Giorno
30 ottobre
Spezzami
Il giardino di
Aindreas era tra i più lussureggianti di tutta
Esqueleto, al punto da poter rivaleggiare, in bellezza, con le
creazioni di
Balthazar. Quando non era impegnato nelle soffocanti cucine, il
prestante cuoco
del Pavo del Corral dedicava cure amorevoli alle sue piante, preferendo
passare
le sue ore libere ad innaffiare, a potare e, terminata
l’opera, a godere
dell’aria fresca all’aperto in compagnia di una
birra fresca.
In particolare,
la rigogliosa pianta di agave, che Aindreas
aveva piantato di recente, aveva destato l’ammirazione e i
complimenti dei suoi
vicini e di tutti gli abitanti che passavano davanti alla sua casa.
Solo una
persona, passando, rimaneva assorta qualche secondo, in silenzio, per
poi
passare oltre, con un’espressione che poco aveva a che fare
con l’ammirazione
per la bellezza delle piante o per il pollice verde di Aindreas. Il
rosso non
se ne era stupito, in verità, e men che meno se ne era
indignato. Piuttosto,
era preoccupato di aver, inconsapevolmente, toccato un nervo scoperto;
se così
fosse stato, avrebbe dovuto porvi rimedio, in qualche modo.
Per questo
motivo, non si era limitato a salutare
cordialmente la bella Ebenezer, quando l’aveva
sorpresa a guardare mesta il suo agave,
mentre dava da bere alle sue piante.
“Buon
pomeriggio, Ebenezer. Sei bellissima come sempre”
esordì Aindreas, affabile e lusinghiero come al solito, ma
stavolta col
desiderio di strappare un sorriso alla graziosa signorina.
“Buongiorno
Aindreas! Oggi non sei di turno al Pavo?” rispose
cordialmente Ebenezer, con un sorriso educato, tutt’altro che
genuino.
“Attacco
più tardi col turno serale. Visto il caldo anomalo,
il menu prevede molti piatti freddi, stavolta”
ammiccò in risposta.
“E
quindi ti dai da fare col giardino” osservò la
ragazza,
accennando alla pompa dell’acqua aperta che Aindreas teneva
tra le mani.
“Ho
innaffiato abbastanza, adesso è giunto il momento di
innaffiare me” ammiccò con fare volutamente sexy,
provocando una risatina
all’altra.
“Non
vorrai fare Mister Maglietta Bagnata, spero!”
esclamò,
fingendo di coprirsi gli occhi con finta pudicizia.
“Macché!
Mi innaffio di birra! Posso offrirti qualcosa da
bere, prima che torni a casa?”
Ebenezer
sembrò sul punto di rifiutare, ma cambiò idea.
“Allen
non ha ancora terminato il turno di servizio, posso
tardare un po’ il mio rientro” accettò,
percorrendo il giardino.
“Le
tue decisioni non devono per forza girare intorno ad
Allen. Lo sai, vero?”.
Ebenezer si
irrigidì appena, a sentir nominare il fidanzato.
“Certo che no. Dicevo così perché
avrebbe potuto preoccuparsi, se non mi avesse
trovato a casa”.
“Cosa
preferisci? Un alcolico, una bibita, una tisana
fredda?”
“Tieni
delle tisane in casa?” si stupì Ebenezer, grata
per
quel cambio di discorso.
“No,
ma spero che non me ne chiederai”
“Allora
decidi tu!”
Passarono pochi
minuti quando Aindreas tornò non con delle
birre, come aveva precedentemente anticipato, ma con …
pulque e tequila.
“Hai
detto che potevo decidere io” si giustificò alla
vista
dello sguardo stupito di Ebenezer, mentre le allungava un bicchierino e
versava
il liquore. Forse aveva esagerato, ma Aindreas era un tipo noto a tutti
per la
sua mancanza di tatto, tra l’altro mai animato da cattive
intenzioni. Se, come
sospettava, era la pianta di agave a togliere il sorriso a Ebenezer,
avrebbe
dovuto indurla ad aprirsi con lui, in qualche modo.
Senza dire una
parola, si sedettero sullo sdraio a dondolo
sotto la veranda.
Aindreas
assaporava la sua tequila guardando Ebenezer di
sottecchi; la ragazza rigirava il bicchierino tra le mani, portandoselo
ogni
tanto alle labbra e sorseggiando senza molta convinzione.
“Ha
reso felici molte persone, quella bevanda. Eppure sembra
che, proprio a te, non faccia lo stesso effetto”.
“Beh,
non è che la mia posizione fosse molto comoda,
all’epoca” commentò mesta. Mayahuel, la
dea dell’agave. Per fare quel dono
gradito, aveva dovuto letteralmente essere spezzata
in molte parti, ma, a differenza di Nanahuatzin e
Tecciztecatl, il suo sacrificio
fu tutt’altro che volontario.
A Mayahuel non
era mai pesato vivere una vita già predisposta
da sua nonna, Tzitzimitl. Le conseguenze della sua ubbidienza erano
sempre
state piuttosto piacevoli, quindi non aveva mai avuto alcun motivo di
lamentarsi. Persino il matrimonio con Xocipilli, per il quale non era
stato
chiesto il suo benestare, era andato meglio di quanto avesse sperato.
Se non
altro, il Principe dei fiori gli era sembrato, fin da subito, una brava
persona, simpatica, divertente. Non era stato difficile volergli bene.
Lei lo
rispettava e lui faceva lo stesso. E poi, andava bene a sua nonna,
quindi,
tutto apposto. Faceva ciò che lui le chiedeva e lei
eseguiva. Tanto, non le
pesava, soprattutto perché anche lui cercava di esaudire
tutte le sue
richieste. Beh, quasi tutte.
Un giorno aveva
espresso il desiderio di andarsene, ogni
tanto, a zonzo nella terra degli umani. Quelle graziose creature
dell’Era del
Quarto Sole avevano destato una certa curiosità nella dea,
se non altro perché
si diceva che fossero state la creazione meglio riuscita, tra i quattro
tentativi fatti fino ad allora. Mayahuel ne era meravigliata: come
potevano
degli esseri così imperfetti essere così carini?
Come facevano a vivere,
malgrado sperimentassero difficoltà che le
divinità non potevano nemmeno
immaginare di provare? Come riuscivano a compiere opere ingegnose con
delle
forze così miserrime, se paragonate alle loro?
Da nubile, la
giovane dea non aveva mai avuto un grande
margine d’azione, costretta com’era sotto la
castrante tutela di quella strega
di sua nonna, ma aveva sperato di poter convincere il marito a
lasciarle più
libertà per andare a vedere da vicino quelle bestioline
curiose. Invece,
Xocipilli l’aveva ammonita dall’avvicinarsi a
quelle creature, buone solo a onorare
le divinità con offerte, preghiere e sacrifici, ma con cui
non era decoroso
avere a che fare. Mica avrebbe voluto diventare uno zimbello come
Quetzalcoatl, le
aveva chiesto stizzito, e non aveva più voluto tornare
sull’argomento. Aveva
detto quello che pensava, e Mayahuel avrebbe ubbidito, fine della
storia.
Ma il maritino
non aveva fatto i conti col fatto che era
bastato nominare Quetzalcoatl per far spuntare a Mayahuel un pensiero
dispettoso: se non l’avesse accompagnata Xocipilli, avrebbe
potuto chiedere al
serpente piumato di scortarla in quelle terre. Di sicuro, Quetzalcoatl
non le
avrebbe rifiutato quel favore, gentile e disponibile com’era.
Sarebbe stato
solo una volta, giusto per togliersi lo sfizio!
Mayahuel non
aveva previsto che, invece, si sarebbe divertita
parecchio. Le feste che gli umani celebravano nel corso
dell’anno erano molto
più divertenti, quando partecipavi in mezzo a loro. Gli
umani avevano una vita
dura, ma sapevano come alleviare le fatiche.
Il serpente
piumato, poi, si era rivelato essere più pazzo di
quello che credeva: adorava davvero
quelle
creature!
“Hai
fatto COSA?” Mayahuel non credeva alle proprie orecchie.
“Non
lo avevo previsto” si scusò quasi il biondo, dopo
esser
stato beccato dalla dea a coccolare
una di quelle umane.
“Aspetta,
non è quella che aveva ammazzato quel guerriero
mentre… sì insomma, non gli ha fatto fare
esattamente una fine da guerriero…”.
“Se
non fossi intervenuto, l’avrebbero giustiziata. Poco
importava che fosse una nobile. Aveva comunque ucciso qualcuno di
importante
nella sua comunità, un guerriero rispettato! Ma non sarebbe
stata vera
giustizia!”.
“Ma…
non è quella che è riuscita a essere blasfema con
almeno
tre o quattro divinità contemporaneamente? Nessuno di noi
avrebbe notato una
donnetta mortale, se non avesse offeso in un colpo un paio di noi solo
per scampare
al giudizio dei suoi pari! E, nonostante questo, è
sopravvissuta?”
Mayahuel
ricordava il trambusto di quell’evento, e aveva
trovato così strano che a provocarlo non fosse stato un
qualche sovrano decisivo
per le sorti di un popolo, bensì una ragazzetta di appena
quindici primavere. Tutto
era iniziato da quel guerriero, tanto coraggioso e valoroso in
battaglia,
quanto infame in tempo di pace. Abusava dei ragazzini, e nessuno diceva
nulla,
nemmeno i genitori di quelle creature, come se tutto gli fosse dovuto.
Nessuno,
del resto, si curava dei fanciulli, oltre alla somministrazione del
mero
nutrimento. Fino a quando quella Malintzin non si era stufata di quella
situazione e, mentre l’infame era troppo impegnato e vincere
le resistenze di
un giovinetto, lo aveva colpito alle spalle con un affilato
arnese agricolo, per fagli passare le sue perverse voglie in
modo definitivo. A muovere la sua
mano non era stata l’indignazione o l’empatia, ma
piuttosto l’irritazione nel
veder rovinate delle vite senza che nessuno intervenisse.
“Blasfema?!
Ma no, che dici?” esclamò il serpente piumato.
“Aveva
deliberatamente sottratto un guerriero a
Huitzilopotchli ed esclamato a gran voce che tale immondizia
non avrebbe meritato di finire nella beatitudine
dell’Omeyocan. Non spettava a lei tale scelta. Ha sottratto
un’anima che
spettava di diritto a una divinità”.
“Beh,
Huitzilopotchli non se l’era mica presa, se ben
ricordi. E se non aveva provato fastidio lui, agli altri sarebbe dovuto
importare ancora meno” obiettò
Quetzalcoatl.
“Non
aveva anche aggiunto che, siccome non era giusto
quello che quell’immondizia aveva
fatto a dei bambini, se l’avessero condannata, sarebbe stata
una perdita di
tempo, da parte dei giudici, invocare Itztlacoliuhqui-Ixquimilli per
essere
equi nel giudizio?”
“Non
mi risulta che l’offesa fosse diretta a
Itztlacoliuhqui-Ixquimilli, bensì a chi diceva di poter
parlare col suo favore!
Avrebbe potuto intervenire, era parecchio irritato per
l’evidente ingiustizia
che Malintzin avrebbe subito dai suoi stessi concittadini, ma sai che
lui non
interferisce quasi mai nelle decisioni degli umani. Preferisce far
scontare le
conseguenze delle loro azioni” Quetzalcoatl si sentiva a suo
agio, nei panni di
avvocato difensore.
“E
quando ha detto che non avrebbe temuto la condanna a
morte, visto che lei, con la morte, ci flirtava
in continuazione, ogni volta che si arrischiava nelle sue
arrampicate verso
i favi di miele, con la sua scusa di provare la sua scarica di
adrenalina
quotidiana?”.
“…mi
arrendo”. Il serpente piumato non aveva avuto modo di
sapere la reazione del Signore di morti a una tale impertinenza,
ammesso che il
sovrano ne fosse venuto a conoscenza, ma nemmeno la divinità
più ottimista del
Creato avrebbe potuto immaginare una qualche forma di clemenza da parte
di
Mictlantechutli.
“Quella
sua boccuccia insolente avrebbe pesato parecchio sulla
decisione di condannarla a morte, se non fosse stato per te,
Quetzalcoatl”
concluse Mayahuel.
Non era giusto
quello che avrebbe subito la ragazza, ma era
pur sempre un’umana, e nessuna divinità si sarebbe
disturbata ad intervenire in
suo favore. Quetzalcoatl, invece, aveva voluto impedire quella
condanna, e ci
riuscì dando agli umani un motivo che avrebbe completamente
cambiato il loro
modo di vedere la situazione che si era creata. Aveva donato loro un
sentimento
che avrebbe portato alla cura dei bambini e delle creature
più deboli, e che
avrebbe suscitato l’indignazione verso chi li avrebbe
danneggiati. Fu così che
la fanciulla venne infine graziata: non avrebbe potuto non
soccorrere un bambino. Il punto di vista si era diametralmente
rovesciato: il biasimo ricadde tutto sul guerriero assassinato e la
fanciulla
avrebbe commesso un torto enorme se non
avesse agito in difesa del bimbo, avendo avuto la
possibilità di farlo.
Comunque, gli
umani ignoravano totalmente il fatto che a
Huitzilopotchli, di quel guerriero, poco importava, essendo dotato di
un’ovvia
conoscenza che trascendeva quella di quelle piccole creature mortali.
In quella
situazione infima, lui lo sapeva, un guerriero sarebbe andato perduto
comunque.
Avrebbe potuto essere il guerriero, oppure il bambino stesso,
destinato, in
futuro, a superare in valore quello di colui che aveva tentato di
abusare del
suo corpo acerbo. Se l’infame fosse riuscito nel suo intento,
il bambino avrebbe
vissuto il resto dei suoi giorni con l’animo
irrimediabilmente spezzato,
divenendo la pallida ombra dell’uomo valoroso che avrebbe
potuto diventare. Quindi,
l’osservazione impudente della ragazzetta sarà
stata pure blasfema ma era,
sostanzialmente, corretta. Quindi, nessuna offesa.
“E
tutto questo come si concilia col fatto che la stavi coccolando
teneramente?” criticò
Mayahuel sospettosa e vagamente disgustata.
“Troppa
dose di amore, suppongo. È successo e basta” la
bionda divinità non era un tipo che si faceva troppe
domande, finché la
situazione gli andava bene. Furbo, il serpente piumato.
A Quetzalcoatl
erano piaciute le conseguenze di quel dono che
aveva fatto all’umanità e, tempo addietro, aveva
osservato la ragazza mentre abbracciava
il piccolo che aveva salvato con un trasporto inedito, colmo di
affetto,
ricambiata dal ragazzino. Ma era bastato che la ragazza alzasse la
testa e
incrociasse, casualmente, il suo sguardo con quello del biondo
sconosciuto,
perché quel dono si manifestasse in un altro
modo… imprevisto… per entrambi. Da
quel giorno, quello sguardo sarebbe rimasto l’uno nei
pensieri dell’altro per
molto tempo.
Mayahuel era
rimasta non poco stupita: il serpente piumato
era davvero bizzarro a farsi piacere una simile creatura! Tale sorpresa
l’aveva
indotta ad approfondire la sua curiosità, e così
quella che doveva essere una
sporadica visita per togliersi lo sfizio era diventata una tappa
periodica
fissa con Quetzalcoatl come “guida turistica”. La
dea non riusciva a provare lo
stesso trasporto che il biondo aveva verso quelle creature, ma era
divertente
mescolarsi tra loro, fingere di appartenere alla loro stessa specie.
Aveva
persino conosciuto questa Malintzin: una tipa piuttosto graziosa e
ingenua, per
essere un’assassina, ma nulla di più di una
bestiolina adorabile da trattare
con accondiscendenza.
Tuttavia, quelle
periodiche assenze nel mondo degli umani
cominciarono presto a farsi notare; le domande del marito a farsi
più
insistenti; i sospetti farsi più pesanti.
E le accuse
farsi più infamanti.
Era semplice
andare d’accordo quando ti trovavi in sintonia
con i tuoi tutori, ma Mayahuel non aveva mai immaginato quanto male
sarebbe
finita, per lei, quando quella sintonia fosse saltata. Era andato tutto
bene
finché aveva assecondato marito e famiglia. Una volta smesso
di farlo… Mayahuel
aveva potuto essere fatta a pezzi.
La nonna, venuta
a sapere della condotta di sua nipote, era
andata su tutte le furie. L’avrebbe fatta pentire di aver
offeso il marito,
disubbidendogli.
L’aveva
fatta inseguire dalle sue compagne, le tzizimine. Esse
trucidarono Mayahuel senza alcuna pietà. La sua unica colpa?
Non aver ubbidito
alla sua famiglia.
Mayahuel aveva
sempre fatto ciò che sua nonna le ordinava,
sempre. Ma non era stato abbastanza, per quella vecchia strega. Aveva
realizzato troppo tardi, mentre impazziva di dolore per le membra
tagliate via
dal suo corpo, di essere imparentata con una vera e propria stronza. E
allora,
tanto valeva rendere la sua nuova condizione vantaggiosa per gli umani.
Una
piccola vendetta, da portare con sé per
l’eternità.
Non avrebbe
dovuto calcolarle nemmeno di striscio, quelle
bestioline mortali, giusto? Bene, avrebbero avuto da lei un dono che
poteva
competere con quelli fatti da Quetzalcoatl, Xipe-Totec e Xocipilli
messi
insieme. Il dono di dimenticare le fatiche e i dolori; il dono di
incrementare
la gioia e le passioni; il dono di smettere di pensare, quando i
pensieri si
facevano tediosi; il dono di assumere un barlume di coraggio per fare
cose
folli, quando il buonsenso si faceva troppo austero. Lei, quel
coraggio, lo
aveva infine avuto, e le era stato fatale. Avrebbe augurato agli umani
di poter
vivere la loro libertà in modo gioioso.
La sbronza
libera, la serena ebrezza: un liquore ricavato
dalle foglie della pianta in cui era appena stata trasfigurata. Il
primo agave.
Il pulque
contenuto nel bicchierino, alla fine, venne bevuto
in un unico, lungo sorso.
“Era
stato Xocipilli a riferire a mia nonna dei miei viaggi
tra gli umani” mormorò Ebenezer senza alcun
preambolo. Ogni volta che vedeva
una pianta di agave, il ricordo della sua origine invadeva la sua
mente, e non
poteva fare a meno di sentirsi a disagio.
“Non
starai pensando la tua fine sia stata voluta da lui?”
Aindreas stentava a credere alla possibilità che il Principe
dei fiori (dei
FIORI!) potesse riversare un tale livello di aggressività
verso qualcuno che
amava.
“No,
certo che no! Mi credi così fuori di testa da stare
assieme a una persona del genere, se fosse stato così? Allen
mi giurato di aver
richiesto l’aiuto delle tzizimine per cercarmi, non per
vendicarsi. Gli credo.
Ricordo la sua reazione, quando mi ha trovato morente. Sembrava fuori
di sé dal
dolore”.
“Credimi
Ebi, lo era”.
Lo sguardo di
Ebenezer si fece cupo, e la cosa non sfuggì ad
Aindreas.
“Aveva
creduto che gli fossi infedele. Io! Con Quetzalcoatl!”
assunse un tono indignato all’idea che proprio suo marito
potesse aver pensato
una cosa così assurda e offensiva nei suoi confronti.
“E ha
mandato a morire la donna di Quetzalcoatl per vendetta.
Era soltanto un’umana, non c’entrava nulla. Non era
stato niente di che, era
soltanto un’umana… ma mai mi sarei mai aspettata
una tale azione da lui… è
stato così… meschino”.
“Non
credo sia una buona cosa pensare troppo al passato. Come
dice la parola stessa, è passato”. Aindreas lo
credeva davvero. Aveva vissuto pienamente
il presente in ogni sua vita trascorsa, cogliendo le
possibilità sempre diverse
che ogni nuova esistenza offriva. Aveva avuto periodi difficili, ma chi
non ne
aveva? Ma Aindreas aveva sempre reagito con vigore, energia, e anche un
po’ di
sana spacconeria, per affrontare con positività ogni evento.
Restava pur sempre
Tonatiuh, sebbene senza i suoi poteri divini, ma comunque con altre
qualità da
far fruttare.
“Col
boicottaggio della fine del Quinto Sole di cinquecento
anni fa, hai perso la tua forma di agave, così come Thomas e
Mattie hanno perso
le sembianze di astri. Ora, è sufficiente per voi esistere,
per mantenere
integre le vostre creazioni. I risultati di un sacrificio non vengono
meno, se
i sacrificati cambiano di nuovo forma. Tu e Allen avete una nuova
possibilità”.
“Certo,
una nuova possibilità” mormorò
Ebenezer. Sembrava
combattere con i pensieri nella sua mente.
“Quando
ci siamo incontrati di nuovo, ero davvero convinta di
aver avuto una seconda possibilità. Ero così
felice di poterlo riabbracciare di
nuovo, e lui così dispiaciuto di aver creduto a un
tradimento da parte mia.
Tutto quello che era successo sembrava una parentesi
trascurabile”.
Prese un
respiro, prima di continuare.
“Allen
si è messo a tormentare una bambina, Aindreas! Che
razza di comportamento è?” il riferimento ad Alma
era lampante.
“Non
c’entra niente con la vendetta di allora. Non fare
l’errore di vedere Alma come una bambina, Ebenezer. Sono
successe molte cose,
dopo la tua… morte. Xocipilli, legando l’anima di
quella mortale a un nuovo
fiore, senza volerlo, aveva creato la sua nemesi. Non si sarebbe mai
aspettato
che quel fiore avrebbe assorbito l’energia del Mictlan, e
Mictlancihuatl ha
interpretato bene la parte che lui le ha proiettato addosso”.
“Ma la
sta infastidendo ora
che lei è impossibilitata a fare alcunché.
È facile infierire quando le forze
sono così sbilanciate a tuo favore, vero? L’hanno
dovuta isolare in un cimitero, per
tenerla al sicuro da lui!
Per me è un comportamento da vili”.
“Pericoli
non ne corre di sicuro, quella nanerottola. Stai
pur certa che, appena ne avrà l’occasione,
restituirà il piacere ad
Allen con gli interessi!”
“Va
bene, allora cambiamo punto di vista, e non vediamola
come una bimba impotente. È per merito di colei che tu
definisci sua nemesi che sono
tornata a camminare
sulle mie gambe. Morte e Rinascita. Lo stesso vale per Nanahuatzin e
Tecciztecatl. Ma Allen, anziché esserne grato, sembra aver
trascurato questo dettaglio. Per
lui sembra esistere solo
il fastidio che lei ha arrecato alla sua persona in passato”.
Sospirò.
“Ma
questo posso ancora tollerarlo. Nessuno è perfetto,
giusto? Lui mi vuole bene, e io gliene voglio a lui… e i
contrasti tra divinità
non cessano solo perché diventate umane, giusto?”
Aindreas decise
che non era il caso di girarci ancora
intorno. “Ebi… cos’è che ti
turba?”
Ebenezer
tornò a guardare il bicchierino vuoto. “Da quando
Mordecai è arrivato, Allen è tornato ad essere
paranoico. Ha ripreso coi suoi
atti violenti e solo per puro caso non sono diretti a Mordecai. Ci deve
stare
persino fisicamente lontano, per non perdere il controllo. Ho visto
come lo
guarda. Quetzalcoatl non mi ha fatto niente, e Allen lo sa, quindi non
c’è
niente di cui vendicarsi. Ma anche me ne avesse fatto, ora sta covando
rancore
verso una persona del tutto inconsapevole!”.
Per la prima
volta, Ebenezer diede voce alle sue
preoccupazioni.
“Ebbene
io temo che Allen sia una brava persona solo quando
la vita gli sorride. Ma quando iniziano a verificarsi cose che non gli
piacciono? È dunque questa la sua vera natura? Un
passivo-aggressivo, pronto a
dare il peggio di sé non appena l’occasione glielo
consentirà? E il mio ruolo
in tutto questo qual è? Posso fare qualcosa per aiutarlo?
Oppure le mie azioni
non porteranno a nulla, e dovrò restare in attesa che la
bomba ad orologeria dentro
di lui deflagri, distruggendo se stesso, altri e me stessa?
Tornerò a spezzarmi come
prima?”
Scosse la testa,
desolata.
“Io…
Non sono sicura di volerlo, Aindreas”.
“Ebenezer…”
Aindreas non poteva immaginare che il rapporto
tra Ebenezer e Allen fosse così compromesso; che la salute
mentale di Allen
fosse così compromessa.
“Ascolta
un consiglio, per quello che vale ciò che esce dalla
bocca di uno zotico come me. Hai avuto cinquecento anni per
emanciparti. Sei
padrona di te stessa, padrona del tuo destino. Anche
dovesse… cambiare questa
realtà… questo mondo… la
Mayahuel di adesso non sarà la Mayahuel del passato. Se
pensi che la tua storia
con Xocipilli sia giunta al capolinea, non hai che da ignorare il
concetto di finché morte non ci
separi e lasciarlo a
Mictlantechutli” fece una breve pausa. “Se invece
credi che possiate ancora
esistere, come coppia, forse sarebbe meglio parlarne direttamente con
Allen,
non pensi?”.
Ebenezer
sembrava alla ricerca delle parole per rispondere al
rosso. Alla fine, parve rinunciare.
“Ora
devo proprio tornare a casa, Aindreas. Ti ringrazio per
tutto”.
***
“Ebenezer,
dove sei stata?” la domanda di Allen era stata posta
con leggerezza, ma la ragazza, che non aveva fatto nemmeno in tempo ad
attraversare completamente la porta d’ingresso,
notò, non senza una punta di
fastidio, che non vi era stato alcun saluto, nemmeno un “Come
è andata oggi?”,
da parte del fidanzato. Solo un piccolo interrogatorio, come esordio.
“Aindreas
mi ha invitata a bere qualcosa nel suo giardino”
tagliò corto.
“Sempre
a provarci con tutti, quel mascalzone” replicò con
tono canzonatorio.
“Abbiamo
semplicemente parlato” il fastidio per quella accusa
gratuita, aumentò.
“Mi
ero solo stupito di essere tornato a casa prima di te.
Non farmi preoccupare, tesoro mio” la blandì con
un bacio, sottostimando il disagio
di Ebenezer.
Ebenezer avrebbe
potuto chiedere di cosa si sarebbe dovuto
preoccupare, in una cittadina con criminalità inesistente
dove si conoscevano
tutti. Invece, abbozzò un sorriso.
“Va
bene, caro” ricambiò il bacio.
Non si sentiva
pronta per un confronto. Aveva ancora timore
di conoscere le probabili conseguenze.
FINE
PICCOLE
GIUSTIFICAZIONI CHE NON INTERESSANO A NESSUNO
Giuro che Allen
mi piace, davvero! Però, boh… nel fumetto mi
ha dato sensazioni strane. Le sue ferite, lo specchio rotto, i sorrisi
piuttosto inquietanti, la pacca forte che aveva dato a Mordecai, con
tanto di
occhiataccia, la tentazione di abusare della sua posizione di
poliziotto, anche
se detto per scherzo… non mi sono sembrati segnali sereni,
eh. E nelle poche
interazioni che aveva avuto con Ebenezer, quest’ultima
sembrava più preoccupata
che felice (allarmata quando Allen si era ferito con lo specchio,
espressione
triste quando ha detto che Allen voleva stare lontano da Mordecai ma
voleva che
lei si divertisse alla festa del Ringraziamento). Al momento ho come la
sensazione che la coppia si trovi a un bivio, ma sono solo idee mie, e
se il
fumetto le smentirà sarò solo contenta. E tutto
questo l’ho pensato quando
ancora non avevo letto la mitologia su sti due (boh, su Xocipilli
è
inesistente?).
La mia cara,
dolce Mayahuel… quando ho letto il mito che la
riguardava, ho solo esclamato: Perché T__T ?! Non potevo non
citare la sua
storia in una fanfic! Cito Wikipedia:
“Secondo
la mitologia azteca, Mayahuel era la donna della
quale si innamorò Ehecatl, il dio del vento (una
delle sembianze di Quetzalcoatl, N.d.Adri). Lui fece dono
dell'amore al
genere umano, perché lei potesse poi ricambiarlo (fin qui, Mayahuel sembrerebbe essere
umana… N.d.Adri). Mayahuel
andò sposa a Xochipilli (…e
il consenso? N.d.Adri) […] Gli
Déi mandarono Ehēcatl a cercare
Tzitzimitl (che era una divinità,
N.d.Adri).. Al posto di lei, Ehēcatl trovò
Mayahuel, la bellissima nipote
di Tzitzimitl (quindi, anche Mayahuel
è
una divinità. Boh N.d.Adri). Ehēcatl se ne era
innamorato e le chiese se
potevano andare insieme sulla terra, almeno per un po' (nulla
di zozzo, quindi. Semplice gita fuori porta? N.d.Adri). Dopo
un po' di esitazione lei acconsentì e Ehēcatl la
portò sulla terra. Tzitzimitl,
furiosa, chiamò a sé le Tzitzimime, sue compagne
e insieme si misero a cercare
Mayahuel. Ehēcatl e Mayahuel, preoccupati, si trasformarono in una
pianta.
Mayahuel era un ramo e Ehēcatl era l'altro. Ma Tzitzimitl
trovò l'albero. Le
Tzitzimime spaccarono il ramo di Mayahuel e la uccisero, mentre Ehēcatl
rimase
lì (sta povera gioia è
stata uccisa
perché uscita di casa senza permesso. Se ripenso alla mia
adolescenza, mi è
andata di lusso … N.d.Adri). Quando le Tzitzimime
se ne furono andate,
Ehēcatl tornò normale e si mise a cercare i resti del suo
amore. Li trovò e li
seppellì. Per azione degli Dèi i resti della
povera Dèa divennero il primo
Agave. Così Mayahuel divenne la Dèa dell'agave.
Dall'agave si ricavarono fibre
per i tessuti e la pulque”.
Chiaramente, non
è che mi andasse molto a genio che
Quetzalcoatl fosse innamorato di Mayahuel. Lasciamo i triangoli con
corna al
marito alle commedie italiane Anni ’70, va là. Tra
l’altro, ne avevo già
parlato in uno dei primi capitoli, dal punto di vista di Allen
(Capitolo
“Terrorizzato”). Nella pagina Wikipedia di Ehecatl
si dice esplicitamente che
si era innamorato di un’umana, quindi la mia è
fantasia fino a un certo punto,
eh, per il resto c’è documentazione pacchiana.
Quindi, dal riferimento “Lui
fece dono dell'amore al genere umano, perché lei potesse poi
ricambiarlo” è
nata la mia Malintzin.
Come avete
visto, il mio giochino preferito “trova il dio
azteco” prosegue anche in questo capitolo, fedele alla mia
ipotesi che tutti i
personaggi sono, in realtà, divinità. Capelli
rossi, a contatto col fuoco,
gradasso: Aindreas doveva essere un Weasley… aspe’
no, volevo dire Tonatiuh.
Sarà vero? Sarà falso? Agli autori di Calaca
l’ardua sentenza!
Piccola nota
anche su una frase che faccio dire nel capitolo:
Noi flirtiamo con la morte à non vedevo
l’ora di utilizzare
questa frase da quando l’avevo sentita nel film Il libro della vita! J E a proposito
del film, mi sono
servita dell’aspetto della Muerte protagonista del film per
immaginare
l’aspetto di Malintzin: è più umano,
ovviamente, con i capelli molto più corti
(o Mictlancihuatl si sarebbe trovata una ventina di giri per ciascuna
treccia
sulla nuca) e gli occhi, che nel film hanno una luce calda come quella
di una
lanterna, hanno il colore di alcuni tipi di semi di cacao dal colore
particolarmente caldo. Come Alma, ovviamente, va ringiovanita parecchio.
Quando ho visto
che Alma e Malintzin stavano diventando
personaggi fissi, non potevo non creare un background e una
personalità ben
delineati, in modo da non creare eventuali refusi tra un capitolo e
l’altro. Ho
quindi fatto di lei una sensation seeker,
praticamente una che fa cose rischiose, potenzialmente mortali, ma con
il
controllo dei rischi calcolato perché adrenalina
sì, aspirante suicida no! Ogni
sua incarnazione è stata amante di uno sport estremo, ma
Alma è in stand-by in
un cimitero… avrebbe amato molto il parkour, crescendo.
Volevo mettere un po’
in pratica il concetto che l’esistenza della morte rende la
vita più
importante, e una sensation seeker mi sembrava più vicina ad
onorare la morte,
come aspetto imprescindibile della vita, rispetto a un suicida o a un
serial
killer – senza nulla togliere a chi vive in modo meno
spericolato, eh.
Una cosa su cui
ho riflettuto parecchio, però, è stata la
seguente: cosa poteva avere un’umana di abbastanza
interessante da far
innamorare un dio al punto da indurlo a donare la capacità
di amare al genere
umano, pur di averla? E perché la sorte di
un’umana sacrificata è stata così
differente rispetto a quella di migliaia di altre vite sacrificate, al
punto da
diventare la consorte di Mictlantechutli? Avevo letto su un sito
(sfortunatamente ora fuori uso) che la bambina sacrificata aveva
attinto potere
crescendo nel Mictlan, ma perché proprio lei, tra tutte le
anime? Non potevo
lasciar correre come la Mayers in Twilight, con Edward che non sa
perché è
attratto da Bella o, peggio, come in 50 sfumature di grigio, dove
Christian Gray,
bono circondato da bone, è inspiegabilmente attratto dalla
scialbina di turno.
Qui ci stanno di mezzo due divinità e una mortale che sta a
loro come una
formica sta ad un essere umano. Trovatelo un essere umano che si
innamora di
una formica.
Ecco quindi che
Malintzin non è qualcuno
di particolare ma ha
fatto qualcosa che ha attirato l’attenzione (un
omicidio per giusta causa
condito da blasfemia) e la cotta di Quetzalcoatl è stata un incidente conseguente al suo dono (che
poi, alla lontana, ci sia un riferimento ad Amore e Psiche –
chi dà l’amore, ops,
si innamora a sua volta – è puramente
casuale); e nel Mictlan cambia un
po’
troppo rispetto agli altri defunti perché assorbe
l’aria attraverso fiori
che riescono a vivere anche in quell’ambiente,
fiori a cui è legata. Questo le fa cambiare un po’
troppo il punto di vista –
meno umano, più divino – e i gusti…
E
ci tenevo che, a causare tutto questo, fosse la divinità
della fioritura
Xocipilli attraverso i cempasùcil… la controparte
greca di Mictlancihuatl,
Persefone, era la dea della fioritura e della primavera, prima che
regina
nell’Ade, finita là sotto per colpa di un
narciso… J Davvero, gente,
non è un caso che
abbia reso Alma greca.