E mi manchi
 
Cavalco lentamente verso palazzo Jarjayes, lasciandomi alle spalle Parigi e questa interminabile notte tra le sue strade.
La pallida luce dell’alba si riflette sul canale della Senna, il vento muove piano i fili d’erba lungo l’argine e la criniera di Caesar. Anche lui, come me, procede a capo chino, con una lenta andatura.
I miei uomini non mi rispettano, sfidano in ogni circostanza la mia autorità, perché sono una donna, perché sono aristocratica. E se ordino loro di intervenire a favore di un nobile, non si muovono…e mi ridono in faccia; sono certa che se anche li punissi non cambierebbe niente, anzi, sono convinta che sia proprio quello che si aspettano da me.
Ho fatto un lieve cenno del capo cercandoti alle mie spalle, per parlartene, per sapere se la pensi così anche tu…e ho visto solo la mia ombra, appena accennata.
Non ci sei più, ormai.
Io ho cacciato l’attendente, tu hai cancellato l’amico.
Ti sei arruolato, ci vediamo tutti i giorni, ma niente è più come prima.
Volevo una nuova vita, che fosse veramente come quella di un uomo; soprattutto volevo una vita vera, autentica, dopo vent’anni circondata dalla vacuità di Versailles.
Non rimpiango la mia scelta e so di avere la forza e le risorse perché anche i soldati della Guardia Francese possano apprezzarmi.
Solo vorrei in questo momento di stanchezza il conforto del tuo sguardo, una battuta, con la quale farmi sorridere, o farmi pensare…sei sempre riuscito a fare entrambe le cose. Sapere che ci sei, e che qualsiasi cosa debba affrontare, ho almeno una persona al mio fianco…e sei tu!
Ho considerato il tuo appoggio una debolezza, una debolezza da donna, qualcosa di cui dovevo fare a meno. Per dimostrare a me stessa di valere quanto un uomo.
Io ho cacciato l’attendente, io ho dimenticato l’amico.
E adesso ti vedo, dalla distanza che abbiamo messo tra noi, immobile, e non so chi e come riuscirà a fare il primo passo verso l’altro. Vedo tutto quello che avevamo e che non esiste più, quello che avevamo e che allora non comprendevo appieno.
Alzo lo sguardo.
Il sole è sorto, la sua luce così limpida fa brillare la cancellata del palazzo, che si apre al mio arrivo, come mossa da mani invisibili. 
Un servitore si avvicina e prende le redini di Caesar. Smonto da cavallo e mi avvicino all’ingresso. Tua nonna già mi attende sulla porta, con l’aria contrariata di chi non trova salutare per me rientrare a quest’ora. Con la coda dell’occhio vedo anche mio padre scostare le tende della sua camera, e studiarmi dall’alto. Anche lui preoccupato, per quello che considera un assurdo colpo di testa che mi ha condotto lontano da ciò a cui mi aveva destinato.
Non mi importa cosa pensano, voglio solo sfilarmi gli stivali e gettarmi sul letto a dormire.
Un’ultima occhiata al cortile ormai deserto.
E mi manchi.