Third
things third
Send a prayer to the ones up above
All the hate that you’ve heard
has turned your spirit to a dove, oh-ooh
Your spirit up above, oh-ooh
Believer
Eravamo
arrivati a Londra di notte. Era una prassi consolidata nei secoli, che gli
Omega raggiungessero il Mondo Esterno durante la notte, il momento in cui su
ogni luogo regnava la quiete. Persino in una città cosmopolita e piena di vita
come Londra, c’era una frazione della notte, durante la quale incontrare
qualcun altro era molto difficile. In quel breve periodo, i nottambuli si erano
ritirati nelle loro dimore, appena prima che coloro che si erano coricati
presto si alzassero, per iniziare la giornata. Londra ci accolse con la sua
nebbia e le sue luci soffuse. Sonnolenta, eppure così vitale.
Mi
voltai a guardare Sherlock. Aveva occhi chiusi ed era concentrato. Le narici
erano leggermente più dilatate del solito, quasi stesse annusando l’aria, per
riconoscere ogni componente presente nel suo profumo. Il corpo sembrava teso,
in ascolto di ogni più piccolo rumore. Sapevo che la sua brillante mente stava
riconoscendo ogni suono, attribuendogli un nome e una origine.
Sherlock
si stava riappropriando della sua
città. Del suo mondo. Di
quell’universo al quale aveva rinunciato per stare con me.
Osservai
gli angoli delle sue labbra sollevarsi in modo lievissimo. Un sorriso
compiaciuto di riconoscimento per qualcosa che non percepiva da diverso tempo.
Aprì
gli occhi, che brillavano allegramente. Avvicinò il viso al mio e mi baciò
sulle labbra. Fu un bacio delicato e dolce. Un bentornato a casa.
“Londra
non è cambiata molto, in questi anni. Stessi odori e stessi suoni. Sono certo
che non avremo problemi a riappropriarci delle sua abitudini.”
“Sono
trascorsi comunque quasi sei anni. Per fortuna, essendo uomini adulti, qualunque
conoscente dovessimo incontrare non noterà alcuna differenza.”
“Semplicemente,
portiamo bene i nostri anni. – sogghignò Sherlock – Pensa a quanto sarà
invidioso Mycroft.”
“Oh,
Sherlock!” Sbuffai, ma non riuscii a trattenere un sorriso. Il rapporto fra
Sherlock e Mycroft era stato sempre molto conflittuale, ma sapevo che i due
fratelli si amavano e rispettavano molto, malgrado lo negassero in modo deciso.
“Andiamo
a riprendere possesso del 221B di Baker Street? Credo che persino mio fratello
sia a letto, a quest’ora, e che possiamo attendere che il sole torni a
splendere alto in cielo, prima di incontrarlo.”
“Sei
gentile a volere lasciare dormire Mycroft ancora un po’.”
“Non
è gentilezza, John. Alla luce del sole, potrò contare meglio ogni ruga che si è
aggiunta sul suo viso e rinfacciargliela una a una,” ribatté Sherlock,
serafico.
Io
ero incredulo, ma scossi solo la testa. Mio marito non sarebbe mai cambiato.
Riaprire
la porta del 221B di Baker Street, riportò alla mente tanti ricordi. In quel
piccolo appartamento avevo portato Sherlock, dopo averlo trovato completamento
fatto non lontano dal luogo in cui eravamo comparsi. Lì aveva ritrovato Mycroft
e Greg. Lì Sherlock ed io ci eravamo Legati.
La
casa era silenziosa. Al 221A viveva la padrona di casa, una simpatica signora
dall’età indefinibile, che si prendeva sempre cura di ogni Omega che si
presentava nell’appartamento. Per quanto ripetesse in continuazione che lei non
era una governante, il suo istinto materno da chioccia la portava sempre a
preparare manicaretti per i suoi inquilini e a riordinare l’appartamento,
giusto perché “una donna vede sempre meglio di un giovane uomo dove si annidi
lo sporco.”
Salimmo
silenziosamente le scale, che portavano al piano superiore. Il salotto era
ordinato e pulito, illuminato dalla luce dei lampioni, che filtrava dalle
finestre, attraverso le tende semiaperte.
Sherlock
mi circondò la vita con le braccia, scostando il bavero della giacca dal mio
collo. Le sue labbra calde si posarono appena sotto l’orecchio, tracciando un
percorso delicato lungo il collo. Chiusi gli occhi, appoggiandomi al suo petto
con la schiena. Potevo sentire un certo rigonfiamento premere contro i miei
pantaloni.
“Che
ne dici di provare quanta confusione facciano le molle del materasso?”
“Non
ho nulla in contrario. Speriamo solo di non svegliare tutto il vicinato,”
sussurrai, sorridendo.
“Correremo
il rischio,” sentii la risatina profonda di Sherlock riverberare dal mio collo
fino a raggiungere il mio cuore. Mi mancavano i miei figli, ma mio marito era
con me. Potevo pensare a questa come a una vacanza. Forse un po’ movimentata,
ma sempre solo un breve distacco dalla mia famiglia.
Potevamo
permetterci di divertirci. Di fare l’amore. Nessuno ci avrebbe biasimato.
Continuando
a baciarci, toccarci, accarezzarci, trovammo la camera da letto, dove
trascorremmo la nostra prima notte nel Mondo Esterno.
La
mattina dopo, Londra era ancora immersa nella nebbia. Fummo svegliati da un
leggero bussare e dall’invitante profumo di tea e pane abbrustolito.
“Yohoo…
ragazzi? Posso entrare o siete in condizioni indecenti?” Domandò una maliziosa
voce allegra.
Sherlock
sbuffò e si coprì la testa con il cuscino, così io mi alzai, infilandomi le
prime cose che mi capitarono sotto le mani.
“Signora
Hudson, buongiorno. Non avrebbe dovuto disturbarsi a prepararci la colazione.
Potevamo fare da soli.”
“Oh,
lo so caro, ma ho pensato che, dopo le vostre attività notturne, aveste bisogno
di qualcosa di sostanzioso. Dio solo sa, quanto siate sbadati voi uomini,
quando fate la spesa. Sono pronta a scommettere che non avete comprato nulla di
veramente adatto a ricostruire tutte le energie disperse stanotte,” ridacchiò.
Io
arrossii leggermente: “Ehm… grazie… usciremo presto e staremo fuori tutto il
giorno… probabilmente…”
“Va
bene, caro. Non sono la vostra governante, quindi non è necessario che tu mi
metta al corrente dei vostri programmi. Io però, prima mi cambierei. Non mi
sembra che quei pantaloni siano della tua misura,” salutò, strizzandomi
l’occhio.
Guardai
i pantaloni che non ero ancora riuscito ad allacciare e realizzai che erano
quelli di Sherlock.
Dopo
colazione. Decidemmo di mettere in atto il nostro piano.
“Dato
che Mycroft non è ancora piombato qui, direi che il vostro incantesimo di
dissimulazione funzioni,” constatò Sherlock, mettendosi in bocca un ultimo
pezzetto di pane e marmellata.
“Certo
che funziona! Lo hanno ideato i nostri maghi migliori proprio per impedire alle
telecamere del Mondo Esterno di registrare le immagini degli Omega. È stata una
precauzione necessaria, dopo ciò che è accaduto con Magnussen,” ribattei,
leccandomi la marmellata da un paio di dita.
Alzai
gli occhi su mio marito e lo trovai intento a fissarmi. Ricambiai lo sguardo,
un po’ perplesso: “C’è qualcosa che non va?”
“Non
leccarti le dita in quel modo o non usciremo da qui per le prossime settimane!”
Mi rispose Sherlock, con voce roca e un sorriso beffardo sulla labbra.
Risi
di cuore, rasserenato dal fatto che Sherlock fosse così sereno. Lui certamente
pensava che sarebbe andato tutto bene e il suo contagioso ottimismo mi aveva
messo di buon umore. Gli avevo raccontato il mio incubo. Eravamo arrivati alla
conclusione che, trovato Sebastian, tutto si sarebbe risolto per il meglio.
“Raduniamo
la squadra?” Proposi.
Sherlock
scattò in piedi: “Che il gioco abbia inizio!”
Prendemmo
un taxi e ci dirigemmo verso il Diogene’s Club.
Mycroft
Holmes era sempre stato un uomo abbastanza abitudinario. Ogni mattina andava al
Diogene’s a fare colazione e a leggere il giornale, immerso nella pace delle
sue altezzose mura silenziose. Un momento di quiete, prima di farsi travolgere
dagli impegni della giornata lavorativa.
Non
fu difficile entrare. L’incantesimo che impediva alle telecamere di
riprenderci, funzionava anche sulle persone. Se lo volevamo, gli altri ci
vedevano come ombre fuggevoli, fantasmi passeggeri, di cui non ricordavano i
lineamenti e la fisionomia.
Quando
entrammo nella stanza, Mycroft era seduto sulla sua solita poltrona, con il
carrello della colazione accanto e il giornale spalancato davanti al viso. Mi
guardai intorno. La stanza era arredata con mobili severi, dalle linee
semplici, decisamente costosi. Su un tavolo, al centro e riparata da una
campana di vetro trasparente, si trovava una splendida rosa rossa, non ancora
del tutto sbocciata.
Sentii
Sherlock trattenere il respiro, sorpreso. Vidi i suoi lineamenti addolcirsi e
intenerirsi. Capii che quella era la rosa incantata che aveva lasciato a
Mycroft, per fargli sapere che stava bene.
Infilai
le dita di una mano fra quelle di Sherlock e le strinsi delicatamente. Lui si
ricompose e, con tono canzonatorio, apostrofò il fratello: “Non credi che
mangiare quella roba ti faccia ingrassare?”
Vedemmo
oscillare lievemente le pagine del giornale, che fu abbassato e piegato con un
movimento lento e misurato. Mycroft non era invecchiato. Aveva qualche capello
bianco in più. Le rughe sembravano appena più profonde. Forse aveva messo su un
paio di chili. Però era sempre lui. Ci osservava con quei suoi profondi e
perforanti occhi azzurri. Come il fratello minore, anche lui sezionava e
catalogava l’interlocutore, per avere un vantaggio nella eventuale
negoziazione. Nel nostro caso, però, stava solo stabilendo se stessimo bene.
Soddisfatto del proprio esame, si concesse, alfine, un sorriso ironico: “Veramente,
fratello caro, se c’è qualcuno che ha messo su peso, quello sei tu. Non che tu
stia male, intendiamoci. Si vede che John voleva qualcosa di più concreto da
abbracciare, non solo un mucchietto d’ossa.”
“Può
darsi. Tu, invece, fai una vita troppo sedentaria. Dovresti trovare qualcuno
che voglia stringere te, così, forse, avrai un incentivo per smettere di
abbuffarti di dolci,” ribatté Sherlock, sprezzante, ma con una nota di
malinconia nella voce, come se fosse dispiaciuto per la vita solitaria del
fratello.
“Siete
tornati per trovarmi un fidanzato o per fare una vacanza nel Mondo Esterno?”
“L’Isola
è in pericolo. – mi intromisi – Abbiamo perso i contatti con un Omega. Lui ha
idee un po’… rivoluzionarie. Vorrebbe che abbattessimo la barriera che protegge
l’Isola dal Mondo Esterno e che ci ricongiungessimo con voi.”
“È
stato sicuramente plagiato o convinto da un qualche Alfa, che ha un secondo
fine. Non escludo che voglia convincere gli Omega a mostrarsi al mondo, solo
per sfruttare i loro poteri a suo beneficio,” intervenne Sherlock, in tono
secco.
“Farò
subito cercare l’Omega scomparso dai miei uomini. E potremmo anche coinvolgere
Gregory Lestrade. Come sovrintendente di Scotland Yard, può darci una notevole
mano nelle ricerche.”
“Greg
ha fatto carriera?” Chiesi, contento per lui.
“Sì.
Si sta dimostrando un ottimo capo. Arriverà molto alto. Come si chiama l’uomo
che dobbiamo trovare?”
“Sebastian
Moran,” risposi.
Una
strana espressione comparve sul viso di Mycroft. Era a metà fra la
preoccupazione e la paura. Anche Sherlock la aveva notata: “Hai già sentito
questo nome?”
Mycroft
si alzò dalla poltrona, fece un paio di passi verso di noi e ci porse il
giornale, che stava leggendo. La prima pagina era occupata dalla fotografia a
colori di due giovani uomini che sorridevano felici all’obbiettivo. Il titolo,
che la sovrastava, annunciava a caratteri cubitali il fidanzamento fra il
miliardario James Moriarty e il promettente modello Sebastian Moran.
Angolo dell’autrice
Ora
tutti i giocatori sono in campo. Che il gioco abbia inizio.
Grazie
a chi stia leggendo il racconto.
A
giovedì prossimo.
Ciao.