Fumetti/Cartoni americani > Marvel vs. DC
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Autore: laguindiz    23/08/2021    0 recensioni
Stanca della sua vita di prigionia nella torre, Mahogany Stark decide di andare alla ricerca del suo posto nel mondo, scappando di casa.
Durante la sua prima fuga, incontrerà il famoso Captain America e, dopo un profondo scambio di battute con il supereroe, tra i due scoppierà una scintilla. I due saranno spesso messi alla prova dal segreto che custodiscono e ancor più dai numerosi attacchi di un nuovo nemico che si fa strada tra le fila dell'Hydra: il Soldato d'Inverno.
Le carte prima o poi verranno scoperte, e solo allora Mahogany avrà la possibilità di trovare il suo scopo, esprimendo appieno il suo genio nella realizzazione della sua Iron Girl Suit.
Basterà questo upgrade per affrontare al fianco degli Avengers la nuova minaccia impersonata dall'Hydra guidata da Teschio Rosso?
Genere: Azione, Guerra, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Movieverse | Avvertimenti: nessuno
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Sono cresciuta con la convinzione che non ci sia modo migliore per lavorare se non con Back in Black degli AC/DC sparata da Jarvis a tutto volume. Per questo motivo, con il volto coperto da una maschera per saldatura e una fiamma ossidrica puntata su due pezzi d'acciaio, canticchio sottovoce alcune parti della canzone che conosco ormai a memoria. "I've been looking at the sky, 'Cause it's gettin' me high" Una volta terminata la saldatura, sollevo la visiera sul capo e ammiro la mia prima creazione prendere vita con un sorriso soddisfatto. Mi alzo da terra e recupero i progetti cartacei sparpagliati sul letto allo scopo di finire la loro digitalizzazione nel lasso di tempo in cui aspetto che l'acciaio si raffreddi sul pavimento della mia stanza. Stringo una matita tra le labbra mentre trasferisco dei fogli sulla mia scrivania. "Jarvis, apri il file Dante Alighieri e mostrami una panoramica tridimensionale del modello per piacere" biascico. Perché proprio Dante Alighieri? Semplice: studio letteratura italiana all'università e nessuno, compreso mio padre, si sognerebbe di trovare il progetto di un inventore principiante sotto il nome di un poeta. Negli istanti successivi vengo infatti circondata da una proiezione virtuale del prototipo delle scarpe-razzo di mia invenzione: muovendo le mani in aria, riesco ad interagire con il modello, ad ingrandirlo, a sostituire alcune variabili e a verificare la sua funzionalità ancor prima di averlo ultimato. Subito dopo una prima analisi, sfilo la matita dalla bocca per correggere alcuni calcoli dai progetti originali, che ripongo in uno scatolone sotto il letto per conservarli come ricordo. Ammiro con fierezza il mio lavoro prendere finalmente vita dopo tanti anni di reclusione nella mia mente e per altrettanti ridotti a meri abbozzi sulla carta. "Bene" sospiro soddisfatta, con le mani poggiate sui fianchi "Adesso manca solo una fonte di energia in grado di fargli spiccare il volo". Esco di soppiatto dalla mia stanza e, appurato che il salotto e la cucina sono deserti, sgattaiolo giù per le scale fino a raggiungere il laboratorio di mio padre, separato dal resto dell'edificio da una semplice porta a vetri protetta da un codice super segreto che in pochi possono vantare di avere - nonché la mia data di nascita: inserisco i numeri ed entro indisturbata nel regno di mio padre. Picchietto le dita su uno dei tavolini in metallo, facendo correre lo sguardo da una parete costellata di armature ai tavoli stessi sopra cui giace un ammasso di cose disordinate, dai robottini aiutanti di Iron Man ai quadri di mia madre appesi per chissà quale ragione sopra una piccola cucina improvvisata in fondo allo studio; ma del reattore Arc di cui parlano tanto persino i tabloid non c'è traccia. Scorgo invece una tazza di caffè fumante accanto ad un computer. "Dovresti sapere che non mi piacciono le persone che sbirciano nel mio laboratorio" la voce di mio padre mi sorprende alle spalle. Mi giro verso di lui e, con l'aria più innocente che mi riesce, rispondo: "Infatti non stavo sbirciando... volevo solo ammirare il mio paparino al lavoro" adornando il tutto con un sorrisetto ingenuo. Tony Stark appoggia la spalla contro lo spigolo della porta, incrociando le braccia al petto e spostando l'intero peso del corpo su una gamba sola. Inclina poi la testa verso destra e riduce gli occhi a delle piccole fessure, guardandomi negli occhi. "Cosa ti serve?" "Come?" domando spiazzata. Deglutisco un mattone di saliva. Papà si stacca dalla parete per avvicinarsi piano a me, senza mutare l'espressione del viso. "Riconosco quel faccino: gli occhietti curiosi, il sorriso nefasto... di cosa hai bisogno?" "Beh," esordisco titubante; e proprio in quel momento, puntando per puro caso lo sguardo sul tavolino accanto a me, vedo una luce blu scintillante emergere sotto una chiave inglese. Mi muovo nella sua direzione, spostando gli occhi di nuovo su mio padre per non destare sospetti. "Oltre a qualche amico, una vita normale," sbotto sarcastica, sollevando istintivamente le sopracciglia "Ho provato a cercarla su Amazon, ma non era più disponibile." Assottiglio le labbra e inclino la testa verso sinistra, per accentuare il mio livello di ironia. Uno sbuffo esce dalle labbra di mio padre, precedendo la sua mano, che si solleva sul suo volto come per asciugarsi la fronte. "Mi sembrava avessimo già discusso abbastanza a riguardo." "Lo sanno a memoria anche i muri quel monologo..." borbotto, roteando gli occhi. "Comunque volevo solo avvisarti di non aspettarmi per pranzo: devo studiare per superare un esame con un androide!" Alzo la voce di qualche decibel per sottolineare l'inverosimilità della mia stessa vita, camminando a passo deciso verso la porta. "I geni non mentono!" esclama poco prima che la vetrata si chiuda alle mie spalle. "Spero di sì." Bisbiglio, risalendo le scale, consapevole che non può avermi sentita. Sfreccio in camera e, una volta chiusa la porta a chiave alle mie spalle, vi faccio aderire la schiena: dalla tasca posteriore dei jeans estraggo una scheggia del vecchio reattore che alimentava l'armatura di Iron Man andata distrutta nel suo ultimo tentativo di salvare il mondo. Lo porto all'altezza del mio viso e lo guardo con un sorriso gioioso; pochi secondi più tardi sono di nuovo seduta a gambe incrociate sul pavimento con la maschera per saldatura in testa per portare a termine le mie scarpe-razzo. *** Un agglomerato di emozioni contrastanti e indecifrabili mette in subbuglio il mio stomaco fino alle viscere quando finalmente atterro sul tetto di un anonimo palazzo newyorkese, avvolta dal caldo arancione del tramonto che cala sull'intera città: non solo le mie scarpe razzo alimentate da una scheggia del reattore arc di mio padre funzionano, sono anche riuscita ad allontanarmi dalle quattro mura di casa senza che nessuno se ne accorgesse. Perciò ora mi trovo seduta a cavallo di un muretto al decimo piano di un edificio diverso e lontano dalla Stark Tower, con una gamba che penzola nel vuoto e l'altra appoggiata al cemento, a contemplare il mio primo tramonto da donna libera. Seppur consapevole del fatto che la vista è migliore dalla mia camera, questo cielo ha un fascino estremamente singolare, con le nuvole che prendono un colore rosato, l'azzurro che viene poco alla volta soppiantato dall'arancione, il quale investe le strade trafficate di New York con il suo impeto, insinuandosi anche nei vicoli più stretti e dimenticati, e i grattacieli che iniziano ad illuminarsi per non essere colti impreparati dal buio della sera che viene. Una visione che manda in estasi tutti i miei sensi e mi costringe a chiudere gli occhi per inspirare a fondo il profumo di quest'aria che sa di felicità - e di smog. "Davvero un bel panorama da quassù," esordisce all'improvviso una voce non del tutto sconosciuta alla mia destra. Mi volto in quella direzione con uno scatto repentino che mi fa oscillare sul muretto; di conseguenza mi aggrappo ad esso con entrambe le mani per paura di cadere.  Torno quindi a fissare incredula la figura che si presenta davanti ai miei occhi in tutta la sua possenza e in tenuta bianca, rossa e blu con stelle e strisce. "Cap-" deglutisco una bocconata di terrore "Ommioddio Captain America! Non ci posso credere..." Quando un'illuminazione mi rivela il vero motivo della sua presenza, mi ricompongo e, schiarendo la voce, mi alzo in piedi sul muretto. "Wow, non ci posso credere davvero: ti ha mandato mio padre, vero?" Con le braccia incrociate davanti al petto e gli occhi puntati su di me ridotti a due piccole fessure, Cap fa un respiro profondo alzando le sopracciglia e, muovendo impercettibilmente la testa, ribatte: "Non rispondevi alle loro chiamate e si sono preoccupati." Sbuffo una risatina sarcastica stringendo tra loro le labbra e, rivolgendo la testa al cielo, incrocio le braccia al petto. "Quindi è stata mia madre..." Cammino avanti e indietro sul bordo del tetto con un sorrisetto esasperato sul volto. "Tony sarà impegnato, altrimenti sarebbe venuto lui stesso a cercarti" ribatte il soldato, che da quando è arrivato non ha cambiato posizione nemmeno di un centimetro. Mi volto di nuovo verso di lui, lasciando penzolare la gamba nel bel mezzo del movimento; per renderlo ancora più teatrale, trattengo una risata assottigliando la bocca e inclinando di poco la testa verso sinistra. "La verità, Cap, è che lui non si sarebbe nemmeno accorto della mia assenza." Segue un momento di silenzio, per nulla imbarazzante, in cui entrambi contempliamo la vista del sole che si immerge nel Pacifico sulla riga dell'orizzonte. "Devo dedurre che ti troverò qui d'ora in poi" riprende lui, guardandomi di sottecchi con l'accenno di un sorriso sul volto. Sospiro. "Ora che conosci il mio nascondiglio non più tanto segreto, credo che cambierò palazzo" gli mostro un sorriso mesto, senza separare le labbra. Giurerei di averlo visto trattenere una risata. "Ora ti riporto a casa figliola." "Ho quasi ventidue anni, Cap," mi volto di schiena "Posso tornarci da sola". Terminata la frase, compio un passo nel vuoto, ritrovandomi in caduta libera dal decimo piano di un edificio di Manhattan. Sbatto i piedi l'uno contro l'altro per due volte consecutive e, ad un palmo dal marciapiede, le suole si irradiano di un azzurro luminescente e la propulsione contenuta nel reattore Arc mi impedisce di sfracellarmi a terra e al contempo mi consente di prendere il volo. Durante la risalita, incrocio lo sguardo di Captain America, ancora accigliato sul bordo del tetto: anche se quegli occhi blu avessero potuto fulminarmi, non ce l'avrebbero fatta, perché in meno di un secondo mi sono già librata in cielo, diretta a casa.
   
 
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