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Autore: robyzn7d    10/08/2021    2 recensioni
“Quante assurdità in questa storia.”
Nami, seduta sul letto, ancora quello dell’infermeria, aveva ascoltato tutto il racconto informativo di quella mattina narrato da Robin, sulle vicende bizzarre della misteriosa bambina apparsa per caso nelle loro vite.
“Come al solito a quel testone di Rufy non interessa indagare” strinse i pugni “io voglio sapere tutto, invece.”
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STORIA REVISIONATA
Datele una seconda possibilità, chissà che non ve ne pentirete!
Genere: Avventura, Generale, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Mugiwara, Nami, Roronoa Zoro, Z | Coppie: Nami/Zoro
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo II 
Sincerità ereditata 
 
 
 
 
 
 
 
“AAAAAAAAAAAAAAAH!”
 
Non era poi così insolito, su quella nave, abbracciare una nuova giornata con un urlo capace di sfondare pareti intere. 
La bambina sconosciuta, risvegliatasi bruscamente, e, soprattutto, presa da un senso ingombrante di panico, era rotolata giù dal letto della stanza delle ragazze, dove era assopita fino a pochi minuti prima accanto a una Robin ancora dormiente, facendo un capitombolo alquanto rumoroso. 
“Robin?” 
L’archeologa, risvegliata abbastanza in fretta a causa del suo sonno leggero, la stava guardando stralunata, ancora assonnata e un po’ confusa da quel trambusto che non approvava certamente. Ma, si chiedeva, quella bambina…l’aveva forse appena chiamata per nome? 
“Ma sei davvero tu, Robin?” La stessa che ora si guardava attorno nella stanza metà tra l’essere curiosa e l’essere stranita. Si grattava la nuca dolorante, dal momento che l’aveva sbattuta contro il piede della specchiera, procurandosi un dolore lancinante ma che gestiva benissimo. 
In quel preciso istante Sanji, Brook, Usop e Franky fecero irruzione nella medesima stanza, facendo sonori capitomboli, uno addosso all’altro. Certo che se Robin fosse stata davvero in pericolo, stavano dimostrando che sarebbero almeno arrivati per tempo! 
“Che diavolo urli demonio!?”
Robin lo guardò accigliata. 
Il cyborg mise le mani in avanti scuotendole compulsivamente a causa della possibile incomprensione.
“Mi riferisco a quella mocciosetta che ci ha svegliati tutti!” 
Fu il primo ad entrare nel luogo proibito, in mutande naturalmente, oscurando per metà la vista agli altri compagni che ancora si rimettevano in piedi e si scannavano dietro di lui. 
“Da quando mi chiami mocciosetta?” 
La bambina indispettita si stava rimettendo in piedi senza però perdere il controllo visivo con i membri dell’equipaggio, e, una volta stabile, puntò il piede in avanti con sul volto un’espressione affatto rassicurante, fissando primo tra tutti il cyborg con sguardo truce e irritato. Con una mano spinse i capelli, legati in una coda di cavallo - dal momento che si erano appiccicati sulla sua spalla destra - bene all’indietro, e con l’altra si era allungata sul letto per recuperare il suo ‘giocattolo’ ancora bene imbavagliato. 
Usop, facendo due passi in avanti, inghiottì della saliva - o meglio - si strozzò.
“Tu…hai…un’aria così...familiare…”.
Robin, spinta da quelle parole, la scrutò attentamente “…é così? Ti abbiamo già vista da qualche parte? Sei su qualche manifesto di taglia? Sul giornale?”
La ragazzina, che stava stringendo quella sua fidata e stramba arma nella mano indietreggiò improvvisamente.
“Quindi voi non sapete chi sono? Non mi riconoscete?” strinse quell’accessorio con più forza, "ora che vi guardo meglio…siete così diversi”, iniziò a sudare, finendo in uno stato assoluto di confusione. 
 
Vuol dire che ci sono riuscita davvero?
 
Sanji aveva spintonato Usop e Franky per farsi spazio all’interno della stanza delle compagne, con inizialmente gli occhi a forma di cuore, salutando prima Robin con rispetto, e perdendo anche la sua cospicua dose di sangue dal naso già di prima mattina. Il suo sguardo venne catturato poi dalla bambina, facendosi piuttosto serio. 
“Nei tuoi occhi…c’è qualcosa di così…” scosse la testa come a voler scacciare via un bruttissimo pensiero “no, no, non può essere.” 
Usop avanzò, superandolo, volto a guardarlo realmente interessato. “Cosa? Parla!” 
“Fastidioso!” aggiunse il cuoco, inclinando un po’ il capo a destra, confuso. 
I tre caddero sul pavimento, sconvolti e allucinati. “Hai detto davvero questo di una donna?” 
“È ancora una bambina!” Puntualizzò lui in sua difesa, indicandola indignato con la mano aperta. Che poteva fregare a lui di una mocciosa, si domandava, sconcertato.
“Bambina a chi?” 
Ma quella non si faceva certamente insultare, mostrando fin da subito un importante caratterino…e, con tutta la sua sicurezza, si prostrò davanti a loro mettendo in risalto la sua figura. “Sono una guerriera io! E ho dieci anni e mezzo.” 
Sguardo orgoglioso, piena (più o meno) consapevolezza di sé, e per nulla impaurita: questo era il ritratto di quella peste alta un metro e qualche centimetro, per lo più di presunzione. 
Brook rise, facendosi spazio tra i compagni spingendoli alle estremità, e passando in mezzo a loro, contento di riuscire ad essere entrato in quel mondo che era tanto proibito per lui. “Quanta vanità e arroganza tutta insieme! Yo-hohoho.”
“Ve l’ho detto, è dannatamente familiare!” 
Usop era il primo della fila adesso, aveva quasi raggiunto Robin che, nel frattempo, aveva preso posto sulla sedia, seduta più composta, coprendosi le spalle con la sua coperta. 
“Si, dannatamente familiare!” concordarono tutti.  
 
L’archeologa aveva optato per mantenere calma la situazione, proponendo alla ragazzina di fare un veloce bagno ristoratore e poi parlare con serenità davanti ad una tazza fumante di tè caldo, per ragionare meglio a stomaco pieno. La bambina aveva accettato, ma con la sola condizione di fare il bagno da sola, senza nemmeno Robin in mezzo ai piedi. 
Quando li raggiunse in cucina, trovando la strada con facilità in un’azione abitudinaria, trovò davanti a sé quasi l’intera ciurma, compreso Chopper, arrivato dopo aver controllato la situazione di salute di Nami, e l’ultimo arrivato, Zoro, che appena finito il suo turno di vedetta era andato a sedersi al suo solito posto per sfamarsi. 
Riacquistò la sua fierezza e compostezza, e, indossando gli stessi vestiti del giorno prima, con sempre una bella e alta coda di cavallo alle sue spalle, e la sua arma a tracolla, si sedette al tavolo insieme a tutti. 
“Ma guarda quanto sei carina adesso.” 
Sanji le porse la tazza di tè con un piattino colmo di biscotti, in attesa che fosse pronta la mega abbonante colazione della mattina; il primo giorno dopo che erano state fatte le provviste era sempre quello con le porzioni più varie e abbondanti. 
“Piantala subito!” aveva appena sbattuto un pugno sul tavolo, “non m’importa di essere carina, io sono una guerriera.” 
Zoro sorrise, mentre già impugnava il boccale nella mano. Chiunque zittiva il cuoco a quel modo meritava il suo rispetto. 
“La cosa ti diverte, eh?” Sanji ovviamente lo aveva notato, “allora scordati di mangiare stamattina!” 
“Cuoco maledetto! È il tuo dovere sfamarmi!” Con i denti aguzzi, finirono nel solito giro furente di sguardi irritati e insulti rabbiosi, regalando alla ciurma il vero inizio giornata. 
La ragazzina si mise una mano sul viso, come se fosse abituata e non sconvolta da una simile diatriba.
“Non ci credo”, aveva gli occhi arresi, “allora é vero che è sempre stato così tra loro.” 
I restanti membri della ciurma si voltarono a guardarla. Ma proprio in quel momento, la sentirono, la voce di Rufy. I due smisero all’istante di litigare, sbuffando. Usop aveva iniziato a sospirare demoralizzato, mentre Franky, con una mano alzata in aria con il pollice all’insù, era divertito. 
“Ci siamo…” elargì con tono moderato tra l’euforico e l’arreso. 
” Sanjiii, ho fameeeeeee!!!” 
Il cuoco, paratosi immediato sulla porta bloccò tempestivamente la sua corsa, assestandolo con un colpo secco sulla schiena - stava per metà ancora nel mondo dei dormienti - per poi lasciarlo lì, a terra, stordito, per ritornarsene come se niente fosse dietro al bancone della cucina.
“Prendi posto come le persone civili! Abbiamo ospiti!” 
Aveva già entrambe le mani occupate: con una scuoteva una pentola sul fornello acceso e con l’altra tagliava velocissimo gli agrumi per farcire esternamente la torta già pronta. Un buon odorino era già arrivato alle narici di tutti. 
“Che fame, fame, strafame!” Rufy aveva obbedito, dimostrandolo con la testa sul piatto e la lingua di fuori. “Ieri mi sono addormentato sognando il pranzo.” Un tono infuriato s’impossessò di lui per qualche secondo, nel ricordo dell’incidente del giorno prima. Un fastidio però che non gli apparteneva e che infatti venne subito dimenticato. “Oh ciao bambina”, disse, ormai del tutto sveglio, alzando il capo dal piatto. 
“Non sono una bambina!” lo guardò male. “Ma insomma, quante altre volte dovrò ancora dirtelo che non devi più vedermi così?!” Puntualizzò di nuovo, per poi portarsi le mani sulla bocca e sperare di non essere stata sentita.  
Rufy la guardò stranito, con la nuca sorvolata da innumerevoli punti di domanda “Non credo di aver compreso”, disse mentre si grattava sopra il naso estremamente confuso. 
“INSOMMA!” 
Usop, in piedi sul suo posto, puntava le dita sul tavolo pensando di intimorire, “non credi che a questo punto devi darci un sacco di spiegazioni, tu?” 
La piccola, sempre con sul viso quella strana espressione seria e arrogante, aveva ora tutti gli sguardi puntati addosso. 
“Chi diavolo sei? E perché credi di conoscerci?”, continuava indagatore il cecchino, prendendo le veci dell’investigatore di turno della Sunny, l’unico in grado di fare le domande giuste, insieme a Robin naturalmente. 
La nuova arrivata guardò uno alla volta i membri della ciurma, muniti di punti interrogativi che li accompagnavano, e quando si scontrò con Zoro, per un attimo sussultò. Lui ricambiò lo sguardo curioso di quell’attimo, ma senza darlo a vedere, imperscrutabile come sempre; lei invece, in quel momento, aveva un po’ perso parte di quella sicurezza, almeno, finché non cambiò direzione di sguardi, concentrandosi altrove. 
“Ecco…” iniziava davvero a sentirsi in trappola, “quanta percentuale di verità vi é sufficiente?” 
“Cento per cento! Mi sembra anche abbastanza ovvio, non ti pare?” Usop stava ancora in piedi, e nell’attesa di avere informazioni sbatteva le mani sul tavolo in legno, creando un boato irritante per le orecchie di molti. 
“Ma proprio tu lo dici?” Ribatté la minore, “rivedi un po’ le tue percentuali prima di decretare verdetti…” La morettina si concentrò poi sul tavolo, su un punto preciso, ignorando però l’ansia che le stava mettendo addosso il cecchino, dal momento che si rendeva conto di stare continuando a dir loro di conoscerli in qualche modo ambiguo; ma lei aveva ben altre “gatte” da pelare e non aveva voglia di rispondere a tutte quelle domande. Più pensava e più muoveva la nuca, mettendoci le mani ai lati, in movimenti continui, inclinandola da destra a sinistra. “IN CHE CASINO MI SONO CACCIATA STAVOLTA! A CASA MI UCCIDERANNO. COME NE ESCO!?” 
Parlava più da sola che con la ciurma, ovviamente. Ma l’abitudine era dura a morire, e nascondere segreti non le veniva particolarmente con facilità.
“Di chi parli? Intendi i tuoi genitori? Sei scappata di casa, per caso?” Chopper, seduto accanto a lei, si mise in mezzo, con una voce dolcissima e rincuorante. Ma quella non si rese nemmeno conto di quella tenerezza e, senza pensarci troppo, lo strattonò ferocemente.
“SI, SONO DUE PIUTTOSTO DIFFICILI.” 
Chopper aveva un forte capogiro e gli occhi a forma di girandola, non riusciva più a capire sé stesse sognando o se fosse ancora sveglio. 
“Anche tu sembri un po’ pazza, però” Rufy rise a crepapelle, “mi piaci, lo sai?!” 
“Zio Rufy! Ma ti pare il momento di scherzare? Non capisci la gravità della cosa?”
Si portò le mani alla bocca, totalmente nel panico. 
“ZIO COSA?” 
Ora le aveva messe in avanti, facendo segno a tutti di calmarsi, circondata dallo stupore generale che le ricadeva sulla testa come un macigno. 
“Ok, ok, fatemi ragionare…devo trovare il modo migliore per farvi indorare la pillola…senza rivelare informazioni pericolose!” 
“MA TU RIVELI INFORMAZIONI DANNATAMENTE AMBIGUE!” Venne attaccata ancora una volta da Usop, ormai talmente curioso – o spaventato -  da essere esausto di non ricevere spiegazioni soddisfacenti, ovvero che lo facessero sentire al sicuro.
“Hei Rufy, che tu sappia, Ace ha avuto una figlia dieci anni fa?” 
Il capitano cadde dalle nuvole alla domanda dello spadaccino. “Io non ne so niente” continuò a grattarsi sul naso, sempre confuso, ma stavolta come tutti. 
“Aspetta…ma tu ci parli come se ci conoscessi…! Come è possibile?” Robin aveva capito che non poteva essere semplice la riposta a quel quesito, oppure la ragazzina stava solo che mentendo. 
Quella in risposta sudò freddo. Stringeva i denti, non sapendo se azzardare a rivelare il suo segreto oppure no. 
“Che viso familiare…e che temperamento… “ Usop si era rimesso a sedere, con sguardo indagatore, “se non fosse per i capelli direi che…”
La ragazza si avventò sopra il mal capitato tappandogli la bocca. “Stai zitto, zitto, zitto!!!” 
“Ma non ho detto niente” cercò di levarsela di dosso ma senza riuscirci, dal momento che si era fiondata sopra la testa e la copriva con le braccia, dimenandosi come un’isterica. “Non so nemmeno cosa stessi per dire!” 
“Sentite, che dite di gustare prima una buona e dolce colazione, e poi continuare a discuterne calmando i toni? Eh, che ne dici?” Sanji si rivolse alla bambina, regalandole un sorriso gentile e meraviglioso. 
“Grazie infinite, zio Sanji.” 
“E MA ALLORA TE LE CERCHI EH!" 
Gridarono tutti insieme anche stavolta. 
Come gesto ormai ripetitivo, la nuova ospite si portò ancora le mani alla bocca, coprendole, con gli occhi del tutto fuori dalle orbite. “Maledizione!” le uscì un'imprecazione, ormai impossibilità a calmare il suo cuore pulsante. E tutto questo mentre il mondo di Sanji si era fermato. “Z-zio?” 
L’ospite sospirò arresa da sé stessa. “Scusate” così provata e affranta, “ho ereditato la sincerità da mio padre…e non riesco a mentire.” 
“La scusa più stravagante che abbia mai sentito, yo-hohoho.” Brook, che sorseggiava finalmente il suo primo intruglio della giornata, posato e a suo agio, aveva sputato metà contenuto fuori rischiando di soffocare. 
La ragazza riacquistò la sua postazione fiera e, facendo scena, allungò il braccio in avanti. “Mia madre me di dice sempre che sono senza speranza come mio padre!” La sua era una specie di caricatura del genitore, imitando il suo tono contrariato. “…e tutto questo solo perché non riesco a dire le bugie.”
Sospirò. 
“Siete una famiglia di pazzi…” Usop, si pronunciò, arreso dal non capirci più niente, mentre incrociava le braccia al petto e continuava a guardare la bambina con sfiducia e terrore. 
“Una famiglia che a quanto pare... è la nostra famiglia…?! Non sto capendo proprio niente…” Sanji, non aveva scordato quell’appellativo. “Comunque io non mi ci vedo proprio a fare lo zio.” 
“Certo, una nipote non te la potresti filare.” 
Zoro non perse occasione per punzecchiarlo, mentre con fare rozzo consumava la sua colazione, quasi facendo a gara con Rufy, che non respirava nemmeno. Sanji ringhiò infastidito dal vederlo così tranquillo a punzecchiare come se lui non c'entrasse niente. 
“Senti un po’…” il capitano aveva già terminato due porzioni enormi di cibo che equivalevano alla colazione di tutta la ciurma “quando, e se vorrai rivelarci la verità, lo farai. Non sarai obbligata da nessuno a farlo adesso.” Le sorrise felice, grosso come una palla per via dello stomaco sazio e soddisfatto. 
Quella rispose annuendo, ancora più entusiasta di lui, a quella gentilezza, regalandogli un sorriso a sua volta. Le aveva appena tolto un grosso macigno dal petto. “Papà lo dice sempre, che posso contare sulla tua stupidità.” 
“Hei!” Allungò il braccio e le tirò uno scappellotto sulla spalla. Ma poi tornò a ridere. “Che spasso tuo padre! Allora deve proprio conoscermi bene.” 
Non direi proprio “uno spasso". 
“Allora posso stare qua con voi? Finché non trovo il modo per tornare a casa?”
Stringeva i denti in preda all’ansia più curiosa. Sembrava priva di paura ma negli occhi un’ombra che necessitava di essere rassicurata. 
Rufy annuì. 
“È così ti chiami Rin?” a Chopper questo dettaglio non era sfuggito, e riprese parola dopo essersi ripreso dal mal di testa diventato immediatamente cronico dopo tutto quell’essere strattonato. 
La moretta fece sì con il capo, un po’ imbarazzata, assaporando finalmente del cibo e illuminandosi di felicità dopo averlo ingurgitato. “Che bontà. Questa è la mia preferita.” Indicò la torta agli agrumi con crema pasticciera al limone. 
Sanji sorrise. “Ne conservo anche un po’ per Nami-San.” Tagliò con cura una porzione gigantesca del dolce e la mise da parte con attenzione. “Chopper, non c’è da preoccuparsi per quella ferita, vero?” 
Il medico fece “no” con il capo, finendo indirettamente lui sotto lo sguardo insistente di tutti gli altri compagni. 
“Non deve sforzarsi finché non si rimargina onde evitare spiacevoli conseguenze. Ma starà bene.”  
Rin aveva seguito la conversazione e gli sguardi di tutti, capendo perfettamente a chi si stessero riferendo in quello scambio di battute, ma non conoscendo il contesto. 
“Quale ferita?” chiese, sbranandosi la torta, ancora piuttosto affamatissima. 
“Non ricordi niente?” 
Robin la osservò, cercando di capire se mentisse o se fosse davvero sincera come diceva, mentre aveva appena poggiato la tazza di tè sul tavolo, guardandola dritta negli occhi.  
“Ricordo di aver perso i sensi.” 
E in quel momento sfiorò la sua ferita all’addome con il dito, constatando che si era già richiusa, trovandoci solo un segno sulla sua pelle candida. “Mi hai medicata tu Chopperino?” Si era ricordata che durante il bagno caldo aveva tolto delle bende che non sapeva di avere; gli occhi le erano appena diventati scintillanti e pieni di dolcezza, mentre osservava il piccolo dottore.
Quest’ultimo annuì, rosso in viso. “É una ferita superficiale” le disse, imbarazzato da quello strano ed eccessivamente affettuoso sguardo. Uno sguardo che da estremamente amorevole divenne quasi truce, quando si concentrò ancora sull’archeologa. 
“Allora, che è successo?”
Usop, che non aveva mai smesso di tenere sott’occhio quel visino, tremò. “Ma come fa a cambiare così repentinamente? Ora fa quasi spavento.” Ancora che continuava a studiarne l’espressione, beccandosi di conseguenza un’occhiataccia veramente incattivita dalla suddetta interessata. “Ecco per l’appunto!” rabbrividì ancora. 
Robin riprese parola, ignorando l’amico fifone, “ti abbiamo trovata coinvolta nello scontro, eri già ferita”, la indicò, “sembravi smarrita e senza forza. Un uomo, non so dirti se pirata o marine, ti ha puntato la pistola contro, ti avrebbe potuta uccidere se non fosse stato per Nami che ti si è parata davanti.” Si fermò per respirare, incuriosita da quel repentino cambio di emozione. Ora Rin sembrava quasi terrorizzata. Stava ricordando qualcosa, ma non voleva dirlo a loro. L’espressione sconvolta, quasi imbevuta di un dolore appena arrivato d’improvviso che la stava lacerando. 
“In ogni caso, hai perso i sensi per la ferita all’addome che già avevi” ci tenne a precisare. 
“Capisco…” Aveva le mani tremanti, “mi dispiace…”, si alzò in piedi molto frettolosamente cercando di nascondere un’agitazione palpabile, “N-N- Nami, quindi, sta bene?” 
“Certo” le sorrise Robin, “non sentirti in colpa, Nami è fatta così: se qualcuno tocca un bambino si arrabbia molto...” 
Lo so. 
“Ma sì, non prenderla a male adesso…ha la pellaccia dura.” Franky ingurgitò l’ultimo pezzo di torta poco educatamente. 
So anche questo. 
Sorrise fintamente a tutti la piccola, con le mani pronte a tremare da un momento all’altro. 
“Vado a riposare un po’, se non vi dispiace.” 
Si alzò svelta, e senza chiedere molte informazioni sulla disposizione della nave o, soprattutto, aspettare risposta alcuna, si diresse in camera delle ragazze senza più incrociare lo sguardo di nessuno. 
 
“Quel modo di fare…” Usop non aveva smesso di indagare su di lei, continuando a scavare in quegli zigomi, mentre si massaggiava il mento pensieroso. 
“Eh già…” 
Robin sorrise d’improvviso, senza attirare però l’attenzione degli altri ancora piuttosto confusi. Non era affatto sicura di aver capito qualcosa in particolare, i suoi erano dei pensieri del tutto impossibili e inusuali, e qualunque teoria facesse le sembrava veramente irrealizzabile, però, c’era qualcosa in quella bambina, una vibrazione, un sentimento, un lineamento familiare, che non poteva proprio evitare di prendere in considerazione e di non farci teorie strampalate sopra. 
 
 
 
 
   
 
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