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Autore: adrienne riordan    20/08/2021    1 recensioni
[La calaca de azùcar]
La vita a Esqueleto sembra tranquilla ma non lo è affatto. A farne le spese saranno i suoi abitanti, quelli nuovi, quelli vecchi e... quelli antichi.
Genere: Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai
Note: Raccolta, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Giorno 30 ottobre Spezzami

 

Il giardino di Aindreas era tra i più lussureggianti di tutta Esqueleto, al punto da poter rivaleggiare, in bellezza, con le creazioni di Balthazar. Quando non era impegnato nelle soffocanti cucine, il prestante cuoco del Pavo del Corral dedicava cure amorevoli alle sue piante, preferendo passare le sue ore libere ad innaffiare, a potare e, terminata l’opera, a godere dell’aria fresca all’aperto in compagnia di una birra fresca.

In particolare, la rigogliosa pianta di agave, che Aindreas aveva piantato di recente, aveva destato l’ammirazione e i complimenti dei suoi vicini e di tutti gli abitanti che passavano davanti alla sua casa. Solo una persona, passando, rimaneva assorta qualche secondo, in silenzio, per poi passare oltre, con un’espressione che poco aveva a che fare con l’ammirazione per la bellezza delle piante o per il pollice verde di Aindreas. Il rosso non se ne era stupito, in verità, e men che meno se ne era indignato. Piuttosto, era preoccupato di aver, inconsapevolmente, toccato un nervo scoperto; se così fosse stato, avrebbe dovuto porvi rimedio, in qualche modo.

Per questo motivo, non si era limitato a salutare cordialmente la bella Ebenezer, quando  l’aveva sorpresa a guardare mesta il suo agave, mentre dava da bere alle sue piante.

“Buon pomeriggio, Ebenezer. Sei bellissima come sempre” esordì Aindreas, affabile e lusinghiero come al solito, ma stavolta col desiderio di strappare un sorriso alla graziosa signorina.

“Buongiorno Aindreas! Oggi non sei di turno al Pavo?” rispose cordialmente Ebenezer, con un sorriso educato, tutt’altro che genuino.

“Attacco più tardi col turno serale. Visto il caldo anomalo, il menu prevede molti piatti freddi, stavolta” ammiccò in risposta.

“E quindi ti dai da fare col giardino” osservò la ragazza, accennando alla pompa dell’acqua aperta che Aindreas teneva tra le mani.

“Ho innaffiato abbastanza, adesso è giunto il momento di innaffiare me” ammiccò con fare volutamente sexy, provocando una risatina all’altra.

“Non vorrai fare Mister Maglietta Bagnata, spero!” esclamò, fingendo di coprirsi gli occhi con finta pudicizia.

“Macché! Mi innaffio di birra! Posso offrirti qualcosa da bere, prima che torni a casa?”

Ebenezer sembrò sul punto di rifiutare, ma cambiò idea.

“Allen non ha ancora terminato il turno di servizio, posso tardare un po’ il mio rientro” accettò, percorrendo il giardino.

“Le tue decisioni non devono per forza girare intorno ad Allen. Lo sai, vero?”.

Ebenezer si irrigidì appena, a sentir nominare il fidanzato. “Certo che no. Dicevo così perché avrebbe potuto preoccuparsi, se non mi avesse trovato a casa”.

“Cosa preferisci? Un alcolico, una bibita, una tisana fredda?”

“Tieni delle tisane in casa?” si stupì Ebenezer, grata per quel cambio di discorso.

“No, ma spero che non me ne chiederai”

“Allora decidi tu!”

Passarono pochi minuti quando Aindreas tornò non con delle birre, come aveva precedentemente anticipato, ma con … pulque e tequila.

“Hai detto che potevo decidere io” si giustificò alla vista dello sguardo stupito di Ebenezer, mentre le allungava un bicchierino e versava il liquore. Forse aveva esagerato, ma Aindreas era un tipo noto a tutti per la sua mancanza di tatto, tra l’altro mai animato da cattive intenzioni. Se, come sospettava, era la pianta di agave a togliere il sorriso a Ebenezer, avrebbe dovuto indurla ad aprirsi con lui, in qualche modo.

Senza dire una parola, si sedettero sullo sdraio a dondolo sotto la veranda.

Aindreas assaporava la sua tequila guardando Ebenezer di sottecchi; la ragazza rigirava il bicchierino tra le mani, portandoselo ogni tanto alle labbra e sorseggiando senza molta convinzione.

“Ha reso felici molte persone, quella bevanda. Eppure sembra che, proprio a te, non faccia lo stesso effetto”.

“Beh, non è che la mia posizione fosse molto comoda, all’epoca” commentò mesta. Mayahuel, la dea dell’agave. Per fare quel dono gradito, aveva dovuto letteralmente essere spezzata in molte parti, ma, a differenza di Nanahuatzin e Tecciztecatl, il suo sacrificio fu tutt’altro che volontario.

 

A Mayahuel non era mai pesato vivere una vita già predisposta da sua nonna, Tzitzimitl. Le conseguenze della sua ubbidienza erano sempre state piuttosto piacevoli, quindi non aveva mai avuto alcun motivo di lamentarsi. Persino il matrimonio con Xocipilli, per il quale non era stato chiesto il suo benestare, era andato meglio di quanto avesse sperato. Se non altro, il Principe dei fiori gli era sembrato, fin da subito, una brava persona, simpatica, divertente. Non era stato difficile volergli bene. Lei lo rispettava e lui faceva lo stesso. E poi, andava bene a sua nonna, quindi, tutto apposto. Faceva ciò che lui le chiedeva e lei eseguiva. Tanto, non le pesava, soprattutto perché anche lui cercava di esaudire tutte le sue richieste. Beh, quasi tutte.

Un giorno aveva espresso il desiderio di andarsene, ogni tanto, a zonzo nella terra degli umani. Quelle graziose creature dell’Era del Quarto Sole avevano destato una certa curiosità nella dea, se non altro perché si diceva che fossero state la creazione meglio riuscita, tra i quattro tentativi fatti fino ad allora. Mayahuel ne era meravigliata: come potevano degli esseri così imperfetti essere così carini? Come facevano a vivere, malgrado sperimentassero difficoltà che le divinità non potevano nemmeno immaginare di provare? Come riuscivano a compiere opere ingegnose con delle forze così miserrime, se paragonate alle loro?

Da nubile, la giovane dea non aveva mai avuto un grande margine d’azione, costretta com’era sotto la castrante tutela di quella strega di sua nonna, ma aveva sperato di poter convincere il marito a lasciarle più libertà per andare a vedere da vicino quelle bestioline curiose. Invece, Xocipilli l’aveva ammonita dall’avvicinarsi a quelle creature, buone solo a onorare le divinità con offerte, preghiere e sacrifici, ma con cui non era decoroso avere a che fare.  Mica avrebbe voluto diventare uno zimbello come Quetzalcoatl, le aveva chiesto stizzito, e non aveva più voluto tornare sull’argomento. Aveva detto quello che pensava, e Mayahuel avrebbe ubbidito, fine della storia.

Ma il maritino non aveva fatto i conti col fatto che era bastato nominare Quetzalcoatl per far spuntare a Mayahuel un pensiero dispettoso: se non l’avesse accompagnata Xocipilli, avrebbe potuto chiedere al serpente piumato di scortarla in quelle terre. Di sicuro, Quetzalcoatl non le avrebbe rifiutato quel favore, gentile e disponibile com’era. Sarebbe stato solo una volta, giusto per togliersi lo sfizio!

Mayahuel non aveva previsto che, invece, si sarebbe divertita parecchio. Le feste che gli umani celebravano nel corso dell’anno erano molto più divertenti, quando partecipavi in mezzo a loro. Gli umani avevano una vita dura, ma sapevano come alleviare le fatiche.

Il serpente piumato, poi, si era rivelato essere più pazzo di quello che credeva: adorava davvero quelle creature!

“Hai fatto COSA?” Mayahuel non credeva alle proprie orecchie.

“Non lo avevo previsto” si scusò quasi il biondo, dopo esser stato beccato dalla dea a coccolare una di quelle umane.

“Aspetta, non è quella che aveva ammazzato quel guerriero mentre… sì insomma, non gli ha fatto fare esattamente una fine da guerriero…”.

“Se non fossi intervenuto, l’avrebbero giustiziata. Poco importava che fosse una nobile. Aveva comunque ucciso qualcuno di importante nella sua comunità, un guerriero rispettato! Ma non sarebbe stata vera giustizia!”.

“Ma… non è quella che è riuscita a essere blasfema con almeno tre o quattro divinità contemporaneamente? Nessuno di noi avrebbe notato una donnetta mortale, se non avesse offeso in un colpo un paio di noi solo per scampare al giudizio dei suoi pari! E, nonostante questo, è sopravvissuta?”

Mayahuel ricordava il trambusto di quell’evento, e aveva trovato così strano che a provocarlo non fosse stato un qualche sovrano decisivo per le sorti di un popolo, bensì una ragazzetta di appena quindici primavere. Tutto era iniziato da quel guerriero, tanto coraggioso e valoroso in battaglia, quanto infame in tempo di pace. Abusava dei ragazzini, e nessuno diceva nulla, nemmeno i genitori di quelle creature, come se tutto gli fosse dovuto. Nessuno, del resto, si curava dei fanciulli, oltre alla somministrazione del mero nutrimento. Fino a quando quella Malintzin non si era stufata di quella situazione e, mentre l’infame era troppo impegnato e vincere le resistenze di un giovinetto, lo aveva colpito alle spalle con un affilato arnese agricolo, per fagli passare le sue perverse voglie in modo definitivo. A muovere la sua mano non era stata l’indignazione o l’empatia, ma piuttosto l’irritazione nel veder rovinate delle vite senza che nessuno intervenisse.

“Blasfema?! Ma no, che dici?” esclamò il serpente piumato.

“Aveva deliberatamente sottratto un guerriero a Huitzilopotchli ed esclamato a gran voce che tale immondizia non avrebbe meritato di finire nella beatitudine dell’Omeyocan. Non spettava a lei tale scelta. Ha sottratto un’anima che spettava di diritto a una divinità”.

“Beh, Huitzilopotchli non se l’era mica presa, se ben ricordi. E se non aveva provato fastidio lui, agli altri sarebbe dovuto importare ancora meno”  obiettò Quetzalcoatl.

“Non aveva anche aggiunto che, siccome non era giusto quello che quell’immondizia aveva fatto a dei bambini, se l’avessero condannata, sarebbe stata una perdita di tempo, da parte dei giudici, invocare Itztlacoliuhqui-Ixquimilli per essere equi nel giudizio?”

“Non mi risulta che l’offesa fosse diretta a Itztlacoliuhqui-Ixquimilli, bensì a chi diceva di poter parlare col suo favore! Avrebbe potuto intervenire, era parecchio irritato per l’evidente ingiustizia che Malintzin avrebbe subito dai suoi stessi concittadini, ma sai che lui non interferisce quasi mai nelle decisioni degli umani. Preferisce far scontare le conseguenze delle loro azioni” Quetzalcoatl si sentiva a suo agio, nei panni di avvocato difensore.

“E quando ha detto che non avrebbe temuto la condanna a morte, visto che lei, con la morte, ci flirtava in continuazione, ogni volta che si arrischiava nelle sue arrampicate verso i favi di miele, con la sua scusa di provare la sua scarica di adrenalina quotidiana?”.

“…mi arrendo”. Il serpente piumato non aveva avuto modo di sapere la reazione del Signore di morti a una tale impertinenza, ammesso che il sovrano ne fosse venuto a conoscenza, ma nemmeno la divinità più ottimista del Creato avrebbe potuto immaginare una qualche forma di clemenza da parte di Mictlantechutli.

“Quella sua boccuccia insolente avrebbe pesato parecchio sulla decisione di condannarla a morte, se non fosse stato per te, Quetzalcoatl” concluse Mayahuel.

Non era giusto quello che avrebbe subito la ragazza, ma era pur sempre un’umana, e nessuna divinità si sarebbe disturbata ad intervenire in suo favore. Quetzalcoatl, invece, aveva voluto impedire quella condanna, e ci riuscì dando agli umani un motivo che avrebbe completamente cambiato il loro modo di vedere la situazione che si era creata. Aveva donato loro un sentimento che avrebbe portato alla cura dei bambini e delle creature più deboli, e che avrebbe suscitato l’indignazione verso chi li avrebbe danneggiati. Fu così che la fanciulla venne infine graziata: non avrebbe potuto non soccorrere un bambino. Il punto di vista si era diametralmente rovesciato: il biasimo ricadde tutto sul guerriero assassinato e la fanciulla avrebbe commesso un torto enorme se non avesse agito in difesa del bimbo, avendo avuto la possibilità di farlo.

Comunque, gli umani ignoravano totalmente il fatto che a Huitzilopotchli, di quel guerriero, poco importava, essendo dotato di un’ovvia conoscenza che trascendeva quella di quelle piccole creature mortali. In quella situazione infima, lui lo sapeva, un guerriero sarebbe andato perduto comunque. Avrebbe potuto essere il guerriero, oppure il bambino stesso, destinato, in futuro, a superare in valore quello di colui che aveva tentato di abusare del suo corpo acerbo. Se l’infame fosse riuscito nel suo intento, il bambino avrebbe vissuto il resto dei suoi giorni con l’animo irrimediabilmente spezzato, divenendo la pallida ombra dell’uomo valoroso che avrebbe potuto diventare. Quindi, l’osservazione impudente della ragazzetta sarà stata pure blasfema ma era, sostanzialmente, corretta. Quindi, nessuna offesa.

“E tutto questo come si concilia col fatto che la stavi coccolando teneramente?” criticò Mayahuel sospettosa e vagamente disgustata.

“Troppa dose di amore, suppongo. È successo e basta” la bionda divinità non era un tipo che si faceva troppe domande, finché la situazione gli andava bene. Furbo, il serpente piumato.

A Quetzalcoatl erano piaciute le conseguenze di quel dono che aveva fatto all’umanità e, tempo addietro, aveva osservato la ragazza mentre abbracciava il piccolo che aveva salvato con un trasporto inedito, colmo di affetto, ricambiata dal ragazzino. Ma era bastato che la ragazza alzasse la testa e incrociasse, casualmente, il suo sguardo con quello del biondo sconosciuto, perché quel dono si manifestasse in un altro modo… imprevisto… per entrambi. Da quel giorno, quello sguardo sarebbe rimasto l’uno nei pensieri dell’altro per molto tempo.

Mayahuel era rimasta non poco stupita: il serpente piumato era davvero bizzarro a farsi piacere una simile creatura! Tale sorpresa l’aveva indotta ad approfondire la sua curiosità, e così quella che doveva essere una sporadica visita per togliersi lo sfizio era diventata una tappa periodica fissa con Quetzalcoatl come “guida turistica”. La dea non riusciva a provare lo stesso trasporto che il biondo aveva verso quelle creature, ma era divertente mescolarsi tra loro, fingere di appartenere alla loro stessa specie. Aveva persino conosciuto questa Malintzin: una tipa piuttosto graziosa e ingenua, per essere un’assassina, ma nulla di più di una bestiolina adorabile da trattare con accondiscendenza.

Tuttavia, quelle periodiche assenze nel mondo degli umani cominciarono presto a farsi notare; le domande del marito a farsi più insistenti; i sospetti farsi più pesanti.

E le accuse farsi più infamanti.

Era semplice andare d’accordo quando ti trovavi in sintonia con i tuoi tutori, ma Mayahuel non aveva mai immaginato quanto male sarebbe finita, per lei, quando quella sintonia fosse saltata. Era andato tutto bene finché aveva assecondato marito e famiglia. Una volta smesso di farlo… Mayahuel aveva potuto essere fatta a pezzi.

La nonna, venuta a sapere della condotta di sua nipote, era andata su tutte le furie. L’avrebbe fatta pentire di aver offeso il marito, disubbidendogli.

L’aveva fatta inseguire dalle sue compagne, le tzizimine. Esse trucidarono Mayahuel senza alcuna pietà. La sua unica colpa? Non aver ubbidito alla sua famiglia.

Mayahuel aveva sempre fatto ciò che sua nonna le ordinava, sempre. Ma non era stato abbastanza, per quella vecchia strega. Aveva realizzato troppo tardi, mentre impazziva di dolore per le membra tagliate via dal suo corpo, di essere imparentata con una vera e propria stronza. E allora, tanto valeva rendere la sua nuova condizione vantaggiosa per gli umani. Una piccola vendetta, da portare con sé per l’eternità.

Non avrebbe dovuto calcolarle nemmeno di striscio, quelle bestioline mortali, giusto? Bene, avrebbero avuto da lei un dono che poteva competere con quelli fatti da Quetzalcoatl, Xipe-Totec e Xocipilli messi insieme. Il dono di dimenticare le fatiche e i dolori; il dono di incrementare la gioia e le passioni; il dono di smettere di pensare, quando i pensieri si facevano tediosi; il dono di assumere un barlume di coraggio per fare cose folli, quando il buonsenso si faceva troppo austero. Lei, quel coraggio, lo aveva infine avuto, e le era stato fatale. Avrebbe augurato agli umani di poter vivere la loro libertà in modo gioioso.

La sbronza libera, la serena ebrezza: un liquore ricavato dalle foglie della pianta in cui era appena stata trasfigurata. Il primo agave.

 

Il pulque contenuto nel bicchierino, alla fine, venne bevuto in un unico, lungo sorso.

“Era stato Xocipilli a riferire a mia nonna dei miei viaggi tra gli umani” mormorò Ebenezer senza alcun preambolo. Ogni volta che vedeva una pianta di agave, il ricordo della sua origine invadeva la sua mente, e non poteva fare a meno di sentirsi a disagio.

“Non starai pensando la tua fine sia stata voluta da lui?” Aindreas stentava a credere alla possibilità che il Principe dei fiori (dei FIORI!) potesse riversare un tale livello di aggressività verso qualcuno che amava.

“No, certo che no! Mi credi così fuori di testa da stare assieme a una persona del genere, se fosse stato così? Allen mi giurato di aver richiesto l’aiuto delle tzizimine per cercarmi, non per vendicarsi. Gli credo. Ricordo la sua reazione, quando mi ha trovato morente. Sembrava fuori di sé dal dolore”.

“Credimi Ebi, lo era”.

Lo sguardo di Ebenezer si fece cupo, e la cosa non sfuggì ad Aindreas.

“Aveva creduto che gli fossi infedele. Io! Con Quetzalcoatl!” assunse un tono indignato all’idea che proprio suo marito potesse aver pensato una cosa così assurda e offensiva nei suoi confronti.

“E ha mandato a morire la donna di Quetzalcoatl per vendetta. Era soltanto un’umana, non c’entrava nulla. Non era stato niente di che, era soltanto un’umana… ma mai mi sarei mai aspettata una tale azione da lui… è stato così… meschino”.

“Non credo sia una buona cosa pensare troppo al passato. Come dice la parola stessa, è passato”. Aindreas lo credeva davvero. Aveva vissuto pienamente il presente in ogni sua vita trascorsa, cogliendo le possibilità sempre diverse che ogni nuova esistenza offriva. Aveva avuto periodi difficili, ma chi non ne aveva? Ma Aindreas aveva sempre reagito con vigore, energia, e anche un po’ di sana spacconeria, per affrontare con positività ogni evento. Restava pur sempre Tonatiuh, sebbene senza i suoi poteri divini, ma comunque con altre qualità da far fruttare.

“Col boicottaggio della fine del Quinto Sole di cinquecento anni fa, hai perso la tua forma di agave, così come Thomas e Mattie hanno perso le sembianze di astri. Ora, è sufficiente per voi esistere, per mantenere integre le vostre creazioni. I risultati di un sacrificio non vengono meno, se i sacrificati cambiano di nuovo forma. Tu e Allen avete una nuova possibilità”.

“Certo, una nuova possibilità” mormorò Ebenezer. Sembrava combattere con i pensieri nella sua mente.

“Quando ci siamo incontrati di nuovo, ero davvero convinta di aver avuto una seconda possibilità. Ero così felice di poterlo riabbracciare di nuovo, e lui così dispiaciuto di aver creduto a un tradimento da parte mia. Tutto quello che era successo sembrava una parentesi trascurabile”.

Prese un respiro, prima di continuare.

“Allen si è messo a tormentare una bambina, Aindreas! Che razza di comportamento è?” il riferimento ad Alma era lampante.

“Non c’entra niente con la vendetta di allora. Non fare l’errore di vedere Alma come una bambina, Ebenezer. Sono successe molte cose, dopo la tua… morte. Xocipilli, legando l’anima di quella mortale a un nuovo fiore, senza volerlo, aveva creato la sua nemesi. Non si sarebbe mai aspettato che quel fiore avrebbe assorbito l’energia del Mictlan, e Mictlancihuatl ha interpretato bene la parte che lui le ha proiettato addosso”.

“Ma la sta infastidendo ora che lei è impossibilitata a fare alcunché. È facile infierire quando le forze sono così sbilanciate a tuo favore, vero? L’hanno dovuta isolare in un cimitero, per tenerla al sicuro da lui! Per me è un comportamento da vili”.

“Pericoli non ne corre di sicuro, quella nanerottola. Stai pur certa che, appena ne avrà l’occasione, restituirà il piacere ad Allen con gli interessi!”

“Va bene, allora cambiamo punto di vista, e non vediamola come una bimba impotente. È per merito di colei che tu definisci sua nemesi che sono tornata a camminare sulle mie gambe. Morte e Rinascita. Lo stesso vale per Nanahuatzin e Tecciztecatl. Ma Allen, anziché esserne grato, sembra aver trascurato questo dettaglio. Per lui sembra esistere solo il fastidio che lei ha arrecato alla sua persona in passato”.

Sospirò.

“Ma questo posso ancora tollerarlo. Nessuno è perfetto, giusto? Lui mi vuole bene, e io gliene voglio a lui… e i contrasti tra divinità non cessano solo perché diventate umane, giusto?”

Aindreas decise che non era il caso di girarci ancora intorno. “Ebi… cos’è che ti turba?”

Ebenezer tornò a guardare il bicchierino vuoto. “Da quando Mordecai è arrivato, Allen è tornato ad essere paranoico. Ha ripreso coi suoi atti violenti e solo per puro caso non sono diretti a Mordecai. Ci deve stare persino fisicamente lontano, per non perdere il controllo. Ho visto come lo guarda. Quetzalcoatl non mi ha fatto niente, e Allen lo sa, quindi non c’è niente di cui vendicarsi. Ma anche me ne avesse fatto, ora sta covando rancore verso una persona del tutto inconsapevole!”.

Per la prima volta, Ebenezer diede voce alle sue preoccupazioni.

“Ebbene io temo che Allen sia una brava persona solo quando la vita gli sorride. Ma quando iniziano a verificarsi cose che non gli piacciono? È dunque questa la sua vera natura? Un passivo-aggressivo, pronto a dare il peggio di sé non appena l’occasione glielo consentirà? E il mio ruolo in tutto questo qual è? Posso fare qualcosa per aiutarlo? Oppure le mie azioni non porteranno a nulla, e dovrò restare in attesa che la bomba ad orologeria dentro di lui deflagri, distruggendo se stesso, altri e me stessa? Tornerò a spezzarmi come prima?”

Scosse la testa, desolata.

“Io… Non sono sicura di volerlo, Aindreas”.

“Ebenezer…” Aindreas non poteva immaginare che il rapporto tra Ebenezer e Allen fosse così compromesso; che la salute mentale di Allen fosse così compromessa.

“Ascolta un consiglio, per quello che vale ciò che esce dalla bocca di uno zotico come me. Hai avuto cinquecento anni per emanciparti. Sei padrona di te stessa, padrona del tuo destino. Anche dovesse… cambiare questa realtà… questo mondo… la Mayahuel di adesso non sarà la Mayahuel del passato. Se pensi che la tua storia con Xocipilli sia giunta al capolinea, non hai che da ignorare il concetto di finché morte non ci separi e lasciarlo a Mictlantechutli” fece una breve pausa. “Se invece credi che possiate ancora esistere, come coppia, forse sarebbe meglio parlarne direttamente con Allen, non pensi?”.

Ebenezer sembrava alla ricerca delle parole per rispondere al rosso. Alla fine, parve rinunciare.

“Ora devo proprio tornare a casa, Aindreas. Ti ringrazio per tutto”.

***

“Ebenezer, dove sei stata?” la domanda di Allen era stata posta con leggerezza, ma la ragazza, che non aveva fatto nemmeno in tempo ad attraversare completamente la porta d’ingresso, notò, non senza una punta di fastidio, che non vi era stato alcun saluto, nemmeno un “Come è andata oggi?”, da parte del fidanzato. Solo un piccolo interrogatorio, come esordio.

“Aindreas mi ha invitata a bere qualcosa nel suo giardino” tagliò corto.

“Sempre a provarci con tutti, quel mascalzone” replicò con tono canzonatorio.

“Abbiamo semplicemente parlato” il fastidio per quella accusa gratuita, aumentò.

“Mi ero solo stupito di essere tornato a casa prima di te. Non farmi preoccupare, tesoro mio” la blandì con un bacio, sottostimando il disagio di Ebenezer.

Ebenezer avrebbe potuto chiedere di cosa si sarebbe dovuto preoccupare, in una cittadina con criminalità inesistente dove si conoscevano tutti. Invece, abbozzò un sorriso.

“Va bene, caro” ricambiò il bacio.

Non si sentiva pronta per un confronto. Aveva ancora timore di conoscere le probabili conseguenze.

 

FINE

 

 

PICCOLE GIUSTIFICAZIONI CHE NON INTERESSANO A NESSUNO

Giuro che Allen mi piace, davvero! Però, boh… nel fumetto mi ha dato sensazioni strane. Le sue ferite, lo specchio rotto, i sorrisi piuttosto inquietanti, la pacca forte che aveva dato a Mordecai, con tanto di occhiataccia, la tentazione di abusare della sua posizione di poliziotto, anche se detto per scherzo… non mi sono sembrati segnali sereni, eh. E nelle poche interazioni che aveva avuto con Ebenezer, quest’ultima sembrava più preoccupata che felice (allarmata quando Allen si era ferito con lo specchio, espressione triste quando ha detto che Allen voleva stare lontano da Mordecai ma voleva che lei si divertisse alla festa del Ringraziamento). Al momento ho come la sensazione che la coppia si trovi a un bivio, ma sono solo idee mie, e se il fumetto le smentirà sarò solo contenta. E tutto questo l’ho pensato quando ancora non avevo letto la mitologia su sti due (boh, su Xocipilli è inesistente?).

La mia cara, dolce Mayahuel… quando ho letto il mito che la riguardava, ho solo esclamato: Perché T__T ?! Non potevo non citare la sua storia in una fanfic! Cito Wikipedia:

“Secondo la mitologia azteca, Mayahuel era la donna della quale si innamorò Ehecatl, il dio del vento (una delle sembianze di Quetzalcoatl, N.d.Adri). Lui fece dono dell'amore al genere umano, perché lei potesse poi ricambiarlo (fin qui, Mayahuel sembrerebbe essere umana… N.d.Adri). Mayahuel andò sposa a Xochipilli (…e il consenso? N.d.Adri) […] Gli Déi mandarono Ehēcatl a cercare Tzitzimitl (che era una divinità, N.d.Adri).. Al posto di lei, Ehēcatl trovò Mayahuel, la bellissima nipote di Tzitzimitl (quindi, anche Mayahuel è una divinità. Boh N.d.Adri). Ehēcatl se ne era innamorato e le chiese se potevano andare insieme sulla terra, almeno per un po' (nulla di zozzo, quindi. Semplice gita fuori porta? N.d.Adri). Dopo un po' di esitazione lei acconsentì e Ehēcatl la portò sulla terra. Tzitzimitl, furiosa, chiamò a sé le Tzitzimime, sue compagne e insieme si misero a cercare Mayahuel. Ehēcatl e Mayahuel, preoccupati, si trasformarono in una pianta. Mayahuel era un ramo e Ehēcatl era l'altro. Ma Tzitzimitl trovò l'albero. Le Tzitzimime spaccarono il ramo di Mayahuel e la uccisero, mentre Ehēcatl rimase lì (sta povera gioia è stata uccisa perché uscita di casa senza permesso. Se ripenso alla mia adolescenza, mi è andata di lusso … N.d.Adri). Quando le Tzitzimime se ne furono andate, Ehēcatl tornò normale e si mise a cercare i resti del suo amore. Li trovò e li seppellì. Per azione degli Dèi i resti della povera Dèa divennero il primo Agave. Così Mayahuel divenne la Dèa dell'agave. Dall'agave si ricavarono fibre per i tessuti e la pulque”.

Chiaramente, non è che mi andasse molto a genio che Quetzalcoatl fosse innamorato di Mayahuel. Lasciamo i triangoli con corna al marito alle commedie italiane Anni ’70, va là. Tra l’altro, ne avevo già parlato in uno dei primi capitoli, dal punto di vista di Allen (Capitolo “Terrorizzato”). Nella pagina Wikipedia di Ehecatl si dice esplicitamente che si era innamorato di un’umana, quindi la mia è fantasia fino a un certo punto, eh, per il resto c’è documentazione pacchiana. Quindi, dal riferimento “Lui fece dono dell'amore al genere umano, perché lei potesse poi ricambiarlo” è nata la mia Malintzin.

Come avete visto, il mio giochino preferito “trova il dio azteco” prosegue anche in questo capitolo, fedele alla mia ipotesi che tutti i personaggi sono, in realtà, divinità. Capelli rossi, a contatto col fuoco, gradasso: Aindreas doveva essere un Weasley… aspe’ no, volevo dire Tonatiuh. Sarà vero? Sarà falso? Agli autori di Calaca l’ardua sentenza!

Piccola nota anche su una frase che faccio dire nel capitolo: Noi flirtiamo con la morte à non vedevo l’ora di utilizzare questa frase da quando l’avevo sentita nel film Il libro della vita! J E a proposito del film, mi sono servita dell’aspetto della Muerte protagonista del film per immaginare l’aspetto di Malintzin: è più umano, ovviamente, con i capelli molto più corti (o Mictlancihuatl si sarebbe trovata una ventina di giri per ciascuna treccia sulla nuca) e gli occhi, che nel film hanno una luce calda come quella di una lanterna, hanno il colore di alcuni tipi di semi di cacao dal colore particolarmente caldo. Come Alma, ovviamente, va ringiovanita parecchio.

Quando ho visto che Alma e Malintzin stavano diventando personaggi fissi, non potevo non creare un background e una personalità ben delineati, in modo da non creare eventuali refusi tra un capitolo e l’altro. Ho quindi fatto di lei una sensation seeker, praticamente una che fa cose rischiose, potenzialmente mortali, ma con il controllo dei rischi calcolato perché adrenalina sì, aspirante suicida no! Ogni sua incarnazione è stata amante di uno sport estremo, ma Alma è in stand-by in un cimitero… avrebbe amato molto il parkour, crescendo. Volevo mettere un po’ in pratica il concetto che l’esistenza della morte rende la vita più importante, e una sensation seeker mi sembrava più vicina ad onorare la morte, come aspetto imprescindibile della vita, rispetto a un suicida o a un serial killer – senza nulla togliere a chi vive in modo meno spericolato, eh.

Una cosa su cui ho riflettuto parecchio, però, è stata la seguente: cosa poteva avere un’umana di abbastanza interessante da far innamorare un dio al punto da indurlo a donare la capacità di amare al genere umano, pur di averla? E perché la sorte di un’umana sacrificata è stata così differente rispetto a quella di migliaia di altre vite sacrificate, al punto da diventare la consorte di Mictlantechutli? Avevo letto su un sito (sfortunatamente ora fuori uso) che la bambina sacrificata aveva attinto potere crescendo nel Mictlan, ma perché proprio lei, tra tutte le anime? Non potevo lasciar correre come la Mayers in Twilight, con Edward che non sa perché è attratto da Bella o, peggio, come in 50 sfumature di grigio, dove Christian Gray, bono circondato da bone, è inspiegabilmente attratto dalla scialbina di turno. Qui ci stanno di mezzo due divinità e una mortale che sta a loro come una formica sta ad un essere umano. Trovatelo un essere umano che si innamora di una formica.

Ecco quindi che Malintzin non è qualcuno di particolare ma ha fatto qualcosa che ha attirato l’attenzione (un omicidio per giusta causa condito da blasfemia) e la cotta di Quetzalcoatl è stata un incidente conseguente al suo dono (che poi, alla lontana, ci sia un riferimento ad Amore e Psiche – chi dà l’amore, ops, si innamora a sua volta – è puramente casuale); e nel Mictlan cambia un po’ troppo rispetto agli altri defunti perché assorbe l’aria attraverso fiori che riescono a vivere anche in quell’ambiente, fiori a cui è legata. Questo le fa cambiare un po’ troppo il punto di vista – meno umano, più divino – e i gusti… E ci tenevo che, a causare tutto questo, fosse la divinità della fioritura Xocipilli attraverso i cempasùcil… la controparte greca di Mictlancihuatl, Persefone, era la dea della fioritura e della primavera, prima che regina nell’Ade, finita là sotto per colpa di un narciso… J Davvero, gente, non è un caso che abbia reso Alma greca.

  
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