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Autore: myyouthisyourss    28/08/2021    0 recensioni
Quando la psicologa decide che ormai il suo aiuto non è sufficiente a placare le sue ossessioni e concorda con la famiglia un nuovo piano terapeutico, Beatrice viene portata in un centro per disturbi psichiatrici.
Quel luogo, inizialmente mal visto, diventa sin da subito la sua nuova casa e subito inizia a sentirsi parte di una piccola realtà fatta di persone con cui finalmente riesce a non provar disagio.
Beatrice non aveva mai avuto una vera vita, non aveva mai avuto dei veri amici,
il suo cuore non aveva mai battuto davvero, e quando conosce Damiano, inizia per la prima volta a sentirne le pulsazioni.
Genere: Avventura, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Universitario
Capitoli:
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Ero arrivata da poche ore e giá molte cose mi erano chiare di quel posto: i ragazzi si etichettavano tra di loro, un po' per scherzo e un po' per prepotenza, adoravano far gruppo, le persone nuove venivano osservate come alieni per almeno ventiquattro ore, volevano sapere tutto di te e soprattutto, cosa più importante, la mensa proponeva del cibo di media qualità ma completamente privo di sale.

Fu proprio durante la mia prima cena in mensa che Luce mi presentò il suo piccolo gruppo di amici. Primo fra tutti Carlo. Vent'anni, studente di comunicazione, autolesionista, si presentò a me esordendo con una battuta che fece sorridere un po' tutti.

"Regola numero uno: i ragazzi anoressici sono i tuoi migliori amici"

"Perché?"

"Semplice, sono costretti a mangiare abbondantemente e soprattutto cibo migliore del nostro. Loro passano il cibo a noi così siamo felici entrambi, vero Luce?" disse facendole l'occhiolino.

"Ben detto" rispose la mia esile compagna passandogli il gelato che aveva come dessert sotto al tavolo.

Al tempo quella situazione mi provocò un senso di divertimento, era bello fare delle battute sulla propria condizione psicologica, poterne parlare liberamente, a scuola questo non accadeva. Avevo appena affrontato il mio ultimo anno di liceo e mai una volta, neanche una singola volta, mi ero sentita libera di parlare di disturbi psicologici.

La seconda persona che mi presentò fu Alessia, meglio conosciuta come Alex, una ragazza convinta di avere origini americane, bugiarda cronica e narcisista patologica, non capii perché una ragazza del genere così egocentrica e fastidiosa facesse parte del gruppetto di Luce, pensai che nonostante le apparenze avesse il suo perché.

"Quindi perché sei qui?" mi chiese mentre con la forchetta sminuzzava il cibo nel suo piatto.

"Disturbo ossessivo compulsivo. Per fartela breve...conto qualsiasi cosa e odio i numeri dispari, mi mettono a disagio" dissi alzando gli occhi al cielo.

"Sai, ho visto un film che parlava parla proprio di questo"

"Giá, hai mangiato otto pezzettini di pollo comunque"

"Immaginavo che stessi pensando a quello, sono sempre osservata da tutti" rise, Carlo e Luce si guardarono alzando gli occhi al cielo.

La verità è che non stavo assolutamente contando i morsi di Alessia, volevo solo cercare di capire che reazione avesse avuto. La mia concentrazione era principalmente posta al piatto di Luce. Volevo assicurarmi che mangiasse, e non perché fosse la mia più cara amica, anzi, la conoscevo da poche ore, ma sentivo il bisogno di capire i suoi comportamenti.

Osservai attentamente e notai che solo uno stupido non si sarebbe accorto dei suoi evidenti problemi col cibo. Aveva sminuzzato il pollo in piccolissimi pezzettini, ne contai almeno trentasette, prima di portarsi un pezzettino alla bocca girava e rigirava il cibo con la forchetta, lo ispezionava e sceglieva i pezzettini migliori. Successivamente tendeva a toccarsi i capelli, segno di evidente disagio, prima di portare un minuscolo boccone alla bocca. Non ingoiava subito, masticava, masticava e masticava come se volesse triturare ancor di più quel pollo che ormai aveva preso le sembianze di una pappetta per neonati. Poi beveva, quasi come se stesse mandando giù una pillola amara e ripeteva tutto il processo senza saltare un passaggio.

Mangiò tutto il pollo, gran parte dei piselli al forno e bevve tutta la bottiglietta d'acqua da mezzo litro che aveva accanto. Il gelato non lo mangiò, lo passò a Carlo mentre facevo la sua conoscenza, stessa cosa il pane che diede ad Alex che era molto più affamata di lei.

Ero sollevata, ero sicura del fatto che avrebbe dovuto mangiare di più, ma almeno stava mangiando. Fu un sollievo considerando che mi aveva raccontato che prima del centro era capace anche di digiunare tutto il giorno e bere litri e litri di acqua.

Carlo e Alex continuarono per tutto il pranzo a parlare di cose che non riuscivo a capire, di sociologia, antropologia e materie universitarie di cui capivo ben poco.

"Anche tu studi scienze della comunicazione?" chiesi ad Alex vedendola particolarmente interessata.

"In realtà no, sono solo un'appassionata. Non mi piace l'università, una volta uscita da qui voglio fare dei provini per diventare modella" sorrise.

"Te lo auguro" sorrisi pensando che probabilmente ce l'avrebbe fatta data la sua bellezza.

"Tu studi?" chiese Carlo.

"Mi sono diplomata quest'anno al liceo classico, ancora non sono sicura di quello che voglio fare"

Non ero sicura di quale sarebbe stata la mia strada, la mia unica certezza era quella di volermi liberare delle mie ossessioni e delle mie manie. Non aveva senso iniziare un altro percorso con una mente travagliata come la mia. A diciott'anni c'è chi sogna di diventare medico, chi modella, chi di aprire un negozio, tutti iniziano a pensare al proprio futuro, io volevo solo essere normale.

"Non mi hai detto il numero della tua camera" mi disse Lu mentre si asciugava delicatamente la bocca con un tovagliolo di carta. La sua magrezza faceva sembrare ogni suo movimento delicato e leggero, la invidiai per un attimo.

"Sono nella cento-due" risposi.

Carlo e Luce scoppiarono in una risata sonora, Alex si portò una mano sulla fronte e sbuffò esclamando "Ecco lo sapevo", poi mi guardò con fare apprensivo e ironico allo stesso tempo e mi diede una pacca sulla spalla. Chiesi ingenuamente perché stessero ridendo.

"Ci dispiace per te" disse Luce sorridendo.

"Cosa c'è di male nella mia camera?"

"Nella tua nulla, in quella accanto c'è un grosso problema" rise Carlo.

"Stupido, la spaventi" replicò Luce dandogli una piccola spinta. Poi si guardò intorno, si chinò sul tavolo e sussurrò per non farsi sentire. "Accanto a te, nella stanza.." esitò un attimo "..nella stanza accanto alla tua c'è Damiano, un grosso problema".

Non potevo sapere chi fosse Damiano, ma il modo in cui Luce aveva pronunciato il suo nome e in cui i ragazzi avevano riso mi aveva fatto pensare a un ragazzo che causa problemi o che perlomeno ne aveva causati a loro. Non ero preoccupata, nonostante fosse il mio vicino di stanza, sapevo di non essere una ragazza da pestare, anzi, sapevo benissimo difendermi da ogni cosa, talvolta con un pizzico di aggressività che accompagnata al mio profilo psicologico ben evidente, ai miei capelli nero corvino e i miei occhi scuri destava un certo timore in chi provava a prendersi gioco di me. L'avevo imparato col tempo, grazie alle delusioni, le prese in giro. La mia fragilità era scomparsa col tempo e si faceva evidente solo quando ero completamente sola, con gli altri ero capace di diventare la peggiore delle iene.

Bastava una piccola parola di troppo, un piccolo gesto e la mia ira funesta non poteva più essere trattenuta.

"Non ho problemi coi ragazzi" risposi sistemando il vassoio per poterlo riportare alla signora che si occupava di ripulire la sala.

"Figurati, lui non é uno che da quel tipo di problemi"

"Quindi?"

"Damiano é..." Carlo si girò in torno come per assicurarsi che non ci fosse nessuno e poi con una mano davanti alla bocca sussuró "..é un tossicodipendente, un drogato, alcolizzato"

"E cosa ci fa in una clinica per ragazzi con problemi psichiatrici? Non esistono centri specializzati per questo problema?"

"É il figlio della direttrice"

Mi parlarono di questo ragazzo come se fosse innominabile, mi raccontarono che era il figlio della direttrice, la quale odiava far sapere in giro dei problemi di tossicodipendenza del figlio, per cui preferiva tenerlo nella sua clinica spacciandolo per un ragazzo con problemi di ansia sociale e aggressivo. In realtà, a detta loro, tutti erano a conoscenza dei problemi di Damiano legati alla droga e che la madre era l'unica a fingere che nessuno sapesse niente.

"Sai, è stato addirittura in carcere per aggressione alla sua ragazza che stava provando a calmarlo in un momento di panico"

"Quindi è pericoloso?"

"Non lo so, sembra un tipo tranquillo, ma credo sia a causa dei sedativi. A volte durante la notte urla quando i farmaci smettono di fare effetto, urla perché ha bisogno della sua roba e gli infermieri sono costretti a sedarlo nuovamente. È per questo che non vorrei mai essere la sua vicina di stanza, non riuscirei a dormire" esordì Alex.

"Tranquilla, ho problemi di sonno a prescindere da Damiano, magari ci teniamo compagnia" risi.

"Non scherzare" disse Luce "E soprattutto, se lo vedi, ricordati di evitarlo"

E così, con quella premessa, quell'avvertimento ritornammo ognuno nelle proprie stanze. Dalla mensa alla mia camera contai duecento-trentacinque passi e ovviamente, prima di rintanarmi, fu inevitabile non buttare un occhio sulla porta della camera cento-tre. Sembrava una stanza esattamente uguale alle altre, con la porta azzurrina e il numero in rilievo in oro, tutto perfettamente normale e omologato se non per la persona mentalmente instabile (a detta dei miei compagni) che vi dormiva.

Nella mia camera avevo sistemato quasi tutto, inviai un messaggio a mia madre chiedendole di portarmi qualcosa per decorare la camera, quelle pareti rosa così spoglie e prive di senso causavano in me un senso di ansia e vuoto.

Guardai il soffitto sdraiata sul letto per un tempo che mi sembrò un'eternità, fissai le due crepe che avevo già notato la mattina e mi accorsi che partivano come crepe singole ma che poi si ramificavano fino quasi a incontrarsi in un punto ben preciso, sembravano quasi dei neuroni in sinapsi e mentre facevo questo pensiero mi resi subito conto di quanto fosse stupido. Contai i passi dal letto al bagno, erano distanti circa venti passi. Piansi, piansi tantissimo. Non era tristezza, ero anzi felicemente compiaciuta di come ero stata accolta, era più malinconia di un qualcosa che non avevo mai vissuto. Piansi perché avrei voluto avere una vita normale, con degli amici con cui uscire, con cui ridere, avrei voluto avere una combriccola scolastica con cui combinare guai e ridere, ridere di cuore.

Che strana cosa la nostalgia, a volte sale come un nodo alla gola perché rimpiangi i vecchi tempi, altre invece perché non hai mai vissuto quel che volevi. La nostalgia é così é mancanza, ma anche assenza.

Pensavo a quei ragazzi così anonimi e allo stesso tempo così tormentati, per un attimo mi sentii meno sola, infondo la guerra non la vince mai un solo soldato.

Quella sera mi addormentai esattamente col cuscino tra le braccia e le lacrime agli occhi, fui svegliata qualche ora dopo da un odore forte, intenso, un odore catramoso e di bruciato seguito da un rumore scricchiolante, un po' come quando in pieno autunno calpesti le foglie secche sull'asfalto. Mi alzai di scatto e mi accorsi di aver lasciato il balcone aperto anche se non ricordavo di essere stata in terrazzo.

Mi accorsi che quello sgradevole odore che stava delicatamente entrando nella mia camera proveniva esattamente da li.

Chiusi le finestre di vetro del balcone, subito dopo sentii un rumore di passi provenire dallo stesso. Aprii delicatamente la porta e una figura nera nello scuro mi apparve davanti, diedi un piccolo urlo di spavento.

"Shh, silenzio" esclamò l'ombra nera tappandomi la bocca e portandomi dentro.

Accese la luce sapendo perfettamente dove si trovasse l'interruttore, l'ombra nera ebbe un volto. Era alto, magro, non quel magro eccessivo, anzi, era proporzionale alla sua statura. Aveva capelli scuri lunghi fin sotto l'orecchio che aveva accuratamente tirato dietro, sulla faccia nessun accenno di barba, naso leggermente incurvato, un'incurvatura che non appariva come un difetto, quasi gli donava.

Indossava un pantalone a quadri di un pigiama, non indossava la maglia e gli si vedevano perfettamente i tatuaggi sulle clavicole e uno che sembrava scendere fino al pube. Occhi scuri accentuati ancor di più da un leggero strato di matita nera nella rima inferiore, mani esili e unghie colorate da uno smalto nero opaco.

"Non volevo spaventarti" disse con la sua voce graffiante.

Mi sedetti sul letto con una mano sul cuore come a riprendere i battiti. Non avevo minima idea di chi fosse quel ragazzo, ma dall'aspetto mi fece pensare che facesse parte della clinica.

"Chi sei e cosa ci fai qui?"

"Sono il ragazzo accanto, mi dispiace averti spaventata" rispose giocherellando con un accendino. Nel momento in cui accese la fiamma riuscii ad intravedere il cerchietto che portava al naso. Non ci pensai, ero talmente preoccupata a sentire i battiti del mio cuore affievolirsi piano piano che non pensai minimamente potesse essere lui.

"Come ti chiami?" mi lasciai scappare ingenuamente.

"Mi chiamo Damiano" disse sedendosi a terra e incrociando le gambe.

Ed eccolo li, lui, Damiano. Ora che aveva pronunciato il suo nome, mi rimbombava forte nella testa come un eco in montagna. La prima cosa che pensai fu che non mi sembrava pericoloso come mi era stato descritto. Non avevo mai visto un ragazzo tossicodipendente, li avevo sempre ingenuamente immaginati come ragazzi tristi, invecchiati, corrosi dalla droga, coi capelli sbiaditi e i denti gialli e tremendamente aggressivi e scontrosi. Damiano sembrava esattamente l'opposto, così curato, così per bene. Lo fissai sforzandomi di cercare qualche difetto nella sua figura, qualche segno evidente della sua dipendenza, ma non ne mostrava neanche uno. Non sembrava nè rude nè folle, era un ragazzo normalissimo e persino lo smalto sulle dita, la matita sotto gli occhi e i tatuaggi evidenti che lo avrebbero dovuto far sembrare alternativo, ribelle e punk gli donavano, si sposavano perfettamente con la sua immagine. Mi domandai se fosse sempre così o fosse l'effetto dei farmaci che gli davano un'aria rilassata.

"Cosa ci fai qui?" chiesi a quello che mi era stato descritto come un ragazzo tendenzialmente pericoloso e che se non fosse stato sedato mi avrebbe probabilmente risposto in modo aggressivo.

"Hai preso la mia stanza preferita" disse indicando il balcone.

"Come scusa?"

"La mia camera non ha il balcone, ho le finestre blindate e la notte scappo sempre qui per fumare una sigaretta, questa é la prima volta che trovo qualcuno a dormire" alzó le spalle.

"Credo che ora non potrai più fumare, o per lo meno devi trovarti un'altra stanza" 

Guardò attentamente la stanza girandosi intorno, non che ci fosse qualcosa da guardare, era tutto completamente spoglio e privo di emozioni. Immaginai che, in quel poco di lucidità che conservava, stesse pensando a quanto apparisse vuoto quel mio piccolo angolo di vita.

"Come ti chiami?" mi chiese.

"Beatrice"

L'idea di un ragazzo piombato nella mia triste camera per fumare una sigaretta non era nelle mie corde.

Immaginai tutta la scena. Immaginai lui entrare nella camera cercando di sfuggire ai controlli degli infermieri, immaginai il momento esatto in cui mi aveva vista dormire e non curante della situazione era uscito fuori dal balcone. Immaginai che se fosse capitato in un momento in cui non era sotto effetto di sedativi sarebbe successo qualcosa, magari mi avrebbe aggredita una volta sveglia. Immaginai scene che mi inquietavano tremendamente.

"Senti sarebbe meglio se tu tornassi nella tua stanza" dissi alzandomi dal letto e trascinandolo col braccio vicino alla porta.

"Perché sei qui Beatrice?" chiese mentre stavo per aprire la porta. Menefreghismo, fu questo il primo difetto che gli trovai. Il menefreghismo e la non curanza che aveva avuto nell'invadere il mio spazio era lo stesso che aveva avuto mentre lo invitavo ad uscire.

"Non mi va di parlarne e a dirla tutta mi hai inquietata" mi uscì tutto d'un botto.

Si scusò e andò via senza dire più una parola, chiusi la porta e mi poggiai con la schiena di spalle.

Mi fece enormemente tenerezza il modo in cui era andato via, con gli occhi bassi. Subito mi venne in mente che probabilmente non era abituato a chiacchierare con qualcuno e che stava solamente cercando un'amica, qualcuno con cui scambiare due parole e che gli desse confidenza.

Damiano, dai capelli scuri e la voce profonda, aveva causato in me un senso di scoperta, stupore e allo stesso tempo inquietudine e tenerezza. Passai il resto della notte a pensare a come un ragazzo così curato, così limpido potesse cadere in un vortice così vizioso come la droga. Come si fa a cadere così in basso? Come si può rovinare la propria vita in maniera così fortemente irreversibile?

Del resto siamo uguali io e lui, pensai. Siamo ossessionati da qualcosa che ci mangia il cervello, qualcosa a cui pensiamo costantemente.

Alla fine non siamo poi così diversi.

La linea di confine tra i numeri e la droga e che questa, col tempo, ti divora anche fisicamente, ma mentalmente siamo uguali: completamente ossessionati e chiusi nel nostro mondo.

 

   
 
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