Anime & Manga > Le bizzarre avventure di Jojo
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Autore: Green Star 90    22/08/2021    2 recensioni
[...] «quando uno dei capitoli più belli ma anche dolorosi della mia esistenza si è concluso, per almeno un anno non mi sono permesso di andare a trovare mia sorella al cimitero. C’era una sorta di rifiuto che non avevo ancora metabolizzato, era come se assieme a lei andassi a trovare anche le persone care che avevo perduto in Nordafrica e non mi sentivo pronto a farlo, non volevo dirgli veramente addio. Un bel giorno ho riaperto il mio zaino e ci ho trovato dentro la sciarpa dell’amico che mi aveva aiutato a vendicarla e… ho pianto come un deficiente!».
Fugo aveva sbruffato nell’immaginare un tipo flemmatico come lui lasciarsi andare a tal guisa.
«Scusami, è che non riesco a farmi un’idea mentale della scena»
«Non è un problema, rimarresti sconcertato se ti venissero a raccontare di com’ero a vent’anni».
***
Dodici racconti sulla vita, la morte e l'oltre vita.
Buona lettura.
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Sorpresa
Note: Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Jojo in Heaven'
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11- Il ciclo dell'essere

Il ciclo dell’essere

 

Girl, where do you think you're goin'?
Where do you think you're goin'?
Goin', girl?

Honestly, I know where you're goin'
And baby, you're just movin' on
And I still love you even if I can't
See you anymore can't wait to see you soar

Lady Gaga, Joanne

Un racconto sulla morte benigna

 

«Josuke, aspetta!» Okuyasu tentò di fermarlo senza riuscirci.
«Penso che dovremmo lasciarlo in pace» Koichi si voltò a guardare i feretri e poi si soffermò sull’amico «se dovesse avere bisogno di noi saprebbe dove trovarci».
Tutto ciò non aveva senso.
«D’accordo, però voglio andare fuori per tenerlo d’occhio, non voglio che stia da solo».
Koichi annuì e si incamminò con Okuyasu verso il giardino, ma prima di lasciare in salotto vennero intercettati da una donna.
«Scusate» sussurrò loro torcendosi le mani «voi siete gli amici di Josuke?».
Avrebbe voluto urlare.
Certo che erano loro, avevi persino insistito per conoscere tuo fratello, dannazione. Perché ti comporti come se non ci avessi mai avuto a che fare?
I due uomini si scambiarono un’occhiata basita. Parlava giapponese come se fosse la sua lingua natìa.
«Sì, ci dica pure»
«Io… ecco… il mio nome è Holly, sono la mamma di Jotaro e la sorella di Josuke» la donna abbozzò un sorriso tirato, di circostanza «vorrei scambiare alcune parole con lui… Mi è sembrato molto scosso».
Era l’estate del 2009 e tu mi parlasti a lungo dell’altro figlio di nonno Joseph, come fai a non ricordarlo?
«Io non…» Okuyasu sembrava non sapere cosa fare. Eppure non gli era apparso che la donna avesse intenzioni malevole nei riguardi di Josuke «… non so se vorrà parlare con qualcuno ma in caso… potrebbe fare un tentativo»
«Grazie molte» la donna si profuse in un breve inchino «vi prometto che se non vorrà parlare con me non lo disturberò»
«Si figuri signora, anzi, condoglianze per quanto accaduto».
Non dovevano esserci condoglianze.
Non dovevano esserci fiori.
«Non dovresti essere qui».
Girò la testa. Finalmente qualcuno aveva riconosciuto la sua presenza. Era un ragazzino in giacca e cravatta seduto a vegliare la salma della defunta.
«Emporio! Riesci a vedermi!» gli andò incontro e lo abbracciò forte «Grazie al cielo sei qui ad aiutarmi, questo deve essere opera di un attacco stand, dobbiamo cercare il portatore».
Emporio ricambiò l’abbraccio, ma sul suo volto permaneva la tristezza di chi si preparava a dire addio a una persona cara.
«Jolyne, non è un attacco stand, sei soltanto finita in purgatorio» le disse lui sciogliendosi dalle sue braccia «devi tornare indietro da tuo padre e dagli altri in paradiso, tu adesso non appartieni più a questo mondo».
Jolyne lo guardò come se avesse di fronte un pazzo.
«Ma cosa stai dicendo?» si guardò intorno alla ricerca di conferme che potessero dare torto a Emporio «Io sono viva, sono qui davanti a te, Emporio ascoltami!» cercò di afferrarlo nuovamente, ma le mani gli trapassarono il corpo.
«Emporio…?»
«Non preoccuparti per Holly e Josuke, il vostro funerale non è mai avvenuto. Continuerò a proteggere le vostre reincarnazioni da quaggiù, e quando sarà giunto il mio momento ci rivedremo sotto il ciliegio. Addio…»
«Emporio!»
«… Jolyne».
Una mano la afferrò per la collottola e la trascinò via con una forza alla quale non seppe opporre resistenza. Voleva gridare ma i polmoni si riempirono subito d’acqua e quel che poté fare fu emettere delle bolle d’aria, e più scalciava per tentare di liberarsi più si sentiva soffocare. Attorno a lei vedeva creature marine di ogni genere nuotarle accanto come se niente fosse, ondeggiando placidamente con le pinne o coi tentacoli, di tanto in tanto rivolgendole uno sguardo incuriosito, e quasi si sentì mancare quando uno squalo balena si avvicinò a loro e spalancò la sua enorme bocca per filtrare un cibo inesistente con le sue branchie.
Strano pensare ai pesci durante una situazione di quel tipo, ma non riuscì a soffermarcisi oltre perché chi la stava trasportando verso la superficie l’aveva afferrata per le ascelle costringendola a guardare senza troppe cerimonie il sole torrido di mezzogiorno.
Atmosfere che sembravano pozzanghere e distanze chilometriche che si accorciavano.
«Ragazzina, questo non è posto per te, fila da papà, vai!».
Il suo salvatore, se tale poteva definirsi, la gettò sulla battigia come se avesse scaricato un sacco di patate. Troppo intontita per ribattere a tale pochezza di cortesia, non le mancò tuttavia di notare le sclere tatuate di nero, nero come i granelli di sabbia vulcanica della spiaggia.
«Dannate ragazzine, me le ritrovo sempre fra i piedi».
A essere venuto in suo soccorso era un uomo ben piazzato e con una di quelle facce che avrebbe potuto incontrare solo nell’area maschile di Green Dolphin Street.
Si portò una mano alla testa e cercò di mettersi seduta, col risultato di farsi venire un dolore sordo all’osso frontale.
«Bah» biascicò Jolyne massaggiandosi una tempia «ma che t’hanno fatto le ragazzine per avercela con loro?» poi guardò meglio l’energumeno e aggiunse «Bello il costume a strisce»
«Non farti più vedere da queste parti» sputò quello indicando un cartello piantato in mezzo al mare, sul quale era scritto, a caratteri rossi su sfondo bianco, “no swimming for good people”.
Jolyne sollevò un sopracciglio; non lo aveva proprio visto.
«Ok, ok, mi allontano subito, oggi non mi va di litigare» nell’atto di alzarsi per togliersi i granelli dal bikini constatò che quel tizio fosse persino più alto di suo padre. Era seria quando affermava di non volere grane: si sentiva stranamente in pace con sé stessa dopo un tempo immemore e di sicuro litigare con un presunto spirito del purgatorio era l’ultimo dei suoi desideri.
«Quindi, cioè, io mi allontano e tu fai lo stesso ma dalla direzione opposta, va bene? Allora vado eh, ciao e grazie per- oh!».
Nell’indietreggiare da quelle iridi rosse immerse nell’inchiostro urtò inavvertitamente contro una figura di donna che la tenne ferma per una spalla, salvandola dalla caduta.
«Sempre gentile con le anime che salvi, vero?» domandò la sconosciuta con disinvoltura, come se lo conoscesse già «Dove si è cacciata la ragazza plancton che stava per fare la stessa fine?»
«Sarà attaccata al rubinetto del bar o sdraiata da qualche parte in giro» il tono di voce dell’uomo si fece meno duro alla vista della donna «se sorprendo un’altra sprovveduta a nuotare nella zona proibita la lascio annegare»
«Certo, certo» la donna distese il telo che teneva sotto il braccio e vi si sedette sopra, poi trafficò nella borsa ed estrasse un pacchetto di sigarette e un accendino «a lei ci penso io, d’accordo? Se a te sta bene, più tardi andiamo a bere qualcosa. E…»
«Cosa?»
«Fai venire anche Straitso».
L’uomo rispose con una scrollata di spalle e un’occhiataccia a Jolyne, alla quale lei controbatté con altrettanta e muta stizza. Entrambe lo videro poi infilarsi le mani in tasca e allontanarsi per incamminarsi verso la vegetazione alle loro spalle, sparendo alla vista.
«Non prendertela» la donna accese la sigaretta e aspirò una boccata, mentre con l’altra mano si sfilava gli occhiali da sole rivelando due occhi azzurri e penetranti «ha un caratteraccio, ma non è pericoloso. Normale per chi faceva l’assassino di professione» incrociò le gambe e invitò Jolyne a sedersi sul telo «guarda che c’è spazio per due».
La ragazza ubbidì senza smettere di guardarla: il fisico sodo e tornito era stretto da un costume intero che esaltava il bel decolleté e il collo. I capelli cadevano sulle spalle come una cascata di seta marrone che terminava oltre la vita. Non sapeva perché, ma qualcosa, di lei, le richiamava alla mente suo padre.
Di certo era veramente bellissima.
«A proposito, chiamami Elizabeth» disse come se in realtà la conoscesse da sempre «quando sarai pronta scoprirai che abbiamo molto in comune… allora, Jolyne: perché stavi nuotando nelle acque di confine?»
«Sai come mi chiamo?» Jolyne non nascose sorpresa di sentirsi chiamare per nome da quella creatura che stentava a pensare un tempo appartenente ai mortali «Ma come…?»
«Come ho detto prima, quando sarai pronta capirai un bel po’ di cose» la interruppe Elizabeth «dimmi, però: perché stavi rischiando di perderti in mare?».
Jolyne guardò il mare mosso appena da onde blande, all’apparenza innocue, e ricordò subito di essere arrivata assieme agli altri su un battello, poi aveva voluto tuffarsi e si era ritrovata ad assistere alla visita della sua stessa camera ardente.
«Volevo solo fare una nuotata» Jolyne si strinse nelle spalle al ricordo di quello che aveva visto «non immaginavo di trovare la nonna e lo zio al mio funerale, è stato così assurdo che stavo andando fuori dai gangheri, ma a parte Emporio non mi sentiva nessuno…»
«Ho capito» Elizabeth aspirò altro fumo «al fine di non farti commettere lo stesso errore, alle anime buone non è permesso nuotare alla destra di quel cartello perché il mare e la spiaggia corrispondente appartengono a quelle di mezzo»
«Emporio mi aveva parlato del purgatorio» aggiunse Jolyne «quindi quella che mi ha trascinata a riva era un’anima del purgatorio?»
«Purgatorio è un termine semplicistico» Elizabeth fece ondeggiare la bella chioma mentre si scostava un ciuffo ribelle dal viso «come avrai saggiato empiricamente non esistono confini netti tra quelli che i vivi chiamano paradiso, purgatorio e inferno: questo perché è molto difficile che esistano anime esclusivamente buone o esclusivamente empie. Sono rare, ma non sono solite socializzare col resto di noi anime grigie, quindi non aspettarti di intavolare una discussione con loro… Ma per rispondere alla tua domanda nel dettaglio» e così dicendo accennò col mento alla foresta di palme dietro di loro «quello è un esempio di anima che da viva ha soltanto avuto una brutta giornata: un attimo prima stai giocando con tuo cugino per strada e quello dopo assisti al suo investimento, e da qui un omicidio tira l’altro fino a quando arrivi a considerare un gruppo di lestofanti la tua nuova famiglia… E che famiglia, azzarderei ad affermare quasi simpatica. L’odio per gli adolescenti in generale, invece, è dovuto al fatto che sia stato mitragliato proprio da un ragazzino. Ma a ogni modo, penso tu sappia quanto danno possa recare il rancore unito a un trauma non superato»
«Ne so qualcosa» Jolyne piegò le labbra in un sorriso amaro e cinse le proprie ginocchia con le braccia «da quello che mi hai detto devo dedurre che chi uccide può comunque aspirare a un oltretomba felice?»
«Se tutti gli assassini finissero all’inferno non esisterebbe nessun paradiso e le anime rimaste lo renderebbero oltremodo noioso… C’è chi ha ucciso per onore, chi per proteggere una persona amata, chi per sana e umana vendetta, chi per salvaguardare il benessere dei propri compagni… La lista è infinita. Solo chi toglie la vita per il puro gusto di farlo o per malvagità intrinseca finisce inghiottito dalle tenebre. I nostri piedi calpestano un ecosistema che non si fonda sui dogmi dei religiosi, ma risponde a regole precise stabilite dall’essere in sé: così come gli agenti patogeni vengono eliminati dall’organismo, l’aldilà confina i malvagi per natura laddove non possono recare più danno fino a quando non saranno pronti per ricominciare a vivere nella carne»
«Mi stai dicendo che non resteremo qui per sempre?» domandò Jolyne perplessa «Che siamo destinati a rinascere all’infinito?»
«In un certo senso è così» Elizabeth spense il mozzicone nella sabbia ed espirò l’ultima boccata «arrivi, trascorri un tempo indefinito, se tempo si può chiamare, e quando ritieni che le pene della tua ultima vita mortale siano state liberate il tuo spirito getta via l’immagine spettrale del tuo corpo e ti rinchiudi tra i petali di un elleboro¹. Quando il fiore sboccerà la tua anima sarà di nuovo laggiù, pronta a ricominciare il ciclo e a intrecciarsi con gli stessi spiriti che hai incontrato nelle tue vite precedenti, anche loro in corpi e coscienze diverse. A conti fatti nessuno muore veramente… ci si rigenera e basta»
«Mi spieghi allora perché accade? Qual è il senso di purificarsi e tornare a soffrire all’infinito?» Jolyne guardò un po’ la donna e un po’ la risacca che risaltava sulla distesa nera «e perché ho visto quelle cose in acqua… quei ricordi falsati?»
«Per i secondi non esiste alcun mistero» spiegò Elizabeth «il lido di Loki è fatto per intrappolare nell’inganno le anime sprovvedute che nuotano nelle sue acque; di per sé non è pericoloso, però è meglio evitare di farci il bagno… non tutti sono stati fortunati come te e la tua amica. Per quanto riguarda la prima questione, che dire… dopo un po’ che sei qui ti senti talmente in pace che smetti di domandartelo e accetti la tua condizione per quella che è. Eviti anche di chiederti se effettivamente esista o meno una divinità dietro a tutto questo».
Jolyne si dedicò alcuni momenti per pensare a quanto aveva ascoltato, coadiuvando il processo disegnando spirali sulla sabbia con l’indice.
«Senti» buttò lì, guardando la sconosciuta che rinforcava gli occhiali «dopo quello che mi hai detto, tu ci credi nel destino? Perché so che ti sembrerà strano, ma per me è come se fossimo legate da sempre… anche il tipo scorbutico di prima, mi è parso di condividerci qualcosa che non saprei come esprimere a parole»
«Mh» Elizabeth tese i palmi dietro il busto per godersi meglio quel sole accecante ma per nulla dannoso «non è un fenomeno raro, di sicuro altre anime più esperte di me sapranno spiegartelo meglio. Non è qualcosa che accade solo a chi possedeva poteri spirituali, ma si estende a tutti… lo scoprirai solo incontrando le altre anime a te affini, e ti assicuro che sono tante, più di quante immagini. E se non vado errata…» si voltò a sinistra e aguzzò la vista da dietro le lenti «non accadrà tardi. Alcune ti stanno già aspettando» tornò a guardare Jolyne e le rivolse un sorriso garbato «credo sia arrivato il momento di incontrarle. Se ti va, possiamo rivederci al ristorante quando avrò finito di prendere il sole e di fare della sana bisboccia con gli aspiranti purgati. Anzi, sai che c’è? Ti chiedo, se non ti è di disturbo, di riservarmi un coperto accanto a tuo padre, vorrei fare una bella chiacchierata con lui… Mentre mangio un pasticcio di carne, non ne ho mai assaggiato uno così buono da quando Gloria lavora come capocuoco…».
Le orecchie di Jolyne si drizzarono.
«Gloria?».
Elizabeth aggrottò la fronte in segno di perplessità.
«Oh, sì, è una ragazza tanto cara che finalmente ha potuto aprire un ristorante tutto suo da spirito, solo lei riesce a sedare gli animi più ribelli con la gola»
«Ok…» Jolyne non aveva idea dello stato d’animo che avrebbe dovuto assumere dopo quell’informazione, ma decise comunque di andare a verificare di persona «se intendi incontrare mio padre al ristorante farò come chiedi… solo che…» tese le braccia come per indicare l’infinità del luogo in cui si trovavano «mi daresti delle indicazioni su come arrivarci?»
«È semplice» Elizabeth indicò a sua volta la sabbia allungando il braccio a sinistra «percorri la battigia o nuota sempre verso quella direzione senza tornare indietro. Quando incontrerai la statua di Tueret sarai giunta a destinazione»
«Va bene, mi fido anche se mi sembra strano» disse Jolyne alzandosi, scoprendo che il telo era rimasto asciutto.
«Lo è, ma quando la fisica non detta più legge è normale sentirsi spaesati all’inizio. Non avere paura e segui la tua voglia di ricongiungerti agli altri, il resto verrà da sé»
«D’accordo… allora io vado. Ci vediamo al… ristorante? Sì, al ristorante».
Jolyne si sentì una stupida mentre pronunciava quelle parole. Davvero gli spiriti avevano bisogno di mangiare?
«I’ll catch you later» disse Elizabeth sdraiandosi sul telo per prendere il sole, facendo venire in mente a Jolyne un altro quesito: davvero gli spiriti potevano abbronzarsi?
Comprendendo però che la conversazione era giunta al termine, decise di tenere per sé quei dubbi. Dando definitivamente le spalle alla donna, gettò un ultimo sguardo al cartello che separava i due mari e lasciò che la spuma della risacca le lambisse i piedi. L’acqua era così limpida che riusciva a scorgere granchi e piccoli pesci guizzanti.
Quando, avanzando lentamente, la marea raggiunse il torace, trattenne il respiro e immerse anche la testa.
Sebbene l’acqua fosse salata il contatto della salsedine con gli occhi non le procurava fastidio alcuno, era come se una mente superiore avesse creato quella parte di luogo-non luogo privandola di ogni possibile pena fisica. A vorticarle intorno c’era un piccolo festival di crostacei e altre creaturine marine che si nascondevano sotto la sabbia, inconsapevoli del loro stato di essenze prive di materia.
Nuotò ancora per un tempo infinitamente breve e brevemente infinito, tra altri pesci e altrettanti crostacei per nulla infastiditi della sua presenza, fino a che un vociare a lei conosciuto interruppe la sua ricerca.
La prima cosa che vide una volta emersa dall’acqua fu una palla da beach volley volteggiarle sopra.
«Eccoti!».
Uno sciabordio preannunciò l’arrivo e il successivo abbraccio di Foo Fighters, che dalla foga impiegata per tenerla stretta a sé sembrava che non la vedesse da tanto tempo.
«Mentre ti aspettavamo abbiamo iniziato a giocare a palla! Non te la prendi, vero?»
Guardando quegli occhi grandi così puri e infantili, Jolyne non poté trattenere un sorriso.
«Ma no, tranquilla, continuate pure senza di me!» le disse passando in rassegna la spiaggia deserta ad eccezione dell’uomo sdraiato all’ombra della statua in pietra lavica della dea ippopotamo incinta «io devo scambiare due parole con papà»
«Finalmente sei qua» Ermes prese la palla e si avvicinò a lei «si può sapere cos’eri andata a fare dall’altra parte?»
«Mi era sembrato di vedere qualcuno che conosco, ma mi ero sbagliata» minimizzò Jolyne facendo spallucce «se vi siete preoccupati per me non avreste dovuto farlo».
Ermes aggrottò la fronte e fece una smorfia. Era il suo modo di farle intendere che non se l’era bevuta.
«Ok, come vuoi» mentì senza dire altro, eccezion fatta per il labiale privo di suono sopraggiunto subito dopo, con tanto di indice teso fatto ruotare all’italiana a mo’ di mulinello: they would have talked later.
«Mentre ti aspettavamo siamo stati affiancati da un’altra barca e chiacchierando con il capitano è saltato fuori che c’è un labirinto dal quale puoi uscire solo se ti dichiari alla persona che ti piace» mentre diceva quelle cose, Weather Report si allontanava sempre di più da Anasui «se magari avessimo la possibilità di ficcarci dentro qualcuno, questo qualcuno smetterebbe di romperci le palle… Oh, ciao Narciso!» aggiunse rivolto a quest’ultimo prima di tuffarsi per sfuggire alla sua rabbia.
«Se ti prendo ti ammazzo!» gridò quello paonazzo in volto, evitando accuratamente di guardare Jolyne.
«Ma tanto siamo tutti morti!» lo canzonò Foo Fighters spruzzandogli l’acqua in faccia.
«Non importa, lo ammazzo lo stesso, ma prima inizierò con te!» e così dicendo si avventò su di lei suscitando le risate di Ermes.
Approfittando dello schiamazzo, Jolyne si allontanò dal gruppetto per raggiungere Jotaro: dentro di sé avrebbe voluto unirsi a loro, ma non aveva avuto il coraggio di esternare a voce la strana sensazione che provava nel vederli liberi dalle catene dell’angoscia, e se doveva essere onesta anche lei sentiva una tale sensazione di leggerezza da riconoscersi a stento. Era inusuale, seppur bellissimo.
Anche suo padre era in costume, ma a differenza di Elizabeth era disteso direttamente sulla sabbia e guardava il cielo terso attraverso un oggetto luccicante simile a un grosso diamante. L’ombra innaturale dell’ippopotamo oscurava l’intera base della statua, che era stata momentaneamente addobbata coi loro vestiti messi ad asciugare.
Vedendola giungere sulla spiaggia, Jotaro terminò la sua ispezione della volta celeste e prese a giocherellare con il diamante:
«Ho visto fin dove sei arrivata. Stavi nuotando in acque internazionali»
«La signora che ho incontrato lì le aveva chiamate in un altro modo» disse lei prendendo posto all’ombra: in quella zona di spiaggia la sabbia era così carezzevole da non attaccarsi alla pelle bagnata «comunque pare che siamo finiti nella prima classe dell’aldilà o qualcosa del genere»
«Una specie» Jotaro riprese a osservare l’infinito col diamante «vuoi sapere come ho fatto a capire dove ti eri cacciata?»
«C’entra quello?» Jolyne indicò in diamante che il padre teneva in mano.
«Sì» Jotaro ruotava lentamente la base della pietra sull’occhio, un movimento che le rimembrò le poche volte in cui lo aveva visto muovere il revolver del microscopio ottico che teneva a casa «se infili un braccio nella bocca di Tueret ricevi in dono un diamante col quale puoi esaminare tutte le realtà alternative del mondo di laggiù². A ogni faccia corrisponde una realtà… la cosa che mi ha lasciato basito è che in quasi tutte conduciamo una vita normale… persino quella in cui siamo vampiri»
«Vampiri?» sbruffò Jolyne «non è che questa dea ti ha fregato?»
«Non lo so, però è divertente» Jotaro abbozzò un sorriso, emanava un’aria così tranquilla da sembrare un’altra persona «in questa realtà noi due siamo vampiri capaci di trasformarsi in predatori marini, io in orca e tu in una bellissima chrysaora achlyos… la medusa più grande del mondo»
«E la mamma in cosa si trasforma?»
«La mamma non si trasforma, però riesce a decifrare le aure degli esseri viventi e degli altri vampiri e possiede una velocità soprannaturale… il fatto sorprendente è che» Jotaro tornò a guardare la figlia «in nessuna di queste realtà ho incontrato Pucci».
Jolyne si fece improvvisamente seria sentendolo nominare.
«Cosa vuol dire questo?»
«Vuol dire che la sua anima è destinata a non ripetersi in nessun universo e a non reincarnarsi in nessun altro essere vivente, condannata per l’eternità a patire il buio degli inferi. Suppongo sia la punizione ultima per chi si arroga il diritto di giocare a fare Dio con gli spiriti della gente… Credevo fosse andata male a un tizio di Morio che ha perso la memoria ma a quanto ho visto c’è chi sta peggio…»³
«Aspetta» lo interruppe Jolyne «parli proprio di quel tizio? Quello che ha quasi ucciso te e Josuke?»
«Sì, lui, non ho idea del perché sia finito a fare il sicario per una religiosa ma sembra che non lo vogliano nemmeno all’inferno… Sii sincera, hai visto anche questo nel mio disco?»
Jolyne si perse un attimo a guardare Anasui che afferrava Weather Report per la vita e lo rigettava in acqua tra gli schiamazzi di Ermes e Foo Fighters.
«Sì… è stato strano… Soprattutto vedere te e Josuke così giovani… Josuke con quei capelli ridicoli, mio Dio... non so come abbia fatto a trovare moglie conciato così»
«E guai se provavi a prenderlo in giro» rincarò Jotaro «ha mandato in ospedale più di una persona che si è cimentata nell’impresa».
Risero entrambi al pensiero di un Josuke adolescente che andava in escandescenza per i suoi preziosissimi capelli.
«Senti» riprese Jolyne dopo un po’ «sei sicuro che stiamo bene in questi universi alternativi che hai visto? Non è che in qualcuno magari la nonna o la mamma piangono per noi?»
«Sicurissimo, in un paio sono persino diventato nonno prima dei sessant’anni» Jotaro interruppe il discorso per godersi la faccia stupita di Jolyne nell’apprendere la notizia «ma non ti dirò con chi ti sei sposata, questa è una sorpresa che devi scoprire da sola»
«Ma uffa!» protestò lei pungolandogli il braccio «Non mi dai nemmeno un indizio?»
«Te ne do uno solo!»
«Ok, spara!»
«Lo conosciamo entrambi»
«Tutto qui?» Jolyne gonfiò le guance per la delusione «Non mi dici altro?»
«È che non voglio farvi discutere, non qui almeno!» si giustificò Jotaro «Non adesso che, sai… siamo solo essenze».
Jolyne mollò la presa dal braccio del padre. Solo in quel momento si era accorta di non provare più un briciolo di rancore nei suoi confronti.
«Vorrei poter dire che mi dispiace non vederti invecchiare» proseguì Jotaro «ma racconterei una bugia. Se non fossimo morti la nostra avrebbe continuato a essere la famiglia disfunzionale che siamo sempre stata… con l’aggiunta del sacrificio di chissà quante altre persone con la colpa di voler essere nostre amiche»
«Un win-win per tutti quindi» Jolyne sollevò un sopracciglio e ripensò al dialogo che aveva avuto con chi le aveva indicato la via per tornare in paradiso. Se si concentrava abbastanza riusciva a rievocare il brivido che le aveva provocato la sua vicinanza.
«Come ho detto prima, ho incontrato una donna al confine col purgatorio» riprese, volendo condividere in parte l’esperienza della sua breve avventura «e mi ha fatto un discorso strano sulle anime che rinascono dopo un po’ da dei fiori… Chissà se questi “noi” alternativi avranno un’anima tutta loro o se ci incontreremo da qualche parte… una specie di raduno dei sosia… wow, centinaia di Jotaro con tanti cappellini diversi, te li immagini?»
«Come no!» il Jotaro spirituale trattenne a stento una risata dal naso «Con tuo sommo dispiacere condividiamo un’anima sola, sicché quando un nostro sosia morirà i suoi ricordi si ricongiungeranno ai nostri… O almeno questa era la teoria di un amico che faceva l’indovino. Mi domando dove sia finito adesso»
«Se era una brava persona penso ti stia aspettando» ipotizzò Jolyne.
«Sicuramente» il volto di Jotaro si addolcì «era un tipo che aveva capito come raggiungere il paradiso pur senza averne contezza»
«Allora perché non ci rivestiamo e andiamo a incontrarlo?» domandò Jolyne «Dai, non dirmi che non sei curioso di parlarci!»
«Non è questo!» Jotaro gonfiò le guance come aveva fatto prima la figlia e si parò il viso con il palmo della mano tesa «Siamo appena arrivati, ok? Non affrettiamo le cose»
«Ah, ho capito» cantilenò Jolyne gongolante «sei troppo emozionato per rivederlo».
A giudicare dal silenzio ostinato di suo padre, la ragazza comprese di averci preso.
«Ho indovinato?» incalzò lei inginocchiandosi accanto a lui per scrutargli l’espressione «Non essere così rigido!»
«No, hai torto» rimbeccò Jotaro.
«Non ti credo!»
«Ti dico che hai torto!»
«E io ti dico che non ti credo!»
«Va bene, sono molto emozionato» Jotaro scoprì il volto e scattò a sedere digrignando i denti «sei contenta adesso o vuoi ancora inferire?»
«No, la tua faccia da peperone basta e avanza» stavolta toccò a Jolyne coprirsi il volto con le mani per soffocare l’ennesima risata «non ti avevo mai visto così, giuro che sei troppo buffo!»
«Ma pensa!» Jotaro la colpì su un fianco con il pugno chiuso per farle perdere l’equilibrio «Tu e la tua linguaccia!».
Jolyne incassò il colpo senza smettere di ridere. Era incredibilmente tenero.
«Oddio, se ti vedesse la mamma in questo momento…» Jolyne si rialzò non senza aver asciugato una lacrima «Non sembri nemmeno mio padre».
Jotaro non fece commenti sull’ultima affermazione della figlia; la sola azione che compì fu sollevare il busto per sistemarsi meglio sulla sabbia. Gli altri quattro pazzoidi che erano venuti con loro stavano lasciando il mare per raggiungerli sulla spiaggia.
«Spero che almeno in uno degli universi alternativi che hai visitato tu appaia esattamente come sei adesso» disse Jolyne mutando tono di voce «è bello vederti così».
Lo vide guardarla come se in realtà stesse osservando qualcosa di intelligibile solo a lui, qualcosa che probabilmente non le avrebbe mai rivelato, che fosse in quella o un’altra vita.
«Mi sono visto» fu la sua risposta «e ci siamo visti, tutti assieme, inclusi chi non hai conosciuto. E… sì, sono così… E anche il maestro che ti insegna a usare Stone Free come se tuo padre fosse lui… credo sia la mia scena preferita tra quelle che ho visto»
«Amico dell’indovino?» chiese Jolyne immaginandosi al fianco di questo ipotetico mentore.
«Esatto».
Jolyne serrò le labbra.
«Papà»
«Sì?»
«Questa storia degli universi alternativi felici è vera o falsa?»
La domanda ebbe destino di non ricevere risposta perché Ermes e gli altri si erano avvicinati a loro.
«So cosa state pensando» Jolyne, cambiando subito discorso per non incupirsi, precedette quello che stava per profferire l’amica «la prossima volta faccio il bagno con voi, promesso!»
«Tanto anche se non vorrai ti costringeremo» Ermes era più decisa che mai su quel punto «quindi guai a te se ti perderai»
«Garantito, non preoccuparti» Jolyne allungò una mano alla ricerca dei pantaloni, ma quando si girò per recuperare gli indumenti vide suo padre bloccato nell’atto di infilarsi la maglietta, evidentemente distratto da un movimento di foglie e sabbia al limitare della vegetazione.
«Ma che diamine…».
Dalla penombra della foresta era sbucato un cagnetto bianco e nero dall’aria pestifera.
Foo Fighters si avvicinò all’oggetto di quella distrazione e gli si inginocchiò davanti.
«Guardate! È un cagnolino! Che carino, è più piccolo di quelli che vedevamo in carcere! Vieni qui piccoletto!»
A differenza di Foo Fighters, Jotaro non si era inginocchiato, ma aveva soltanto sbarrato gli occhi. In effetti quel boston terrier spuntato all’improvviso dalla macchia costiera non poteva trattarsi che proprio di quel boston terrier del disco.
«E tu da dove salti fuori?» mormorò Jotaro con stupore avanzando di qualche passo per accertarsi che fosse veramente lui.
Dal canto suo, il cane trapassò con sguardo indagatore i volti dei bagnanti che si stavano rivestendo e iniziò ad annusare la mano tesa di Foo Fighters prima di sollevare il muso per scrutare il profilo panciuto di Tueret.
«Non sapevo che anche i botoli potessero finire qua» Anasui allontanò con sdegno gli stivali dal naso del cane «signor Jotaro, lei lo conosce?» domandò poi senza togliere gli occhi di dosso dall’animale che sembrava essere alla ricerca di qualcosa tra i loro indumenti.
«Sì, ed è un adorabile pezzo di merda, non è vero Iggy?» fece Jotaro rivolto alla bestia che per tutta risposta disvelò i denti in un ghigno malizioso «Sei da solo? Non c’è nessuno con te?».
Il cane di nome Iggy continuò a perlustrare i dintorni con l’olfatto mentre il gruppo terminava di vestirsi; quando Jotaro infilò la giacca allungò le zampe anteriori sui suoi pantaloni affinché venisse preso in braccio, richiesta che l’uomo esaudì non senza qualche remora.
«Strano, non dovrebbe, chessò, scorreggiarti in faccia?» chiese Jolyne perplessa, provocando l’ilarità generale per quella domanda, fatta eccezione per Anasui che con la coda dell’occhio aveva percepito che quelle di Iggy non erano buone intenzioni.
«Non mi fido» disse fissando negli occhi quel botolo malefico.
«In effetti potresti avere…» Jotaro si voltò per guardare chi aveva posto l’obiezione, ma non fece in tempo a terminare la frase che Iggy afferrò coi denti la visiera del cappellino e gli balzò via dalle braccia, pronto per fuggire lontano col bottino.
«… ragione».
Il cane ghignò ancora e gli diede le spalle, dopo di che si rituffò nella vegetazione sparendo alla vista come una scheggia.
«Iggy, il mio cappello!» Jotaro gli lanciò contro il diamante nella vana speranza di beccarlo, ma quello che ottenne fu solo il tonfo della pietra che cadeva in mezzo all’erba alta.
«Inseguiamolo!» Jolyne tirò Jotaro per le maniche affinché ascoltasse la sua esortazione «Forse vuole condurci da qualche parte!»
«Ma pensa! E va bene, maledetto cane!».
Pur senza averne certezza Jolyne sentiva di essere nel giusto. Tra non molto avrebbero attraversato la vegetazione costeggiante la spiaggia trovandola disordinatamente infinita – ma anche finita – si sarebbero imbattuti in paesaggi stranianti abitati da spiriti meditabondi e silenziosi, ne avrebbero quasi urtato uno vestito di bianco che passeggiava nei pressi del labirinto menzionato da Weather Report, fino a quando, dopo aver attraversato una sequela di abitazioni di samurai immerse in una distesa di adonidi, si sarebbero ritrovati a correre per quello che sembrava il giardino più disordinato e mal assortito su cui avessero mai posato gli occhi.    
Fino a quando avrebbero scorto le fronde di un ciliegio in fiore.
«Papà» Jolyne, che avrebbe superato tutti con un certo stacco, avrebbe rallentato un attimo per voltarsi a guardare Jotaro «quello somiglia al ciliegio di casa! Ma che ci fa qua?».
Anche se non avrebbe ricevuto subito risposta sarebbe andata bene così, perché tanto lo avrebbero scoperto da chi sotto quell’albero ci trascorreva l’eternità e che attendeva pazientemente il loro arrivo.
Quel mentore che non aveva potuto proteggerla per colpa del destino sarebbe stato con lei per sempre, e anche se non aveva ancora idea di che tipo fosse sperava con tutto il cuore che sarebbero andati d’accordo. Le sarebbe parso di identificarlo nello studente in camicia e mocassini che, con l’espressione incontenibile di chi si preparava a riabbracciare un amico dopo tanto tempo, avrebbe indossato il cappello di suo padre e gli si sarebbe gettato addosso, libero dal giogo della solitudine.
Anche se non avrebbe mai saputo della veridicità degli universi alternativi, avrebbe scoperto che Jotaro aveva ragione almeno su una cosa: quel presunto mentore l’avrebbe amata come una figlia.  

***

¹Nel linguaggio dei fiori, l'elleboro è il fiore sacro a Dio e simboleggia la liberazione dalle pene. Qui per saperne di più.
²Riferimento agli universi alternativi menzionati in JORGE JOESTAR quali conseguenza degli effetti di Made in Heaven.
³Riferimento a Dead Man's Questions.

Musica in Jojo: Joanne è l'ultimo singolo, uscito solamente per il mercato italiano, estratto dall'album omonimo pubblicato il 21 ottobre 2016. Il brano è una dedica di Lady Gaga alla zia morta di lupus all'età di diciannove anni. Altri dettagli sulla canzone sono apparsi nel documentario Gaga: Five Foot Two disponibile su Netflix.

Retroscena: Mi ero incaponita sulla comparsa di alcuni personaggi di questo racconto. Se negli incontri inaspettati dei capitoli precedenti era presente un minimo di senso logico, questa volta ho deciso di fare interagire personaggi che nulla, o quasi, avevano da spartire l'uno con l'altro. Non so esattamente cosa mi abbia spinta a scrivere proprio di loro, volevo solo che fosse così e basta, il resto è venuto da sé.
Giunti/e quasi alla fine, non c'è molto altro da dire a riguardo. Posso affermare che si tratta della fine effettiva della raccolta, in quanto tutto quello che avevo da esprimere è già stato scritto e metabolizzato e che l'ultimo capitolo farà semplicemente da "quarta di copertina" virtuale all'intera pubblicazione. Per questo motivo ho dedicato a Jolyne la shot più lunga, perché volevo che con lei si chiudesse un cerchio iniziato tre mesi fa.

Come sempre, non mi stancherò mai di ringraziare chi legge, recensisce e segue la storia. Alla prossima settimana con la conslusione!

xoxo  
   
 
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