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Autore: My Pride    15/08/2021    0 recensioni
~ Raccolta di flash fiction/one-shot incentrate sui membri della Bat-family ♥
» 200. Cospiracy ~ Bernard x Tim
Non è la prima volta che Bernard passa un mucchio di tempo al computer, ma non gli è mai capitato di starsene quasi mezza giornata alla ricerca di chissà cosa tra forum che parlano di supereroi, siti dedicati e informazioni che dovrebbero teoricamente arrivare dal cosiddetto “dark web”.
Genere: Commedia, Generale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna, Het, Slash | Personaggi: Bruce Wayne, Damian Wayne, Jason Todd, Jonathan Samuel Kent, Richard Grayson
Note: Raccolta, What if? | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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As a family we go Titolo: As a family we go
Autore: My Pride
Fandom: Batman, Super Sons
Tipologia: One-shot [ 2608 parole [info]fiumidiparole ]
Personaggi: Damian Bruce Wayne, Jonathan Samuel Kent

Rating: Giallo
Genere: Generale, Slice of life,

Avvertimenti: What if?, Slash
Solo i fiori sanno: 37. Stella di Natale: buon auspicio, augurio sincero
I like that quote, said the month: Se c’era una cosa che aveva capito nella vita, era che gli errori sono indispensabili per ricostruirsi. {da Gli scomparsi di Chiardiluna, #2 della saga dell'Attraversaspecchi}
Quella volta in cui: "Riusciresti a essere felice, qui con me?"


BATMAN © 1939Bob Kane/DC. All Rights Reserved.

    Jon sorseggiò il suo caffè mentre preparava la colazione, gettando un'occhiata fuori dalla finestra che affacciava sui campi innevati circostanti.
    Era la mattina di Natale e a distanza di poche ore sarebbero arrivati anche i loro ospiti, ma per il momento Jon voleva solo godersi lo spettacolo che quella coltre bianca gli stava regalando. Quel senso di pace e tranquillità gli era mancato sin dal primo giorno in cui, da bambino, era stato costretto a trasferirsi a Metropolis, e non aveva smesso di sorridere da quando avevano messo piede ad Hamilton, nella vecchia fattoria in cui aveva vissuto con la sua famiglia quando si facevano ancora chiamare “Smith”.
    A voler essere sinceri, non avrebbe nemmeno pensato di poterla rivedere. Sapeva che i suoi genitori l'avevano venduta tantissimi anni addietro e lui non ne aveva più saputo niente, troppo giovane per interessarsi a cose del genere e troppo arrabbiato con loro per l'esser stato strappato dalla vita così semplice e genuina con cui era cresciuto. Vivendo in città, con i suoni caotici nelle strade e il terribile odore di smog, gli erano mancati gli animali nelle loro stalle, lo svegliarsi col cinguettio degli uccelli e il gorgogliare del fiume a qualche chilometro di distanza, suoni che giungevano alle sue super-orecchie non appena apriva gli occhi e cominciava una nuova giornata. Abbandonare tutto gli era costato molto e, per quanto crescendo si fosse abituato alla rumorosa Metropolis, non aveva mai smesso di pensare alla vita che conduceva alla fattoria.
    Il discorso era uscito fuori anche con Damian, una volta. Quel giorno, entrambi avevano litigato con i loro padri e si erano ritrovati alla loro Fortezza, comparando le vite che facevano prima nonostante Damian avesse preferito non parlarne troppo, giacché Jon sapeva che non aveva avuto una bella infanzia. Ma aveva comunque ascoltato le sue lamentele con attenzione, ed era stata anche la prima volta che si erano avvicinati davvero. Un semplice sfiorarsi di mani, un gioco di sguardi, ma da quel momento avevano capito che tra loro tutto sarebbe cambiato e allo stesso tempo... non sarebbe stato comunque diverso. E anni dopo, con una relazione ormai stabile sulle spalle e mille avventure che avevano segnato i loro corpi, Damian era riuscito a stupirlo davvero.
    Per quanto ammaccato dall'ultima ronda in cui nessuno dei suoi fratelli era rimasto illeso - no, sul serio, sembrava che fossero rimasti tutti coinvolti in un incidente, e quella era stata effettivamente la versione ufficiale che avevano dato alla stampa -, Damian aveva insistito che lo portasse in volo fino Butler County, dove a suo dire stava seguendo una pista di chissà quale super criminale che aveva terrorizzato Gotham. Jon non era stato esattamente sicuro della cosa, provando a dirgli che con quel gelo e con quel braccio ingessato avrebbe fatto meglio a starsene alla villa insieme agli altri e a lasciare che se ne occupasse lui o qualcun altro, ma Damian era stato irremovibile e, roteando gli occhi, Jon aveva finito per spiccare il volo insieme a lui.
    Infagottato da capo a piedi, con sciarpa e cappello che gli nascondevano in parte il viso, Damian l'aveva guidato e lui aveva seguito le sue direttive, con la consapevolezza che a poco a poco si faceva spazio in lui mentre volavano sulla contea. Aveva riconosciuto i campi, la cittadina illuminata a festa per la fiera invernale, il fiume divenuto ormai una distesa ghiacciata e i silos imbiancati, e quando l'aveva fatto atterrare accanto alla vecchia cassetta della posta che recitava ancora il nome “Smith”, seppur a lettere sbiadite, aveva guardato Damian con fare interrogativo. Lui si era preso un momento e, con i piedi che affondavano nella neve, si era rassettato la giacca con una mano prima di gettargli un'occhiata piuttosto eloquente e sorridere, uno di quei rari sorrisi sinceri che di tanto in tanto riusciva a concedersi. Poi, infilando una mano nella tasca intera del cappotto, aveva tirato fuori un rotolo di carta e gliel'aveva consegnato senza proferire una parola.
    Jon aveva arcuato un sopracciglio e aveva cominciato a srotolare quella pergamena, sentendo a stento il «Buon Natale, Jon» da parte di Damian mentre gli occhi azzurri, increduli e dilatati, si posavano su quello che si era rivelato essere l'atto di proprietà della fattoria. Damian l'aveva recuperato per lui... e lui per poco non aveva pianto di gioia come un idiota mentre stritolava il compagno in un caloroso abbraccio e affondava il viso nell'incavo della sua spalla. Avevano poi passato i giorni successivi a sistemare la fattoria, o almeno Damian aveva cercato di dare una mano come concessogli dal braccio, perché Jon aveva insistito di volerci pensare lui e non affidarsi ad una ditta specializzata, dato che voleva vivere quel luogo come quand'era bambino. E Damian, per quanto avesse roteato gli occhi, alla fine non aveva protestato e l'aveva lasciato fare. Aver poi addobbato tutto ed essere rimasti lì aveva aggiunto il tocco di classe a quel regalo, prima di farsi spedire le valige con tutto ciò che sarebbe servito loro.
    Con quei pensieri per la testa, e canticchiando tra sé e sé un motivetto natalizio, Jon sorrise. Per quanto Damian facesse il duro e cercasse di mantenere uno stoico controllo, Jon aveva ormai visto ogni suo volto nelle più variegate sfaccettature. E la cosa gli piaceva al punto da fargli allargare le labbra come un idiota. Certo, a volte Damian si comportava in modo insopportabile ed era stata una faticaccia farlo stare buono e ripetergli in continuazione di non sforzarsi con quel braccio ingessato - la mattina precedente l'aveva beccato con un'accetta in mano, a suo dire per spaccare la legna per il camino, e aveva dovuto trascinarselo dentro per evitare che si buscasse anche l'influenza -, e ancor più faticoso era l'aiutarlo con le cose basilari come il vestirsi visto che odiava dipendere da qualcuno, ma alla fine non era stato così drammatico.
    Ridacchiò e, posando la tazza ormai vuota, si concentrò sulla colazione: bacon croccante e salsicce per sé e uova strapazzate per Damian, giacché era vegetariano, più un po' di pane, burro e marmellata, fette di pomodoro e patate rosolate in padella, e non aveva nemmeno voluto rinunciare ad una buona spremuta d'arancia e ad altro caffè. Così, una volta pronto, afferrò un vassoio e vi ripose il tutto, lanciando una veloce occhiata all'orologio appeso al muro della cucina. Erano le nove: relativamente presto per l'arrivo degli ospiti e altrettanto presto per quell'ex pettirosso dormiglione. E pensare che si vantava in continuazione di essere stato addestrato a dormire solo per brevi periodi e che metà del suo cervello poteva sonnecchiare anche mentre era sveglio.
    Quando arrivò silenziosamente in camera, Jon sbuffò ilare alla vista. Non aveva minimamente idea di come facesse a dormire in quella posizione, eppure Damian russava così profondamente da fargli immaginare che non fosse poi così scomoda come pensava. Col braccio ingessato abbandonato sullo stomaco, si era portato una mano sulla fronte e aveva il dorso premuto contro di esso, col viso letteralmente spiaccicato sul cuscino e i ciuffi ribelli di capelli neri sparpagliati sulla federa; aveva la gamba destra piegata sul materasso e le coperte aggrovigliate intorno al polpaccio, mentre l'altra era completamente distesa verso il suo lato del letto.
    Jon scosse il capo con fare divertito, avvicinandosi silenziosamente per poggiare il vassoio sul comodino e sedersi sul bordo del materasso, proprio accanto al compagno. Appariva così tranquillo che quasi gli dispiaceva doverlo svegliare, ma avevano una tabella di marcia piuttosto stretta e Damian stesso gliene avrebbe dette quattro se non l'avessero rispettata. Così si chinò col viso verso di lui per potergli poggiare un bacio sulle labbra, ma una mano si sollevò per piazzarsi proprio sulla sua faccia, premendo il palmo contro le sue labbra e schiacciando la punta del naso. E tanti cari saluti al “bacio del buongiorno”. Non riusciva mai a sorprenderlo.
    «Gh... sono sveglio», rimbeccò Damian con voce impastata dal sonno, per quanto non avesse accennato minimamente ad aprire gli occhi. «Ti avevo già sentito...» trattenne uno sbadiglio «...arrivare».
    «Non sapevo che avessi anche tu il super udito», brontolò Jon con ironia.
Una palpebra si sollevò quanto bastava per far sì che quell'iride smeraldina lo guardasse con cipiglio, e fu a quel punto che venne letteralmente fregato prima ancora che i suoi sensi sviluppati se ne rendessero conto: Damian si sporse verso di lui e lo zittì con la propria bocca, facendo guizzare la lingua per intrecciarla con la sua; Jon fece scivolare una mano lungo il suo fianco destro e ricambiò con gusto ma, proprio nel farlo, sentì il sapore del dentifricio alla menta e un po' si accigliò, e solo quando si separarono vide il ghigno divertito dipinto sulle labbra di Damian, compiaciuto probabilmente dall'espressione stranita a cui aveva dato vita.
    «Te l'avevo detto di averti sentito», affermò soddisfatto nel drizzarsi a sedere sul materasso per poggiare la schiena contro la testiera del letto, stiracchiandosi con un altro piccolo sbadiglio.
    Jon arricciò il naso. «...sei un demonio».
    «Lo so». Il ghigno sulle labbra di Damian divenne più largo, poi fece un cenno col capo verso il vassoio sul comodino, scrutando il cibo con fare divertito. «Colazione a letto? Vuoi viziarmi, Jonny-boy?»
    «È la mattina di Natale», rimbeccò Jon nello stringersi semplicemente nelle spalle. «E anche un uccellino super sexy e idiota che finge di dormire dopo essere corso in bagno a lavarsi i denti per prendersi gioco del suo povero e amorevole super ragazzo può farsi viziare un po’», soggiunse, troppo velocemente e senza nemmeno una piccola pausa per essere capito nell’immediato, visto che Damian arcuò un sopracciglio e si prese un momento per assimilare quelle parole, sbuffando sarcastico quando comprese.
    «Cinque passi avanti, Kent. Ricordalo», gli rese noto, ignorando il borbottio che Jon si lasciò sfuggire prima di vederlo afferrare il vassoio e sistemarselo in grembo.
    «Cinque passi avanti, eh? Allora, se sai già cosa succederà, di’ “Ahw”», rimbeccò Jon con ironia nell’affermare un toast con la marmellata e avvicinarlo alla bocca di Damian, il quale lo guardò con un sopracciglio inarcato prima di togliergliela dalle mani.
    «L’altro braccio mi funziona. Con queste sdolcinatezze mi farai venire il diabete», rimbeccò, e Jon borbottò qualcosa tra sé e sé prima di afferrare una forchetta.
    «…il mio romanticismo sta sanguinando copiosamente».
    «C’è un kit di pronto soccorso nella mia cintura multiuso», se la sbrogliò Damian come se nulla fosse nel dare un morso al toast, scoppiando a ridere nell’incontrare lo sguardo corrucciato di Jon prima di consumare insieme quella colazione tra una battuta e l’altra.
    Tutto sommato non fu male. Quell’aria domestica che si respirava era bizzarra, ma non spiacevole, e Damian non aveva fatto altro che guardare di tanto in tanto Jon mentre mangiavano seduti l’uno accanto all’altro su quel letto, godendosi il calore intimo e famigliare di quella casa. Era strano come riuscisse a farlo sentire apprezzato, mai fuori posto, sin da bambino aveva sempre avuto quell’ascendente positivo su di lui. Nonostante tutto quello che aveva fatto, nonostante il passato burrascoso che aveva, Jon non l'aveva mai abbandonato, capendolo senza biasimarlo per i suoi errori. Ma s
e c’era una cosa che aveva capito nella vita, era che gli errori potevano rivelarsi indispensabili per ricostruirsi, per andare avanti, per cercare la propria redenzione e diventare una persona migliore. Persona che Jon non aveva mai faticato a vedere. Per quanto sdolcinato potesse sembrare, Damian l’aveva considerato un piccolo raggio di speranza nell’oscurità che era sempre stata la sua vita, e la consapevolezza gli giunse chiara e pura come l’alba che aveva visto sorgere lì ad Hamilton. Dannazione. Amava Jon Kent in modi che mai avrebbe creduto possibili. 
    «Potrei abituarmi», disse di punto in bianco Damian, e Jon si voltò verso di lui per sbattere le palpebre e osservarlo.
    «Cosa?» chiese stupidamente.
    Damian si prese un momento, ricambiando il suo sguardo. «A questo», cominciò, allargando il braccio buono per indicare entrambi, la stanza, il vassoio ormai vuoto abbandonato sul comodino e il paesaggio fuori dalla finestra. «La semplicità. La fattoria. Noi due». Gli occhi di Jon si illuminarono, ma Damian sollevò una mano per mettere a tacere qualunque replica prima ancora che provasse a darle voce. «Ma non posso smettere di essere un eroe».
    Se Damian avesse potuto, probabilmente avrebbe sentito qualcosa andare in frantumi. Ma certo. Anche Jon era un eroe, sapeva cosa voleva significare avere il peso dell’eredità genitoriale sulle spalle o un passato turbolento che ti costringeva ad essere migliore, anche quando non dovevi dimostrare niente a nessuno.
    «Mi piace stare qui, e so quanto sei legato a questo posto. È il motivo per cui non potevo lasciarlo in mano a dei perfetti estranei», continuò Damian. «Ma ignorare tutto non fa per me. Braccia rotte, costole incrinate, cicatrici e tutto il resto… fa tutto parte di me, J. Anche i tuoi lamenti quando torno malconcio, o il modo in cui cerchi di prenderti cura di me nonostante io ti allontani. Com’è successo con questo», accennò al braccio ingessato, e Jon roteò gli occhi.
    «Non sei esattamente un tipo facile con cui trattare».
    «Per niente», concordò Damian. Solitamente non era così logorroico, né metteva nero su bianco quello che pensava. Ma quel posto, quella calma, quella sensazione di… “famiglia”, riusciva a rilassare persino un tipo emotivamente incapace come lui. «Per quanto sappia che tu ci provi da quando avevi dieci anni, e non ti sei mai arreso in questi undici anni. Ma, anche se mi piacerebbe, non posso essere solo “Damian”».
«No, certo. Lo… lo capisco», replicò Jon. Lo capiva davvero, ma per un momento non poté negare di averci sperato. «Non è una scelta che si può prendere alla leggera, non--»
    «Sta’ zitto e lasciami finire, Kent». Damian suonò un po’ irritato, e Jon una volta tanto decise di tacere senza ribattere. «Non posso comunque mentire a me stesso e dire di non aver mai pensato di fare… altro. Gotham non è mai stata la mia città, è sempre stata la città di mio padre. E se c’è una cosa su cui mio nonno aveva ragione, è che bisogna guardare ad un disegno più grande, all’umanità senza concentrarsi unicamente sul singolo». Damian prese un bel respiro, cercando le parole adatte. «Quindi… se, e dico se, volessimo provare a vivere da queste parti… ti converrà essere davvero più veloce di un proiettile per riportarci in mezzo all’azione. Ovunque essa si trovi, ragazzo di campagna».
    Confuso, Jon lo fissò per attimo interminabili, come se la sua mente kryptoniana, solitamente così rapida, stesse ancora cercando di elaborare le informazioni che aveva appena ottenuto. Scombussolato e con le labbra socchiuse, sbatté le palpebre talmente velocemente che fu difficile guardarlo negli occhi, almeno finché non osservò attentamente il volto di Damian. «Mi stai davvero chiedendo…»
    «...di vivere insieme, sì», affermò lui senza il minimo segno di esitazione nella voce. E, prima ancora che potesse rendersene conto, le labbra di Jon erano nuovamente incollate alle sue, le sue dita intrecciate fra le ciocche dei suoi capelli, il massiccio corpo d’acciaio che lo sovrastava scosso dall’emozione. Piccoli fremiti impercettibili, la bocca sorridente contro la sua, e il piacevole ronzio del silenzio che li avvolgeva. Era sicuro che Jon riuscisse a sentire il flusso del suo sangue e il battito frenetico del suo battito cardiaco, segnali inconfutabili di quanto lui stesso fosse emozionato dalla novità che stava cominciando ad affacciarsi.
    Forse la loro vita non sarebbe stata perfetta... ma l’avrebbero affrontata insieme
.





_Note inconcludenti dell'autrice
Questa storia è stata scritta per l'iniziativa #antiferragostochallenge indetta sul gruppo facebook Hurt/comfort Italia con il prompt "Colazione a letto", e ho deciso di farla partecipare anche alla challenge I like that quote, said the month indetta da Mari Lace sul forum di EFP, poiché la frase scelta di adattava perfettamente al momento e al personaggio di Damian
Era da un po' che volevo scrivere una cosa simile, un piccolo spaccato di vita quotidiana che vedeva questi due fare davvero i conti con ciò che significa essere una coppia, con l'affacciarsi della voglia di cominciare a vivere insieme e assaporare le piccole cose, dallo svegliarsi la mattina nello stesso letto al condividere una semplice colazione
Ultima precisazione: il titolo del capitolo è tratto dal numero #44 di Superman (2016).
Commenti e critiche, ovviamente, son sempre accetti
A presto! ♥



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