Capitolo
15:
aprile 1988. Maia
Non si può misurare la perdita,
il vuoto non ha confini.
Michele Ronchetti
La
porta
del salotto era chiusa, eppure le sentiva urlare come se si
trovasse
nella loro stessa stanza.
La
mamma
e la nonna non litigavano quasi mai, ma da qualche giorno sembrava
non
fossero capaci di fare altro.
«Pare
che
il Gran Sacerdote sia ormai prossimo alla morte e il Primo
Consigliere non
sta agendo con la sua abituale diplomazia. Le voci sono così varie
e
frammentate che neppure i vertici dell’organo di Coordinamento
riescono a
fornirci una versione univoca dell’accaduto. Però una cosa è
certa: al Grande
Tempio è successo qualcosa di terribile,
mamma. L’intero
Mondo Segreto è in subbuglio, dall’Africa alla Siberia, e io non
ho alcuna
intenzione di lasciarti portare Maia proprio nel bel mezzo del
caos! Ha a malapena
sette anni, per l’amor di Atena!»
«A
Rodorio
non si parla che del tradimento di Aiolos di Sagitter. La bambina
è
soltanto preoccupata per Aiolia, Eleni».
«È
proprio
questo il punto!» esclamò sua madre, inasprendo il tono
«Nonostante
siano trascorse quarantotto ore appena, il nome del Nono Custode è
già
diventato bestemmia; e tu vorresti accompagnare mia figlia da suo
fratello? Sarebbe come esporci tutti alla gogna!»
Poi,
abbassando
la voce sino a ridurla a un sussurro, sospirò tristemente: «Mi
piange il cuore ad ammetterlo, ma il destino di quella povera
creatura è
segnato per sempre; dal poco che so, sembra persino che nessuno
voglia più
fargli da maestro. No, anche ammesso che sopravviva, Aiolia non
sarà mai
cavaliere d’oro di Leo».
«Dovresti
vederlo
adesso, mamma: saresti felice di scoprire quanto ti sei sbagliata»
pensò Maia, osservando il profilo di Aiolia stagliarsi magnifico
nell’incerta luce
del primo mattino; la stava aspettando appoggiato alla balaustra della
terrazza
panoramica di Rodorio, lo sguardo perso nel mare dinanzi a lui.
Oltre
loro
due, solo qualche gabbiano di passaggio. Si erano dati appuntamento lì
e a
quell’ora proprio con l’intento di non incontrare nessuno che potesse
disturbarli: Maia non era ancora rientrata al Santuario e non voleva
che confuse
voci di corridoio precedessero il suo effettivo ritorno.
«Aiolia,
sono
qui».
«Lo
so.
Hai mantenuto la pessima abitudine di camminare trascinando i piedi».
Aiolia
si
voltò lentamente nella sua direzione, una mano stretta sulla ringhiera
e gli
occhi verdi dilatati come quelli di una fiera dubbiosa; Maia gli
permise di studiarla
senza fretta, quasi dovesse conquistarsi la fiducia di un gatto
selvatico un
po’ altezzoso, però era terrorizzata.
Si
era
ripromessa di accettare stoicamente qualunque trattamento avesse
voluto
riservarle, ma in quel momento realizzò che non sarebbe mai riuscita
davvero a
sopportare il disprezzo di ‘Lia.
«Perché
ci
hai messo tanto?» chiese infine quest’ultimo, dopo un tempo
mostruosamente
lungo.
«M-mi
dispiace.
Adesso abito ad Atene, e il primo autobus per Rodorio parte alle-»
«Perché
ci
hai messo tanto a decidere di farti viva?»
«Oh».
«”Oh”?
È
tutto quello che hai da dire?!» dinanzi al suo commento spaesato,
Aiolia
serrò i pugni «Dacché te ne sei andata, io sono sempre stato l’unico
sciocco a
sperare di ricevere tue notizie. Hai idea di quanto ho aspettato un
tuo
messaggio, una tua lettera, un tuo qualsiasi cosa che mi
assicurasse che
stavi bene?»
«No,
non
ce l’hai» continuò poi, senza attendere repliche «Mi sono sforzato di
non
pressarti, come volevano gli altri, e tu mi hai ripagato con quasi due
anni di
assoluto silenzio. Quando Shaka – Shaka! – mi ha detto che volevi
incontrarmi,
stavo quasi per dirgli di mandarti al diavolo da parte mia. E ora ti
presenti
qui con i tuoi “Oh” e quei capelli… »
«L-li
sto
facendo ricrescere biondi. Ci vorrà del tempo, il rosso è un colore
d-difficile da mandar via».
Maia
era
così annichilita da quello sfogo che non aveva trovato nulla di meglio
con
cui ribattere: in fondo, Aiolia aveva ragione.
Era
stata
lei ad andarsene, maledicendo tutti coloro che avevano cercato di
trattenerla; poi, troppo presa dal proprio dolore per soffermarsi a
riflettere
sulla possibilità che anche loro soffrissero, non si era più
fatta sentire.
Si aspettava forse un comitato di “bentornata”?
«Quant’è
vero.
I miei ci hanno messo un bel po’ a perdere quella terribile tinta
arancione, ti ricordi?»
L’inaspettata
dolcezza
con cui Leo aveva pronunciato quella frase spinse Maia ad alzare la
testa per poterlo guardare in faccia: i suoi occhi si erano fatti più
morbidi e
lucidi, come se fosse sul punto di piangere.
«Dannazione,
Maia,»
sussurrò quindi il cavaliere, avvicinandosi e sollevandola tra le
braccia prima che lei potesse rendersene conto «mi sei mancata
terribilmente».
*
Neppure
Saga
aveva mai potuto competere con la terrena solidità del Nono Custode:
la
mistica bellezza di Gemini era sempre risultata troppo inavvicinabile
perché
qualcuno, foss’anche il più valoroso dei guerrieri, vi si potesse
identificare.
Da
piccolo
Aiolia era andato smisuratamente orgoglioso della sua stupefacente
somiglianza col fratello maggiore, tanto da cercare di accentuarla in
ogni
maniera possibile: non contento di rassomigliargli solo fisicamente il
futuro
Leo aveva addirittura provato ad acquisirne i modi, imitando di
nascosto la sua
camminata e scimmiottando senza successo il suo tono baritonale.
A
seguito della Notte degli Inganni, però, gli sforzi del bambino
avevano preso direzione
opposta quasi di punto in bianco; superati i primi momenti di nera
disperazione, infatti, Aiolia si era smarcato dalla figura ormai
maledetta di
Sagitter con una velocità tale da far pensare che fosse il primo a
credere
ciecamente nel suo tradimento.
I
toni gentili da lui appresi con tanta solerzia avevano ben presto
lasciato il
posto a un atteggiamento ruvido e un po’ strafottente che diventava
aggressivo
al minimo scherno; in luogo del suo caldo sorriso si era calato in
volto una
maschera di serietà e abnegazione che, all’inizio, nemmeno Maia e Milo
erano
riusciti a scalfire.
Aveva
anche
iniziato a pretendere di essere chiamato “‘Lia” in luogo di “Aiolia”
e posto un tabù assoluto su qualsiasi argomento che riguardasse il suo
scomodo
legame di sangue, la cui ossessione aveva continuato a perseguitarlo
persino
dopo la – insperata, eppure desideratissima – investitura a Gold
saint.
«La
cosa
peggiore di tutte era guardare dentro lo specchio e accorgermi che,
negli
anni, la mia faccia si stava facendo sempre più simile alla sua: come
se,
nonostante tutti i miei sforzi, fossi comunque destinato a
trasformarmi in lui.
Finché un giorno, preso dalla rabbia, ruppi lo specchio in mille pezzi
e decisi
di… tingermi i capelli».
«Davvero
lo
facesti per questa ragione?» chiese Maia sbigottita, drizzando
la
schiena.
Erano
seduti
su una delle tante panchine che fiancheggiavano il camminamento, sotto
i
rami frastagliati di un vecchio albero spoglio: a quell’ora il sole
d’aprile
era ancora troppo dolce per dare fastidio.
A
dispetto della gravità dell’argomento, Aiolia si lasciò sfuggire una
risatina:
«Esatto. Che stupido, vero?»
«No.
Ma
non mi aspettavo che dietro quel colpo di testa ci fosse un motivo
così
serio».
Si
ricordava
benissimo di quel pomeriggio, quando Aiolia era uscito dalla Quinta
Casa con una nonchalance inversamente proporzionale alla vividezza
della sua nuova
tinta mandarancio.
«Beh?
Che
avete da guardare?»
«Mah,
non
saprei. O ti hanno rovesciato un otre di succo d’arancia in testa
mentre
dormivi, oppure i miei occhi hanno decisamente qualcosa che non
va. Tu che ne
dici, ‘Mus?»
«Dico
che
non sono affari nostri, Milo».
«Certo
che
lo sono! Non posso andare in giro con uno conciato così, ne va
della mia
reputazione! Maia, ti prego, supportami almeno tu!»
All’epoca
Maia
non era riuscita a trattenersi dallo scoppiare a ridere, bollando la
cosa
come un bizzarro moto di ribellione adolescenziale; se avesse avuto il
minimo
sentore del reale significato di quel gesto, la sua reazione sarebbe
stata
certamente diversa.
«Per
questo
sono rimasto così sconvolto, quando ti ho vista. Mi hai ricordato me
stesso – e la mia disperazione» sussurrò Leo, afferrandole con
delicatezza una
ciocca di capelli «Trovo insopportabile pensare di non esserti stato
accanto in
un momento simile».
«Si
può
dire che io sia stata mossa da motivi totalmente opposti ai tuoi.
Coll’andare
del tempo, mi sono resa conto che il suo viso stava sbiadendo
dalla mia
memoria ogni giorno di più. Non… potevo permettere che accadesse».
«Ha
funzionato?»
Maia
scosse
flebilmente la testa, lo sguardo basso: «No».
«Già.
Neppure
con me».
Dopo
quell’amara
constatazione i due rimasero in silenzio per un po’, cercando forse
di mettere ordine nei rispettivi pensieri.
Se
Maia
guardava al passato, poteva affermare di aver sempre avuto un buon
rapporto con Aiolia.
Il
suo
carattere nient’affatto impulsivo le aveva permesso di arginare gli
scoppi
d’ira dell’amico nella stragrande maggioranza dei casi, permettendole
di
rimanergli affianco anche quando a tutti gli altri risultava
inavvicinabile; non
se l’era mai presa troppo per i suoi modi bruschi, che sapeva essere
soltanto
il frutto più evidente di un dolore né accettato né sopito – un dolore
troppo
grande e radicato per guarire grazie al mero scorrere delle stagioni.
Al
netto
di questo, tuttavia, era altrettanto vero che stare vicino al Leone
spesso le era risultato pesante: non di rado bastava una sola parola
sbagliata
a scatenarne la reazione, come fosse stato una bomba a orologeria
perennemente
in procinto di esplodere.
Ora,
però,
la costante tensione che aveva caratterizzato il fare di Aiolia per
lunghissimi anni sembrava essersi dissolta.
Non
era
una cosa di cui ti accorgevi subito: bisognava prestare attenzione a
dettagli apparentemente di poco conto, come il tono di voce o la
postura che
prima soleva adottare, e confrontarli con la quieta serenità che
adesso
promanava dalla sua figura; quasi che un enorme giogo gli fosse
rotolato via
dalle spalle, lasciandolo finalmente libero – libero da
sospetti, senso
di colpa, paura, risentimento.
Libero
di
essere se stesso, né uguale né diverso da Aiolos di Sagitter.
«Come
hai
fatto?» gli chiese Maia all’improvviso, girando completamente il busto
verso di lui «come hai fatto a sbarazzarti del rancore? Io ci sto
provando
disperatamente, ma è come se avessi uno spillo conficcato nel ventre.
A volte
punge tanto che non riesco a pensare ad altro».
La
visita
di Shaka aveva avuto l’indubbio merito di liberarla dalla teca di
ghiaccio in cui da sola si era ibernata, ma tornare a sentire
non era
stato affatto indolore: in alcuni momenti il riaffiorare di certe
immagini la
colpiva così intensamente da paralizzarla, come se non fosse passato
che un
istante da quando, dopo essersi svegliata, Aiolia le aveva ricordato
quanto
accaduto durante la battaglia delle Dodici Case.
Quell’assurdo
sentore
di impotenza e ineluttabilità era l’emozione più terribile che avesse
mai provato e rappresentava uno dei principali motivi per cui aveva
lasciato il
Grande Tempio; nonostante fossero trascorsi anni, dubitava di essere
capace di
fronteggiarlo senza lasciarsi sopraffare – ammesso, poi, che ci
sarebbe mai
riuscita davvero.
«Non
me
ne sono sbarazzato. È ancora qui dentro, sai» rispose il Leone,
poggiandosi
distrattamente una mano sul petto «solo che, come dire… morde con meno
violenza. E meno spesso».
Poi
abbassò
lo sguardo su quello di lei, gli occhi carichi di consapevolezza e
partecipazione: «Te lo dissi quel giorno, ricordi? Io so bene cosa
significhi covare
risentimento: l’ho fatto per quasi tutta la mia esistenza. Ci ho messo
anni ad
imparare come rimanere impassibile al cospetto del Gran Sacerdote, e
altrettanti
ne ho impiegati per sfilare accanto a Shura senza provare l’impulso di
saltargli al collo; non puoi neanche immaginare quanto sia stato
difficile
resistere alla voglia di scoppiare, di cedere ai miei istinti peggiori
– di
diventare una bestia e ammazzarli tutti».
«Oh,
sì
che posso».
«Ovviamente,
neppure
Aiolos si salvava dalla mannaia del mio astio. Ma questo non diminuiva
affatto l’odio che provavo per Capricorn, Arles e tutti i miei
detrattori».
«”Provavi”?!
Adesso
che conosci la verità non è anche peggio?»
«Ti
sembrerà
strano, ma… no».
A
quell’affermazione, la ragazza gli rivolse un’occhiata di sincero
stupore: «In
che senso?»
Prima
di
rispondere, il Leone dorato si prese un momento.
«Scoprire
che
mio fratello non è morto nell’infamia del peccato mi ha dato un sollievo
che non pensavo di essere in grado di provare» cominciò quindi, la
voce rotta dall’emozione
«Un sollievo tale da far scolorire tutto il resto. Io… »
Poi
si
interruppe, evidentemente sopraffatto.
«Va
bene
così, ‘Lia. Non serve che tu ti sforzi, credo di aver capito».
«Scusa:
è
difficile spiegarlo a parole. Però, è importante che la tua domanda
trovi risposta.
Mentirei, se ti dicessi che ho perdonato… ma la verità non è mai
semplice come
appare. Spesso la ragione non sta interamente da una sola parte: anche
le
azioni peggiori possono essere sorrette da motivi giustificabili».
«Peccato
che
saperlo non consoli» bisbigliò Maia, mordendosi l’incavo della guancia
sino
ad affogare il sapore di bile in quello del sangue «Anziché darmi
pace, la
consapevolezza non ha fatto altro che intorbidire ciò che avevo di più
prezioso».
Dopo
la
scomparsa di Camus e il totale sgretolamento del suo personale
universo, l’unica
cosa che le aveva permesso di non naufragare del tutto era stata la
purezza del
sentimento che provava per Aquarius: nell’estremo tentativo di non
affogare nella
devastazione generale, si era aggrappata ad essa con la stessa tenacia
di un
religioso che protegga la reliquia più sacra dall’incendio della
Cattedrale.
Aveva
creduto
che nulla potesse infangare l’altare su cui brillava l’effige di
Camus;
nulla, tantomeno banale razionalità. E invece…
«Quando
l’abbacinante
dolore dei primi tempi ha cominciato ad attenuarsi, mi sono
accorta di non riuscire più a pensare a Camus senza addossargli una
parte di
responsabilità. Il ricordo del suo volto, della sua voce, di quanto
abbiamo
vissuto insieme ha iniziato a mischiarsi sempre più c-coi terribili
attimi
all’Undicesimo Tempio, costringendomi ogni volta a domandarmi come
sarebbe
stato se… se solo si fosse fermato prima».
Un
solitario
refolo di vento le spinse i capelli sulla faccia, guizzo rossastro
nell’aria chiara – «La fiamma sbiadita di ciò che è stato».
«Realizzare
di
come sia andato incontro alla morte pur sapendo di essere in torto mi
ha fatto
nascere il dubbio di averlo amato unidirezionalmente. Quale senso ha
avuto la mia
levata di scudi sulla sua memoria, se è stato proprio lui a scegliere
di…?»
Maia
sapeva
che il suo era un discorso contorto e confuso, ma si sforzò comunque
di
continuare: desiderava ardentemente che Aiolia comprendesse. Che
potesse darle
il conforto cui tanto aspirava.
«La
verità
è che mi sembra di aver sofferto – e di soffrire – per un sentimento
che
non è mai esistito. Eppure, nonostante questo, continuo a provare un
malessere
sordo che non mi dà tregua: ce l’ho nella testa, nello stomaco…
dappertutto. Non
riesco più a difendere Camus incondizionatamente e, al contempo, non
sono
ancora capace di rassegnarmi. C-cosa diavolo dovrei fare?»
«Shaka
ci
aveva visto giusto… incredibile!» mormorò Aiolia a quel punto,
apparentemente perso nelle proprie riflessioni; poi, riscossosi, la
strinse a
sé con fare protettivo. Maia gli si acciambellò contro volentieri:
aveva sempre
trovato rassicurante la determinazione dell’amico, confortevole e
calda come il
colore ambrato della sua pelle.
«Il
cordoglio
non ha motivi né confini, Maia. Non saranno uno scopo, una fonte o
una ragione a renderlo meno atroce: l’assenza di una persona
importante fa male
a prescindere. Puoi benissimo avercela con Camus e, allo stesso tempo,
continuare a provare dolore per la sua scomparsa. Una cosa non esclude
l’altra».
«Comunque,»
proseguì
poi, scrutandola dritto negli occhi «io non credo che lui non ti
ricambiasse. Cam era solo… troppo attaccato ai propri ideali – tanto
da
morirne. La decisione che ha preso non ha nulla a che fare coi suoi
sentimenti
per te».
«”Tutto
ciò
è avvenuto per colpa della mia ostinazione”: è questo che mi ha
detto,
prima di morire. Faticava persino a respirare, ma il suo viso aveva
un’espressione mai vista. Così… serena».
Fra
la
miriade di dettagli che ricordava di Camus, l’immagine del suo sguardo
trasognato a pochi istanti dalla fine capeggiava indiscussa: era stato
allora
che aveva capito di averlo perso per sempre.
«Maia,
guarda quella luce… c’est si
belle, n’est-ce pas?»
Non
parlò
del resto: non delle promesse, non di Milo. Le mancò la forza.
Aiolia,
che
la stava ancora fissando, sembrò percepire la sua reticenza; tuttavia,
ebbe
l’accortezza di non indagare.
«Credo
di
sapere il perché» disse invece, scandendo lentamente le parole
«Probabilmente stava guardando Lei».
«L-lei…
»
«Sì,
Lei»
proseguì il Leone, la voce traboccante di adorazione ed orgoglio
«Contrariamente
a quanto credi, Atena ha tentato con ogni mezzo di salvare – anche – i
nostri
caduti. Ma essi Le erano troppo distanti: quando la Sua luce li ha
raggiunti, le
loro anime stavano già rispondendo al richiamo dell’Ade. Non è stato
possibile
riportarli indietro».
«Come
fai
a esserne certo?»
«L’abbiamo
percepito».
Gli
occhi
di Aiolia, da soli, erano in grado dire molte cose: tutte, eccetto le
menzogne.
In
quel
momento guardarli faceva un male terribile, eppure Maia non riusciva a
smettere.
Voleva
credergli
e, allo stesso tempo, aveva timore di farlo.
«Quelli
che affollano il tuo cuore sono dubbi
troppo intensi perché io possa sperare di dissiparli, Maia. Nessuno di
noi ne
sarebbe capace. C’è solo una persona in grado di darti le
risposte di
cui hai bisogno».
All’affermazione,
la
ragazza sentì un brivido salirle lungo la spina dorsale.
«La
Dea
sa che oggi sono qui. Le ho parlato di te: desidera incontrarti».
Se
dovessi
assegnare una collocazione al presente aggiornamento, direi che esso
rientra di diritto fra i classici capitoli di transizione; benché la
trama di
questa storia non sia esattamente delle più avvincenti (XD), ogni tanto
è comunque
necessario non far succedere praticamente nulla.
Nell’ambito
di
Sorella Morte, Aiolia è sempre stato il primo dei personaggi secondari:
l’ho
fatto comparire in quasi tutte le vicende messe in campo, spesso
assegnandogli
il ruolo di spalla (per Milo) o di “avversario” (per Shaka), ma non mi
ci ero
mai soffermata meglio.
Quando
penso
al cavaliere del Leone, la primissima cosa che mi viene in mente è un
amico fidato; se Virgo si è dimostrato l’unico in grado di scuotere
emotivamente Maia, nell’attuale stato dei fatti soltanto ad Aiolia ella
avrebbe
potuto confessare apertamente i propri dubbi – ancora troppo “umani”
perché uno
come Shaka potesse comprenderli e/o condividerli.
Spero
che
non abbiate trovato forzato il parallelismo fra la situazione di Maia e
quella di Leo: a mio avviso, escludendo il cruciale dettaglino circa il
torto o
la ragione dei rispettivi cari estinti, entrambi sono vittime di eventi
più
grandi di loro, ed entrambi sono stati costretti ad avere a che fare con
rancore e perdono.
Adesso,
al
solito, s’impone(?) qualche considerazione più mirata:
-
"Il
Gran Sacerdote è [...] e il Primo Consigliere [...] diplomazia" :
siamo due giorni dopo la Notte degli Inganni. Saga, che ha già ucciso
sia Shion che Aiolos, si sta "improvvisando" Primo Consigliere
(eliminato a suo tempo) in attesa di inscenare la morte del Gran
Sacerdote e prenderne definitivamente il posto. L’organo
di Coordinamento citato dalla madre di Maia è
un ente di mia invenzione, che vorrebbe fungere da raccordo tra il
centro di
potere del Santuario e i rappresentanti delle famiglie custodi;
-
«Quant’è vero. I miei ci
hanno messo un bel
po’ a perdere quella terribile tinta arancione, ti ricordi?» : isolata
ed estemporanea
citazione ad Episode G, dove Aiolia sfoggia dei capelli rossissimi.
-
«”Tutto ciò è avvenuto
per colpa della mia
ostinazione” e «Maia, guarda quella luce… c’est si belle,
n’est-ce pas?»
: frasi tratte dal capitolo 10, parte II;
-
L’idea
che Atena abbia cercato di riportare in vita anche i cavalieri d’oro
caduti (e
non soltanto i propri seguaci di bronzo raccomandati ) è frutto
della
mia fantasia: non so (o non ricordo) se corrisponda o meno a verità.
Ebbene,
anche
questo giro di giostra è andato; fatemi sapere che ne pensate, se vi va.
Ne sarei felice!
Un
abbraccio,
Irene