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Autore: Xeire    02/08/2021    1 recensioni
Un mondo devastato e un ragazzo che ha perso tutto. Un organizzazione ribelle e un giovane capo che deve dimostrare costantemente di essere meritevole del suo posto. Un soldato costretto a nascondere i propri sentimenti. In questa realtà, dove conta solo essere forti per sopravvivere, c'è spazio per l'amore, la fiducia, l'amicizia? Ma, soprattutto, sono stati davvero degli eventi naturali a distruggere l'umanità, oppure, c'è dietro qualcosa di più grande?
Genere: Avventura, Azione, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Quella mattina Julie non aveva proprio voglia di alzarsi.
Si rigirò nel letto -una brandina posta in un angolo della sua cabina- finché non sentì bussare alla porta.
“Julie, sei sveglia?”
Era Matthias: avrebbe riconosciuto la sua voce tra mille altre. Una voce calma, dolce, ma che diventava fredda e distaccata, se necessario.
Matthias era l’unico a chiamarla per nome; tutti gli altri della compagnia si rivolgevano a lei con “Capo”.
La prima volta che le fu rivolto quell’appellativo, Julie si sentì orgogliosa. Era riuscita a creare una comunità di persone, e a tenerla, bene o male in piedi. Aveva fondato la Compagnia.
Sentiva di potersi fidare di tutti e settantatré i ragazzi lì dentro, e sapeva che loro nutrivano in lei lo stesso tipo di fiducia.
Almeno fino a tre giorni prima.
“Posso entrare o vuoi stare nel letto tutto il giorno?”
Julie si scosse dai suoi pensieri e, di controvoglia si alzò e si vestì. La ferita del fallimento della missione di qualche giorno prima era una ferita fresca e dolorosa, che le infliggeva dolore ogni volta che la sua mente rievocava quel ricordo. È colpa tua.
Raccolse i capelli in due trecce alla francese -come le aveva insegnato Marie, la sua tata di quando era piccola- e aprì la porta.
“Finalmente, ce ne hai messo di tempo!”. Matthias sorrise. “Però, hai un aspetto veramente di merda” aggiunse.
Julie si limitò ad un’occhiata torva. Niente parole prima delle 10 del mattino.
“Senti, ti ho svegliata per due motivi. Uno, volevo darti fastidio” disse ridendo “e due, gli altri vogliono fare una riunione. Sai, dobbiamo parlare di ciò che è successo…”
Julie si sentì scuotere da quelle parole. L’assalì, come accadeva da giorni, una forte nausea. È colpa tua. Sono morti per causa tua. “No”
“Come no? Sai che non è stata colpa tua… nessuno lo pensa. Nemmeno quella stronzetta di Anna”
Lei sorrise appena e si sentì tirare la cicatrice sulla guancia. Quanto odiava quella cicatrice.
Anche sua madre la odiava. O odiava lei. Probabilmente tutte e due le cose insieme. Nessuno della compagnia sapeva che quella cicatrice risaliva al prima, quando viveva con sua madre e il compagno di lei a Aix-en-Provence.
Abitavano in una casa grande e luminosa. I divani rossi del salotto erano sempre illuminati dalla luce che filtrava dalle grandi porte-finestre: si creavano angolini di luce in cui il loro gatto amava dormire acciambellato.
Anche la madre di Julie amava stare in salotto. Si sedeva sulla chaix-longue, allungando le gambe flessuose e poggiando la testa sui cuscini. Aveva sempre libri o riviste in mano ed ogni volta era così assorta che niente, nemmeno sua figlia, poteva distrarla.
Bonjour, maman” disse una volta, entrando in casa. Lei non alzò nemmeno la testa dal libro. Non diede segno di averla vista.
Matthias le toccò piano una spalla. Sapeva benissimo che non le piaceva il contatto fisico.
“Andiamo, Jules. Io so che ce la puoi fare. Se qualcuno oserà accusarti o rivolgersi male a te..”
“Saprò rimetterlo in riga” concluse lei.
Si incamminarono lungo lo stretto corridoio di metallo; Julie lo aveva percorso migliaia di volte e ne conosceva a memoria ogni dettaglio -l’odore forte di vernice e di polvere, i suoni che producevano i loro passi-. Giunsero nella sala circolare, piena di poltrone, pouf e tavoli. In quel momento era semi deserta: molti dormivano ancora e gli altri la aspettavano nella sala dove, di solito, facevano le riunioni.
Era anche questa con pareti di metallo e aveva al centro un grande tavolo rettangolare, anche questo -che sorpresa- in metallo. Tutte le sedie erano occupate, tranne quella a capotavola e l’altra alla sua destra: per il capo e il suo luogotenente.
Julie e Matthias si sedettero. La ragazza si sentiva osservata da tutti e dieci i presenti: volti torvi, volti sfigurati, volti giovanissimi, volti speranzosi. Guardavano tutti il loro Capo.
Si concesse qualche secondo per ricomporsi e rimanere calma: la debolezza, qua, non era tollerata. Doveva essere forte, sempre, in ogni momento. Doveva costantemente prendere una posizione, anche se questo voleva dire decretare la morte di qualcuno. Julie inspirò profondamente e si alzò per parlare.
“Buon giorno a tutti, ragazzi”. Ebbe un coro di “buongiorno, capo” come risposta.
“Allora, direi di iniziare con il punto della situazione di questa settimana”. Julie si sforzò di mantenere la voce calma e decisa, come se la tragedia di tre giorni fa fosse una sbavatura su un foglio, da poter cancellare con la gomma. Lei sapeva che non era così e, più andando avanti a parlare si avvicinava all’argomento, più aveva l’impressione che il pavimento le si aprisse sotto i piedi. Sentiva dei rivoli di sudore scorrerle giù per la schiena; almeno nessuno li avrebbe visti.
Parlò dei progressi dell’orto di Alice e Bianca, due ragazzine di quindici anni che stavano facendo un ottimo lavoro: avevano fatto crescere patate, pomodori, insalata e carote, per adesso. Elogiò Joseph per il suo lavoro con i pannelli solari: grazie a quelli potevano coltivare le verdure. Dopotutto, si trovavano sottoterra. Ricordò a tutti i nuovi turni di guardia e si complimentò con Igor per l’ottimo lavoro fatto all’addestramento con i nuovi arrivati.
Mentre parlava con la schiena dritta e lo sguardo sicuro davanti a sé anche se si sentiva morire dentro, Matthias la guardava sicuro, come se non avesse motivo per dubitare di lei, mai.
“Passiamo ai fatti di martedì” e lo disse come se stesse annunciando le previsioni del tempo: con un tono piatto e distaccato. Avrebbe voluto piangere, ma non poteva. “La missione è stata un fallimento, di cui mi assumo la piena responsabilità. La perdita di Cassie, Aldo e Johanna è stata una tragedia. Erano dei soldati leali, giusti e forti. Ma sapevano a cosa stessero andando incontro; le missioni non sono mai sicure, perciò ho mandato loro. Perché erano i migliori”. Julie riuscì a dire tutto questo senza che la voce le si spezzasse e le morisse in gola. Trasse di nuovo un respiro profondo e continuò: ”Era una missione di vitale importanza. I nostri compagni hanno individuato la zona precisa in cui si trova in quartier generale delle Ali. Se prima sapevamo che si trovava a Milano, adesso, grazie al loro sacrificio, siamo a conoscenza della sua precisa ubicazione”.
“Mi dispiace, ma un indirizzo non riporterà indietro mio fratello.”
Julie sapeva chi aveva parlato ancora prima di guardare: Anna.
Se c’era una persona che non le andava a genio era proprio quella pettegola, saccente e invadente gallina.
A Julie dispiaceva, ovviamente, per suo fratello, Aldo. Era una persona umile e gentile, sempre disponibile e pronto a farsi avanti per il bene della compagnia: l’opposto di Anna.
“Lo so, Anna. Credimi: dispiace anche a me. Tuo fratello era una persona eccezionale e, senza di lui questo piano non si sarebbe potuto attuare”
Anna si alzò in piedi e batté i pugni sul tavolo, gridando:” TU LI HAI MANDATI A MORIRE! I favorevoli alla missione erano in minoranza, ma tu li hai mandati lo stesso, in un territorio sconosciuto, a farsi ammazzare! E tutto per un cazzo di indirizzo!”
A Julie quelle parole fecero male. Malissimo. Perché Anna aveva ragione. Durante la votazione erano 6 i contrari e 4 i favorevoli. La missione non si sarebbe fatta e non si sarebbe dovuta fare.
Ma le sembrò un’ottima idea. Finalmente avevano ricevuto una soffiata sul luogo in cui poteva trovarsi il quartier generale delle Ali; loro sarebbero solamente andati a verificare se era vero. Dovevano tracciare una mappa, segnando entrate e passaggi nascosti, numero di guardie a ogni ingresso e gli orari di cambio turno. Non dovevano fare altro, solo questo. A Julie sembrò una missione molto facile e diede un’autorizzazione speciale, codice Rosso: il Capo era l’unico che poteva scavalcare le decisioni prese con le votazioni all’assemblea, ma solo in caso di comprovata emergenza o per motivi “speciali”, come lo era stato quello. Era un’occasione unica, così lei ordinò loro di partire comunque, ma non fecero più ritorno.
Le Ali, in qualche modo, sapevano che una squadra ricognitiva sarebbe arrivata e avevano catturato Aldo e Cassie. Avevano sparato a Johanna, che stava cercando di scappare. Le colpirono la gamba, ma lei riuscì a fuggire, arrivando fino alla loro seconda base a Novara, dove l’aspettavano altri tre ragazzi e dove Johanna morì.
“So che sei arrabbiata, Anna. Ma credo che le tue emozioni stiano offuscando il tuo senso del giudizio. Le informazioni che hanno raccolto prima di essere stati scoperti sono di fondamentale importanza. Se vuoi così bene a tuo fratello, ora stai zitta e sii grata per i dettagli di cui ora siamo a conoscenza. Inoltre, ricorda che sono il tuo Capo e non perdonerò altri comportamenti del genere”. Julie disse queste parole nella maniera più dura possibile. Era l’unico modo per far tacere Anna: ferirla. E funzionò. La ragazza le lanciò uno sguardo pieno di disprezzo, ma anche di sorpresa -probabilmente non si aspettava una reazione tanto disumana- e si sedette, sciugandosi una lacrima.
“Questa è l’ultima volta che parleremo di questa missione. Non ha senso piangersi addosso. Con queste nuove informazioni, possiamo elaborare un vero piano e riuscire, finalmente, a fare irruzione nel nido di quei Pulcini!” esclamò, giusto per rianimare il suo pubblico. Seguirono cenni di assenso e qualche esclamazione, ma nessuno sembrava molto entusiasta o convinto. Hanno bisogno di tempo, pensò.
“Bene, la riunione è aggiornata.  Ci vediamo venerdì prossimo. Potete andare”
Tutti si alzarono e salutarono rispettosamente Julie chinando il capo, poi la stanza si svuotò.
Rimasero solo lei e Matthias. Il suo luogotenente le si avvicinò e Julie sapeva esattamente cosa volesse dirle.
“Non provare a ripetere un’altra volta che non è stata colpa mia. Ti prego, ho bisogno che almeno tu sia sincero con me. Non compatirmi”
Matthias sorrise. “Io sono sincero”, cominciò, “e non è stata assolutamente colpa tua. Piuttosto dovremmo preoccuparci di scoprire chi è la talpa”
“L’hai pensato anche tu, vero? Che potrebbe essere uno dei nostri”
“E’ sicuramente così, Jules. Altrimenti come potevano sapere che una nostra squadra era là?”
“Hai ragione. A cose normali sospetterei di Anna, ma…”
“Suo fratello. È morto. Non può essere lei”
Julie si prese la testa tra le mani. Matthias era l’unico con cui potesse dimostrarsi un po’ più vulnerabile: in sua compagnia poteva essere di nuovo la ragazzina spaventata e timida che era un tempo.
“Ho bisogno di pensare. E di stare da sola. Vado nella mia cabina”
Lui la guardò con aria ferita: forse si aspettava che lei chiedesse il suo aiuto? Voleva che si sfogasse con lui?
Ma prima che Matthias potesse ribattere, lei si girò e uscì dalla stanza. Aveva bisogno di più concentrazione possibile e soprattutto non poteva permettersi il lusso di lasciarsi andare; sapeva che in presenza di Matthias avrebbe finito per abbattersi e mostrargli il proprio lato debole. Non poteva proprio farlo.
Dopo essere entrata nella sua cabina si chiuse ben strinta la porta alle spalle; nonostante fosse sveglia da solamente un’ora si sentiva stanca e spossata, come se stesse portando, dal momento in cui era scesa dal letto, un enorme masso sulla schiena. Decise di stendersi, per riposarsi un attimo e chiarire le idee. Ovviamente si addormentò.
Sognò suo padre. Erano in giardino, nella loro casa a Lucca; stavano giocando con la palla: era una cosa che facevano spesso quando lei era piccola. Lui aveva il suo solito sorriso gentile e rideva quando Julie non riusciva a prendere il pallone.
“Devi piegare di più le ginocchia! Non puoi stare rigida come un tronco” le disse ridendo. Anche lei si mise a ridere. Sembrava la solita domenica pomeriggio quando Marco, suo padre, non lavorava e poteva passare il suo tempo con lei.
Ad un certo punto uscì sua madre. Era bella come sempre: minuta, bionda, occhi verdi. Julie aveva preso da lei solo il colore di capelli, per il resto era uguale al padre: alta, per una bambina di sette anni, con spalle larghe e occhi neri. Alla sua età odiava quel fisico e avrebbe pagato oro per essere elegante e aggraziata come sua madre.
Vienes mon cherie, la merenda è pronta”
Julie corse da lei e l’abbracciò e Cècile la strinse forte a sé.
La ragazza si svegliò e si accorse di avere gli occhi umidi. Era stato un sogno breve, ma molto potente.
Le sembrava trascorsa una vita da quando lei, sua madre e suo padre vivevano tranquilli in una piccola città d’Italia. Si ricordava le gite in montagna, i pomeriggi passati a giocare con i suoi genitori, le vacanze all’Isola d’Elba e le feste di compleanno nel suo giardino.
Soprattutto si ricordava di quanto sua madre fosse felice: sorrideva sempre. Poi suo padre si ammalò e, nel giro di un anno morì. Dopo Cècile non fu più la stessa: divenne fredda e distaccata, come se vivesse in un’altra dimensione: sembrava odiare ogni cosa, la loro casa più di tutti. La mise in vendita e loro due si trasferirono ad Aix- en Provence, la città dove era nata sua madre e dove, poi, conobbe Jacob, il padrino di Julie. La città dalla quale era fuggita.
Non voleva pensare al pensare al passato, ma era difficile. La cicatrice che aveva glielo ricordava ogni volta che si guardava allo specchio. Tutti pensavano che fosse la testimonianza di una gloriosa battaglia, ma nessuno sapeva che era stata sua madre a procurargliela: durante una delle numerose litigate con il suo compagno iniziò a lanciare dei piatti contro il muro. Julie, spaventata per i rumori, accorse in cucina e fu colpita da un coccio, che le lasciò quell’orrenda cicatrice. Partiva dall’angolo destro del labbro e arrivava fino a metà guancia -sembrava un prolungamento del suo sorriso.
Sua madre non si scusò mai per quello che le aveva fatto, anzi, sembrò odiarla più di prima. Prima la detestava perché le ricordava il defunto marito, per quanto gli somigliasse, poi perché portava sul volto la testimonianza del fatto che lei aveva perso il controllo.
Julie si alzò da letto. Voleva pensare di avere cose più importanti da fare, per non dover ripensare al passato, ma non era così. Non aveva voglia di fare assolutamente niente. Non voleva pensare a nulla: né alla missione, né a sua madre. Così si mise a sistemare la sua cabina; quando si fece ora di pranzo chiese che le venisse portato nella sua stanza perché “era molto impegnata”. Il tempo sembrava non scorrere mai. Ogni volta che guardava l’orologio era passato un minuto. 14.03, 14.04.
Decise di mettersi a leggere: i libri rimasti in circolazione non erano molti, ed erano decisamente pochi quelli in possesso della Compagnia -che aveva tenuto lei, perché sembrava che a nessuno interessassero. Prese Il Giovane Holden e ne sfogliò distrattamente le pagine: lo aveva già letto 18 volte e non le piaceva nemmeno così tanto. Lo posò e pescò dalla pila di libri accanto alla sua brandina Il Signore degli Anelli: questo non aveva ancora mai avuto il tempo di leggerlo.
Era arrivata al terzo capitolo de Le due Torri quando sentì bussare alla porta. Erano le 21.17 e Julia si sentiva decisamente intontita per una persona che non aveva fatto niente tutto il giorno. Non fece in tempo a dire che non poteva vedere nessuno che la porta si aprì ed entrò un ragazzo, più o meno della sua età. Un ragazzo con una giacca delle Ali.

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Note. Ci ho messo tantissimo a scrivere questo capitolo: mi è risultato molto più difficile immedesimarmi in Julie piuttosto che in Marco. Spero che questo nuovo personaggio abbia catturato la vostra attenzione. Continuerò la storia tra qualche settimana; sono arrivata in un punto delicato, in cui due dei protagonisti si incontrano e voglio sviluppare bene questa parte. Mi piacerebbe anche approfondire il personaggio di Matthias e credo che farò dei capitoli su di lui
A presto, Xeire.
PS è la mia prima storia, tutte le critiche sono ben accette perchè voglio sapere in cosa devo migliorare! <3 e scusatemi per gli errori di punteggiatura: ho il brutto vizio di scrivere di getto senza rileggere (di solito, se rileggo una cosa che ho scritto, la odio e non pubblicherei mai niente!)

 
   
 
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