà le nubi, si spingerà fino a Ilmen, dove l’aria è più rarefatta. Ma per quanto riguarda la fonte di luce in sommità...» esitò.

   «Quella sarà compito mio» disse Varda con decisione. I suoi occhi mandarono uno sfavillio così intenso che pochi persino tra gli Ainur riuscirono a reggerlo.

 

   I due pilastri furono innalzati nella zona centrale della Pianura, equidistanti dalle catene montuose. I Valar, infatti, si preoccupavano ancora della simmetria di Arda e volevano accertarsi che la luce giungesse ovunque. Un pilastro sorgeva a nord del Grande Lago e l’altro a sud, ben distanziati in modo da illuminare tutta la piana e in particolare Almaren. Erano di durissimo granito bianco, meravigliosamente scolpito da Aulë come immani colonne; ma ai loro piedi furono ammassati grandi ghiacciai, per riflettere e diffondere la luce che doveva sfavillare in cima. Come stabilito dai Valar, l’altezza di queste opere superò ampiamente ogni altro rilievo di Arda. I pilastri svettavano ben oltre le nebbie e le nubi, fino alla regione di Ilmen, dove l’aria più pura e rarefatta svapora verso il vuoto esterno.

   Sulla sommità dei pilastri, incastonate nella roccia, furono poste le Lanterne vere e proprie. Erano immensi globi di cristallo trasparente e cavo, che furono colmati di... luce. Fu Varda a crearla, facendola sgorgare dalle proprie mani, mentre intonava il più bel canto che mai si udì entro Arda, il più vicino alla Musica delle origini. Ma né gli Elfi (che mai videro i Lumi), né i Maiar, e nemmeno gli altri Valar seppero mai di che si trattasse esattamente. Fatto sta che le Lanterne erano colme di un fluido luminosissimo, più leggero e impalpabile dell’acqua, ma più denso di un gas. Ed era più caldo che fiamma, tanto da apparire ribollente: il cristallo delle lanterne ne fu reso incandescente.

   Manwë consacrò ambo i Lumi, rendendo la loro luce ancor più viva e potente. «Questa Luce» disse, «è figlia della Luce d’Ilúvatar, che precedette la Caduta. Qui risiede ogni arte, ogni intelletto, ogni creatività; ed è cosa molto buona e giusta».

   La luce, però, non era uguale nei due Lumi: nell’atto creativo Varda l’aveva scissa in due sfumature. I fluidi furono immediatamente separati dalle sue ancelle, Ilmarë e Arien, cosicché nemmeno una goccia andò mischiata né perduta. Avvenne così che il Lume settentrionale brillò di luce bianco-azzurra e per questo fu detto Illuin, “Cielo Azzurro”. Quello meridionale diffuse invece una luminosità aurea e perciò fu detto Ormal, “Alto Oro”.

 

   Non appena i Lumi iniziarono a brillare, spazzando via la lunga notte, tutta la natura ebbe un fremito. Le piante rinsecchite sussultarono e buttarono nuove, tenere gemme, che si schiusero a vista d’occhio. Le felci arboree, le conifere e le prime latifoglie divennero allora più alte e rigogliose che in ogni altra epoca. Gli alberi più belli in assoluto sorsero nei pressi dei Lumi, facendo loro da verde corona; ma nonostante la stazza prodigiosa, non erano che spilli a paragone degli immani pilastri.

   In quella natura rigogliosa, anche gli animali uscirono dal letargo, ricominciando a crescere e moltiplicarsi. Certi rettili raggiunsero in quell’era dimensioni stupefacenti, mai più eguagliate dalle creature terrestri. E attorno a loro era tutto un rincorrersi di creature grandi o piccole, forti o agili. Molti erbivori svilupparono lunghi corni e vistose creste ossee, oppure dure corazze dorsali e poderose mazze d’osso in fondo alla coda. Ne avevano bisogno per difendersi dai predatori, anch’essi sempre più grandi. E sebbene alcuni Maiar fossero inquietati dalla ferocia dei grandi carnivori dai denti aguzzi, Manwë spiegò che anch’essi rientravano nel grande ciclo della natura.

   L’Era dei Rettili, comunque, non fu dominata solo ed esclusivamente da queste creature. I piccoli mammiferi si tenevano ancora in disparte, ma in compenso nuove forme andarono evolvendosi: becchi, penne, ali. I primi uccelli planarono dagli alberi, lanciando alte strida, e infine contesero i cieli ai rettili alati più antichi. Nel sottobosco, intanto, comparvero i primi fiorellini, ancora piccoli e pallidi. Le loro foglioline biancastre, ma soprattutto il loro profumo, attirarono molti insetti ronzanti, che si cibarono del loro nettare e li impollinarono: era nata una simbiosi destinata a durare nelle Ere.

 

   Per quanto la natura fosse ovunque rigogliosa, in nessun luogo era più ricca che nelle regioni centrali di Arda, dove la luce dei Lumi si amalgamava. Lì il Grande Lago scintillava come argento liquido e i suoi fondali rilucevano di perle. L’isola di Almaren sorgeva dall’acqua come un verde smeraldo. Su di essa i predatori erano banditi e tutte le creature vivevano in pace.

   Ma gli Ainur non avevano ancora concluso le loro fatiche. Anzi, la rinnovata luce diede loro nuovo slancio creativo. Così Almaren, che era già un giardino paradisiaco, divenne anche un cantiere in cui gli Immortali innalzavano le loro dimore, progettate per l’eternità. Aulë e i suoi aiutanti edificarono grandi palazzi di marmo candido. Dalle rocce trassero altresì i metalli, in particolare l’oro e l’argento, che con la loro lucentezza deliziavano gli Ainur. Sorsero così regge marmoree dalle molte torri, con cupole rivestite d’argento e oro. Le loro pareti erano incrostate di gemme preziose, cristalli e perle, oltre che decorate da bassorilievi e affreschi, specialmente attorno ai grandi portali e alle finestre. Questi primi capolavori dell’arte mostravano non solo la lunga lotta contro Melkor e le fatiche che avevano reso la Terra un giardino di delizie, ma anche molti eventi che dovevano ancora verificarsi. Tra i Valar, infatti, ve n’erano due che avevano il dono della profezia: Námo e Vairë, signori della Morte e del Destino. Le profezie di Námo furono così tradotte su pietra, legno o altri supporti da Aulë, mentre Vairë cominciò ad abbellire gli interni con i suoi arazzi. Gli Ainur stessi indossarono abiti sempre più sontuosi, facendone un segno di decoro e un modo per esprimere ancor meglio la loro personalità.

   Intanto continuavano a fervere i lavori. Mentre il resto del mondo era dominato dalla natura incontaminata, ad Almaren sorsero monumenti rivestiti di metalli preziosi, che riflettevano i Lumi in toni così accecanti che solo gli occhi degli Immortali potevano tollerarli. Le strade e le scalinate marmoree scintillavano, essendo cosparse di polvere di diamanti, che faceva scintillare le vesti degli Ainur e i loro calzari. Grandi fontane di cristallo creavano complessi giochi d’acqua: gli spruzzi raggiungevano l’altezza dei palazzi e ricadevano poi su alberi e aiuole. La musica dell’acqua si fondeva a quella del vento tra le fronde. E tutte queste cose – l’acqua, il cristallo, le gemme, le perle, l’oro e l’argento – rifrangevano e moltiplicavano vicendevolmente la propria luminosità.

   La gioia degli Ainur cresceva di giorno in giorno, perché le loro dimore si facevano sempre più belle e tutto il mondo circostante era un giardino in fiore. Sentivano approssimarsi la fine delle loro fatiche, quando avrebbero potuto riposarsi tra le delizie che avevano creato. E non vedevano l’ora che giungessero i Figli d’Ilúvatar, per condividere tale felicità con loro. Ma se avessero riflettuto meglio sulle profezie di Námo, avrebbero compreso che la lotta con l’Oscurità non era affatto terminata... anzi, sotto molti aspetti era appena agli inizi.

 

 

-Commento:

   Questo mio racconto s’ispira ai capitoli iniziali del Silmarillion, incentrati sulla lotta di Valar e Maiar contro il ribelle Melkor. Siamo agli albori di Arda, quando terre e mari sono simmetrici e Almaren, il regno paradisiaco dei Valar, è al centro di tutto. In seguito tale simmetria viene guastata: i Valar emigrano nella terra occidentale di Valinor. Tutta la successiva storia di Arda è un lento, struggente allontanarsi di Valinor dalle terre mortali: i monti Pelóri, i Mari Ombrosi, le Isole Incantate, i ghiacci dell’Helcaraxë sono barriere fisiche sempre più insormontabili. I Valar si trincerano nel loro regno e in un certo senso abdicano alla missione di governare il Mondo. Difatti la narrazione li abbandona per concentrarsi su esseri sempre più umili: gli Elfi, gli Uomini (con la parentesi di Númenor) e infine gli Hobbit. Alla fine della Seconda Era, il mondo cambia addirittura forma: le Terre Imperiture sono portate «oltre le Sfere del Mondo», dove solo le navi elfiche possono recarsi, percorrendo la “Via Diritta”. Noi poveri mortali siamo invece condannati a percorrere il Mondo Incurvato fino a circumnavigarlo. La Terra, ahinoi, è una sfera da cui non possiamo più fuggire. Ma non è sempre stato così, ci dice Tolkien...

   Uno degli aspetti più intriganti del Silmarillion è proprio l’impianto geocentrico. In onore alle antiche mitologie, la Terra è inizialmente piatta e immobile. Il Sole e la Luna (che appaiono solo a narrazione inoltrata) sono piccoli e le girano attorno. La Terra diventa sferica solo dopo che i Númenoreani tentano d’invadere Valinor, nell’errata convinzione di conquistarsi l’immortalità.

   S’è detto che Sole e Luna arrivano tardi. Essi sono infatti l’ultimo frutto dorato di Laurelin e l’ultimo fiore argenteo di Telperion, i Due Alberi che illuminavano Valinor, mentre il resto del Mondo era debolmente rischiarato dalle stelle. Da questi Alberi miracolosi derivano anche i tre Silmaril, i gioielli per cui Elfi e Uomini guerreggiano contro l’Oscuro Signore. Persino l’Albero Bianco di Gondor e la Fiala di Galadriel ne sono lontani “eredi”.

   Ma la cosa più interessante è che nemmeno Telperion e Laurelin sono le prime fonti di luce del Mondo. In origine c’erano Illuin e Ormal, le due Lamps (tradotto con Lampade nella prima edizione italiana; ma io ho preferito il termine Lumi, che suona meno tecnologico). Il tema della luce e dei suoi progressivi decadimenti è centrale nel Silmarillion. La luce, sempre divisa in argentea e dorata (con una predilezione per la prima), è infatti un vero protagonista dell’opera.

   Tolkien descrisse dettagliatamente i Due Alberi, ma purtroppo non fece mai lo stesso con Illuin e Ormal. Eppure i Lumi sono più antichi, quindi dovrebbero rispecchiare maggiormente i propositi originali dei Valar. In effetti c’è qualche indizio della loro superiorità:

-          Illuin e Ormal illuminavano tutta Arda, mentre Telperion e Laurelin illuminano solo Valinor, essendo assai più piccoli. I Lumi inoltre erano al centro di Arda simmetrica, mentre gli Alberi si trovano nella terra occidentale di Valinor, cinta da montagne così alte da bloccare del tutto la loro luce.

-          Illuin e Ormal erano sempre accesi, mentre gli Alberi si alternano nell’illuminare Valinor, secondo un ciclo di dodici ore; solo nell’ora mediana le loro luci si mescolano. Più tardi, col Sole e la Luna, c’è un ulteriore decadimento: la luce lunare è debole e quindi si crea l’alternanza giorno-notte. Emerge qui l’idea della Storia come “decadenza” dalla condizione originale di grazia, esemplificata dal fatto che c’è sempre meno luce nel mondo.

 

   La mia storia si apre quindi nella Primavera di Arda, un vero “mondo alieno” rispetto alla Terra di Mezzo sfigurata delle ere successive. Nel prologo ho descritto le fasi più arcaiche di Arda, amalgamandole con alcuni elementi della vera preistoria terrestre e suggerendo che le estinzioni di massa siano coincise con gli scontri fra Melkor e i Valar. Ovviamente non c’è modo di far combaciare la cronologia di Arda con quella terrestre, quindi mi sono tenuto un po’ nel mezzo. In particolare ho spesso accennato all’esistenza di “grandi rettili” all’epoca di Almaren, suggerendo che sia da collocare nel Mesozoico, l’età dei dinosauri (ecco quanto sono antichi gli Ainur!).

   Ma gli aspetti cosmologici mi hanno costretto a prendere posizione. L’idea di una terra piatta che “si appallottola” a fine Seconda Era, senza che la crosta terrestre vada in pezzi, è difficile da digerire. Com’è difficile accettare l’impianto geocentrico, col Sole e la Luna che sono piccoli vascelli condotti in cielo da Arien e Tilion. Per quanto sia poetico, ciò cozza irrimediabilmente con l’idea che Arda sia la nostra Terra. Lo stesso Tolkien dovette farci i conti e nei suoi ultimi anni abbozzò una versione alternativa che retrodatava il Sole e la Luna a prima degli Alberi, avvicinandosi quindi alla realtà eliocentrica del sistema solare. Questo però gli creò nuovi problemi, perché un caposaldo della sua mitologia era che la luce di Sole e Luna sia “corrotta” dal male, mentre solo nei Silmaril splende incontaminata la Luce degli Alberi. Nella nuova versione, la luce più antica era quella del Sole, mentre la Luna non emetteva luce propria ed «era stata creata da Melkor come una brutta copia di Arda». La luce solare fu comunque corrotta da Melkor, che in una bozza giunge persino a violentare Arien, la Maia del Sole. La luce pura delle origini sopravvisse negli Alberi e poi nei Silmaril, mentre Illuin e Ormal non erano mai esistiti: si trattava solo di un mito diffuso tra gli Uomini (!).

   Si capisce perché Tolkien non ufficializzò mai questa nuova versione, di cui infatti non c’è traccia nel Silmarillion. Dire che i Lumi erano “solo un mito” apre un vaso di Pandora, perché allora tutto il libro può essere considerato nient’altro che un mito. Cosa che effettivamente è... ma una storia deve favorire la sospensione dell’incredulità nei lettori; non può ammettere d’essere una finzione.

   Nell’approcciarmi a questo paradosso, ho deciso di seguire la vera struttura eliocentrica del sistema solare. La mia conclusione è la seguente: le proporzioni e posizioni di Terra, Luna e Sole corrispondono in linea di massima alla realtà. L’era dei Lumi e quella degli Alberi corrispondono a un periodo in cui Melkor ha bloccato la rotazione terrestre, ponendo Arda in blocco mareale col Sole affinché l’unico continente resti sempre al buio. Ammetto che l’idea ha dei difetti: l’oceano sempre illuminato dal Sole dovrebbe bollire e vaporizzarsi, mentre il continente sempre in ombra dovrebbe congelarsi (a meno che i Lumi emettano anche calore). Su questo punto chiedo ai lettori di chiudere un occhio, in nome della sospensione dell’incredulità che il genere fantasy esige.

 


[1] Cit. dal Silmarillion, Ainulindalë.

[2] Animali e piante.

   
 
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