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Autore: KaienPhantomhive    16/08/2021    0 recensioni
[Aggiornamenti Settimanali | -1 Capitolo alla fine | Seguito de: "EXARION - Parte I"]
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La battaglia di Varsavia ha mostrato al mondo la forza del Quarto Reich Lunare. Ma la sete di potere non conosce limiti, da parte di nessuno. Nuove Divinità Metalliche attendono di essere risvegliate, e nuovi Contratti aspettano le loro anime come pegno. Fino a che punto può spingersi il desiderio di distruzione reciproca degli uomini? Ha senso ostinarsi a concludere una guerra, se è destinata a ripetersi per sempre?
Genere: Azione, Drammatico, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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19.

All the lonely people

 

 

“Ha funzionato.” – un sorriso incerto si dipinse sul volto di Màrino, – “Ha davvero funzionato!”

Inspirò a fondo e la salsedine gli solleticò le narici. Ma non c’era salsedine, lì dentro. No, era una sensazione indotta. Era l’odore che la Machine poteva avvertire dall’esterno. Funzionava, eccome.

Uno scossone.

Tutta la cabina vibrò e Màrino arcuò la schiena, trafitto da un dolore sopportabile ma imprevisto. Si voltò e il gigante metallico fece lo stesso, scrollandosi di dosso il fumo residuo di un’esplosione. Guardò le navi della Marina inglese schierate a tre quarti di chilometro da lui, i cannoni puntati nella sua direzione.

Una voce maschile, militaresca, risuonò da un megafono sulla nave centrale, intimandogli in Inglese qualcosa a cui Màrino non prestò minimamente orecchio. Lui aveva un solo compito, non era lì per patteggiamenti pacifisti. Hydraggsjl si piegò sulle gambe, assumendo una posizione di guardia.

“Non osate avvicinarvi!” – gridò di rimando e mosse un passo.

L’intera flotta avversaria fece fuoco. HydraggsjiI si coprì il volto con lo scudo e i proiettili vi si infransero senza sortire effetto.

“Lo avete voluto voi!”

Il robot azzurro compì uno slancio, raggiungendo con una sola falcata la nave più vicina. Sembrò quasi scomparire e riapparire in un nugolo di spruzzi d’acqua, proprio davanti alla torre di controllo; il corpo proteso in avanti, la mano sinistra caricata per un affondo. Gli uomini all’interno del ponte raggelarono davanti alle enormi iridi rosse oltre le vetrate; l’ultima cosa che videro furono artigli metallici sfondare le pareti della stanza. Con un brontolio rauco Hydraggsjl spinse il braccio più in profondità, strinse nel pugno una manciata di lamiere accartocciate e le strappò da quel che rimaneva della torretta.

 

All’interno del Krakendorf il personale di bordo tripudiò quando una delle navi inglesi sparì dai radar, decretando la prima vittoria del nuovo pilota. Katrina sentì un brivido di gioia perversa fremere per tutto il corpo, fino al limite dell’eccitamento.

Con le mani a coprirle le guance arrossate, esclamò ebbra di piacere: “Wieder, wieder! Töte Sie alle!”[1]

 

Uno sfrigolio anticipò lo sparo di altri due cannoni a cariche elettrostatiche. Colpirono lo scafo della nave sulla quale era ancora inginocchiata l’Unità e una violenta esplosione la nascose alla vista.

“Non lo vedo più!” – gridò la vedetta di una delle navi, prima che qualcosa la scuotesse da cima a fondo.

“Non ho paura di voi!” – la corazzata si inarcò per la spinta di qualcosa di enorme sotto di essa: ruggendo in modo animalesco, il torso di Hydraggsjl riemerse dal mare, sorreggendo sulle braccia lo scafo della nave; solo i due luminosi occhi rossi rilucevano demoniaci nell’ombra.

Màrino mimò un immane sforzo nella cabina, gridando a pieni polmoni: “Non ho paura di nessuno!”

Hydraggsjl ripeté il movimento e con forza disumana scagliò via la fregata, facendola schiantare contro la terza della lista. Esplosero.

“Non se ho questo potere!” – si voltò di tre quarti, il volto contratto dall’ira.

Senza preavviso, una grossa torpedine acqua-aria emerse dal mare e si andò a schiantare contro la schiena del robot, costringendolo a piegarsi sulla colonna vertebrale. Poi un’altra e un’altra ancora. Rimasero compresse contro il suo corpo per un secondo prima che detonassero. Ma dalla coltre di fumo che ne seguì riemerse la sua mole gigantesca. Era ancora illeso.

 

A bordo dell’Eleanor Rigby, un operatore esclamò: “Ci sta decimando! Cosa facciamo?!”

“Dite alla flotta di guadagnare tempo!” – fu l’ordine della McCoy – “Dobbiamo raggiungere Alford e attivare l’Unità!”

 

Le coperture di sicurezza sul ponte di una fregata inglese si scoperchiarono, liberando una batteria di missili anti-aereo con una fontana di fumo bianco. Hydraggsjl posò un piede sulla superficie marina e una runa azzurra si illuminò al di sotto, sostenendone il peso. La Machine corse a pelo d’acqua, inseguita dai razzi che si tuffavano ed esplodevano. Saltò, un grande circolo alchemico si aprì a mezz’aria e, come un trampolino, lo sospinse in alto di centinaia di metri. Altre due serie di razzi a ricerca vennero sganciate verso di lui. Hydraggsjl si lasciò cadere a peso morto, brandendo la spada con cui fendeva i missili che gli danzavano intorno. Assestò un fendente a vuoto e lo spostamento d’aria fu tale da innalzare un muro d’acqua con tanto impeto da tagliare a metà due delle ultime tre navi superstiti.

Màrino rivolse lo sguardo verso l’ultimo obiettivo: “Ho vinto ormai!”

L’Oreikhalkos si illuminò e il gigante distese un braccio davanti a sé: una sfilza di rune di luce si aprirono in sequenza sull’acqua, sfoderando lame di spade. L’ultimo circolo alchemico si allargò sotto la fregata superstite e una colossale lama d’argento incisa a caratteri luminescenti impalò di netto la nave militare.

 

Aaron aveva osservato con occhi increduli la battaglia consumata fino ad allora, ignorando la mandria di civili terrorizzati. Si era accorto della torretta di controllo blu scura che faceva capolino dai flutti, in alto mare, e che si avvicinava a sempre maggior velocità verso i centri abitati, come la pinna di uno squalo. Stava venendo per lui.

 

“Aprire le bombole a pressione!” – ordinò la McCoy – “Eleanor Rigby: emersione!”

Sei vani si spalancarono sotto le casse di emersione nel ventre della nave, espellendo aria e acqua. La superficie del mare si incurvò sopra la spinta dell’Eleanor Rigby. Tonnellate d’acqua scorrevano su uno scafo longilineo ed elegante, pitturato di un blu mimetico, lungo oltre trecento metri. L’albero di controllo, basso e smussato, era affiancato da un paio di radar di profondità e quattro cannoni a torretta. Una doppia linea di cannoni sfilava lungo i margini del lungo ponte di coperta tappezzato da pannelli solari. A poppa brillava un propulsore elettromagnetico e la prua terminava in tre rostri disposti a Y, a protezione del Ponte di Comando frontale dalle grandi vetrate.

“Emersione completata.” – confermò il timoniere.

“Avviate la manovra di attracco: estendere i blocchi di ancoraggio!”

 

La nave virò completamente fino ad allinearsi alla banchina dell’isolotto, investendola d’acqua, Aaron compreso. Due sezioni laterali della fiancata di sinistra di sollevarono e ripiegarono all’insù, snodando due grandi stabilizzatori a tenaglia che si serrarono sulla terra ferma, incrinando l’asfalto. Un portellone di ingresso si aprì in cima allo scafo e una scalinata pieghevole si estese a scatto verso il marciapiede.

“Sali! Forza!” – intimò una voce dall’altoparlante.

Con un groppo in gola, Aaron obbedì. Sorpassò la soglia blindata e risalì le scalette che portavano al ponte di coperta. Camminò incerto sul rivestimento a pannelli solari ancora coperto dall’acqua di mare che gli inzuppava scarpe e pantaloni.

 

“Ce n’è un altro?” – Màrino, in lontananza, trovò la cosa più seccante che pericolosa. Poi la visuale dell’abitacolo zoomò fino ad inquadrare una minuscola figura in piedi sulla nave.

“Ma quello è…” – impossibile – “…Aaron?!”

 

La porzione centrale del ponte di coperta si abbassò e divise, rientrando nelle fiancate. Il coperchio di una bara in titanio emerse.

“Ora sali su quello scrigno e avvicinati al sigillo! Fai come al simulatore!” – questa volta la voce della McCoy fu riconoscibile.

Aaron sentì mancarsi il respiro e non fu solo per l’ondeggiare della nave sotto di lui. Quella puzza di ferro e benzina bruciata, quella salsedine sulla pelle, quella paura e quel senso di tradimento… tutto questo era reale. Si voltò verso la torre di controllo dell’Eleanor, poi ancora verso la bara nera e infine verso Hydraggsjl, lontano. Non ci sarebbe stato un finale diverso. Capì che in quel momento un solo sentimento superava di gran lunga ogni altro, perfino il terrore di morire. E capì che era rabbia.

Con un salto separò la breve distanza tra l’orlo del vano alloggiamento e la bara. Camminò in fretta verso il centro e presto si ritrovò in piedi sul sigillo dell’Athanor, abbastanza largo da poter accogliere una piccola piscina. Stavolta la voce arrivò dal cercapersone, una scelta che sembrò decisamente più intima, più umana: “Sai cosa devi fare.” C’era della rassegnazione in quella frase.

Deglutì. E lo disse: “Svegliati.”

La gemma del sigillo s’irradiò di luce bianca, innalzandosi in una colonna fino in cielo.

 

Aaron venne gettato in mondo di scintillii e calore, dove porte bidimensionali si spalancavano in un’infilata di stanze dalle carte da parati variegate, senza pavimenti né soffitti, e dove tende di carta velina davano su spazi cosmici insondabili. Gli abiti si disfecero in stelle filanti e una coperta di plasma avvolse il suo corpo in posizione fetale, racchiudendolo in una crisalide metafisica, che poi si fessurò, lasciando fluire via plasma multicolore come ali di un lepidottero e un essere emaciato dalla pelle grigiastra emerse dal bozzolo. Mosse un passo su una runa dorata e zampilli di energia risalirono lungo le sue gambe, rivestendole di una robusta armatura bianca striata di rosso, dai calzari metallici appuntiti. Immerse le mani, una dopo l’altra, in altre rune e ne riemersero ricoperte da artigli affilati e vambraci e rebraci bianchi. Fili di luce formarono un corpetto intorno al torso, solidificandosi in una corazza pettorale e altri spruzzi liberarono spallacci bianchi decorati da geroglifici scarlatti. Migliaia di ingranaggi e cavi si radunarono sulla sua schiena e due ali di vetro, come quelle di una libellula, si ripiegarono sotto pannellature di metallo. Un elmo dalla falda frontale oblunga calò sulla sua testa, una lama argentea si materializzò sulla punta, formando un corno frontale, e la maschera della Machine coprì il volto. Gli occhi rossi si spalancarono e materializzò un pesante scudo bianco sul quale splendeva un’ampia effige rossa e argento.

La torre di VRIL si annullò e il sole riverberò sulla corazza della nuova Divinità Metallica.

Era la grandezza di un cuore e la brevità di una farfalla; le lacrime di un monarca senza impero e la purezza di un amore inespresso.

“Spiega le ali al tramonto dei tuoi giorni…” – pronunciò Aaron – “…Bragjantyr.”

 

 “Aaron!” – la voce di Màrino venne riprodotta all’esterno della sua Unità– “Tu sei un Meister?! Com’è possibile? Perché non me lo hai detto?”

“Io?! Come avrei potuto dirti una cosa del genere? Tu, piuttosto! Tu sei…un...” – non riusciva nemmeno a dirlo ad alta voce – “…uno di loro! Come puoi essere dalla loro parte?! Hai idea di quello che fanno a quelli come me?!”

“Tu non puoi capire.” – Màrino abbassò lo sguardo pieno di rimorso – “Questo per me è l’unico modo.”

“C’è sempre un altro modo! Dopo tutto quello che hai passato anche tu, per giunta!” – poi provò a moderare i toni – “Non voglio combatterti, Màrino. Lascia perdere e vieni via con me.”

“Non posso farlo. Ho degli ordini.”

“E tu prendi ordini da quelli?! Con che coraggio?!”

 

A bordo del sottomarino nazista il fermento iniziava a sfociare in un imbarazzato sconcerto: “Ma che stanno facendo? Si mettono a litigare?”

Un operatore fece per prendere delle cuffie: “Dico subito a Blau Nixe di…”

“No, aspettate.” – li fermò la Winkler; accavallò una gamba e sorrise compiaciuta davanti a quello spettacolo – “Restiamo a guardare. Lasciamo crescere l’odio.”

 

“Non è così semplice!” – Màrino agitò i pugni in segno di protesta e perfino la sua sWAn ripeté quel gesto infantile, totalmente sincronizzata – “Sono loro che mi stanno proteggendo! Sennò che fine avrei fatto?! Loro mi hanno dato Hydraggsjl ed è solo così che potrò realizzare il mio Desiderio! Solo così posso salvare Sara!”

“Cosa li leggi a fare quei fumetti?!” – Aaron si sentiva diviso tra l’impulso di prenderlo a pugni o abbracciarlo – “Hai mai visto un eroe aiutare gente del genere?! Sei un ipocrita!”

Màrino sgranò gli occhi per la furia: lui un ipocrita? Di tanti al mondo, aveva il coraggio di dare dell’ipocrita a lui? Lui che aveva perso tutto senza guadagnare niente? Lui che aveva sacrificato la sua stessa anima pur di non veder più soffrire la persona che amava? No, non poteva sopportarlo. E più di ogni altra cosa, non poteva reggere l’idea che a dirlo fosse quello che fino al giorno prima avrebbe voluto considerare il suo migliore amico. Era troppo.

“Tu non capisci niente!” – ringhiò a testa bassa, come un cane da guardia – “Questa Machine è l’ultimo legame con la mia vita! E se uso il suo potere…io sarò un eroe!”

Hydraggsjl scattò verso il suo nuovo nemico e di rimando Bragjantyr accese i propulsori posteriori e decollò dal ponte di coperta. Espulse una manciata di razzi cilindrici dalla schiena in direzione di Hydraggsjl, che correva a pelo d’acqua contro di lui e che, con uno scatto del filo della spada, sollevò spruzzi d’acqua che si immobilizzarono per un momento a mezz’aria. Quindi, con un gesto del braccio, le masse d’acqua si estesero in getti sinuosi dalla forma di serpenti marini. Missili e serpenti acquatici si avvicinarono in un intricato gioco di spire per poi collidere ed esplodere. Bragjantyr riemerse in volo, sgrullandosi di dosso stracci di fumo grigio, diretto verso il cielo; le sue effimere ali di vetro brillavano contro il sole. Màrino arrestò la sua Machine e un ampio mantello fuoriuscì da sotto le piastre dorsali. Vi si arrotolò dentro, e lo riaprì con un gesto deciso, rivelando cinque spilli di VRIL blu che si solidificarono in altrettante spade. Il mantello si disfece come acqua. Roteando velocemente su un solo tacco, le scagliò in cielo come proiettili, una dopo l’altra, ma a Bragjantyr bastò un’unica ampia virata aerea per schivarle. Con la claymore che brandiva nella mano destra, Hydraggsjl caricò un fendente verso il nemico. Nella mente di Màrino era già impressa l’immagine della testa staccata dal corpo di quel robot bianco, ma s’illuse: Bragjantyr parò il colpo con l’enorme scudo, atterrò in mare e portò la mano al fiancale sinistro, afferrando un cilindro metallico agganciatovi. Un lama laser rosata si estese dall’elsa. Nell’esatto momento in cui la spada di Hydraggsjl tentò ancora di decapitarlo, il Monarca Bianco estrasse la spada, tranciando di netto la lama nemica. A Màrino si spezzò il fiato nel vedere il suo colpo andare del tutto a vuoto, mentre la punta tagliata e incandescente piroettava in aria per centinaia di metri, per poi abbattersi e tagliare in due un palazzo storico della Giudecca Est. Il giovane Meister sputò un grumo di saliva che gli si era formato in bocca, mentre visualizzò mentalmente una nuova soluzione: con uno spruzzo d’acqua, una seconda lama scattò fuori da sotto il piccolo scudo sull’avambraccio sinistro.

“Un’altra?!” – Aaron sgranò gli occhi.

Hydraggsjl mirò l’affondo dritto verso gli occhi di Bragjantyr, ma incontrò di nuovo la resistenza del suo scudo. Màrino gridò più forte e spinse ancora più a fondo, finché la lama non scivolò oltre lo scudo, andando a perforargli lo spallaccio sinistro. Anche la lama si spezzò. Aaron perse la presa tanto dello scudo quanto della spada laser, indietreggiando goffamente verso il centro abitato. Abbandonata ogni arma, passarono alle mani: gli artigli meccanici si incrociarono, palmo contro palmo.

 

Più a largo, l’Ammiraglia inglese fendeva le acque in direzione del triangolo rosso sulla mappa nautica: il Krakendorf.

Meine Fraulein,” – avvisò un sottoposto – “il nemico si dirige a tutta velocità verso la nostra posizione. Devono averci individuato!”

Ma Katrina Winkler non aspettava altro: “Che vengano! Mostreremo loro la potenza dalla Divisione Marine Kreutz!”

E come un leviatano dell’antichità, la mole nera del sottomarino nazista emerse dal mare in un tripudio di rivoli d’acqua. Tre grandi eliche, due ventrali e una sulla poppa, lo sostenevano in aria a pochi metri dalla superficie del mare. Un mostruoso crostaceo corazzato, dal dorso gobbo fatto di sezioni sovrapposte, che terminava in una coda tozza, e due gigantesche tenaglie frontali. Una svastica e un trifoglio stilizzato erano state dipinte sulla parte frontale.

 

Le sWARd Machines avevano ormai invaso la città, facendone un elegante e fragile terreno di battaglia, mentre il suono di ferraglie scontrate risuonava a ogni pugno. Quando i due giganti raggiunsero Piazza San Marco la pavimentazione rimbalzò come un tatami, insieme a uno stormo frenetico di piccioni e folle urlanti.

“Smettila! Stai distruggendo la tua stessa città!” – gridò Aaron liberandosi non senza sforzo da quella posizione e sferrando un pugno contro la maschera facciale di Hydraggsjl. Questo tentennò un solo attimo, prima di rispondere con un altro pugno: “Sei tu che ti sei messo in mezzo!”

Continuarono a colpirsi e a spingersi a turno, con i tacchi che incidevano l’asfalto, aggirando lentamente le Procuratie. Ma nonostante Aaron facesse di tutto per evitare che la sua Unità limitasse i danni o schiacciasse cittadini in fuga, Màrino non sembrava curarsene allo stesso modo, quantomeno dei palazzi.

“Non è così che dovresti comportarti! Non ci credo che è questo chi sei davvero!” – disse ancora Aaron, tra un gancio e l’altro.

“Sta’ zitto!” – urlò Màrino, senza nemmeno badare al dolore. Hydraggsjl gli affondò un montante nel basso ventre, inchiodandolo al campanile di San Marco, che tremò mentre la punta andava franando al suolo. Resistendo al rischio di distruggere del tutto quello che ne restava, il gigante bianco afferrò il suo avversario per le spalle e con tutta la forza possibile lo spinse indietro, atterrandolo al centro della piazza. Il corno frontale di Bragjantyr iniziò a vibrare velocissimamente, producendo un ronzio acuto e una luminosità soffusa. Un istinto atavico, violento, si stava impossessando di Aaron, mentre affondò con rabbia il corno all’altezza della clavicola della Machine nemica. Come tagliata da una sega elettrica, la corazza sprizzò prima una pioggia di scintille, poi venne un rumore di carne ed ossa maciullate e il sangue, denso e vermiglio, a imbrattare l’elmo immacolato di Bragjantyr. Rigagnoli rossi scorrevano sulla lucida armatura e andavano raggrumandosi in petali di rose. Màrino gridò di dolore – il Mercury-C faceva ribollire un segno rosso sulla sua pelle, in corrispondenza della ferita del gigante – ma, come per il resto della sua vita, quel dolore si tradusse in carburante: afferrò il corno ancora conficcato nella spalla della sua Machine, ferendosi così anche una mano, e riuscì ad estrarlo. Allontanò da sé il torso dell’altro gigante quel tanto sufficiente da poter ripiegare una gamba tra i loro corpi e calciarlo via con forza. Il Monarca Bianco caracollò sull’ala opposta delle Procuratie, sfondandola. Hydraggsjl si mise a sedere con fatica, una colata di sangue scorreva dalla spalla fino al bacino, creando una pozza di petali scarlatti al suolo. Màrino stava riprendo fiato quando l’eye tracking degli schermi mise a fuoco qualcosa che pose fine a qualunque altro suo pensiero: a terra, tra i calcinacci di edifici semidistrutti e zolle di asfalto sollevate, c’era un uomo. Era vivo, ma se ne stava immobile semidisteso, con la gamba sinistra piegata in una posizione innaturale e i pantaloni laceri e insanguinati. Non riusciva a muoversi, ma in compenso si era accorto di essere osservato. D’altro canto, difficile non notare una testa gigante e quelle due pupille rosse, sbarrate e senza palpebre, ruotate verso di lui. Il suo viso era stravolto dal terrore e dal dolore, ma in quei lineamenti sfatti e rubicondi, in quei capelli sudaticci e scomposti, Màrino riconobbe qualcuno.

Fernando De Bortoli.

Per un momento il mondo smise di girare.

 

In quella giornata funesta, in cui aveva scoperto di essere in grado di pilotare un mostro alto come un palazzo, in cui l’istinto gli aveva suggerito il modo per materializzare armi dal nulla senza saperne il perché, in cui tutto quello che aveva costruito nei mesi addietro insieme al suo migliore amico stava crollando insieme ai palazzi della città in cui era nato e cresciuto…in tutto quel pandemonio surreale, la sorte aveva voluto che il signor De Bortoli – l’uomo che, per quanto poteva dirne, lo disgustava più di ogni altro – si trovasse proprio lì, adesso. Nella mente di Màrino scorsero una manciata di immagini scomposte, dai lividi sul braccio di Sara e al suo evidente disagio ogni qualvolta temeva di fare tardi nel rientrare a casa, allo sguardo di disprezzo reciproco che lui e Fernando si erano scambiati in ospedale. Non si preoccupò di come potesse essere finito lì, del perché ci si trovasse, o anche solo se Sara potesse essere nei dintorni. Ora la mente di Màrino era un ripostiglio semi-vuoto, in cui si trovavano solo poche fotografie sgradevoli sparse a terra e in cui rimbombava il suono del suo battito cardiaco, improvvisamente rallentato. Quell’uomo era ferito, debole, atterrito, minuscolo. Era alla sua mercé. Solo questo riusciva a pensare. Sarebbe bastata una mano di Hydraggsjl – neanche, un solo mignolo! – a estinguere la vita di De Bortoli così come con un insetto molesto. E in effetti, l’idea gli sembrò davvero semplice da attuare.

 

Senza preavviso, Hydraggsjil allungò una mano verso l’ometto al suolo e lo ghermì. Aaron stava ancora cercando di rialzarsi dalla posizione in cui era stato scaraventato, quando si accorse della piega che aveva preso la vicenda.

“Aspetta, fermo!” – provò a gridare, ma Màrino ormai era in una dimensione tutta sua. Aveva sollevato in aria il pugno da cui spuntava solo la testa e un braccio dell’uomo, che ora urlava a perdifiato, mischiando bestemmie a suppliche. Chissà cosa stava pensando, in quel momento. Si sarà chiesto cosa avesse fatto di male? Perché un gigante uscito da chissà dove, che fino ad ora si era battuto con uno suo pari, ora se la prendeva proprio con lui? Avrà pensato di stare per morire, avrà fatto ammenda dei suoi peccati davanti a Dio e alla coscienza di sua figlia e sua moglie? Quanto potrebbe far male venire stretto da una mano guantata di metallo, grande quanto due piani di una casa? Le ossa si saranno già tutte rotte? Questi ed altri pensieri saltellavano felicemente nella mente di Màrino, mentre la sanità mentale sembrava solo una parola democristiana per reprimere quello che ora era il suo bisogno più impellente.

“Tu!” – Màrino sfoderò un sorriso mefistofelico, fissando la sua preda – “Se ora ti ammazzo, tutti i problemi di Sara e i miei saranno finiti!”

Strinse ancora la presa e vide il volto dell’uomo gonfiarsi come una spugna e diventare paonazzo mentre gli occhi si iniettavano di sangue e la lingua annaspava fuori dalla bocca sbavante: “Tutti quanti!”

Aaron sentì che stava per accadere l’irreparabile e gridò straziato: “NON FARLO!!!”

Splat.

Sangue, interiora, un braccio e una testa spruzzarono tra le dita di Hydraggsjil come un tubetto spremuto di acrilico rosso.

“Ce l’ho fatta…” – il viso di Màrino era una maschera di follia, trasformato da un’esultanza resa instabile da qualche nervo saltato di troppo – “…ce l’ho fatta! Si è realizzato!”

Poi si voltò verso il mare, dove le due navi avversarie apparivano ora pericolosamente vicine e si ricordò che quel giorno le cose da sbrigare non erano ancore finite.

 

“La nave nemica è uscita allo scoperto!” – annunciò l’Ufficiale in seconda dell’Eleanor Rigby.

“Prepariamoci ad aprire il fuoco.” – ordinò la McCoy – “Rimozione delle sicure anti-flooding! Passare a sistema di puntamento automatico!”

Le protezioni delle bocche dei mortai del sottomarino inglese si aprirono e tutti fecero fuoco contemporaneamente. I proiettili anti-corazzata esplosero sul Krakendorf, ma tutto quello che riuscirono a ottenere fu qualche fenditura.

“E questo è il meglio che l’Eurasia ha da offrire?!” – Katrina Winkler trattenne l’istinto di mettersi a ridere.

Per risposta, due vani sul dorso dell’ibrido navale nazista si scoperchiarono, vomitando una pioggia di missili dalla punta a trivella.

I cannoni a torretta del Rigby si mossero in autonomia, mitragliando rapidamente verso il cielo e neutralizzando la quasi totalità dei missili. Quei pochi che sfuggirono si schiantarono in mare o sulle fiancate, senza sortire danni consistenti.

“Un sistema antiaereo di tipo Aegis? Avrei dovuto prevederlo!” – non era il caso di sottovalutare il nemico, ma per Undine l’opzione della sconfitta era ancora ben lontana – “Sarà il caso di passare a misure più primitive. Erst Steurmann[2]: assetto da combattimento a distanza zero!”

Jawhol, meine Freulein!”

Le gigantesche tenaglie si spalancarono ed allungarono, afferrando saldamente le fiancate dell’Eleanor. I propulsori verticali del Krakendorf aumentarono di potenza al punto che l’intera Eleanor Rigby iniziò a essere trascinata fuori dall’acqua.

“Siamo stati agganciati!” – esclamò allarmata una militare donna, che come tutti gli altri dovette reggersi alla sua postazione per evitare di rotolare via, mentre tutta la nave si impennava in verticale.

“Dobbiamo opporre resistenza!” – nemmeno per Andrea McCoy la posizione era delle più comode, ma la lucidità era un’arma tanto quanto le altre – “Estendere flap e pinne stabilizzatrici! Repulsori a massimo regime!”

Due grandi vele metalliche si allargarono dalle fiancate e si snodarono in due sezioni insieme a una ventina di ipersostentatori sollevati lungo entrambe le fiancate; la luce azzurra emessa dal motore posteriore si fece più intensa. Si ritrovarono in un tiro alla fune da cui non sarebbe stato semplice sottrarsi.

“Vi schiacceremo come gli insetti che siete!” – disse la Winkler, decisamente più irritata di prima.

Nonostante l’Eleanor continuasse a bombardarle senza tregua, le tenaglie meccaniche strinsero con più vigore lo scafo, che iniziò a comprimersi e incrinarsi.

“Danni al ponte e alla carena! I cannoni non sortiscono alcun effetto!” – il cigolio preoccupante che proveniva dalle pareti copriva la voce dell’equipaggio.

“Non ci resta che usare l’arma principale!” – propose Andrea McCoy.

“Ma Capitano,” – si oppose una ragazza al quadro di controllo dei generatori energetici – “il TWC non è stato mai usato a distanza così ravvicinata! Ci sono dei test da effettuare e…”

“Sarà comunque meglio di niente! Eseguite!”

“Sissignora.”

“Apertura dello scrigno di prua, Ponte di Comando in posizione di tiro!” – ordinò ancora e i monitor della sala di controllo si riempirono di segnali gialli d’allerta.

Con uno scatto, i morsetti che chiudevano la prua dell’Eleanor Rigby si allentarono e la mezzaluna del Ponte di Comando si ritirò verso l’alto. In una sinfonia di ingranaggi, pulegge e sistemi a scorrimento, la prua tri-puntuta iniziò ad aprirsi come un fiore di tigridia, rivelando un intrico di turbine in funzione collegate alla canna di un cannone collassabile, che si allungò verso l’esterno.

“Cosa?!” – ora Katrina Winkler aveva perso ogni parvenza di spavalderia.

La sequenza di comandi impartiti dalla McCoy procedeva ancora come da manuale: “Abbassare gli scudi!”

Paratie di metallo scesero sulle vetrate del Ponte e la visuale passò al megaschermo frontale.

“Scudi abbassati!” – le confermarono.

“Convogliare l’energia al generatore principale!”

I rostri frontali si schiusero: non erano frangiflutti, ma protezioni per tre sottili antenne collegate a fusibili scoperti. Iniziarono a vibrare e archi elettrici bluastri ne unirono le punte alle turbine ventrali, mandandole su di giri. Onde luminose lampeggiarono all’imboccatura del cannone, disegnando un campo di forza magnetico.

Achtung!” – l’addetto alle frequenze radio di Marine Kreuzt si voltò verso la Comandante – “Rilevazioni elettromagnetiche in forte aumento!”

Lei capì al volo e si detestò per non aver previsto contromisure adatte a una simile evenienza: “Un attacco EMP?!”

Dalle fiancate dell’Eleanor Rigby si sollevarono due volano, vorticando a grande velocità ed espellendo fumo e scintille elettriche.

“Antenne transienti alzate! Scarico termico in funzione!” – continuavano ad annunciare i sotto-Ufficiali inglesi – “Lo scattering elettronico ha raggiunto la soglia di Compton!”

“Obiettivo inquadrato, pronti a sparare!”

Con la fronte imperlata di sudore, la McCoy pregò di non morire per sua stessa mano e poi ordinò senza altri ripensamenti: “Transient Wave Cannon: fuoco!”

E un raggio di particelle azzurre esplose dal cannone frontale, investendo il Krakendorf e proseguendo diritto fino in cielo. L’aria stessa sembrò strapparsi con un rumore cupo e stordente, fortissimo, come se migliaia di televisori restassero fulminati all’unisono.

I computer del Krakendorf sfrigolarono impazziti e le lampade rosse di emergenza gettarono l’equipaggio nel panico: “Sistemi in avaria! Impossibile mantenere la quota!”

Come risultato, le tenaglie che stringevano l’Ammiraglia inglese allentarono la presa. Entrambi i sottomarini ricaddero in mare.

Un barrito inumano provenne a mezzo chilometro di distanza: abbandonato il suo rivale, Hydraggsjl stava giungendo in loro soccorso, correndo su dischi di VRIL a pelo d’acqua.

Spiccò un balzo e riatterrò sulla nave di Marine Kreuz, si voltò verso quella degli Inglesi ed estrasse una spada da una runa luminosa a mezz’aria. La sollevò, pronto a calarla sul nemico, ma uno sparo dei cannoni dell’Eleanor gli spappolò la mano. Màrino gridò.

“Non c’è altra scelta, ritiriamoci!” – Katrina scattò in piedi e per la prima volta sentì davvero il fiato della morte sul suo collo – “Dite alla base di trasmettere la Machine con il Bilröst Gatter!”

E mentre anche Bragjantyr volava rapidamente verso il centro della battaglia, una colonna di luce sfondò le nuvole in cielo e investì l’Unità azzurra, scomponendola in milioni di particelle e trasportandola altrove. Allo stesso tempo, una scialuppa sottomarina d’emergenza si sganciò dalla carena del Krakendorf, puntando rapidamente verso il mare aperto. Il resto della mostruosità meccanica, invece, era ormai un ammasso inerte di ferraglia fumante a cui non restava che finire di sprofondare sul fondale.

Dopo ore di esplosioni e morte, il silenzio era tornato a regnare a largo di Venezia.

“Obiettivo silente.” – decretò l’Ufficiale in seconda della Marina Inglese; sembrava incredulo della loro stessa vittoria – “Anche la Machine nemica è scomparsa dal radar.”

Andrea McCoy riprese fiato, stanca e sudata. Si appoggiò alla plancia della sua postazione e sentì che le gambe erano sul punto di cederle. Si passò una mano sulla fronte madida di sudore e si ricompose i capelli corvini: “Ottimo lavoro. Grazie a tutti.”

 

*   *   *

 

Per tutta la durata della battaglia, Na-El aveva atteso sulle sponde di San Sèrvolo, seduta. Quando il freddo della canna di un mitra le toccò la nuca, la cosa non la turbò, né la sorprese. Si voltò lentamente e, anche senza il dono della vista, seppe che ad accoglierla c’era una squadra di sei soldati della Marina Inglese, misti ad altri tre agenti in uniformi scure, decorate con il logo a cinque occhi della ECHELON. Dietro di loro, ormeggiata, si ergeva l’Eleanor Rigby e, in piedi su di essa, il cavaliere dall’armatura bianca: Bragjantyr.

 

 

 

[1] Dal Tedesco; letteralmente: “Ancora, ancora! Uccidili tutti!”

[2] Dal Tedesco; lett. “Primo Timoniere”

   
 
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