Fanfic su artisti musicali > Bangtan boys (BTS)
Segui la storia  |       
Autore: ConsueloRogue    18/08/2021    1 recensioni
Cosa succede quando due persone s'incontrano per sbaglio nel mondo dei sogni?
Cosa succede quando due anime si sfiorano, anche solo per un attimo?
Cosa succede quando il destino di una persona devia dal suo percorso naturale?
Kim Taehyung è un cantante affermato e un giorno, per caso, appare nella sua vita una strana ragazza, per appena una manciata di minuti.
Da quel giorno s'incontreranno di nuovo nel loro mondo dei sogni.
Genere: Drammatico, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kim Taehyung/ V, Nuovo personaggio
Note: AU, Soulmate!AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
 

L'orso polare e il campanellino



 

Taehyung stava cadendo. Agitava le braccia e le gambe nel vuoto, il volto distorto in una specie di muto urlo senza suono. Attorno a lui tutto era di un grigio uniforme, la luce proveniva da ovunque e da nessun posto in particolare. Vedeva il volto roseo e sano di Minjae a pochi centimetri dal suo. Aveva un sorriso pacifico e vuoto e lo guardava con un’espressione innamorata ma stranamente vacua. Allungò un braccio per afferrarla mentre continuava a cadere nel vuoto, terrorizzato, ma le sue dita non arrivarono nemmeno a sfiorarla. 

«Minjae!» la voce gli rimase intrappolata nel fondo della gola e le corde vocali grattarono in modo doloroso. Allungò di nuovo le mani ma per quanto cercasse di afferrarla non riusciva a prenderla, come se lei fosse costantemente pochi centimetri fuori dalla sua portata. La ragazza, che continuava a cadere con lui, rilassata e con un vago sorriso etereo a stirarle le labbra rosee, non cambiò espressione nonostante lo strillo disperato che gli era scappato e Taehyung fu certo che quella non fosse davvero Minjae.

Sbatté le palpebre con la voglia di mettersi a piangere e la gola chiusa ma si ritrovò seduto su di un motorino.

Si guardò, confuso. Indossava un casco aperto, un bomber nero ed un paio di guanti di lana borgogna dall’aspetto familiare. Era certo di averli già visti, ma non ricordava dove. Una spessa sciarpa dello stesso colore gli copriva il viso fin sopra il naso per ripararlo dal gelo. Era tarda notte e conosceva perfettamente la strada in cui si trovava anche se non aveva idea del perché fosse su uno scooter, non ne aveva mai avuto un. Nello specchietto retrovisore vide la sua stessa faccia confusa.

Il suo corpo si mosse senza che lui potesse impedirlo, come se non fosse altro che uno spettatore intrappolato nel corpo di qualcun altro. Taehyung allungò la mano ed accese lo scooter, perplesso. Si sistemò meglio la pesante sciarpa sulla bocca per evitare che l'aria gelida di Seoul gli tagliasse le guance arrossate e mise in moto. Con un colpo di reni tolse il motorino dal cavalletto. 

Taehyung si guardò attorno, girandosi di scatto, cercando di capire dove diavolo si trovasse. Ansimava leggermente, come se avesse appena finito di correre. Non appena la ruota anteriore aveva toccato l’asfalto il motorino era scomparso. Disorientato continuò a girare su sé stesso. Tutto attorno a lui non c’era nulla se non una fitta nebbia grigia e densa, poteva vederla arrotolarsi in volute effimere ogni volta che vi si muoveva nel mezzo. Improvvisamente si trovò faccia a faccia con un tenero orsetto polare di plastica bianca, alto quanto lui. Era seduto, come un orsetto gommoso, e le zampine erano leggermente rovinate dalla mancanza di vernice.

Taehyung si fermò a studiarlo per un secondo e spalancò gli occhi incredulo. Iniziò a girarci attorno, con la nebbia umida che gli entrava nelle narici. Conosceva quell’orsetto polare. Una sera di qualche mese prima ne aveva raccolto uno esattamente identico ad un Seven Eleven dopo che era uscito per andare a comprare una ciotola di ramen e calmarsi per via di un battibecco che aveva avuto con Jin. Non aveva idea di chi fosse, così lo aveva tenuto come ricordo e quando era rientrato in dormitorio lo aveva appeso con una puntina alla sua speciale bacheca delle curiosità.

Il suono squillante di un campanellino fece girare di scatto Taehyung verso una palla metallica poco più piccola dell’orso polare. Stava rotolando nella sua direzione e il metallo lucido e argentato rifletteva la luce soffusa che rischiarava l’ambiente. Il campanello si fermò tintinnando contro un fianco dell'orso polare. La gigantesca miniatura traballò per qualche istante, poi cadde su un fianco senza emettere alcun suono. Lo scampanellio cessò e Taehyung rimase solo nel silenzio a fissare gli occhi neri e vacui dell’orsetto.

"Cosa dovrei fare? Perché non trovo Minjae? Perché non trovo mai Minjae?" pensò in un moto di sconforto, le braccia abbandonate lungo i fianchi e il fiato che gli si condensava davanti in piccoli e densi sbuffi. Aggirò l'orso, indeciso su cosa fare, quando sull’anella metallica piantata nella testa dell’animaletto di plastica comparve come per magia una spessa corda rossa. Rimase a guardarla, interdetto, mentre quella legava assieme orsetto e campanello, poi si ritorse in un fiocco e proseguì, inoltrandosi nella nebbia. Taehyung afferrò la corda appesa all'orso, esattamente come la stringa del vero orsetto che aveva trovato quella sera di qualche mese prima, con entrambe le mani. Doveva essere grossa circa come un suo braccio e gli parve immediatamente pesante, molto più di quanto non dovesse essere, come se all’interno vi fosse del piombo. Vi si appigliò e tentò di agitarla, facendo tintinnare di nuovo il campanellino per un istante. Il suono argentino si sparse nell’aria, immediatamente seguito dall’eco che risuonò facendogli sollevare le sopracciglia in preda alla confusione. L’unica cosa che poteva fare era seguire quella corda rossa e pulsante lungo la strada asfaltata su cui si trovava. 

Taehyung si inoltrò nella nebbia, davanti a lui c’era solo l'asfalto che compariva man mano che il ragazzo procedeva seguendo quella spessa corda che pareva essere quasi viva. Continuò a camminare per un tempo che parve interminabile, sentendo le braccia che iniziavano a dolergli a causa della forza che gli era necessaria per sollevare la corda da terra man mano che la seguiva. Era terrorizzato all’idea di lasciarla andare, qualcosa nel retro della sua testa gli diceva che se solo avesse dovuto mollare la presa, allora la corda sarebbe scomparsa e lui si sarebbe perso in quel limbo grigio per sempre. 

Si girò per un istante, alle sue spalle l’orsetto ed il campanello erano stati inghiottiti nella foschia e ormai non ne distingueva nemmeno i bordi. Il sudore freddo prese a colare sulla fronte di Taehyung che continuò a marciare sempre più inquieto, finché i contorni sfocati di un’insegna e di una vetrina illuminata non gli diedero la spinta per aumentare la velocità con cui stava proseguendo. Si fermò con un leggero fiatone quando l'insegna illuminata del Seven Eleven divenne perfettamente visibile insieme alla vetrina dalle bande verdi. Fuori dal negozietto era parcheggiato un vecchio motorino blu, lo stesso che stava guidando prima mentre era curiosamente intrappolato nel corpo che non sapeva di chi fosse.

Taehyung alzò lo sguardo dalla ciotola di ramen, nuovamente confuso per l'improvviso cambio scena. Non era più all’esterno del Seven Eleven, bensì dentro, seduto su uno sgabello color azzurro polvere. Si chinò involontariamente a raccogliere un cellulare coperto da una buffa cover verde che ritraeva un ananas con la faccia seduta sotto una palma a bere con la cannuccia da una noce di cocco. 

«Oh.» ridacchiò. Ricordava quel momento, anche se in maniera molto vaga.

Si rialzò con un leggero lamento a causa dello sforzo: il telefono sembrava pesare tonnellate nel suo palmo. Si girò verso la cassiera a cui era scivolato di mano ed aprì leggermente di più gli occhi a causa dello stupore. Dietro di lui c’era una ragazza dai lunghi capelli castani dai riflessi leggermente ramati. Li portava sciolti ed erano tutti arruffati attorno al viso arrossato. Lei lo ricambiò guardandolo imbarazzata con quelle due lucide pietre d'onice che aveva come occhi.

«Minjae! Minjae se tu? Sei la ragazza di quella sera?» Taehyung la fissò incredulo mentre lei recuperava frettolosamente il cellulare dalle sue mani.

«Ah… grazie.» balbettò lei con un mezzo inchino.

Taehyung fissò la mano guantata e la sciarpa borgogna, sbattendo le palpebre neravigliato. Prima, sul motorino, era nel corpo di Minjae e trovò la cosa particolarmente curiosa. Il suo sguardo venne catturato dalla figura di un uomo dai capelli biondissimi e il lungo cappotto nero. Quel tizio inquietante se ne stava in piedi dietro Minjae, come se fosse la sua ombra, e negli occhi color ghiaccio e dallo sguardo felino era racchiuso tutto il dolore che pareva esprimere anche l’espressione afflitta che aveva in viso.

Taehyung fece per aprire la bocca e chiedergli cosa ci facesse lì, nel Seven Eleven, ma era nuovamente in mezzo al traffico di Seoul. Aveva la sciarpa borgogna premuta sul viso a causa del vento gelido della notte e il rumore costante del motore dello scooter gli riempiva le orecchie insieme al suono dello scarso traffico notturno. Il cellulare gli vibrava con insistenza contro il petto ma doveva essere una chiamata totalmente ignorabile perché il corpo in cui si trovava, e che ora Taehyung era certo non fosse il suo ma di Minjae, non fece nemmeno il gesto di accostare.

"Perché c'era l'uomo freddo? Perché sembrava che si stesse mettendo a piangere?" pensò Taehyung mentre superava sulla sinistra le poche macchine ferme ad un semaforo rosso in attesa che scattasse il verde. La strada era quasi deserta a parte le automobili che aveva appena superato e quelle ancora ferme all’incrocio, che iniziarono a circolare non appena il semaforo scattò, verde, per loro.

“Dove sto andando?” si chiese, incuriosito dalla situazione, mentre il corpo alla guida dello scooter infilava una mano nel bomber per estrarre il cellulare che, dopo una breve interruzione, aveva ripreso a vibrare. Sbirciò lo schermo, la chiamata proveniva da un numero sconosciuto. Con la coda dell’occhio vide l’uomo in nero fermo dalle strisce, guardava Minjae e aveva un cellulare in mano premuto contro l’orecchio.

«Ah… ma che problemi puoi avere se chiami uno sconosciuto all'una del mattino?» Taehyung mosse le labbra ma fu la voce di Minjae quella che gli uscì dalla bocca. "Ma perché questa volta sono… sono dentro di lei?" pensò Taehyung mentre il corpo di Minjae rifiutava la chiamata premendo il tasto di spegnimento dello schermo. Rimise in fretta il telefono in tasca sentendo tutta la noia che provava lei. Minjae aveva fretta di tornare a casa e provava un moto di pura irritazione nei confronti di suo fratello Minjoon e di quella sua stupida pessima abitudine di arrivare sempre tardi a lavoro. Taehyung sentì improvvisamente il calore invadergli le guance gelide e tutto fu sostituito da un profondo imbarazzo.

"Cielo… non avevo idea che fosse davvero così… bello, dal vivo."

Il pensiero di Minjae si infiltrò tra quelli di Taehyung che, se avesse potuto, in quell’istante avrebbe sorriso di soddisfazione e si sarebbe fermato a gongolare. Incapace di comandare quel corpo fu costretto a seguire i movimenti di lei. Le macchine avevano finito di sgomberare l’incrocio, rimasto deserto. Guardò il semaforo ancora rosso e con la coda dell’occhio intravide un camion che si avvicinava allo stop, alla sua destra. La vivida luce verde del semaforo brillò e Minjae diede immediatamente gas. 

L'odore pungente e fastidioso del disinfettante colpì le narici di Taehyung. Lo scooter era nuovamente scomparso ed ora Taehyung si trovava in piedi all'interno di un lungo corridoio bianco immerso nella penombra. Lungo le pareti candide le uniche macchie di colore erano i cartelloni che informavano gli utenti su come disinfettare le mani e su quale fosse il comportamento più adeguato da mantenere all’interno dell’ospedale. Le luci erano fredde e soffuse, più fioche di quanto Taehyung ricordasse come veritiero, ed in fondo al corridoio brillava una luce rossa. 

Taehyung si volse verso la luce cremisi, posando lo sguardo su di una scritta che recitava “emergenza in corso”. A quanto pareva doveva trovarsi in pronto soccorso. Il cuore gli sprofondò nel petto ma Taehyung non ebbe tempo di pensare ad alcunché perché una mano gelida gli artigliò un polso, facendolo sobbalzare violentemente. 

«Kim Taehyung, sono qui per conto di Lee Minjae.» la voce era ferma e decisa e Taehyung si girò di scatto ad incontrare le iridi color ghiaccio dell'uomo in nero. Se ne stava seduto su una delle sedie di legno fuori dalla porta a doppio battente della corsia delle emergenze e lo fissava intensamente, le labbra strette in un’espressione tesa. 

«Cosa sta succedendo? Dov'è Minjae?» chiese Taehyung, sentendo il gelo espandersi rapidamente dal punto in cui l'uomo lo tratteneva. Il cuore gli correva sempre più velocemente nel petto, così forte da fargli quasi male e dargli l’idea che da un momento all’altro gli avrebbe sfondato le costole per saltargli fuori dal petto.

L'urlo terrorizzato di una bambina seguito da un pianto disperato si liberò nell'aria immobile. Improvvisamente era di nuovo giorno, l’odore di disinfettante era sparito, sostituito dall’aroma polveroso di una Seoul primaverile. Taehyung era in piedi tra due macchine parcheggiate lungo una strada che non aveva mai visto prima di quel momento. Di fronte a lui l’uomo in nero lo tratteneva ancora per il polso con la sua mano gelida e marmorea e gli impediva la visuale sulla strada. Alle spalle dell’uomo Taehyung riuscì ad intravedere quello che sembrava un parco giochi.

«Dov’è Minjae?!» urlò di nuovo con la voce strozzata, mentre strattonava il polso per sfuggire a quel gelo incredibile che sembrava penetrargli nelle ossa. 

L'uomo in nero lo lasciò andare con un sospiro carico di sconforto poi si spostò leggermente permettendo a Taehyungi di vedere il corpo di un ragazzo dai capelli color platino riverso sull'asfalto. Il volto era a stento riconoscibile, la scatola cranica era stata oscenamente schiacciata ed una pozza di sangue si stava allargando, rapida, sotto di lui. Braccia e gambe erano piegate in un angolo del tutto innaturale e a pochi passi dal corpo c’era una bambina di tre anni al massimo, vestita con una tenera tutina fucsia.

«Io sono Doyun e questo è il momento in cui ho scelto di sacrificare il mio tempo per lei.» l'uomo in nero indicò la bambina mentre Taehyung fissava con orrore lo sguardo vitreo negli occhi castano scuro del ragazzo in terra. Aveva lo stesso volto dell’uomo in nero, colore degli occhi a parte. Nella pozza di sangue vermiglio biancheggiavano in modo inquietante dei frammenti di osso. Un piccolo grumo grigiastro galleggiò di qualche centimentro più in là, trasportato dal sangue che continuava a scorrere pigro.

“E’ il suo… il suo… cervello?” un conato scosse Taehyung che si accasciò contro il cofano della macchina blu parcheggiata accanto a lui. Si sostenne al metallo, con il corpo scosso dai conati e tentò di vomitare ma sentì solo il sapore acre della bile invadergli la bocca. L’uomo in nero gli batté una mano gelida e marmorea tra le scapole.

«Lo so, non è un bello spettacolo. Mi chiamavo Gwan Doyun e allora avevo ventun'anni. Minjae ne aveva tre e questa è stata la prima e ultima volta che io e lei ci siamo visti…» l'uomo in nero indicò la bambina, immobilizzata in un pianto disperato e con le mani sbucciate. La scena si era cristallizzata in quella diapositiva agghiacciante.

«Stai dicendo che sei morto?! Perché… perché sei qui?» Taehyung ansimò e diede le spalle al cadavere dell’uomo in nero, lo stomaco gli si stava contraendo in dolorosi crampi e sentiva il fiato venirgli meno. Era sempre più confuso e terrorizzato da quella situazione da incubo e i suoi occhi saettavano in ogni dove alla ricerca di una via di fuga da quel posto.

«Sì Taehyung, sono morto. Sono qui perché è giusto che tu sappia tutta la storia dall’inizio, me lo ha chiesto Minjae e… anche se non dovrei farlo non riesco mai a dirle di no.» le labbra di Doyun si stirarono in un mezzo sorriso, gli occhi color ghiaccio puntati sul suo stesso corpo riverso sull’asfalto. «Quel giorno Minjae stava inseguendo una palla in strada, mi gettai per impedirle di farlo e il furgoncino investì me al posto di lei.»

Taehyung sbarrò gli occhi, ancora fissi sul cofano blu metalizzato dell’automobile parcheggiata contro cui era appoggiato. Un brivido freddo gli percorse la schiena ma quando sollevò lo sguardo per guardare Doyun si ritrovò a guardare sé stesso intento a porgere a Minjae il cellulare, in piedi nella corsia del Seven Eleven in cui aveva trovato l'orsetto polare e lei. Un filo rosso simile a quello che aveva seguito prima, ma molto più sottile, legava i loro polsi e brillava di una pallida luce rosata. Taehyung sollevò la mano per guardare il braccialetto con la targhetta su cui era inciso il nome di lei in caratteri cinesi. 

«Perché mi stai dicendo questo? Dov'è Minjae?» chiese stupidamente, sentendo il panico serpeggiarli sotto pelle. Si voleva svegliare il più in fretta possibile ma qualcosa, nel retro della sua testa, gli diceva che doveva sentire fino in fondo quello che Doyun doveva dirgli.

«No, Taehyung, non ti farò svegliare, Minnie ti potrà parlare per poco tempo e vuole che tu sappia tutta la storia. E’ lunga, quindi devo farlo io per lei.» rispose Doyun.

«Perché?» la voce gli uscì in un sussurro strozzato e Taehyung sentì gli occhi riempirsi di lacrime mentre la visuale si faceva tremula e sfocata.

«Quel giorno in cui ho sacrificato il mio tempo ho fatto qualcosa che andava fuori dagli schemi del destino. Ho scelto di fare una cosa che non era stata prevista e questo tipo di scelte hanno sempre delle ripercussioni per i piani alti.» spiegò lentamente Doyun, abbassandosi per sedersi nel nulla. Sotto di lui ricomparve il cofano della macchina blu.

«Cosa c’entra Minjae?» Taehyung singhiozzò, incredulo all’idea che tutto quello stesse accadendo davvero e non fosse solo il frutto della sua immaginazione.

«Taehyung… quel giorno, quando mi sacrificai per Minjae, l’inviato di Yeomna fu costretto a prendere me al posto suo. Ero andato contro gli eventi pianificati e fu deciso che sia io che lei avremmo dovuto essere puniti. A quanto pare il sacrificio conta come suicidio, sai?» spiegò Doyun in tono piatto. 

Taehyung lo fissò, sempre più confuso e diffidente. «No…» mormorò, col cuore che gli sprofondava nel petto. Le lacrime iniziarono a solcargli il viso mentre osservava l'espressione addolorata del biondo, così in contrasto con quella voce atona e priva di sentimento.

«Non avresti mai dovuto incontrarla. Fu deciso che io e lei, per quanto Minjae fosse innocente, saremmo stati puniti. Minjae sarebbe sopravvissuta, ma Yeomna sarebbe tornato a reclamarla un giorno e io mi sarei dovuto occupare di portarla a giudizio.» disse Doyun in tono piatto, rialzandosi. 

«Dov'è Minjae?» la voce gli si incrinò e Taehyung si passò rapidamente una mano sul viso per riuscire a liberare gli occhi dalle lacrime e vedere con chiarezza. Il chiarore del giorno aveva lasciato lo spazio al cielo nero della notte, la luce rossa di un semaforo brillava sopra un vasto incrocio. Ai piedi di Taehyung, sull'asfalto, c'era un casco bianco solcato da una profonda crepa, parte della calotta si era staccata. 

«Tutti nasciamo con un’anima gemella. Minjae ha avuto l’inconsapevole colpa di provocare la mia morte anzitempo, barattando la sua vita con la mia. Ai piani alti non interessa il come sia successo, era una fatalità che non era stata prevista e questo li ha fatti arrabbiare. Col mio gesto ho rotto uno schema e hanno punito entrambi, anzi, hanno punito tutti e tre benché tu non c’entrassi nulla con quanto era accaduto. La tua storia era già decisa, la tua fortuna…» Doyun tentennò, leccandosi le labbra. «La tua fama intendo. Non avresti mai dovuto conoscerla e saresti stato comunque felice, invece hanno deciso che non appena Minjae avesse incontrato la sua anima gemella… allora il tempo che ha guadagnato grazie al mio sacrificio sarebbe giunto al termine.»

Il braccialetto di Taehyung rilucette di un pallido bagliore rossastro e gli occhi del ragazzo vennero calamitati da quel filo sottile che si dipanava dal suo polso. Non voleva guardare oltre quel casco rotto fermo davanti ai suoi piedi, ma sollevò comunque lo sguardo, incapace di resistere alla tentazione. A pochi metri di distanza da lui giaceva un corpo immobile dai lunghi capelli castano scuro, una sciarpa borgogna ne nascondeva il volto. Il filo rossastro conduceva là e brillava tenuamente attorno al sottile polso diafano, seminascosto dal bomber nero. In lontananza le sirene di un’ambulanza iniziarono a ululare.

Taehyung si accucciò in terra con le spalle scosse dai singulti. Tutto quello che gli stava raccontando Doyun non aveva senso. Si coprì il volto con le mani mentre scuoteva la testa, disperato, incapace di ripetere altro che non fosse "no". Non voleva sentire altro, voleva svegliarsi da quell'incubo terribile perché tra i singhiozzi faticava a respirare, ma l'uomo biondo si abbassò ad artigliargli una spalla. 

«Ho cercato di fare in modo che non vi incontraste mai quando sono riuscito a convincere Samsin a dirmi chi fosse l’anima gemella di Minjae. Purtroppo era scritto che doveste conoscervi ora che i piani erano cambiati. Non sono riuscito a tenerti lontano dal discount quella sera, mi dispiace. Mi dispiace così tanto Taehyung.» Doyun allentò la stretta e si limitò ad accarezzargli la schiena, il tono ora non era più piatto ma esprimeva tutto il rammarico che quella creatura - viva, morta o non-morta che fosse - stava provando. 

«Non è vero, questo è un incubo! Tu non esisti e lei sta bene. La mia Minjae sta bene…» la voce di Taehyung uscì talmente strozzata e spezzata che fu quasi difficile per Doyun capire cosa avesse detto. Lo guardò con il cuore carico di dolore per quel ragazzo innocente che era stato punito dal cielo in modo così ingiusto.

«No, Taehyung, vorrei che lo fosse, ma non lo è. Se non mi credi puoi cercare su internet: “Lee Minjae, pirata della strada”, la troverai immediatamente. Mi dispiace.»

Taehyung continuò a raggomitolarsi su sé stesso, l'odore del disinfettante era di nuovo pungente e i rumori dei macchinari invasero l'ambiente. Attraverso le lacrime vide Minjae stesa su un letto di ospedale, pallida e con gli occhi chiusi. Il volto era parzialmente tumefatto e non vedeva i suoi meravigliosi capelli scuri e ondulati a causa della fasciatura che le copriva la testa.

«Minjae voleva che ti spiegassi tutta la storia: non è colpa vostra, nessuno dei due avrebbe potuto evitarlo. Ho tentato di tenervi lontani il più possibile, per lei e per te, ma Yeomna aveva deciso e in un modo o nell’altro il destino trova sempre un modo. Minjae è stata in coma quasi due mesi dopo l’incidente. Vagava in giro senza rendersi conto di cosa stesse succedendo e ogni volta che mi vedeva scappava sempre più lontano dal suo corpo. Ha vagato così a lungo che si era persa e ogni tanto inciampava nei tuoi sogni.» Doyun strinse la presa sulla spalla del ragazzo, ancora scosso dal pianto. 

«No… no, Minjae…» pigolò Taehyung tra i singulti. Un dolore sordo al petto gli strozzava il respiro e gli rendeva quasi impossibile incamerare aria nei polmoni che avevano iniziato a bruciare. 

Si stropicciò il volto e cercò di tirare il fiato, improvvisamente si trovò seduto sul materasso, di nuovo avvolto tra le coperte della sua camera da letto, il polso intrappolato nella presa gelida dell'uomo. Cercò di allontanarsi quasi nel panico, col dolore che gli straziava il petto, ma Doyun lo strattonò per farlo stare fermo e la luce dell’abat-jour che teneva sul comodino si accese da sola, rivelando l'uomo biondo dagli occhi felini color ghiaccio seduto sul bordo del suo letto. 

«Taehyung, sssh… Sveglierai tutti così. Ascoltami bene, posso fartela incontrare un’ultima volta per pochissimo tempo.»

Taehyung scosse il capo, in lacrime. Non capiva se fosse sveglio o meno perché le lacrime che gli scorrevano sul volto sembravano davvero bagnate e le coperte gli facevano terribilmente caldo. 

«No, non mi bastano pochi secondi io…» continuò a singhiozzare e Doyun strinse la stretta sul suo polso. Il gelo si intensificò ed una strana sensazione di calma pervase Taehyung, che smise di agitarsi e rimase imbambolato a guardare il volto pallido dell'uomo in nero.

«Ascolta Taehyung, Minjae vuole dirti una cosa. È l'ultima volta che potrai farlo.»

«Cosa mi hai fatto?» nonostante la calma innaturale, la voce di Taehyung uscì profonda e strozzata.

«Ti ho calmato, perché posso farlo. Mi dispiace che il destino sia stato così crudele con te. Volevo evitare che voi due vi conosceste. In quel modo avrei potuto salvare Minjae e tu… tu non avresti dovuto convivere con tutto questo. Mi dispiace. Ora ti lascio andare, se devi chiederle o dirle qualcosa fallo adesso. È l'ultima volta.» disse Doyun allentando la presa. 

Taehyung fissò la mano gelida dell'uomo abbandonare il suo polso, dove il braccialetto rosso ancora riluceva di un tenue bagliore. Anche se era innaturalmente calmo, quasi catatonico, i suoi occhi continuavano a lacrimare perché il dolore al petto e l'incredulità non lo avevano abbandonato. Si sedette sul bordo del letto e improvvisamente sentì la mano piccola e delicata di Minjae spostargli i capelli dal volto.

Si girò a guardarla, indossava un bomber nero ed era vestita esattamente come l'aveva vista al discount, quando le aveva reso il cellulare con la cover verde e l'ananas, mancavano solo la sciarpa borgogna e i guanti. La visuale gli si appannò di nuovo quando lei gli accarezzò dolcemente una guancia per asciugargli le lacrime. Era fisica e reale e il suo tocco era ancora più bello di quando lo aveva sognato.

«Taehyung-ssi ciao.» la voce di Minjae uscì distante e ovattata, come se anziché essere seduta lì accanto a lui stesse parlando da un luogo molto lontano.

«Minjae, dimmi dove sei. Dimmi come trovarti, ti… ti prego.» Taehyung le prese il polso e la bloccò, guardandola in quegli occhi color onice dallo sguardo contrito e addolorato. 

Minjae scosse la testa e soffocò un piccolo singhiozzo mentre gli occhi le si riempivano di lacrime. «Mi dispiace tanto Oppa.»

«Non può essere ve-» iniziò Taehyung, ma Minjae gli si avvicinò in fretta, posò le labbra contro quelle di lui e strizzò gli occhi, lasciando che le lacrime le bagnassero le guance pallide. Quella sarebbe stata la prima e ultima volta che le loro labbra si sarebbero incontrate, almeno in quella vita.

Taehyung le circondò la vita sottile e se la strinse contro. Le labbra di lei non erano né calde né fredde, ma per la prima volta erano reali. Assaporò quel leggero sentore di albicocche che ricordava aver sentito nei sogni e lei gli mordicchiò dolcemente il labbro per poi fargli scivolare la lingua morbida e liscia tra le labbra. Gli si aggrappò alla maglietta del pigiama e Taehyung le immerse le mani tra i capelli soffici e setosi. Strinse la presa sulla nuca di lei e la baciò col terrore reale che lei potesse scomparire da un momento all'altro, come era successo un paio di settimane prima in sogno. Si strinsero l’uno all’altro, le guance bagnate di lacrime e i respiri che si confondevano, sempre più affannati man mano che il bacio si faceva più profondo. Il bacio rallentò e Taehyung guardò gli occhi neri di lei oltre il velo di lacrime che gli appannavano la vista, il dolore al petto talmente pesante che quasi faticava a respirare. 

«Ti amo…» la voce di Minjae fu solo un ovattato sussurro, ancora più distante di prima. Aveva già iniziato a perdere consistenza nonostante Taehyung stesse cercando di trattenerla il più possibile, faticando a incamerare aria.

«Ti amo Minjae, non te ne andare, ti prego… ti prego.» singhiozzò, vedendo il volto di lei perdere colore. Il panico lo investì quando iniziò a vedere i contorni del mobilio trasparire all’interno della figura di lei. 

«Mi dispiace. Ti aspetterò, giuro che ti aspetterò al di là del velo e ricominceremo insieme la prossima vita.» anche Minjae stava piangendo in forti e silenziosi singhiozzi che le scuotevano le spalle strette. 

«Ti amo.» fu l'ultima cosa che Taehyung le sentì dire, poi Minjae scomparve.

Il braccialetto brillò, rosso, per un istante e scomparve dal polso di Taehyung che si girò alla ricerca di Doyun. Aveva bisogno che lui gliela riportasse, ma l'uomo in nero era scomparso.

Taehyung emise un verso straziato e si accasciò tra le coperte, sopraffatto dalle lacrime e dai singhiozzi che gli impedivano di respirare in modo regolare. Voleva svegliarsi, voleva così tanto che tutto fosse solo uno stupido incubo che si lasciò sfuggire un lamento angosciante che rimbombò tra le pareti di camera sua. La porta si aprì di scatto e Jimin, in pigiama e con i capelli biondi e scompigliati dal sonno, un paio di pesanti occhiali in volto, si affrettò a raggiungerlo. 

«Tae cosa succede? Perché piangi? Hai fatto un incubo?» 

Taehyung affondò il viso contro il petto di Jimin, incapace di parlare da quanto i singhiozzi lo scuotevano in maniera violenta. Riuscì a recuperare il cellulare a fatica e aprì il browser, digitando il fretta quello che aveva detto lo strano essere che diceva di chiamarsi Doyun.

Immediatamente vide gli articoli di giornale.



-----------
Angolo Autrice

Che dire... lo so, speravate tutti in una storia a lieto fine, ma Doyun finalmente ha rivelato il suo ruolo a Taehyung e Minjae... è scomparsa.
Manca ancora l'epilogo della storia che uscirà mercoledì prossimo! Non vedo l'ora di leggere cosa ne pensate!
Ci rileggiamo domenica su Blooming!
ILYSM, BORAHE!

 
  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > Bangtan boys (BTS) / Vai alla pagina dell'autore: ConsueloRogue