Il ciclo
dell’essere
Girl, where do you think you're goin'?
Where do you think you're goin'?
Goin', girl?
Honestly, I know where you're goin'
And baby, you're just movin' on
And I still love you even if I can't
See you anymore can't wait to see you soar
Lady Gaga, Joanne
Un racconto sulla morte
benigna
«Josuke, aspetta!» Okuyasu tentò di fermarlo senza
riuscirci.
«Penso che dovremmo lasciarlo in pace» Koichi si voltò a guardare i feretri e
poi si soffermò sull’amico «se dovesse avere bisogno di noi saprebbe dove
trovarci».
Tutto ciò non aveva senso.
«D’accordo, però voglio andare fuori per tenerlo d’occhio, non voglio che
stia da solo».
Koichi annuì e si incamminò con Okuyasu verso il giardino, ma prima di lasciare
in salotto vennero intercettati da una donna.
«Scusate» sussurrò loro torcendosi le mani «voi siete gli amici di Josuke?».
Avrebbe voluto urlare.
Certo che erano loro, avevi persino insistito per conoscere tuo fratello,
dannazione. Perché ti comporti come se non ci avessi mai avuto a che fare?
I due uomini si scambiarono un’occhiata basita. Parlava giapponese come se
fosse la sua lingua natìa.
«Sì, ci dica pure»
«Io… ecco… il mio nome è Holly, sono la mamma di Jotaro e la sorella di Josuke»
la donna abbozzò un sorriso tirato, di circostanza «vorrei scambiare alcune parole
con lui… Mi è sembrato molto scosso».
Era l’estate del 2009 e tu mi parlasti a lungo dell’altro figlio di nonno
Joseph, come fai a non ricordarlo?
«Io non…» Okuyasu sembrava non sapere cosa fare. Eppure non gli era apparso
che la donna avesse intenzioni malevole nei riguardi di Josuke «… non so se
vorrà parlare con qualcuno ma in caso… potrebbe fare un tentativo»
«Grazie molte» la donna si profuse in un breve inchino «vi prometto che se non
vorrà parlare con me non lo disturberò»
«Si figuri signora, anzi, condoglianze per quanto accaduto».
Non dovevano esserci condoglianze.
Non dovevano esserci fiori.
«Non dovresti essere qui».
Girò la testa. Finalmente qualcuno aveva riconosciuto la sua presenza. Era un
ragazzino in giacca e cravatta seduto a vegliare la salma della defunta.
«Emporio! Riesci a vedermi!» gli andò incontro e lo abbracciò forte «Grazie al
cielo sei qui ad aiutarmi, questo deve essere opera di un attacco stand,
dobbiamo cercare il portatore».
Emporio ricambiò l’abbraccio, ma sul suo volto permaneva la tristezza di chi si
preparava a dire addio a una persona cara.
«Jolyne, non è un attacco stand, sei soltanto finita in purgatorio» le disse
lui sciogliendosi dalle sue braccia «devi tornare indietro da tuo padre e dagli
altri in paradiso, tu adesso non appartieni più a questo mondo».
Jolyne lo guardò come se avesse di fronte un pazzo.
«Ma cosa stai dicendo?» si guardò intorno alla ricerca di conferme che
potessero dare torto a Emporio «Io sono viva, sono qui davanti a te, Emporio
ascoltami!» cercò di afferrarlo nuovamente, ma le mani gli trapassarono il
corpo.
«Emporio…?»
«Non preoccuparti per Holly e Josuke, il vostro funerale non è mai avvenuto.
Continuerò a proteggere le vostre reincarnazioni da quaggiù, e quando sarà
giunto il mio momento ci rivedremo sotto il ciliegio. Addio…»
«Emporio!»
«… Jolyne».
Una mano la afferrò per la collottola e la trascinò via con una forza alla
quale non seppe opporre resistenza. Voleva gridare ma i polmoni si riempirono
subito d’acqua e quel che poté fare fu emettere delle bolle d’aria, e più
scalciava per tentare di liberarsi più si sentiva soffocare. Attorno a lei
vedeva creature marine di ogni genere nuotarle accanto come se niente fosse,
ondeggiando placidamente con le pinne o coi tentacoli, di tanto in tanto
rivolgendole uno sguardo incuriosito, e quasi si sentì mancare quando uno
squalo balena si avvicinò a loro e spalancò la sua enorme bocca per filtrare un
cibo inesistente con le sue branchie.
Strano pensare ai pesci durante una situazione di quel tipo, ma non riuscì a
soffermarcisi oltre perché chi la stava trasportando verso la superficie
l’aveva afferrata per le ascelle costringendola a guardare senza troppe
cerimonie il sole torrido di mezzogiorno.
Atmosfere che sembravano pozzanghere e distanze chilometriche che si
accorciavano.
«Ragazzina, questo non è posto per te, fila da papà, vai!».
Il suo salvatore, se tale poteva definirsi, la gettò sulla battigia come se avesse
scaricato un sacco di patate. Troppo intontita per ribattere a tale pochezza di
cortesia, non le mancò tuttavia di notare le sclere tatuate di nero, nero come
i granelli di sabbia vulcanica della spiaggia.
«Dannate ragazzine, me le ritrovo sempre fra i piedi».
A essere venuto in suo soccorso era un uomo ben piazzato e con una di quelle
facce che avrebbe potuto incontrare solo nell’area maschile di Green Dolphin
Street.
Si portò una mano alla testa e cercò di mettersi seduta, col risultato di farsi
venire un dolore sordo all’osso frontale.
«Bah» biascicò Jolyne massaggiandosi una tempia «ma che t’hanno fatto le
ragazzine per avercela con loro?» poi guardò meglio l’energumeno e aggiunse
«Bello il costume a strisce»
«Non farti più vedere da queste parti» sputò quello indicando un cartello
piantato in mezzo al mare, sul quale era scritto, a caratteri rossi su sfondo
bianco, “no swimming for good people”.
Jolyne sollevò un sopracciglio; non lo aveva proprio visto.
«Ok, ok, mi allontano subito, oggi non mi va di litigare» nell’atto di alzarsi
per togliersi i granelli dal bikini constatò che quel tizio fosse persino
più alto di suo padre. Era seria quando affermava di non volere grane: si
sentiva stranamente in pace con sé stessa dopo un tempo immemore e di sicuro
litigare con un presunto spirito del purgatorio era l’ultimo dei suoi desideri.
«Quindi, cioè, io mi allontano e tu fai lo stesso ma dalla direzione opposta,
va bene? Allora vado eh, ciao e grazie per- oh!».
Nell’indietreggiare da quelle iridi rosse immerse nell’inchiostro urtò
inavvertitamente contro una figura di donna che la tenne ferma per una spalla,
salvandola dalla caduta.
«Sempre gentile con le anime che salvi, vero?» domandò la sconosciuta con
disinvoltura, come se lo conoscesse già «Dove si è cacciata la ragazza plancton
che stava per fare la stessa fine?»
«Sarà attaccata al rubinetto del bar o sdraiata da qualche parte in giro» il
tono di voce dell’uomo si fece meno duro alla vista della donna «se sorprendo
un’altra sprovveduta a nuotare nella zona proibita la lascio annegare»
«Certo, certo» la donna distese il telo che teneva sotto il braccio e vi si
sedette sopra, poi trafficò nella borsa ed estrasse un pacchetto di sigarette e
un accendino «a lei ci penso io, d’accordo? Se a te sta bene, più tardi andiamo
a bere qualcosa. E…»
«Cosa?»
«Fai venire anche Straitso».
L’uomo rispose con una scrollata di spalle e un’occhiataccia a Jolyne, alla
quale lei controbatté con altrettanta e muta stizza. Entrambe lo videro poi
infilarsi le mani in tasca e allontanarsi per incamminarsi verso la vegetazione
alle loro spalle, sparendo alla vista.
«Non prendertela» la donna accese la sigaretta e aspirò una boccata, mentre con
l’altra mano si sfilava gli occhiali da sole rivelando due occhi azzurri e penetranti
«ha un caratteraccio, ma non è pericoloso. Normale per chi faceva l’assassino
di professione» incrociò le gambe e invitò Jolyne a sedersi sul telo «guarda
che c’è spazio per due».
La ragazza ubbidì senza smettere di guardarla: il fisico sodo e tornito era
stretto da un costume intero che esaltava il bel decolleté e il collo. I
capelli cadevano sulle spalle come una cascata di seta marrone che terminava
oltre la vita. Non sapeva perché, ma qualcosa, di lei, le richiamava alla mente
suo padre.
Di certo era veramente bellissima.
«A proposito, chiamami Elizabeth» disse come se in realtà la conoscesse da
sempre «quando sarai pronta scoprirai che abbiamo molto in comune… allora,
Jolyne: perché stavi nuotando nelle acque di confine?»
«Sai come mi chiamo?» Jolyne non nascose sorpresa di sentirsi chiamare per nome
da quella creatura che stentava a pensare un tempo appartenente ai mortali «Ma
come…?»
«Come ho detto prima, quando sarai pronta capirai un bel po’ di cose» la
interruppe Elizabeth «dimmi, però: perché stavi rischiando di perderti in
mare?».
Jolyne guardò il mare mosso appena da onde blande, all’apparenza innocue, e
ricordò subito di essere arrivata assieme agli altri su un battello, poi aveva
voluto tuffarsi e si era ritrovata ad assistere alla visita della sua stessa
camera ardente.
«Volevo solo fare una nuotata» Jolyne si strinse nelle spalle al ricordo di
quello che aveva visto «non immaginavo di trovare la nonna e lo zio al mio
funerale, è stato così assurdo che stavo andando fuori dai gangheri, ma a parte
Emporio non mi sentiva nessuno…»
«Ho capito» Elizabeth aspirò altro fumo «al fine di non farti commettere lo
stesso errore, alle anime buone non è permesso nuotare alla destra di quel
cartello perché il mare e la spiaggia corrispondente appartengono a quelle di
mezzo»
«Emporio mi aveva parlato del purgatorio» aggiunse Jolyne «quindi quella che mi
ha trascinata a riva era un’anima del purgatorio?»
«Purgatorio è un termine semplicistico» Elizabeth fece ondeggiare la bella
chioma mentre si scostava un ciuffo ribelle dal viso «come avrai saggiato
empiricamente non esistono confini netti tra quelli che i vivi chiamano
paradiso, purgatorio e inferno: questo perché è molto difficile che esistano
anime esclusivamente buone o esclusivamente empie. Sono rare, ma non sono
solite socializzare col resto di noi anime grigie, quindi non aspettarti di
intavolare una discussione con loro… Ma per rispondere alla tua domanda nel
dettaglio» e così dicendo accennò col mento alla foresta di palme dietro di
loro «quello è un esempio di anima che da viva ha soltanto avuto una brutta
giornata: un attimo prima stai giocando con tuo cugino per strada e quello dopo
assisti al suo investimento, e da qui un omicidio tira l’altro fino a quando
arrivi a considerare un gruppo di lestofanti la tua nuova famiglia… E che
famiglia, azzarderei ad affermare quasi simpatica. L’odio per gli adolescenti
in generale, invece, è dovuto al fatto che sia stato mitragliato proprio da un
ragazzino. Ma a ogni modo, penso tu sappia quanto danno possa recare il rancore
unito a un trauma non superato»
«Ne so qualcosa» Jolyne piegò le labbra in un sorriso amaro e cinse le proprie
ginocchia con le braccia «da quello che mi hai detto devo dedurre che chi
uccide può comunque aspirare a un oltretomba felice?»
«Se tutti gli assassini finissero all’inferno non esisterebbe nessun paradiso e
le anime rimaste lo renderebbero oltremodo noioso… C’è chi ha ucciso per onore,
chi per proteggere una persona amata, chi per sana e umana vendetta, chi per
salvaguardare il benessere dei propri compagni… La lista è infinita. Solo chi toglie
la vita per il puro gusto di farlo o per malvagità intrinseca finisce
inghiottito dalle tenebre. I nostri piedi calpestano un ecosistema che non si
fonda sui dogmi dei religiosi, ma risponde a regole precise stabilite
dall’essere in sé: così come gli agenti patogeni vengono eliminati
dall’organismo, l’aldilà confina i malvagi per natura laddove non possono
recare più danno fino a quando non saranno pronti per ricominciare a vivere
nella carne»
«Mi stai dicendo che non resteremo qui per sempre?» domandò Jolyne perplessa «Che
siamo destinati a rinascere all’infinito?»
«In un certo senso è così» Elizabeth spense il mozzicone nella sabbia ed espirò
l’ultima boccata «arrivi, trascorri un tempo indefinito, se tempo si può
chiamare, e quando ritieni che le pene della tua ultima vita mortale siano
state liberate il tuo spirito getta via l’immagine spettrale del tuo corpo e ti
rinchiudi tra i petali di un elleboro¹. Quando il fiore sboccerà la tua
anima sarà di nuovo laggiù, pronta a ricominciare il ciclo e a intrecciarsi con
gli stessi spiriti che hai incontrato nelle tue vite precedenti, anche loro in
corpi e coscienze diverse. A conti fatti nessuno muore veramente… ci si rigenera
e basta»
«Mi spieghi allora perché accade? Qual è il senso di purificarsi e tornare a
soffrire all’infinito?» Jolyne guardò un po’ la donna e un po’ la risacca che
risaltava sulla distesa nera «e perché ho visto quelle cose in acqua… quei
ricordi falsati?»
«Per i secondi non esiste alcun mistero» spiegò Elizabeth «il lido di Loki è
fatto per intrappolare nell’inganno le anime sprovvedute che nuotano nelle sue
acque; di per sé non è pericoloso, però è meglio evitare di farci il bagno… non
tutti sono stati fortunati come te e la tua amica. Per quanto riguarda la prima
questione, che dire… dopo un po’ che sei qui ti senti talmente in pace che smetti
di domandartelo e accetti la tua condizione per quella che è. Eviti anche di
chiederti se effettivamente esista o meno una divinità dietro a tutto questo».
Jolyne si dedicò alcuni momenti per pensare a quanto aveva ascoltato,
coadiuvando il processo disegnando spirali sulla sabbia con l’indice.
«Senti» buttò lì, guardando la sconosciuta che rinforcava gli occhiali «dopo
quello che mi hai detto, tu ci credi nel destino? Perché so che ti sembrerà
strano, ma per me è come se fossimo legate da sempre… anche il tipo scorbutico di prima,
mi è parso di condividerci qualcosa che non saprei come esprimere a parole»
«Mh» Elizabeth tese i palmi dietro il busto per godersi meglio quel sole
accecante ma per nulla dannoso «non è un fenomeno raro, di sicuro altre anime
più esperte di me sapranno spiegartelo meglio. Non è qualcosa che accade solo a
chi possedeva poteri spirituali, ma si estende a tutti… lo scoprirai solo
incontrando le altre anime a te affini, e ti assicuro che sono tante, più di
quante immagini. E se non vado errata…» si voltò a sinistra e aguzzò la vista
da dietro le lenti «non accadrà tardi. Alcune ti stanno già aspettando» tornò a
guardare Jolyne e le rivolse un sorriso garbato «credo sia arrivato il momento
di incontrarle. Se ti va, possiamo rivederci al ristorante quando avrò finito
di prendere il sole e di fare della sana bisboccia con gli aspiranti purgati.
Anzi, sai che c’è? Ti chiedo, se non ti è di disturbo, di riservarmi un coperto
accanto a tuo padre, vorrei fare una bella chiacchierata con lui… Mentre mangio
un pasticcio di carne, non ne ho mai assaggiato uno così buono da quando Gloria
lavora come capocuoco…».
Le orecchie di Jolyne si drizzarono.
«Gloria?».
Elizabeth aggrottò la fronte in segno di perplessità.
«Oh, sì, è una ragazza tanto cara che finalmente ha potuto aprire un ristorante
tutto suo da spirito, solo lei riesce a sedare gli animi più ribelli con la
gola»
«Ok…» Jolyne non aveva idea dello stato d’animo che avrebbe dovuto assumere
dopo quell’informazione, ma decise comunque di andare a verificare di persona
«se intendi incontrare mio padre al ristorante farò come chiedi… solo che…»
tese le braccia come per indicare l’infinità del luogo in cui si trovavano «mi
daresti delle indicazioni su come arrivarci?»
«È semplice» Elizabeth indicò a sua volta la sabbia allungando il braccio a
sinistra «percorri la battigia o nuota sempre verso quella direzione senza
tornare indietro. Quando incontrerai la statua di Tueret sarai giunta a
destinazione»
«Va bene, mi fido anche se mi sembra strano» disse Jolyne alzandosi, scoprendo
che il telo era rimasto asciutto.
«Lo è, ma quando la fisica non detta più legge è normale sentirsi spaesati all’inizio.
Non avere paura e segui la tua voglia di ricongiungerti agli altri, il resto
verrà da sé»
«D’accordo… allora io vado. Ci vediamo al… ristorante? Sì, al ristorante».
Jolyne si sentì una stupida mentre pronunciava quelle parole. Davvero gli
spiriti avevano bisogno di mangiare?
«I’ll catch you later» disse Elizabeth sdraiandosi sul telo per prendere
il sole, facendo venire in mente a Jolyne un altro quesito: davvero gli spiriti
potevano abbronzarsi?
Comprendendo però che la conversazione era giunta al termine, decise di tenere
per sé quei dubbi. Dando definitivamente le spalle alla donna, gettò un ultimo
sguardo al cartello che separava i due mari e lasciò che la spuma della risacca
le lambisse i piedi. L’acqua era così limpida che riusciva a scorgere granchi e
piccoli pesci guizzanti.
Quando, avanzando lentamente, la marea raggiunse il torace, trattenne il
respiro e immerse anche la testa.
Sebbene l’acqua fosse salata il contatto della salsedine con gli occhi non le
procurava fastidio alcuno, era come se una mente superiore avesse creato quella
parte di luogo-non luogo privandola di ogni possibile pena fisica. A vorticarle
intorno c’era un piccolo festival di crostacei e altre creaturine marine che si
nascondevano sotto la sabbia, inconsapevoli del loro stato di essenze prive di
materia.
Nuotò ancora per un tempo infinitamente breve e brevemente infinito, tra altri
pesci e altrettanti crostacei per nulla infastiditi della sua presenza, fino a
che un vociare a lei conosciuto interruppe la sua ricerca.
La prima cosa che vide una volta emersa dall’acqua fu una palla da beach volley
volteggiarle sopra.
«Eccoti!».
Uno sciabordio preannunciò l’arrivo e il successivo abbraccio di Foo Fighters,
che dalla foga impiegata per tenerla stretta a sé sembrava che non la vedesse da
tanto tempo.
«Mentre ti aspettavamo abbiamo iniziato a giocare a palla! Non te la prendi,
vero?»
Guardando quegli occhi grandi così puri e infantili, Jolyne non poté trattenere
un sorriso.
«Ma no, tranquilla, continuate pure senza di me!» le disse passando in rassegna
la spiaggia deserta ad eccezione dell’uomo sdraiato all’ombra della statua in
pietra lavica della dea ippopotamo incinta «io devo scambiare due parole con
papà»
«Finalmente sei qua» Ermes prese la palla e si avvicinò a lei «si può sapere
cos’eri andata a fare dall’altra parte?»
«Mi era sembrato di vedere qualcuno che conosco, ma mi ero sbagliata» minimizzò
Jolyne facendo spallucce «se vi siete preoccupati per me non avreste dovuto
farlo».
Ermes aggrottò la fronte e fece una smorfia. Era il suo modo di farle intendere
che non se l’era bevuta.
«Ok, come vuoi» mentì senza dire altro, eccezion fatta per il labiale privo di
suono sopraggiunto subito dopo, con tanto di indice teso fatto ruotare
all’italiana a mo’ di mulinello: they would have talked later.
«Mentre ti aspettavamo siamo stati affiancati da un’altra barca e
chiacchierando con il capitano è saltato fuori che c’è un labirinto dal quale
puoi uscire solo se ti dichiari alla persona che ti piace» mentre diceva quelle
cose, Weather Report si allontanava sempre di più da Anasui «se magari avessimo
la possibilità di ficcarci dentro qualcuno, questo qualcuno smetterebbe di
romperci le palle… Oh, ciao Narciso!» aggiunse rivolto a quest’ultimo prima di
tuffarsi per sfuggire alla sua rabbia.
«Se ti prendo ti ammazzo!» gridò quello paonazzo in volto, evitando
accuratamente di guardare Jolyne.
«Ma tanto siamo tutti morti!» lo canzonò Foo Fighters spruzzandogli l’acqua in
faccia.
«Non importa, lo ammazzo lo stesso, ma prima inizierò con te!» e così dicendo
si avventò su di lei suscitando le risate di Ermes.
Approfittando dello schiamazzo, Jolyne si allontanò dal gruppetto per
raggiungere Jotaro: dentro di sé avrebbe voluto unirsi a loro, ma non aveva
avuto il coraggio di esternare a voce la strana sensazione che provava nel
vederli liberi dalle catene dell’angoscia, e se doveva essere onesta anche lei
sentiva una tale sensazione di leggerezza da riconoscersi a stento. Era inusuale,
seppur bellissimo.
Anche suo padre era in costume, ma a differenza di Elizabeth era disteso
direttamente sulla sabbia e guardava il cielo terso attraverso un oggetto
luccicante simile a un grosso diamante. L’ombra innaturale dell’ippopotamo oscurava
l’intera base della statua, che era stata momentaneamente addobbata coi loro
vestiti messi ad asciugare.
Vedendola giungere sulla spiaggia, Jotaro terminò la sua ispezione della volta
celeste e prese a giocherellare con il diamante:
«Ho visto fin dove sei arrivata. Stavi nuotando in acque internazionali»
«La signora che ho incontrato lì le aveva chiamate in un altro modo» disse lei
prendendo posto all’ombra: in quella zona di spiaggia la sabbia era così
carezzevole da non attaccarsi alla pelle bagnata «comunque pare che siamo
finiti nella prima classe dell’aldilà o qualcosa del genere»
«Una specie» Jotaro riprese a osservare l’infinito col diamante «vuoi sapere
come ho fatto a capire dove ti eri cacciata?»
«C’entra quello?» Jolyne indicò in diamante che il padre teneva in mano.
«Sì» Jotaro ruotava lentamente la base della pietra sull’occhio, un movimento
che le rimembrò le poche volte in cui lo aveva visto muovere il revolver del microscopio
ottico che teneva a casa «se infili un braccio nella bocca di Tueret ricevi in
dono un diamante col quale puoi esaminare tutte le realtà alternative del mondo
di laggiù².
A ogni faccia corrisponde una realtà… la cosa che mi ha lasciato basito è che
in quasi tutte conduciamo una vita normale… persino quella in cui siamo
vampiri»
«Vampiri?» sbruffò Jolyne «non è che questa dea ti ha fregato?»
«Non lo so, però è divertente» Jotaro abbozzò un sorriso, emanava un’aria così
tranquilla da sembrare un’altra persona «in questa realtà noi due siamo vampiri
capaci di trasformarsi in predatori marini, io in orca e tu in una bellissima chrysaora
achlyos… la medusa più grande del mondo»
«E la mamma in cosa si trasforma?»
«La mamma non si trasforma, però riesce a decifrare le aure degli esseri
viventi e degli altri vampiri e possiede una velocità soprannaturale… il fatto
sorprendente è che» Jotaro tornò a guardare la figlia «in nessuna di queste
realtà ho incontrato Pucci».
Jolyne si fece improvvisamente seria sentendolo nominare.
«Cosa vuol dire questo?»
«Vuol dire che la sua anima è destinata a non ripetersi in nessun universo e a
non reincarnarsi in nessun altro essere vivente, condannata per l’eternità a
patire il buio degli inferi. Suppongo sia la punizione ultima per chi si arroga
il diritto di giocare a fare Dio con gli spiriti della gente… Credevo fosse
andata male a un tizio di Morio che ha perso la memoria ma a quanto ho visto
c’è chi sta peggio…»³
«Aspetta» lo interruppe Jolyne «parli proprio di quel tizio? Quello che ha
quasi ucciso te e Josuke?»
«Sì, lui, non ho idea del perché sia finito a fare il sicario per una religiosa
ma sembra che non lo vogliano nemmeno all’inferno… Sii sincera, hai visto anche
questo nel mio disco?»
Jolyne si perse un attimo a guardare Anasui che afferrava Weather Report per la
vita e lo rigettava in acqua tra gli schiamazzi di Ermes e Foo Fighters.
«Sì… è stato strano… Soprattutto vedere te e Josuke così giovani… Josuke con
quei capelli ridicoli, mio Dio... non so come abbia fatto a trovare
moglie conciato così»
«E guai se provavi a prenderlo in giro» rincarò Jotaro «ha mandato in ospedale
più di una persona che si è cimentata nell’impresa».
Risero entrambi al pensiero di un Josuke adolescente che andava in
escandescenza per i suoi preziosissimi capelli.
«Senti» riprese Jolyne dopo un po’ «sei sicuro che stiamo bene in questi
universi alternativi che hai visto? Non è che in qualcuno magari la nonna o la
mamma piangono per noi?»
«Sicurissimo, in un paio sono persino diventato nonno prima dei sessant’anni»
Jotaro interruppe il discorso per godersi la faccia stupita di Jolyne
nell’apprendere la notizia «ma non ti dirò con chi ti sei sposata, questa è una
sorpresa che devi scoprire da sola»
«Ma uffa!» protestò lei pungolandogli il braccio «Non mi dai nemmeno un
indizio?»
«Te ne do uno solo!»
«Ok, spara!»
«Lo conosciamo entrambi»
«Tutto qui?» Jolyne gonfiò le guance per la delusione «Non mi dici altro?»
«È che non voglio farvi discutere, non qui almeno!» si giustificò Jotaro «Non
adesso che, sai… siamo solo essenze».
Jolyne mollò la presa dal braccio del padre. Solo in quel momento si era
accorta di non provare più un briciolo di rancore nei suoi confronti.
«Vorrei poter dire che mi dispiace non vederti invecchiare» proseguì Jotaro «ma
racconterei una bugia. Se non fossimo morti la nostra avrebbe continuato a
essere la famiglia disfunzionale che siamo sempre stata… con l’aggiunta del
sacrificio di chissà quante altre persone con la colpa di voler essere nostre
amiche»
«Un win-win per tutti quindi» Jolyne sollevò un sopracciglio e ripensò
al dialogo che aveva avuto con chi le aveva indicato la via per tornare in
paradiso. Se si concentrava abbastanza riusciva a rievocare il brivido che le
aveva provocato la sua vicinanza.
«Come ho detto prima, ho incontrato una donna al confine col purgatorio»
riprese, volendo condividere in parte l’esperienza della sua breve avventura «e
mi ha fatto un discorso strano sulle anime che rinascono dopo un po’ da dei
fiori… Chissà se questi “noi” alternativi avranno un’anima tutta loro o se ci
incontreremo da qualche parte… una specie di raduno dei sosia… wow, centinaia
di Jotaro con tanti cappellini diversi, te li immagini?»
«Come no!» il Jotaro spirituale trattenne a stento una risata dal naso «Con tuo
sommo dispiacere condividiamo un’anima sola, sicché quando un nostro sosia
morirà i suoi ricordi si ricongiungeranno ai nostri… O almeno questa era la
teoria di un amico che faceva l’indovino. Mi domando dove sia finito adesso»
«Se era una brava persona penso ti stia aspettando» ipotizzò Jolyne.
«Sicuramente» il volto di Jotaro si addolcì «era un tipo che aveva capito come
raggiungere il paradiso pur senza averne contezza»
«Allora perché non ci rivestiamo e andiamo a incontrarlo?» domandò Jolyne «Dai,
non dirmi che non sei curioso di parlarci!»
«Non è questo!» Jotaro gonfiò le guance come aveva fatto prima la figlia e si
parò il viso con il palmo della mano tesa «Siamo appena arrivati, ok? Non
affrettiamo le cose»
«Ah, ho capito» cantilenò Jolyne gongolante «sei troppo emozionato per
rivederlo».
A giudicare dal silenzio ostinato di suo padre, la ragazza comprese di averci
preso.
«Ho indovinato?» incalzò lei inginocchiandosi accanto a lui per scrutargli
l’espressione «Non essere così rigido!»
«No, hai torto» rimbeccò Jotaro.
«Non ti credo!»
«Ti dico che hai torto!»
«E io ti dico che non ti credo!»
«Va bene, sono molto emozionato» Jotaro scoprì il volto e scattò a sedere
digrignando i denti «sei contenta adesso o vuoi ancora inferire?»
«No, la tua faccia da peperone basta e avanza» stavolta toccò a Jolyne coprirsi
il volto con le mani per soffocare l’ennesima risata «non ti avevo mai visto
così, giuro che sei troppo buffo!»
«Ma pensa!» Jotaro la colpì su un fianco con il pugno chiuso per farle perdere
l’equilibrio «Tu e la tua linguaccia!».
Jolyne incassò il colpo senza smettere di ridere. Era incredibilmente tenero.
«Oddio, se ti vedesse la mamma in questo momento…» Jolyne si rialzò non senza
aver asciugato una lacrima «Non sembri nemmeno mio padre».
Jotaro non fece commenti sull’ultima affermazione della figlia; la sola azione
che compì fu sollevare il busto per sistemarsi meglio sulla sabbia. Gli altri
quattro pazzoidi che erano venuti con loro stavano lasciando il mare per
raggiungerli sulla spiaggia.
«Spero che almeno in uno degli universi alternativi che hai visitato tu appaia
esattamente come sei adesso» disse Jolyne mutando tono di voce «è bello vederti
così».
Lo vide guardarla come se in realtà stesse osservando qualcosa di intelligibile
solo a lui, qualcosa che probabilmente non le avrebbe mai rivelato, che fosse
in quella o un’altra vita.
«Mi sono visto» fu la sua risposta «e ci siamo visti, tutti assieme, inclusi
chi non hai conosciuto. E… sì, sono così… E anche il maestro che ti insegna a
usare Stone Free come se tuo padre fosse lui… credo sia la mia scena preferita tra
quelle che ho visto»
«Amico dell’indovino?» chiese Jolyne immaginandosi al fianco di questo
ipotetico mentore.
«Esatto».
Jolyne serrò le labbra.
«Papà»
«Sì?»
«Questa storia degli universi alternativi felici è vera o falsa?»
La domanda ebbe destino di non ricevere risposta perché Ermes e gli altri si
erano avvicinati a loro.
«So cosa state pensando» Jolyne, cambiando subito discorso per non incupirsi,
precedette quello che stava per profferire l’amica «la prossima volta faccio il
bagno con voi, promesso!»
«Tanto anche se non vorrai ti costringeremo» Ermes era più decisa che mai su
quel punto «quindi guai a te se ti perderai»
«Garantito, non preoccuparti» Jolyne allungò una mano alla ricerca dei
pantaloni, ma quando si girò per recuperare gli indumenti vide suo padre
bloccato nell’atto di infilarsi la maglietta, evidentemente distratto da un
movimento di foglie e sabbia al limitare della vegetazione.
«Ma che diamine…».
Dalla penombra della foresta era sbucato un cagnetto bianco e nero dall’aria
pestifera.
Foo Fighters si avvicinò all’oggetto di quella distrazione e gli si inginocchiò
davanti.
«Guardate! È un cagnolino! Che carino, è più piccolo di quelli che vedevamo in
carcere! Vieni qui piccoletto!»
A differenza di Foo Fighters, Jotaro non si era inginocchiato, ma aveva
soltanto sbarrato gli occhi. In effetti quel boston terrier spuntato
all’improvviso dalla macchia costiera non poteva trattarsi che proprio di quel
boston terrier del disco.
«E tu da dove salti fuori?» mormorò Jotaro con stupore avanzando di qualche
passo per accertarsi che fosse veramente lui.
Dal canto suo, il cane trapassò con sguardo indagatore i volti dei bagnanti che
si stavano rivestendo e iniziò ad annusare la mano tesa di Foo Fighters prima
di sollevare il muso per scrutare il profilo panciuto di Tueret.
«Non sapevo che anche i botoli potessero finire qua» Anasui allontanò con
sdegno gli stivali dal naso del cane «signor Jotaro, lei lo conosce?» domandò
poi senza togliere gli occhi di dosso dall’animale che sembrava essere alla
ricerca di qualcosa tra i loro indumenti.
«Sì, ed è un adorabile pezzo di merda, non è vero Iggy?» fece Jotaro rivolto
alla bestia che per tutta risposta disvelò i denti in un ghigno malizioso «Sei
da solo? Non c’è nessuno con te?».
Il cane di nome Iggy continuò a perlustrare i dintorni con l’olfatto mentre il
gruppo terminava di vestirsi; quando Jotaro infilò la giacca allungò le zampe
anteriori sui suoi pantaloni affinché venisse preso in braccio, richiesta che
l’uomo esaudì non senza qualche remora.
«Strano, non dovrebbe, chessò, scorreggiarti in faccia?» chiese Jolyne
perplessa, provocando l’ilarità generale per quella domanda, fatta eccezione
per Anasui che con la coda dell’occhio aveva percepito che quelle di Iggy non
erano buone intenzioni.
«Non mi fido» disse fissando negli occhi quel botolo malefico.
«In effetti potresti avere…» Jotaro si voltò per guardare chi aveva posto
l’obiezione, ma non fece in tempo a terminare la frase che Iggy afferrò coi
denti la visiera del cappellino e gli balzò via dalle braccia, pronto per
fuggire lontano col bottino.
«… ragione».
Il cane ghignò ancora e gli diede le spalle, dopo di che si rituffò nella
vegetazione sparendo alla vista come una scheggia.
«Iggy, il mio cappello!» Jotaro gli lanciò contro il diamante nella vana
speranza di beccarlo, ma quello che ottenne fu solo il tonfo della pietra che
cadeva in mezzo all’erba alta.
«Inseguiamolo!» Jolyne tirò Jotaro per le maniche affinché ascoltasse la sua
esortazione «Forse vuole condurci da qualche parte!»
«Ma pensa! E va bene, maledetto cane!».
Pur senza averne certezza Jolyne sentiva di essere nel giusto. Tra non molto avrebbero
attraversato la vegetazione costeggiante la spiaggia trovandola disordinatamente
infinita – ma anche finita – si sarebbero imbattuti in paesaggi stranianti abitati
da spiriti meditabondi e silenziosi, ne avrebbero quasi urtato uno vestito di
bianco che passeggiava nei pressi del labirinto menzionato da Weather Report,
fino a quando, dopo aver attraversato una sequela di abitazioni di samurai
immerse in una distesa di adonidi, si sarebbero ritrovati a correre per quello
che sembrava il giardino più disordinato e mal assortito su cui avessero mai
posato gli occhi.
Fino a quando avrebbero scorto le fronde di un ciliegio in fiore.
«Papà» Jolyne, che avrebbe superato tutti con un certo stacco, avrebbe
rallentato un attimo per voltarsi a guardare Jotaro «quello somiglia al
ciliegio di casa! Ma che ci fa qua?».
Anche se non avrebbe ricevuto subito risposta sarebbe andata bene così, perché
tanto lo avrebbero scoperto da chi sotto quell’albero ci trascorreva l’eternità
e che attendeva pazientemente il loro arrivo.
Quel mentore che non aveva potuto proteggerla per colpa del destino sarebbe
stato con lei per sempre, e anche se non aveva ancora idea di che tipo fosse
sperava con tutto il cuore che sarebbero andati d’accordo. Le sarebbe parso di
identificarlo nello studente in camicia e mocassini che, con l’espressione incontenibile
di chi si preparava a riabbracciare un amico dopo tanto tempo, avrebbe
indossato il cappello di suo padre e gli si sarebbe gettato addosso, libero dal
giogo della solitudine.
Anche se non avrebbe mai saputo della veridicità degli universi alternativi,
avrebbe scoperto che Jotaro aveva ragione almeno su una cosa: quel presunto
mentore l’avrebbe amata come una figlia.
***
¹Nel linguaggio dei fiori, l'elleboro è il fiore sacro a Dio e simboleggia la liberazione dalle pene. Qui per saperne di più.
²Riferimento agli universi alternativi menzionati in JORGE JOESTAR quali conseguenza degli effetti di Made in Heaven.
³Riferimento a Dead Man's Questions.
Musica in Jojo: Joanne è l'ultimo singolo, uscito solamente per il mercato italiano, estratto dall'album omonimo pubblicato il 21 ottobre 2016. Il brano è una dedica di Lady Gaga alla zia morta di lupus all'età di diciannove anni. Altri dettagli sulla canzone sono apparsi nel documentario Gaga: Five Foot Two disponibile su Netflix.
Retroscena: Mi ero incaponita sulla comparsa di alcuni personaggi di questo racconto. Se negli incontri inaspettati dei capitoli precedenti era presente un minimo di senso logico, questa volta ho deciso di fare interagire personaggi che nulla, o quasi, avevano da spartire l'uno con l'altro. Non so esattamente cosa mi abbia spinta a scrivere proprio di loro, volevo solo che fosse così e basta, il resto è venuto da sé.
Giunti/e quasi alla fine, non c'è molto altro da dire a riguardo. Posso affermare che si tratta della fine effettiva della raccolta, in quanto tutto quello che avevo da esprimere è già stato scritto e metabolizzato e che l'ultimo capitolo farà semplicemente da "quarta di copertina" virtuale all'intera pubblicazione. Per questo motivo ho dedicato a Jolyne la shot più lunga, perché volevo che con lei si chiudesse un cerchio iniziato tre mesi fa.
Come sempre, non mi stancherò mai di ringraziare chi legge, recensisce e segue la storia. Alla prossima settimana con la conslusione!
xoxo