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Autore: Clementine84    30/08/2021    0 recensioni
“Ciao Siobhan”.
Al solo sentire la voce di Keith, le gambe mi erano diventate improvvisamente molli e avevo dovuto appoggiarmi al tavolino.
“Ciao” avevo risposto, scioccata.
.....
“So che ti starai chiedendo come mai ho deciso di farmi vivo, dopo tutto questo tempo, ma la verità è che non lo so nemmeno io” aveva ammesso, lasciandomi un po’ spiazzata.
“Presumo di aver pensato che era ora di farla finita con questa stupida situazione e ho pensato che oggi fosse il giorno adatto per tentare. In fondo, uno dei due doveva pur fare il primo passo”.
......
Keith era stato il mio primo, unico, grande amore, sarebbe stato inutile negarlo. Nei nove anni in cui non ci eravamo sentiti, avevo cercato di rifarmi una vita e, in parte, ci ero riuscita. Ero soddisfatta in campo lavorativo, ma decisamente delusa in quello affettivo. Avevo avuto qualche storia, ma nessuna era mai durata più di sei mesi. La scusa era sempre la stessa. Il mio lavoro, che nessuno sembrava essere in grado di sopportare, tranne io.
Genere: Fluff, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Non appena l’aereo fu decollato, mi slacciai la cintura di sicurezza e abbassai lo schienale del sedile, cercando di mettermi comodo. Lanciai un’occhiata fuori dal finestrino e mi scontrai contro l’azzurro limpido del cielo, sopra alle nuvole. Sorrisi. Nonostante fosse ancora molto presto, si pronosticava una magnifica giornata. Mi ritrovai a pensare che, per me, sarebbe stata magnifica lo stesso, anche con tuoni e fulmini. Dopo anni di sofferenze e indecisione, avevo finalmente trovato il coraggio di chiamare Siobhan. Ci avevo provato milioni di volte, invano. Componevo il numero ma, all’ultimo momento, riattaccavo, prima che iniziasse a squillare. Era troppo difficile. Faceva ancora male. In nove anni, avevo fatto di tutto per dimenticarla. Avevo avuto numerose relazioni, più o meno serie e durature, con svariate ragazze, di cui alcune anche molto belle. All’inizio, mi sembrava di stare bene con loro e, ogni volta, mi convincevo di aver finalmente trovato colei che mi avrebbe fatto dimenticare il mio primo grande amore. Poi, però, succedeva qualcosa. Una piccola frase, un piccolo gesto. E io mi ritrovavo a pensare a Siobhan, a cosa avrebbe fatto e detto lei in quell’occasione e capivo di esserci ricascato di nuovo. La nostra storia non era durata moltissimo, ma era stata la mia prima relazione seria. Avevo passato talmente tanti di quegli anni a desiderarla segretamente che, quando finalmente era diventata mia, avevo creduto che il difficile fosse ormai passato e che saremmo stati insieme per sempre. Purtroppo non era stato così ed era stata colpa mia, quanto sua. Forse la sua reazione alla mia popolarità era stata esagerata, ma io non ero stato in grado di capire i suoi timori e l’avevo accusata di non tenere sufficientemente a me. Scossi la testa. Ormai era acqua passata, inutile continuare a pensarci. Finalmente, dopo tanto rancore, avevamo fatto pace e, forse, sarei almeno riuscito a recuperare la sua amicizia. Mi mancavano da morire le serate passate in compagnia sua e dei miei amici. Era stato proprio Martin a convincermi. A dire il vero, lui e Gavin ci avevano provato ininterrottamente, durante in primi anni della nostra separazione. Credo che, inconsciamente, sperassero ancora che tutto si aggiustasse e io e Siobhan potessimo tornare insieme, come ai vecchi tempi. Dopo un po’, però, vedendomi recalcitrante, avevano gettato la spugna, lasciando a me ogni decisone in merito. Un paio di giorni prima, però, io e Martin eravamo usciti per berci una birra. Eravamo a Monaco per dei concerti e Gavin aveva abbordato un’ammiccante ragazza bionda al bar dell’albergo. Sapevamo che non se la sarebbe portata a letto, non era il tipo, ma magari si sarebbero divertiti un po’ sui divanetti dalla hall, e non volevamo assistere, quindi avevamo deciso di uscire. Ci eravamo rintanati in un vecchio locale polveroso, pieno di rubicondi signori tedeschi e donne dall’aria mascolina, che facevano paura soltanto a guardarle, e avevamo ordinato due birre. Mentre ce ne stavamo lì, guardandoci attorno, era entrata di corsa una ragazza e, tutta trafelata, si era avvicinata al bancone, chiedendo qualcosa in tedesco. Mentre parlava, aveva abbassato il cappuccio della giacca, che teneva sollevato per via della neve, rivelando due buffe trecce castane. Senza nemmeno rendermene conto, avevo sorriso, perso nei miei pensieri, e Martin se n’era accorto.

“Ti ricorda lei, vero?” aveva chiesto, tranquillo.

Voltandomi a guardarlo, avevo annuito. Inutile negare l’evidenza. Siobhan portava spesso i capelli legati in due buffe treccine spettinate, era ovvio che avessi pensato a lei. Non potevo mentire proprio a Martin, che era sempre stato il suo migliore amico.

Il ragazzo aveva preso un sorso di birra, poi, appoggiando il boccale sul tavolo, mi aveva domandato “Ci pensi spesso?”.

Avevo sospirato. Sì, ci pensavo spesso. Qualche giorno più di altri, ma molte cose me la ricordavano, nonostante fossero passati tutti quegli anni.

“Continuamente” avevo confessato, abbassando lo sguardo sul mio boccale.

Martin era restato in silenzio per un po’, tanto che avevo pensato che considerasse chiuso il discorso.

Poi, inaspettatamente, aveva detto “Lei non ce l’ha più con te, sai?”.

Avevo spalancato gli occhi, sorpreso “Come fai a saperlo?”

“Me l’ha detto lei”.

Il mio cuore aveva iniziato a battere più velocemente e, cercando di non dare a vedere quanto mi interessasse saperlo, avevo chiesto “Davvero?”.

Il mio amico aveva annuito e, sorridendo, aveva risposto “Ti ha perdonato da un bel pezzo”.

Avevo preso un sorso di birra, per calmarmi, chiedendomi come mai soltanto parlare di lei mi facesse ancora quell’effetto.

Martin aveva continuato a guardarmi, con uno strano sorriso stampato in faccia, poi, tutto d’un tratto, aveva commentato “Mi chiedo quando vi renderete conto che non valeva la pena di perdere tutto quel tempo”.

Era stata come un’illuminazione. Improvvisamente avevo capito che Martin aveva ragione. Avevamo perso nove lunghi anni a portaci rancore per una cosa successa quando eravamo poco più che ragazzi. Ne valeva veramente la pena? Decisamente no. Quando Martin si era alzato per andare in bagno, avevo preso il suo cellulare e mi ero copiato i numeri di Siobhan. Il giorno seguente l’avevo chiamata, approfittando del suo compleanno. E quel giorno, alle 3:00, ci saremmo rivisti, dopo nove anni. Ero in trepidazione. Non sapevo come mi sarei comportato, ma la telefonata era andata così bene che avevo deciso di cercare di non preoccuparmi troppo e lasciare che il destino facesse il suo corso.

“Ehi” mi voltai di scatto, trovandomi di fianco Martin.

“Ehi” ribattei.

“Un euro per i tuoi pensieri” scherzò.

Sorrisi “Pensavo a Clifden”.

“Voglia di tornare a casa?” chiese lui, divertito.

“Una specie”.

“C’entra per caso una brunetta con le treccine?” azzardò.

Mi voltai a guardarlo, con espressione stupita.

Lui scoppiò a ridere di gusto “Mi ha mandato un messaggio” confessò.

“Non una parola, Keane” gli intimai.

Martin alzò le mani, in segno di resa “D’accordo” si arrese “Mi chiedevo soltanto se sapessi il suo indirizzo…”.

 

Arrivai davanti ad un grazioso palazzo con la porta verde e ricontrollai l’indirizzo, che Martin mi aveva scritto sul tovagliolino di carta della compagnia aerea. Giusto. Mi detti una sistemata al colletto, presi un respiro profondo e suonai. Dopo qualche istante, la porta si aprì e, dopo nove anni, mi ritrovai davanti Siobhan.

“Ciao” mi salutò, sorridendo.

“Ciao” riposi, indeciso se darle un bacio sulla guancia o no.

In quel momento, mi arrivò qualcosa sui piedi e abbassai lo sguardo, spaventato. Una palla di pelo bianca e beige mi stava annusando le caviglie, con aria interessata.

Sentii Siobhan ridere di gusto e spostai nuovamente lo sguardo su di lei “Bene, hai conosciuto Kelly”.

“Kelly?” chiesi, stupito.

Siobhan annuì e, dando un’occhiata divertita al suo cane, aggiunse “Credo che tu gli stia simpatico”.

Scoppiai a ridere “Non sapevo che avessi un cane” commentai, mentre la seguivo all’interno dell’appartamento.

“Oh, è stata un’idea di Martin. Me l’ha regalato lui” spiegò, facendomi cenno di accomodarmi sul divano.

Sorrisi. Conoscendo il mio amico, probabilmente era preoccupato che Siobhan soffrisse di solitudine. Era colpa mia se era rimasta sola. L’avevo abbandonata.

Sentii un’irrefrenabile impulso di abbracciarla, ma riuscii a trattenermi e, invece, domandai “Che razza è?”

“Un beagle. Come Snoopy”.

“Ehm…” farfugliai, mostrandole la scatola che tenevo in mano “Ho portato una torta”.

“Grazie!” esclamò lei, afferrandola “Non dovevi disturbarti”.

“Nessun disturbo” la rassicurai “L’ho presa alla Lync’s House. Una volta ti piacevano le torte della mamma di Gavin”.

Siobhan sorrise “Mi piacciono ancora” confessò.

Arrossendo, si scusò e andò in cucina a preparare il the, lasciandomi solo in salotto.

Mentre era via, mi guardai intorno. L’appartamento era piuttosto confortevole. Tappeti colorati, soprammobili, qualche foto alle pareti. Raffiguravano tutte Siobhan, insieme a una ragazza bionda dalla faccia simpatica. Pensai che dovesse trattarsi della sua coinquilina.

In quel momento, Siobhan tornò con due tazze di the fumanti e due fette due torta su di un piatto. Mi voltai a guardarla. Era ancora più bella di come la ricordassi. Siobhan era sempre stata una ragazza minuta e l’avevo sempre trovata fantastica. Ora però, i fianchi le si erano leggermente arrotondati e il viso era un po’ più pieno. Era radiosa. Appoggiò le tazze e il piattino sul tavolino di fronte al divano, e si sedette accanto a me, sorridendo. Bevvi un sorso di the e la bevanda calda sembrò darmi coraggio.

“Ti trovo bene” le dissi.

Lei sorrise, abbassando lo sguardo “Grazie”.

“Non voglio sembrarti scortese, ma sbaglio o hai preso qualche chilo?”.

Era un’affermazione rischiosa, ne ero consapevole, ma me l’ero lasciata scappare.

Fortunatamente, Siobhan annuì “Già. Beh, sono i rischi che si corrono a dividere l’appartamento con una cuoca” sentenziò, mettendosi a ridere.

“Stai benissimo, davvero” la rassicurai, sfiorandole una mano.

L’avevo fatto senza pensare, d’istinto, ma mi accorsi subito che quel mio semplice gesto l’aveva messa in imbarazzo. Infatti, spostò subito la mano e arrossì violentemente. Distolsi lo sguardo. Si stava rivelando più difficile del previsto, ma era comprensibile. Nove anni senza parlarsi erano tanti. Non poteva tornare tutto come prima in un solo pomeriggio. Ero stato uno stupido a sperarlo. Se era cambiata di aspetto, forse lo era anche di carattere. Io ero cambiato. Ero cresciuto. Sicuramente lo era anche lei.

Cercai un argomento di conversazione, per interrompere quel silenzio imbarazzante, ma non mi venne in mente nulla di interessante, così buttai lì un “Allora, come hai detto che si chiama il tuo ragazzo?”.

Sapevo benissimo che non stava con nessuno, al momento. I ragazzi me lo avrebbero detto, altrimenti, come avevano sempre fatto nel corso di quei nove anni. Era stata la prima cosa che mi era venuta in mente. Inoltre, volevo sapere qualcosa di quel suo collega giovane. Da quando avevo saputo della sua esistenza, avevo sempre sospettato che potesse essere interessato a Siobhan.

La ragazza mi guardò, allibita “Il mio ragazzo?” ripeté, cercando di capire.

Annuii “Sì, quello che lavora con te all’ambulatorio. Quello che ha risposto al telefono, ieri”. Siobhan scoppiò a ridere “Ma chi? Tristan?” chiese, divertita.

“Sì, lui”.

“Non so che idee ti sei fatto, ma Tristan non è il mio ragazzo. Lavoriamo insieme, ecco tutto. Siamo buoni amici, ma ti posso assicurare che tra noi non c’è assolutamente nulla! Lui non è il tipo da impegnarsi seriamente, preferisce le avventure” spiegò.

“E tu, invece? Stai cercando una storia seria?” domandai, senza riflettere.

Siobhan alzò le spalle “Non la sto cercando, ma se arrivasse, sì, vorrei che fosse una cosa seria”. Restammo un istante a guardarci, in silenzio, dopodiché lei aggiunse “Comunque, non la vorrei con Tristan. Fuma come una ciminiera!”.

Tristan non è il mio ragazzo.

Quelle parole mi rimbombavano ancora nella testa e sentivo un immenso calore nel cuore. Sapevo che Siobhan era libera, ma sentirglielo dire mi aveva provocato una strana sensazione allo stomaco. Come uno sfarfallio. Distolsi lo sguardo e mi imposi di restare lucido. Avevo già rischiato di mandare tutto a monte sfiorandole la mano, non potevo permettermi di compiere altri errori. Dovevo restare calmo e soprattutto smettere di fare castelli in aria. Eppure…c’era una vocina insistente, nella mia testa, che continuava a ripetere forse hai ancora una possibilità. Nonostante avessi cercato di dimenticarla, con tutte le mie forze, ero consapevole di non esserci mai riuscito del tutto e, vederla lì, davanti a me, dopo tutto quel tempo, non faceva che incrementare le mie convinzioni. Teneva lo sguardo fisso sulla tazza che aveva in mano. Ne approfittai per guardarla meglio. Indossava un paio di jeans scuri e un maglioncino arancione, e aveva i capelli raccolti con una molletta, dietro alla nuca. In quel momento non mi stava guardando, ma ricordavo benissimo i suoi occhi grigi, poiché erano quello che mi aveva maggiormente colpito in lei, la prima volta che l’avevo vista. La ricordavo una ragazza semplice e, a quanto sembrava, lo era ancora. Nonostante questo, la trovavo irresistibile. Quella sua aria innocente e pura mi dava un senso di libertà.

Si voltò a guardarmi e mi sorrise. Quanto mi erano mancati i suoi sorrisi.

Dimenticandomi di tutti i miei timori, le confessai “Mi sei mancata”.

Vidi i muscoli del suo viso irrigidirsi, ma fu solo un istante. “Anche tu” sussurrò, arrossendo.

Le mie labbra si allargarono in un sorriso radioso. Non riuscivo a credere alle mie orecchie. Allungai una mano, fino ad afferrare la sua, abbandonata sul divano. In un primo momento, tentò di ritrarsi, ma io la strinsi più forte e, inspiegabilmente, la sentii rilassarsi.

“Siamo stati due idioti” sentenziai, guardandola negli occhi e rendendomi conto che erano lucidi. Siobhan annuì “Due enormi idioti” concordò.

“Vieni qui” dissi, tirandola dolcemente verso di me.

Un istante dopo, la stavo stringendo tra le mie braccia. Dopo nove anni. Non mi sembrava vero. Potevo sentire il suo cuore battere forte e sapevo che il mio non era certo da meno. Avevo sognato quel momento per anni.

Dopo un tempo che a me parve lunghissimo, sentii Siobhan muoversi lentamente, cercando di allontanarsi da me. Si portò via una lacrima dalla guancia e mi rivolse un timido sorriso.

“Non piangere” le dissi “Sei più carina, quando sorridi”.

Contro ogni aspettativa, riuscii a farla ridere.

“E pensare che abbiamo rimandato questo momento per nove anni” osservò.

Annuii “Già. Se avessi saputo che sarebbe stato così semplice, ti avrei chiamato molto prima”. “Anch’io” concordò lei “Ma avevo una paura folle. Invece…mi sento così stupida, a pensarci”. Scossi la testa “Se qui c’è uno stupido, quello sono io” sentenziai “Non ho voluto ascoltare le tue ragioni”.

Siobhan mi afferrò una mano “Basta. Non parliamone più, okay?” propose.

Annuii “Come vuoi”.

Sorrise, dolcemente, e io mossi leggermente una mano. Avrei voluto sfiorarle il viso, ma temevo che si irrigidisse di nuovo e non volevo rovinare la bella atmosfera che si era creata. Stavo giusto cercando qualcosa di opportuno da dire, quando sentimmo una chiave girare nella toppa.

Siobhan si alzò e andò verso la porta.

Io la guardai, stupito. Aveva l’aria preoccupata.

Un istante dopo, sentii una voce nota esclamare “Ciao, piccola!”.

Siobhan lanciò un gridolino di gioia e buttò le braccia al collo a Martin.

“Ti siamo mancati, vero?” chiese il mio amico, entrando in casa, seguito da Gavin.

“Da morire” rispose lei, baciandoli entrambi sulle guance.

Restai a fissare la scena, immaginandomi come dovesse essere ricevere un benvenuto così caloroso e invidiando un po’ i miei amici.

“Allora, piaciuta la sorpresa?” domandò Gavin, euforico.

Siobhan non fece in tempo a rispondere perché, nel frattempo, Martin si era accorto della mia presenza, in salotto, e aveva decretato “No, credo di no. Mi sa che abbiamo scelto il momento sbagliato, amico”.

Gavin si sporse oltre la spalla di Siobhan e mi vide.

Poi si voltò a guardare la ragazza e, sconvolto, domandò “Ci siamo persi qualcosa, Sio?”.

Siobhan arrossì e distolse lo sguardo “Assolutamente niente” rispose, affrettandosi a cambiare discorso.

“Volete una fetta di torta?”.

Gli occhi di Gavin si illuminarono. Era golosissimo e Siobhan lo sapeva.

“Non dico mai di no alla torta” sentenziò, avvicinandosi al tavolino, dove le nostre due fette giacevano ancora intatte sul piattino, e sedendosi sul pavimento.

Nel frattempo, Siobhan e Martin si erano avvicinati e il mio amico mi aveva strizzato l’occhio, senza farsi beccare dalla ragazza.

“Mm, buona” commentò Gavin, addentando un pezzo di dolce.

“Ci credo, è quella di tua madre” gli feci notare.

Il ragazzo sorrise “Ora si spiega tutto” disse.

Poi, dopo un istante, come se gli ci fosse voluto un attimo per riordinare i pensieri, aggiunse “A proposito, ma tu che diavolo ci…AHI!”.

Martin gli aveva pestato una mano di proposito.

“Oops, scusa” disse, trattenendo a stento una risata.

“Scusa un corno, mi hai fatto male” si lamentò lui.

“Vado a prenderti del ghiaccio” si offrì Siobhan, avviandosi verso la cucina.

Scattai in piedi e afferrai le tazze, ormai vuote “Ti do una mano” proposi, seguendola.

“Scusa. Non immaginavo che sarebbero arrivati” mi disse, non appena fummo da soli.

Scossi la testa “Sta’ tranquilla. Non fa niente” la rassicurai “Tanto prima o poi l’avrebbero saputo, no?”.

Lei sorrise e annuì “Sì. Io l’avrei detto a Martin e tu a Gavin, probabilmente”.

“Come da copione” osservai.

“Beh, tanto quello che dovevamo dirci ce lo siamo detto, no?” le feci notare.

Siobhan annuì “Sì, direi di sì”.

“Allora è tutto a posto” dissi, prendendole una mano.

Lei sorrise, e si voltò a cercare il ghiaccio nel congelatore.

“Aspetta. C’è una cosa” disse a un tratto, voltandosi.

“Dimmi” la spronai.

“Sono contenta di aver finalmente sbloccato l’assurda situazione che si era creata tra di noi, ma non credo che sarà così facile”.

“Cosa?” domandai.

“Far tornare tutto com’era un tempo” spiegò lei.

Annuii “Hai ragione, forse non sarà facile, ma mi sembra il caso di provarci, non trovi?”.

Siobhan annuì “Sì. Solo…non affrettiamo troppo le cose, okay? Ho sognato e temuto questo giorno per così tanto tempo che mi sembra che stia succedendo tutto troppo in fretta. Non voglio rischiare di ripetere gli stessi errori” confessò.

“Come vuoi” concordai e poi, sospirando “Peccato, però. Stavo già pensando di invitarti a cena”.

Siobhan sorrise “Non sei cambiato per niente, Keith” mi rimproverò, scuotendo la testa.

Scoppiai a ridere, cercando di non farle capire quanto mi avesse emozionato sentirla pronunciare di nuovo il mio nome, dopo tanto tempo.

“Su, andiamo di là, adesso. La mano di Gavin si starà già gonfiando” disse, prendendomi per mano. Io annuii e la seguii, mentre un sorriso soddisfatto mi illuminava il viso. Il primo passo era fatto. Ora dovevo studiare bene la mia prossima mossa.

 

  
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