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Autore: Joy2000    16/08/2021    0 recensioni
Olivia è stata arrestata...e ci eravamo lasciati lì. Dal testo:" Non posso crederci. Chi ha osato toccare il mio pub? Chi si è permesso di darlo in pasto alle fiamme?"
TOM POV
Genere: Drammatico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Thomas Shelby
Note: Lemon, Lime | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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Corro per le scale dell’ospedale portando Lily in braccio. Ha perso conoscenza e il colore della sua pelle schiarisce sempre di più, ma il suo cuore batte, anche se flebilmente, lo sento che lotta disperatamente per restare in vita.
“Un dottore, presto!” grido più volte attirando l’attenzione delle suore che accorrono affannosamente verso di me. Lily viene portata con quelle che non sono le mie braccia in una sala operatoria e io entro con lei, nonostante le sorelle cerchino di bloccarmi.
“Sono Thomas Shelby” spero che il mio nome mi preceda e per fortuna è  così. Sentendo il mio cognome le sorelle abbassano la testa e costernate mi lasciano passare. Lily è distesa su una barella e medici e infermieri passano freneticamente da un lato all’altro della stanza per prendere gli strumenti necessari per curarla.
“Ha perso molto sangue” “è molto debole” “Non ce la farà”. Le parole di tutti quei professori della salute mi rimbombano nella testa e per un attimo perdo la lucidità. Vengo pervaso dal panico e non so che dire, non so che fare, se non continuare a rispettare la mia immagine.
“Cucite la ferita!” ordino calmo.
“Ma signor Shelby, la ragazza è stremata, il battito è irregolare non…”
“CUCITE LA FERITA” grido poi severo mentre sfilo  la pistola dalla fondina e la punto tremante contro i medici, che alzano le mani impauriti e mi guardano spaventati ma pieni di compassione. Non voglio la loro compassione, voglio solo che cuciano quella stramaledetta ferita in modo da salvare la mia piccola Lily. Abbiamo tanti progetti insieme, forse troppi per rinunciarvi. Un dottore alto e stempiato mi viene vicino cautamente, nonostante la canna puntata verso di lui. Mi poggia una mano sul braccio destro, quello che impugna l’arma, e piano piano me lo fa abbassare.
“Signor Shelby, forse è meglio  che non sprechi questi ultimi minuti. La giovane ha bisogno di lei, le parli e si goda questi ultimi istanti, non viva nel rimorso.”
Il dottore non sa che la colpa di tutto questo è mia, non sa che vivrò comunque in un rimorso che mi corroderà l’anima. Non sa che io amo Olivia con tutte le mie forze e che il sol pensiero di perderla mia fa mancare la terra sotto i piedi. Annuisco al medico stempiato che richiama i suoi collaboratori e mi lascia solo con la mia dolce metà. Mi avvicino lentamente alla barella, dove Lily è distesa. Ha un colorito grigiastro e respira a fatica. Le poggio una mano sul viso, imperlato di sudore, e la chiamo dolcemente. Lei con non poco sforzo apre gli occhi in una fessura e prova ad abbozzare un sorriso tirato.
“Ehi, signor Shelby” sussurra flebilmente. Le sorrido mentre lacrime amare sono sul punto di precipitare dai miei occhi. Provo a cacciarle indietro stringendo i denti, ma mentre pronuncio le uniche parole che riesco a pensare, inizio a piangere.
“Mi dispiace, è tutta colpa mia” stringo la sua mano immaginando di poterle dare un po’ della mia vita, di farla passare dal mio corpo al suo attraverso quel punto di contatto, ma so che è solo una stupida illusione.
“Tom, è colpa di Kimber. Devi salvare mia sorella” pronuncia lei respirando affannosamente.
“Ti prego non andartene, non lasciarmi da solo” la supplico, a un soffio dalla sue labbra ormai pallide.
“Non sei solo, io ci sarò sempre. Ti amo” e dopo aver detto ciò si protende verso di me per un ultimo bacio. Le sue labbra sono fredde, eppure vorrei che quel bacio non finisse mai. Ancora un secondo, e poi un altro, e un altro ancora, ma ormai le sue labbra sono inerti eppure io ho paura di staccarmi da lei. Ho paura di aprire gli occhi e di vederla così, immobile e lontana da me. Un altro secondo. Da oggi in poi non potrò più averla con me. Un secondo ancora, ma mi viene negato, i medici mi portano via e io mi faccio trascinare senza ostacolarli, mentre l’ultima immagine che vedo è quella di un lenzuolo bianco che va a coprire interamente il corpo della mia Olivia.
Scendo le scale spesato e confuso, come se non fossi realmente io, come se invece fossi un fantasma o un robot dai movimenti meccanici e non ragionati. Vado incontro a Johnny Dogg e ai miei fratelli a sguardo basso perché non ho il coraggio, né la forza, né la lucidità per dire ciò a cui ho assistito. Loro mi guardano impazienti, ma io rimango immobile di fronte a loro, con le mani in tasca e con le lacrime bloccate sull’uscio degli occhi. Arthur mi poggia una mano sulla spalla ma quel contatto mi inorridisce, mi nausea e mi scuoto nervosamente allontanandomi un po’ da loro. Li ritengo responsabili, ingiustamente, ma sono troppo scosso per spiegare. Mi chiedono di Olivia, insistenti, ma io non posso far altro che sbattere la testa automaticamente a destra e a sinistra, per dire che ormai non c’è più niente da fare. Gli uomini sono ammutoliti e io non riesco a restare affianco a loro un minuto di più. Vorrei scappare, urlare, buttarmi nel Tamigi e aspettare, anzi sperare,  che il fiume mi risucchi nelle tenebre o mi faccia morire di ipotermia, ma l’unica cosa che in realtà faccio è accendermi una sigaretta, girarmi dando le spalle ai miei fratelli e asciugarmi frettolosamente le lacrime che stavano scappando via. Mi sento un ladro, non posso neanche mostrarmi vulnerabile, o perlomeno non con loro. Con Olivia era diverso, lei mi leggeva dentro, mi capiva con lo sguardo, era nella mia mente e che volessi nasconderglielo o no, non ero così forte come mi mostravo. E lei lo aveva capito e soprattutto accettato. È tutta colpa mia...
Ritorniamo a casa con la macchina di Johnny Dogg. Raggiungiamo il mio ufficio ad Harley All per discutere sul da farsi e anche se nessuno proferisce parola, so che tutti si stanno chiedendo come reagiremo. Tutti si aspettano che io abbia un piano di riserva, un asso nella manica che faccia scacco matto a quel vigliacco di Kimber. Ma la verità è che non ho niente in mano, non pensavo il piano finisse così, e ora come ora non riesco neanche ad essere lucido.
“Johnny, devi richiamare i tuoi uomini, dobbiamo capire quanti sono i morti e i feriti gravi. Mi precipiterò a risarcirli il doppio rispetto a ciò che avevo promesso” ordino al mio amico zingaro che annuisce stringendo il cappello tra le mani. Mi saluta con un sorriso amaro e va via a passo svelto.
“Quanto a voi…parlate con Ada e con Polly, aggiornatele, io vi raggiungo più tardi da zia Polly” riferisco mentre mi dirigo verso il whiskey sul tavolino accanto alla mia scrivania.  Mi riempio un generoso bicchiere e lo porto alla bocca bevendolo tutto d’un fiato fino all’ultimo goccio. Ripeto nuovamente la stessa operazione sotto lo sguardo scettico e carico di pena dei miei fratelli.
“Potete andare” ordino squadrando il loro atteggiamento di attesa. John prova a parlare, ma Arthur lo blocca prima che possa emettere un suono, e fa bene perché non voglio sentire stronzate. Voglio solo andare di sopra e sentire quel che rimane del profumo di lavanda della mia dolce Lily. Ma prima, ancora whiskey.
Salgo barcollante le scale, mentre fumo una sigaretta con la destra e reggo con l’altra mano la bottiglia vuota di quell’alcolico ambrato che tanto mi fa impazzire e che ora mi fa vagare in un mondo offuscato e confuso, pieno di ombre e ricordi. Inciampo in un gradino e mi vien da ridere per la mia stupidità, provo a rialzarmi goffamente, e quando finalmente sono in piedi, aspiro un’atra boccata di fumo. Sono sull’uscio della nostra camera, e mi tremano le gambe. Ho le mani fredde per l’emozione, e gli occhi lucidi. Indugio ad entrare, ultimando la sigaretta per non diffondere la puzza di fumo in quello che ritengo ormai il templio del nostro amore. Getto la sigaretta per terra sperando che divampi un incendio e che io muoia bruciato e ustionato dalle fiamme del rimorso che sento, ma la sigaretta si spegne subito e il mio pensiero suicida abbandona la mia mente, momentaneamente. Cammino a passo lento verso il nostro letto, allungando l’attesa e accrescendo il desiderio di assaporare la sua essenza. Finalmente sprofondo sul materasso e vengo inebriato e pervaso dal profumo di lavanda che è Lily. Mi riempio i polmoni sperando che scoppino e che mi facciano così raggiungere Olivia in paradiso, anche se pensandoci non so se merito la pace nel regno dei cieli. Olivia invece sì, così angelica, così perfetta che quel Dio descritto da tutti come altruista e misericordioso, ha voluto portarmela egoisticamente via, lasciandomi come suo unico ricordo il profumo sul suo cuscino, che stringo tra le braccia come se fosse lei. Nel movimento altrettanto goffo come la caduta di pocanzi, mi accorgo che scivola giù dal letto qualcosa, un foglio. Lo raccolgo e noto che è pieno di parole. Subito leggo le prime
“Caro Tom”.  Poi sposto lo sguardo verso la firma finale “Lily”. La mia astuta innamorata mi ha preceduto. Ho paura a leggerla. Le mie mani tremano irrefrenabilmente e temo ciò che lei possa aver scritto. Eppure rimango perplesso…in qualche modo mi rendo conto che sapeva, percepiva il modo in cui sarebbero andati i fatti. E allora perché continuare? Perché rischiare la vita? Perché insistere a venire con me?
“Caro Tom, se stai leggendo questa lettera vuol dire che purtroppo nulla è andato secondo i piani previsti. Ho sempre ammirato la tua capacità di gestire le situazioni difficili, il tuo essere libero, il tuo non avere limiti, la tua intraprendenza e il tuo coraggio. Volevo essere come te, soprattutto in questa operazione, e mi sono accorta che standoti accanto, amandoti incondizionatamente come tu hai fatto con me, ho imparato a non avere paura, a gestire gli avvenimenti, non facendomi sopraffare da essi. Ti devo molto, e ti prego Tom, non commettere l’errore di sentirti in colpa. È stata una mia scelta seguirti, scelta che se avessi la possibilità rifarei altre mille  e mille volte, perché ti amo, perché mi fido di te, e  perché la vita di mia sorella vale più della mia. Ci sarò sempre per te, puoi giurarci. E starò bene ovunque andrò, perché avrò compagnia. Ricordi quella notte che ti lamentavi nel sonno? Non erano proprio lamenti, più frasi, e nominavi sempre la tua mamma, e vuoi sapere la cosa buffa? Anche se non l’ho mai conosciuta quella stessa notte tua mamma mi è venuta in sogno e mi ha tranquillizzato. Mi ha detto che presto l’avrei raggiunta, ed ecco perché ho deciso di scriverti questa lettera. Non sono mai stata una che crede nel mistico, però questa volta sentivo che le cose sarebbero andate male, che il piano non sarebbe riuscito. Non potevo dirtelo, saresti andato nel panico e forse mi avresti preso anche per pazza, chissà. È meglio che le cose siano andate  così, fidati. Ti amo, e se anche tu mi ami devi andare avanti. Fallo per me. Tua per sempre, Lily.”
Sono sull’uscio di Port Sunlight, anche se di sole non ce n’è e sono dovuto venire fin qui con il mio cavallo per non rischiare incidenti con la macchina, visto che sono dannatamente ubriaco. Mentre Black Velvet galoppava veloce verso Sutton Confield nella mia mente non facevo che risentire le parole della lettera di Lily. Sono stato troppo precipitoso, avrei dovuto prendere in considerazione le parole di mia madre, avrei dovuto ascoltarla sin dal primo giorno che mi aveva detto di allontanarmi da lei. Invece io avevo fatto di testa mia, come al solito e la situazione in cui mi trovo è tutto ciò che mi merito. L’andamento movimentato della mia cavalla  confondeva i miei pensieri e il mio dolore si mescolava alla nausea e alla preoccupazione per le reazioni di Polly e Ada. Una volta giunto davanti alla casa di mia zia, in ritardo di circa un’ora, cerco di ricompormi, sorseggio le ultime gocce del mio rum in fiaschetta e dopo aver aggiustato il berretto in testa in modo da coprire gli occhi arrossati e lucidi sono pronto per entrare. È tarda notte e mi incanto per un secondo a guardare il cielo e a cercare la stella su cui è volata Lilì. È quella più luminosa, accanto alla luna. Mi schiarisco la voce un istante prima che la mia sorellina mi apra la porta. Accenna un sorriso di cortesia che, si vede lontano un miglio, cela il senso di compassione e pena che prova nei miei confronti. È troppo gentile, a tratti quasi ossequiosa, e sebbene le voglia bene in questo momento mi ritrovo a provare per lei solo disgusto. Non può capire cosa sto provando, nessuno di loro può neanche tentare di immaginarlo. E la loro pena non risolverà la situazione né risolleverà la mia anima dal peccato e dal senso di colpa in cui è impantanata. Con un passo entro in casa di Polly e subito mi precipito a sfilare una sigaretta e ad accenderla. Saluto tutti con un “ciao” generale, evitando rigorosamente il loro sguardo, soprattutto quello di Polly, che guardo furtivamente da sotto al berretto: i suoi occhi sono come al solito severi e seri, ma il castano sembra più chiaro, meno aggressivo e più comprensivo. Anche lei è impietosita dal mio lutto, lei che più di tutti disprezzava Olivia nel profondo. Mantengo la calma, nonostante la nicotina non fa che accentuare la mia confusione dovuta all’alcol. Istanti interminabili di silenzio rimbombano assordanti nelle mie orecchie, mentre di tanto in tanto ancora l’eco delle parole scritte da Lily si conficcano nei miei timpani. So che dovrei prendere io la parola, ma sinceramente non so cosa dire, non ho ancora elaborato un piano e l’eventualità di deludere la mia famiglia si fa sempre più reale.
“Tom, vuoi sederti?” mi chiede cortesemente Ada che sta diventando fastidiosa. Scuoto la testa e aspiro un altro po’ di fumo.
“Avete sentito Johnny per caso? Ho bisogno di sapere il numero delle vittime” esordisco pensando che sia una delle poche cose sensate che nasconderebbe la mia impreparazione, ma prima che Arthur possa rispondermi Polly lo interrompe.
“No Tom, tu hai bisogno di andare a casa e riposare, hai bisogno di elaborare il lutto, hai bisogno di persone che ti stiano vicino! E levati quel dannato berretto!” mi dice in tono di rimprovero, mentre la sua disapprovazione esce da tutti i pori. Rido amareggiato mentre penso a quanto sia maledettamente facile giudicare dall’esterno. Mi avvicino a lei con calma e quando le sono a un paio di passi di distanza mi tolgo il berretto e la guardo negli occhi, impassibile.
“Pensavo che il mio braccio destro avesse consigli più intelligenti da darmi, invece mi sbagliavo.” Rispondo in tono basso, in modo che le parole arrivino dritto nelle sue orecchie. Rimane impassibile ma so che l’ho colpita nell’orgoglio e perciò resta ammutolita.
“Tom, ci sono solo 3 vittime, e 4 feriti non gravi. Il resto degli uomini sta bene e aspetta tue direttive”
Anche io stesso le aspetto, nonostante non possa dirlo a nessuno perché altrimenti apparirei sconfitto.
“Chi sono le 3 vittime?”
“Samuel, Zar e…” Arthur si interrompe e abbassa lo sguardo afflitto. So che c’è il nome della mia innamorata e che forse lui è l’unico a cui manca realmente oltre me. Annuisco e comincio a passeggiare avanti e dietro per il soggiorno  mentre il mio cervello elabora qualcosa e mentre tutti mi guardano in attesa di un’epifania.
Ma nel mio cervello non fanno che scorrere le immagini degli ultimi momenti prima della morte di Olivia, del suo colorito pallido, del nostro bacio e della sua richiesta di salvare Margaret. Mi fermo improvvisamente al centro della stanza e il mio orecchio viene attirato dal suono delle campane che segnano la mezzanotte e quindi l’arrivo della domenica, giorno di festa. Ma certo!!
“Oggi è domenica!” esclamo trionfante sotto lo sguardo perplesso degli altri. “Non capite? Il matrimonio non poteva essere sabato…è oggi! Questo spiega perché la trappola è stata ieri. Loro si aspettavano il nostro arrivo, sapevano tutto, lo avevano calcolato. Ma sicuramente non si aspetteranno un attacco oggi, durante il giorno delle nozze, in cui tutto è organizzato per la tranquillità e la felicità degli sposi”
La mia famiglia mi guarda scettica anche se non li biasimo visto com’è andato il piano di qualche ora fa. Onestamente anche io ho paura a fidarmi di me stesso, eppure il pensiero di dover salvare Margaret mi dà quella sicurezza che mai avrei sperato di ritrovare, quella forza e quel coraggio che temevo aver perso con la morte di Olivia. Ora non resta che darsi da fare.
  
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