Fanfic su artisti musicali > Bangtan boys (BTS)
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Autore: ConsueloRogue    04/08/2021    2 recensioni
Cosa succede quando due persone s'incontrano per sbaglio nel mondo dei sogni?
Cosa succede quando due anime si sfiorano, anche solo per un attimo?
Cosa succede quando il destino di una persona devia dal suo percorso naturale?
Kim Taehyung è un cantante affermato e un giorno, per caso, appare nella sua vita una strana ragazza, per appena una manciata di minuti.
Da quel giorno s'incontreranno di nuovo nel loro mondo dei sogni.
Genere: Drammatico, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kim Taehyung/ V, Nuovo personaggio
Note: AU, Soulmate!AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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No escape from reality - Nessuna fuga dalla realtà


 

Too late, my time has come,
Sends shivers down my spine, body's aching all
The time
Goodbye, everybody, I've got to go,
Gotta leave you all behind and face the truth
Mama, oooh
I don't want to die,
I sometimes wish I'd never been born at all.

Bohemian Rhapsody - Queen 




 

Nel piccolo monolocale il riscaldamento era acceso nonostante nessuno degli occupanti dovesse preoccuparsi della temperatura esterna. Una lunga giacca di pelle nera, come quella di Neo in Matrix, era appesa all’attaccapanni del minuscolo ingresso. Sotto di essa erano stati disposti ordinatamente un paio di alti anfibi dai lacci bianchi e sporchi. Un asciugamano volò attraverso la stanza e un uomo biondo a torso nudo sgusciò fuori dal bagno, grande poco più di uno sgabuzzino delle scope. Si fermò accanto al letto, passandosi una mano tra i capelli biondissimi, lo sguardo felino fisso sulla figura della ragazza distesa sul suo letto. Le passò accanto il più silenziosamente possibile e riempì il bollitore, lo mise sul fornello e accese la fiamma.

Si diresse al piccolo armadio a muro e cercò una maglia nera - tra le tante - e un paio di pantaloni neri - tra i tanti - e li indossò. Tornò dalla ragazza e le scostò i capelli scuri dal viso esangue con un altro sospiro stanco. 

Rimase a guardare la ragazza, pensando a cosa poterle dire una volta che si fosse svegliata. La seguiva da un sacco di tempo e quasi gli pareva incredibile che ormai lei avesse già ventiquattro anni. Ricordava perfettamente la prima volta che si era soffermato a guardarla. L'aveva vista di sfuggita un sacco di altre volte prima di quel giorno, in realtà. 

Minjae allora aveva tre anni. Era alta come un soldo di cacio, con i capelli sottili e più chiari di ora, com’è tipico per i bimbi di quell’età. Sua madre le aveva raccolto i capelli in due buffi codini e aveva qualche ciocca che rimaneva dritta, in qua e là, come setole di una scopa dall’aspetto particolarmente morbido. Stava giocando con la madre e il fratello maggiore in un piccolo parchetto poco lontano da casa loro. 

Minjae era la figlia più piccola dei vicini di Doyun ma allora lui non aveva mai badato troppo al vicinato o ai loro pargoli, al massimo lo annoiava udirne il pianto e i capricci la domenica mattina.

 

Quel giorno Doyun aveva appena rotto con la sua ragazza. L’aveva vista alla fermata dell’autobus nei pressi dell’università in cui l’aveva conosciuta abbracciata ad un altro ragazzo. Stava ridendo scioccamente, con un braccio di quel tipo che le circondava la vita. Lì per lì ne era stato infastidito, anche geloso, ma aveva preso un profondo respiro e si era avvicinato col petto gonfio e le spalle allargate, pronto a chiederle “cosa stai facendo”. Non ne aveva avuto bisogno, perché circa a metà strada le spalle gli si erano sgonfiate quando lo sconosciuto si era chinato a baciare la sua ragazza - la sua ex-ragazza - e lei aveva ricambiato prima di ridere e aggrapparsi a lui.

Le spalle di Doyun si erano sgonfiate e l’aria gli era uscita dai polmoni. «Chaeyoung-ah!» aveva pronunciato quel nome a voce alta e la sua ragazza - la sua ex-ragazza - si era girata di scatto. Aveva allargato gli occhi e si era coperta il viso con una mano.

«Doyun-ah! Posso spiegarti!» si era messa a correre verso di lui ed il ragazzo che si era lasciata alle spalle aveva rivolto a Doyun un ghigno di compiacimento mascolino, come a dirgli “hai visto bello? Adesso è mia”.

«Non serve. E’ finita.» Doyun le aveva dato le spalle e aveva trattenuto le lacrime. Si era incamminato a passo di marcia verso il punto da cui era arrivato, anche se avrebbe dovuto dirigersi in facoltà per fare lezione. In quel momento non gli importava troppo, dato che aveva appena beccato la sua ragazza - la sua ex - a tradirlo. Senza contare che da qualche settimana Doyun stava pensando di abbandonare gli studi e i suoi voti erano crollati. 

Aveva pensato di trovare lavoro come operaio o come cameriere, qualcosa per potersi emancipare dai suoi, magari avere un appartamento suo, da condividere con Chaeyoung. “Che idiota.” aveva pensato, strattonando il braccio a cui Chaeyoung si era appesa in un tentativo di richiamarlo. L’aveva mollata lì, in lacrime come meritava di essere e aveva trattenuto le sue per non darle la soddisfazione di vederlo piangere. Sulla via del ritorno a casa si era fermato in un salone e si era tinto i capelli di biondo platino.

Il giorno in cui si era fermato a studiare Minjae, quella indossava un paio di minuscole scarpine da ginnastica fucsia ed una tutina rosa con le ginocchia tutte macchiate di verde. Indossava un cappello da pescatore dello stesso fucsia delle scarpine ed era tutta intenta a gattonare, abbaiando come un cane al fratello maggiore.

«I cani non portano il cappello Jae!» aveva urlato il bambino di qualche anno più grande. Le si era avvicinato e le aveva rubato il morbido cappellino fucsia. Allora Doyun aveva visto quei buffi codini. Si era fermato a guardare i bambini giocare, appollaiato su una barriera metallica che separava il marciapiede dalla stretta strada a senso unico che correva accanto al parchetto, parzialmente nascosto da una delle auto posteggiate per evitare che la madre di Minjae lo vedesse fumare e lo riferisse a sua madre. I suoi genitori non sapevano che Doyun aveva il brutto vizio delle sigarette e lui non voleva stare a sentire prediche di nessun tipo, visto che entrambi fumavano. Doyun sapeva quanto fosse rischioso fumare una sigaretta lì, così tanto vicino a casa, ma lo aveva fatto lo stesso per sbollire il nervoso di quella giornata tutta storta.

La madre di Minjae era seduta su una panchina insieme ad altre due donne del vicinato. Sembrava tutta presa in un qualche tipo di discorso abbastanza animato, ma Doyun non stava ascoltando. I due fratelli, a pochi metri da lei, per un po’ si erano rincorsi, col maggiore che agitava il cappellino perché Minjae non riuscisse a prenderlo. Doyun si era aspettato che la bambina si mettesse a frignare e chiamasse la madre, invece aveva pestato i piedi sempre più stizzita, con un broncio particolarmente tenero ad aggrottarle tutto il piccolo viso. Doyun aveva riso.

«Minjoon ridai il cappello a tua sorella!» l’abbaio della madre di quei due aveva interrotto per un attimo il cicaleccio. Doyun aveva guardato la donna che si era chinata a togliersi una ciabatta e il più grande aveva lanciato il cappellino fuxia a Minjae con uno sbuffo spazientito.

«Adesso giochiamo a palla! Valla a prendere!» aveva esclamato poi, con la voce stridula di chi sta mascherando un capriccio con un ordine. Minjae si era rimessa il cappellino in modo goffo ed era corsa dalle signore. Doyun aveva spento la sigaretta sotto la suola delle scarpe di tela e ne aveva estratta un’altra dal pacchetto. Se l’era rigirata tra le dita ed era rimasto lì a guardare Minjae e Minjoon giocare a pallone, pensando a quanto fosse tutto più facile quando aveva ancora quell'età e quanto fosse triste il fatto che non ricordava quasi nulla di allora, di come ci si sentiva a scalciare spensieratamente una palla mentre la mamma guardava poco lontano. Era certo di averlo fatto, forse ne conservava ancora il ricordo da qualche parte, ma lì per lì non gli era venuta in mente nessuna scena particolare.

Si era acceso la sigaretta che aveva spiegazzato, agitandosi sulla ringhiera perché il sedere aveva iniziato a fargli male e si era dispiaciuto del fatto che le pile del mangianastri fossero scariche perché avrebbe ascoltato volentieri un po’ di musica. Si era anche chiesto cosa avrebbe urlato sua madre una volta che avesse visto i suoi capelli platinati da delinquente. 

D’un tratto Doyun aveva visto Minjoon prendere la palla con entrambe le mani e lanciarla in alto, sopra la testa di Minjae. La palla era azzurra, blu e rossa, con tutti e cinque i Power Ranger sopra. Doyun aveva seguito la parabola di quell’oggetto dai colori sgargianti e aveva inarcato un sopracciglio nel vedere la piccola Minjae girarsi nella sua direzione, con un sorriso gigantesco in quella facciotta tonda e paffuta. La palla aveva rimbalzato vicino ai limiti del parco, li aveva superati e aveva rimbalzato di nuovo sul marciapiede. La madre di Minjae aveva continuato a chiacchierare, ignara, mentre la figlia iniziava a correre verso la palla che stava rotolando tra due macchine parcheggiate, verso la strada. 

Doyun si era alzato di scatto dalla righiera e si era lanciato tra le due automobili parcheggiate, sbracciandosi nella direzione di Minjae senza badare al furgoncino che stava arrivando a tutta velocità dalla sua sinistra. 

«Torna nel parco!» Doyun lo aveva urlato.

Lo stridere delle gomme che scivolano sull’asfalto in una frenata. Un tonfo. Due. Il furgoncino che sobbalza con un rumore umido e dei secchi crack.

Doyun era rimasto in piedi a guardare negli occhi Minjae. Era caduta sul sedere ed era esplosa in un pianto disperato. Le donne avevano iniziato a urlare, si erano precipitate per strada e lui era rimasto lì a guardare, senza capire cosa fosse successo. La palla si era fermata contro il cerchione sporco di una ruota e non interessava più a nessuno.

Doyun si riscosse al fischio del bollitore e abbandonò il capezzale. Spense rapidamente il fornello e recuperò due tazze dallo scolapiatti, vi versò l'acqua bollente poi prese una bustina di tè nero ai frutti rossi e la mise in infusione, prima di estrarre una bustina di infuso allo zenzero e limone per sé. Non gli era mai piaciuto quel tè nero, troppo smaccatamente dolce per i suoi gusti, ma Minjae ne beveva dei litri e quando l'aveva recuperata era uscito apposta per comprarlo perché avesse qualcosa di familiare ad accoglierla.

Dal giorno della palla dei Power Rangers Doyun l’aveva seguita ovunque. 

Aveva assistito a tutto il percorso di Minjae attraverso l’asilo, l’aveva vista frequentare le scuole elementari e finirle, fiera, col massimo dei voti. Aveva visto lo spaesamento e la tristezza di lei quando i genitori avevano divorziato e lei faceva il secondo anno di scuole medie. Quello era stato un periodo particolarmente difficile per Minjae e a volte le aveva fatto trovare il suo snack preferito nell’armadietto. Le prime volte Minjae era rimasta confusa, poi aveva iniziato ad andare all’armadietto speranzosa di trovarci quella sorpresa inaspettata. Aveva sempre dato la colpa a un compagno troppo timido per confessarsi. Doyun aveva assistito in silenzio alle nottate che lei passava sveglia sui libri, alle medie, quando aveva iniziato a nutrire la sua passione per la lettura e la scrittura. Se ne stava immobile, in un angolo della stanza ad ascoltarla leggere e a volte sbirciava pure quello che scriveva. Era brava. 

Alle superiori era nascosto dietro il grosso gelso del cortile dove Minjae aveva ricevuto la sua prima dichiarazione d'amore. L’aveva accettata con timidezza, ma aveva rifiutato cortesemente il ragazzo che se ne era andato tutto abbattuto. Per settimane Minjae aveva chiesto al suo diario segreto se non fosse stata stupida a rifiutarlo, perché ripensare alla dichiarazione le faceva battere il cuore. Col tempo aveva capito che non era stato il ragazzo a farla emozionare, ma il gesto. All’inizio del penultimo anno delle superiori Minjae si era fidanzata e Doyun le era stato più vicino che mai. Si era sentito apprensivo perché Minjae era in quell’età in cui le ragazze, a volte, hanno le loro prime volte e lui non si sentiva pronto, proprio come un padre o uno zio apprensivo. Si era anche arrabbiato con il ragazzo quando finalmente era riuscito a cogliere l’innocenza di Minjae e aveva pianto come un’idiota, pensando “Sei diventata una donna Minnie”. 

Alla fine dell’anno scolastico successivo il ragazzo l’aveva lasciata dopo che il loro amore aveva vacillato e si era spento a causa di un’altra che - ironia del destino - si chiamava Chaeyoung. La sera della rottura Minjae si era rifugiata al parco vicino a casa sua, dove tutto aveva avuto inizio, per scrivere sul suo diario segreto, in lacrime. Doyun le aveva lasciato accanto il suo gelato preferito.

Era sempre stato con lei, ma si era fatto vedere di rado da Minjae ed ancora più di rado si era intromesso nella sua vita. Le poche volte in cui lo aveva fatto era sempre stato con cognizione di causa, memore del patto che aveva fatto con i piani superiori il giorno in cui era saltato davanti al furgoncino. 

Una volta quando Minjae era alle superiori le aveva fatto perdere il bus, costringendola ad andare a scuola a piedi per evitare che incontrasse Kim Taehyung troppo presto. Un'altra volta si era scontrato con lei, nella libreria in cui Minjae lavorava part-time, e le aveva fatto cadere tutti i libri. Si era scusato con cortesia ed era andato alla cassa, fermandosi alle spalle di Taehyung. Lei era stata costretta a fermarsi tra gli scaffali a raccogliere i libri e Kim Taehyung aveva pagato il libro che aveva acquistato come regalo di natale per Namjoon ad un altro commesso. Girava già tutto coperto da cappellino e mascherina per non farsi riconoscere.

L'ultima volta che Doyun avrebbe dovuto intromettersi nella vita di Minjae i suoi superiori glielo avevano impedito. Doyun aveva assistito al loro incontro impotente, pietrificato fuori dalla vetrina del Seven Eleven in cui lei lavorava part-time. Taehyung aveva pagato un pacco di ramen, una bottiglia di soju alla fragola e un uovo a Minjae, che avrebbe già dovuto essere a casa ma non lo era, perché suo fratello Minjoon aveva tardato come al solito.

“Sapevi che prima o poi sarebbe successo.” la voce femminile gli era risuonata direttamente nel cervello. 

Doyun quella sera aveva pianto.

 

Minjae si mosse nel sonno, prossima al risveglio, e Doyun girò una sedia e la sistemò accanto al suo capezzale nel minuscolo monolocale che occupava da qualche anno. Poggiò la tazza fumante di lei sul comodino e attese qualche attimo, prima che i suoi occhi color ghiaccio incontrassero quelli neri come l'onice di lei.

Minjae si mise a sedere di scatto, con un piccolo urlo strozzato e carico di spavento  nel vedere l'uomo dal volto felino e gli occhi di ghiaccio seduto su una sedia di legno, accanto a lei. 

«Minjae, ciao.» la voce gli uscì bassa, vibrante e stranamente tranquilla. 

Per Minjae quella voce era in qualche modo familiare, forse aveva anche una nota leggermente stanca. Lo guardò confusa e incerta, rifugiandosi contro la parete mentre lo sguardava con gli occhi allargati dalla sorpresa e dalla paura. 

«Tu sei l'uomo dei sogni sei… » chiese con voce stridula. Se quello era l’uomo dei sogni, allora era dentro un sogno e poteva svegliarsi in qualsiasi momento.

«Minjae… bevi il tuo the. Voglio solo chiacchierare con te, non ti farò nulla di male.» Doyun le allungò la tazza ma Minjae la guardò sospettosa.

«Dove siamo?»

«Nel mio appartamento.» rispose placido lui. Le fece un piccolo sorriso nervoso e incoraggiante allo stesso tempo e sollevò la tazza per invitarla ad afferrarla. «E’ il tuo preferito Minnie.»

«Come sai che è il mio preferito?! Mi hai rapita?» Minjae si rifugiò contro il muro, facendo vagare lo sguardo spaventato sul minuscolo monolocale in cerca di una via di fuga. 

Doyun esalò un sospiro e scosse il capo, chinando lo sguardo. Appoggiò la tazza fumante sul comodino e si sporse con uno scatto a prenderle la mano. Minjae allargò gli occhi, ma il tocco dell’uomo la calmò quasi istantaneamente. Il bisogno di scappare svanì al contatto con la pelle gelida e rigida di lui. Aveva l'impressione di aver tenuto quella mano un sacco di volte. Era solida, più grande della sua, con la pelle talmente liscia e fredda da sembrare quella di una statua di marmo.

«Non ti ho rapita.» sospirò di nuovo lui, scuotendo il capo con un mezzo sorriso triste che gli stirava le labbra sottili. Le lasciò la mano e recuperò nuovamente la tazza. Gliela mise in mano e Minjae rimase instupidita a guardarlo, mentre lui la guidava ad avvolgervi le dita attorno. «Ti ho inseguita per quasi due mesi Minnie, ma tu continuavi a scapparmi e dobbiamo… dobbiamo parlare.» 

«Io… ultimamente ti ho sognato spesso, possibile?» Minjae lo guardò con occhi vacui, vagamente instupidita dal potere calmante di lui. Si sentiva stupida a dire una cosa del genere ad un ragazzo che aveva circa la sua stessa età, che l’aveva rinchiusa in uno squallido monolocale dalle luci fredde e le macchie di umidità sul soffitto. Era sbagliato che lei fosse così calma, ma lo era.

«Sì, sì mi hai sognato più di quanto tu riesca a ricordare. In realtà… mi hai visto tante volte in sogno, e non solo. E’ successo molto più di frequente ultimamente però, è vero.» Doyun prese un profondo respiro, sebbene non ne avesse bisogno era un gesto che ancora lo aiutava a calmarsi. «Non ti ho rapita Minnie. Ci sono… ci sono tante cose che ti voglio raccontare, tante cose che ti devo dire e che devi sapere. Bevi il tuo the e ascoltami un attimo, poi potrai farmi tutte le domande che vorrai. Anche su Kim Taehyung, se vorrai.» Doyun cercò di usare la voce più dolce che gli riuscisse e riuscì anche a impedirsi di farla tremare troppo.

«Ma perché mi stai dicendo tutto questo, perché sono qui? E perché sono così calma adesso?» chiese Minjae, ancora più confusa.

«Partiamo da chi sono Minnie, ok?» 

 


 

Taehyung rientrò in dormitorio a passo di trotto, quasi galoppava. Lasciò aperta la porta alle sue spalle per permettere agli altri di rientrare mentre scalciava disordinatamente le scarpe slacciate nel largo ingresso. Lanciò la giacca pesante contro l’attaccapanni, preoccupandosi solo di recuperare gli auricolari wireless e il cellulare dalle tasche. Ignorò del tutto il fruscio morbido e ovattato che fece il cappotto quando scivolò in terra mentre urlava un “sono a casa!” rivolto a chi fosse già stato in dormitorio.

Provava la necessità estrema di farsi una doccia bollente per sciogliere i muscoli intorpiditi dall’allenamento e poi buttarsi nel letto, scavare una tana tra le coperte soffici e dormire. In realtà non era particolarmente stanco, più che altro si sentiva letargico e rallentato, anche un po’ intontito. Aveva bisogno di raggomitolarsi nel suo piumone e di chiudere gli occhi solo ed unicamente per sognare. Erano notti e notti che non faceva alcun sogno e la mattina si svegliava per andare in agenzia con una smorfia di disappunto e i capelli sparati in ogni direzione. 

Superò il salotto, ignorando la televisione accesa e la presentatrice del telegiornale che aggiornava la popolazione a proposito dell’ennesimo pirata della strada che era stato arrestato dopo aver investito qualcuno, un paio di mesi prima, e si infilò in bagno lasciando una scia di vestiti in corridoio. Erano passate più di due settimane dall’ultima volta che aveva sognato Minjae, il giorno del suo compleanno. Aveva ancora la sensazione delle labbra morbide di lei premute contro le sue e di quel caldo sapore di albicocche che gli aveva fatto maledire l’inverno. Doveva sognarla perché “Minjae che studia lettere e scrittura creativa” non era un’indicazione sufficiente a trovare una persona in una citta di dieci milioni di abitanti. 

Ricordava tutto di quella notte quando si era svegliato di colpo dopo aver allontanato l'uomo inquietante in biblioteca congelandosi le mani. Ricordava anche il sollievo che aveva provato nel vedere di nuovo Minjae, non appena si era riaddormentato. Quando l’aveva vista, sana e salva, era stato come se qualcuno gli avesse rimosso un peso dal petto e il senso di angoscia se ne era andato. Ricordava come il corpo di Minjae sembrasse così piccolo e delicato in confronto al suo, di come lei si fosse rifugiata nel suo abbraccio e avesse nascosto la testa contro il suo petto. Voleva incontrarla dal vivo perché ormai era certo che lei non fosse solo frutto della sua immaginazione. Voleva vedere se avrebbe provato le stesse sensazioni anche nella realtà, da sveglio, se lei era davvero così minuta e se sapeva sul serio di albicocche. 

Quando si era svegliato in preda all’inquietudine, urlando il nome di lei, aveva ancora sulle labbra la sensazione di averla baciata davvero, sulla lingua sentiva il sapore dolce e delicato delle albicocche. Si era svegliato nell'angoscia di saperla svenuta, scomparsa tra le sue braccia, con quel "beep" insistente che ancora gli trapanava le orecchie ed il cervello ed un dolore profondissimo al petto. Una sensazione quasi bruciante lo aveva colpito proprio mentre riapriva gli occhi e lo aveva fatto sobbalzare tra le coperte.

Da allora aveva cercato in tutti i modi di sognare Minjae ma quando chiudeva gli occhi si ritrovava solo nel buio e non riusciva a ricordare nulla la mattina successiva, se non lo sconforto di un'altra notte senza la risata cristallina di lei che gli colpiva le orecchie.

In tutti i sogni che aveva fatto con lei non era riuscito a fare due cose, dirle due cose importantissime.

La prima cosa che sentiva il bisogno di fare era chiederle in che modo avrebbe potuto trovarla per poterla incontrare e darle le dritte perché anche lei potesse contattarlo, un po’ perché ancora temeva che avrebbe fatto davvero la figura del cretino se avesse telefonato a un numero inventato dalla sua stessa testa, alla ricerca disperata di una persona inesistente che prendeva forma solo nei suoi sogni.

Era certo, comunque, che Minjae non fosse il frutto della sua immaginazione, il che lo portava alla seconda cosa che doveva dirle. Lo aveva detto solo una volta nella sua vita ed evidentemente lo aveva detto alla persona sbagliata, perché quel sentimento sincero era stato straziato da tre anni di noncuranza durante i quali la sua prima ed unica ragazza - ormai ex-ragazza - non aveva fatto altro che sfruttare la sua immagine e calpestare i suoi sentimenti. L’aveva scoperta a tradirlo e probabilmente lei lo aveva fatto per tutto il tempo. Non aveva idea se fosse davvero così, ma non aveva voluto chiederglielo quando l'aveva scoperta.

L'aveva beccata in un camerino con la sua bodyguard, proprio subito prima di una esibizione del gruppo di lei. Era passato a trovarla per farle una sorpresa e si era sentito pugnalare il petto nel vederla schiacciata contro il muro a chiedere di più, mentre l'uomo dietro di lei si spingeva ritmicamente dentro di lei. Lei lo aveva visto attraverso lo specchio ed immediatamente aveva finto di essere stata costretta a farlo. Era stata talmente brava che era riuscita addirittura a piangere. Lui era rimasto immobile e con lo sguardo sconvolto, l’aveva fissata senza nemmeno avere le forze di dire nulla. Il bodyguard era balzato via come un gatto caduto in una bacinella d’acqua e lei si era abbassata la gonna piangendo. Non appena aveva fatto cenno di volersi avvicinare a lui, Taehyung aveva balbettato un “devo andare” ed era corso via. Non si era nemmeno accorto che il bouquet di rose bianche e rosa che le aveva portato gli era scivolato dalle mani insieme al portagioie contenente un paio di costosi orecchini di Cartier. 

Appea aveva abbandonato il maledetto camerino era corso dall’unica persona che era certo non lo avrebbe mai tradito, Jimin. Insieme al suo migliore amico si era allontanato dagli studi, in cerca d'aria, mentre soccombeva alla delusione, al dolore e alla rabbia che gli avevano annebbiato la mente. Non si era nemmeno accorto che nel tragitto Jimin aveva abbaiato un insulto e dato uno spintone alla sua ex, facendola rotolare in terra.

Taehyung scacciò il ricordo di quella giornata scrollando la testa. Le goccioline gli schizzarono via dai capelli bagnati e colpirono le pareti della doccia. Passò una mano tra i capelli e li tirò indietro per poi uscire, mentre con un braccio recuperava l’accappatoio. Non sapeva chi fosse Minjae, conosceva solo il suo nome ma quel "ti amo" voleva dirlo a lei, alla ragazza dagli occhi brillanti e neri come l'onice che indossava il braccialetto rosso con inciso il suo nome sopra. Era certo che Minjae fosse la sua anima gemella, anche se lei non ci credeva. 

Si asciugò frettolosamente i capelli e trotterellò in camera, ignorando il via vai degli altri. Si infilò il pigiama, saltellando per la sua camera da letto e strisciò sotto le coperte fredde. Recuperò il cuscino e vi si avvolse attorno chiudendo gli occhi. Ormai non cenava nemmeno più prima di andare a dormire, perché il bisogno di sognarla era talmente impellente da essere diventato quasi un pensiero fisso durante le sue giornate, una specie di ossessione. 

Chiuse gli occhi e sperò con tutto sé stesso di rivederla almeno quella notte.



 

Minjae si sedette sul bordo del marciapiede, stringendosi nel bomber nero. Si era svegliata poco dopo mezzogiorno e aveva bevuto il suo the, mentre ascoltava Doyun. Lo aveva ascoltato per ore e ore, il giorno aveva lasciato spazio alla sera, poi anche quella si era trasformata in notte. A Seoul stava nevicando e doveva fare particolarmente freddo. In fin dei conti era pur sempre gennaio. Doyun le si sedette accanto e le passò un braccio attorno alle spalle, accarezzandole il capo. Alle loro spalle c’era la vetrina illuminata del Seven Eleven in cui lei lavorava part-time. 

«Ora… credo di averti detto proprio raccontato tutto. Hai deciso cosa vuoi fare, Minnie?» usò di nuovo un tono caldo e comprensivo e Minjae fu sopraffatta da un'altra ondata di singhiozzi che le scossero le spalle, poi si accasciò contro il ragazzo dai capelli platino che la ricambiò rafforzando la stretta.

«Io… devo vedere il posto, poi… voglio… dirlo a Taehyung in qualche modo.» sussurrò con la voce arrochita dal pianto e Doyun strinse la presa sulle sue spalle, tentando di confortarla mentre annuiva a labbra strette.






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Angolo Autrice
*coff coff* finalmente il nostro uomo in nero ha un nome e una storia. Non dirò altro perché voglio sapere direttamente cosa ne pensate voi.
Ci rileggiamo domenica con Blooming ;) vi ringrazio infinitamente delle recensioni che mi lasciate sempre! A volte la tentazione di darvi spoiler è davvero fortissima ma mi trattengo sempre!
ILYSM, BORAHE!

 
  
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