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Autore: edoardo811    30/08/2021    5 recensioni
Naito è un mezzosangue che ha trascorso la propria vita in fuga, senza un posto dove stare, una casa che lo accogliesse, una famiglia che lo accettasse. Questo perché non è un mezzosangue come gli altri, non è un semidio: è il figlio di un demone e di una mortale.
Rimasto da solo, consumato dal rimorso e pentito per gli errori commessi, comincerà un viaggio tra le montagne del Giappone alla ricerca dell'Elisir di lunga vita: qualcosa che mai nessuno prima è riuscito a trovare. Insieme a una vecchia conoscenza cercherà di riabilitare il suo nome e quello di tutti i mezzosangue come lui. Soli, abbandonati e spaventati. Come un tempo anche lui era.
«Chi sono i tuoi genitori?»
«Mia madre si chiamava Akane Itomi.»
«E tuo padre?»
«Non lo so… non mi ha mai parlato di lui.»

[Mitologia giapponese]
Genere: Angst, Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro personaggio, Gli Dèi, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Le insegne imperiali del Giappone'
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La valle dell’Inferno

 

 

«L’Elisir di lunga vita?!» domandò Naito, convinto di aver sentito male.

«L’Elisir di lunga vita» annuì Hachidori, con un sorriso soddisfatto.

Naito la osservò ancora per qualche istante. «L’Elisir di lunga vita…» ripeté, scuotendo la testa con un sorrisetto incredulo.

«Questa conversazione non ha alcun senso.»

«No, quello che dici tu non ne ha!» esclamò a quel punto lui. «L’Elisir di lunga vita fa parte di una leggenda cinese, non giapponese! Non so tu, ma io non ho nessuna intenzione di invischiarmi con altre culture. Mi è bastato conoscere i greci.»

«Ti sbagli, Naito. L’elisir esiste anche qui in Giappone.»

«Ah sì? E allora dov’è?»

Hachidori esitò. «È questo il punto. Nessuno l’ha mai trovato. Ma c’è, ne sono sicura.»

«Come puoi dirlo con certezza?» interrogò allora Naito. 

«Una volta ho… ho sentito Hikaru che ne parlava con gli altri.»

Naito venne pervaso da una sgradevole sensazione di déjà-vu. Perché c’era sempre quella volpe di mezzo?!

«Ha detto che esiste, ma che è stato nascosto bene» proseguì Hachidori, tamburellando nervosa con gli artigli sopra il tavolino. «Se riuscissimo a trovarlo… forse i mortali ce ne saranno grati.»

«Anche se davvero esistesse, e continuo a dubitarne, non vedo come potrebbe aiutarci. Se gli dei scoprissero che abbiamo trovato il modo di diventare immortali, non pensi che si arrabbierebbero ancora di più?»

«Io… non ne sono sicura, ma non credo che l’elisir dia davvero l’immortalità. “Allunga” la vita, e basta. Può significare un mucchio di cose diverse. Potrebbe essere la cura per qualsiasi malattia, o magari rimarginare una ferita mortale, oppure potrebbe donare qualche anno di vita in più a chi lo beve, ma non può rendere immuni alla morte. Non esiste nulla di così potente.»

«E allora perché è così ben nascosto?»

«Non lo so» ammise Hachidori, stringendosi nelle spalle. «Quello che so è che non abbiamo un’alternativa migliore. Se due mezzosangue riuscissero a trovare l’elisir, qualcosa che migliaia e migliaia di guerrieri, samurai e anche mostri non sono mai riusciti a trovare, e lo donassero ai mortali, o anche agli dei come gesto di pace… non pensi che getterebbe una nuova luce su tutti noi?»

Naito assottigliò le labbra. Se la mettevano in quel modo, era un piano con una parvenza di senso. Tuttavia non era affatto convinto. «Sì, forse hai ragione. Ma sei davvero sicura di volerlo cercare per donarlo ai mortali?»

«Che vorresti insinuare?» chiese lei, con uno strano tono di voce.

«Voglio dire che se davvero riuscissimo a trovarlo, allora da una parte avremmo qualcosa che forse potrebbe cambiare le cose. Dall’altra, invece, avremmo l’Elisir di lunga vita tutto per noi. Penso che qualcosa del genere farebbe gola a chiunque, anche a chi è mosso dalle più nobili intenzioni.»

«Vivere per sempre costretti a fuggire e a combattere non è vita, Naito. L’unica cosa che l’elisir può fare per noi è aumentare la durata di questo supplizio. Se dovessimo trovarlo, non ho alcuna intenzione di usarlo per me stessa» disse Hachidori, con voce dura. Sembrava perfino offesa.

Naito annuì. «Perdonami, non volevo sembrasse che stessi dubitando di te. Avevo bisogno di essere sicuro.»

«Puoi esserlo. Anche se… se abbiamo preso strade diverse per un po’, rimani comunque… rimani comunque mio amico, Naito-kun. Puoi fidarti di me.»

Hachidori gli sorrise di nuovo e Naito ricambiò timidamente. Orochi era morto, non doveva sentirsi più intimorito dalla presenza di lei. La conosceva, sapeva che era una brava persona. Non era giusto nei suoi confronti che fosse così rigido, specie con tutta la fatica che lei stava facendo per andargli incontro. Non doveva essere affatto semplice, dopo tutto quello che era successo tra loro.

«Anche… anche tu mi sei mancata» mormorò, di getto. Se ne pentì non appena lei lo guardò stranita. «Oh… va bene, ma questo cosa c’entra adesso?»

Naito spalancò l’occhio, percependo quell’ormai molto familiare pizzicore alle guance. «E-Ecco… tu prima me l’hai detto e io non… non…»

La risatina divertita di lei interruppe il suo patetico spettacolino. «Sono felice di sentirlo, Naito-kun. Ora però dovremmo concentrarci su altro.»

Il ragazzo annuì di nuovo, grato che per una volta non avesse deciso di rincarare la dose. Sapeva, comunque, che prima o poi lei gliel’avrebbe rinfacciato. «Sai da dove potremmo cominciare a cercare l’elisir?»

«Meglio. Forse conosco chi può dirci dov’è.»

Naito schiuse le labbra, osservando il sorrisetto di lei mentre si allargava. «Conosci la Valle dall’Inferno, Naito-kun?»

«Non… non vorrai mica dire…» cominciò Naito, realizzando immediatamente dove stesse andando a parare. 

«Sì» confermò Hachidori, sempre con quel sorriso soddisfatto che in quel momento sembrava più minaccioso che rassicurante. «Prendi le tue cose, Naito-kun. Partiamo subito!»

 

***

 

C’era qualcosa di diverso nell’aria. Naito se ne accorse non appena mise piede fuori. Il cielo era chiaro, ma non sembrava davvero sereno. Era come se si fosse congelato un’istante prima di peggiorare. Il sole splendeva, ma i suoi raggi sembravano freddi. 

Inspirò ed espirò, buttando fuori nuvole di fiato condensato. Trovò la sua maglia appesa sopra un filo per stendere i panni, appena fuori dalla capanna di Hachidori. La indossò sopra le fasciature, sentendosi subito più tranquillo. Non gradiva affatto l’idea di essere a petto nudo di fronte alla sua compagna di viaggio, anche se coperto da bende. 

Indossò la cintura e si mise a tracolla i foderi delle spade e la bisaccia. Sollevò il cappuccio sopra i capelli e pensò di essere tornato come nuovo, tolte le placche di armatura mancanti. Avrebbe dovuto fare più attenzione da quel momento in poi.

Hachidori lo affiancò. Sotto il mantello che le copriva il fianco si intravedevano una camicia e dei pantaloni strappati color kaki. Teneva alcuni kunai appesi alla cintura, più il fodero di una wakizashi nascosto dal mantello. Erano le stesse armi delle kunoichi del Clan Tsubaki. Doveva averle rubate da loro, quando era rimasta disarmata due anni prima. Naito sentì ancora una volta il rimorso consumarlo dall’interno, ma lei non sembrò accorgersene.

«La Valle è ad un giorno di viaggio da qui» esordì lei, lanciandogli un’occhiatina. «Ma possiamo fare molto prima.»

«Vuoi viaggiare nello Yomi?»

«Quello è il modo con cui siete andati in occidente, giusto?»

«Sì… però…» Naito esitò. Provò a concentrarsi, a richiamare l’oscurità di quel luogo, sentirsi un tutt’uno con essa, come Orochi gli aveva insegnato. Sarebbe dovuto sprofondare nel terreno, il suo corpo avrebbe dovuto dissolversi e avrebbe dovuto ritrovarsi proprio lì, di fronte a quella capanna, ma nel mondo dell’oscurità, dove non c’era alcuna luce.

Non accadde nulla. Rimase fermo, accanto ad Hachidori.

Strinse i pugni, corrucciato. 

«Naito? Stai bene?»

La voce preoccupata di lei lo fece riscuotere. «Non… non ci riesco, Hachidori. Mi dispiace.»

«A fare cosa?»

Naito spostò lo sguardo su di lei, accorgendosi della sua espressione confusa. «A… a viaggiare nello Yomi» spiegò, incerto. «Non… non ci riesco.»

«Non ho mai detto che avremmo dovuto farlo, Naito-kun.»

Hachidori ridacchiò di nuovo, forse per l’espressione da carpa koi che lui fece. 

«E… e allora come dovremmo muoverci più rapidamente?» domandò Naito.

«Uhm… correndo?»

Naito aprì bocca per rispondere, ma rimase in silenzio.

«Non dirmi che sei fuori allenamento, Naito-kun» aggiunse Hachidori, squadrandolo divertita. 

«N-No, certo che no…» mugugnò lui, imbarazzato per non averci pensato prima. Aveva trascorso settimane camminando, perché non mosso da alcuna fretta. L’idea di correre nemmeno gli aveva sfiorato la mente.

Hachidori cominciò a camminare verso il bosco. «Dai, sbrighiamoci. Cerchiamo di arrivare entro sera.»

«Va… va bene.» 

I due compagni cominciarono a correre. Mentre seguiva Hachidori, Naito ripensò a quello che era successo poco prima. Non era riuscito a viaggiare nello Yomi. Non era riuscito a fare ciò che i demoni come lui avrebbero dovuto senza difficoltà. Le parole di suo padre gli rimbombarono nella mente:

«Non sei un demone, Naosuke. Sei solo un mortale con le corna.»

Naito strinse i denti, scacciando l'immagine di quel bastardo.

 

***

 

Proseguirono a lungo nel bosco, lasciandosi alle spalle una scia di foglie che svolazzavano sospinte dal loro passaggio.

Erano dei mezzosangue, erano molto più veloci e prestanti di qualsiasi mortale, ed erano anche allenati, perciò avrebbero potuto continuare finché non sarebbero arrivati. Non parlarono molto durante il viaggio, soltanto Hachidori di tanto in tanto interrompeva il silenzio per dare le giuste indicazioni, anche se non era davvero necessario. 

Erano mostri per metà, dopotutto, le montagne erano la loro casa, sapevano orientarsi piuttosto bene, in maniera che Naito non sapeva spiegarsi davvero. Era come se fosse normale, per lui. Ad aiutare, poi, c’era anche il fatto che avesse percorso già quella strada, ma in verso opposto.

Quel tragitto avrebbe richiesto un giorno di camminata, per loro durò giusto un paio d’ore. A giudicare dalla posizione del sole, erano partiti dalla capanna di Hachidori poco prima di mezzogiorno ed ora doveva essere pomeriggio inoltrato. Il cielo stava già cominciando a scurirsi, in quel periodo dell’anno le giornate duravano sempre di meno. Quel giorno in particolare, la notte sembrava quasi impaziente di giungere per coprire quel cielo quasi fittizio.

Dovevano sbrigarsi, se si fosse fatto buio sarebbe stato molto più difficile per loro fare ciò che Hachidori aveva in mente. 

La sua idea non convinceva affatto Naito, ma ancora una volta, era l’unica scelta che avevano. Per trovare l’elisir dovevano cominciare da qualche parte, o da qualcuno, e colui che stavano cercando, nel bene e nel male, era la persona giusta.

Creatura, giusta.

Uscirono dalla vegetazione, arrivando in cima ad una vetta. Da lì, le valli del monte Tate si stagliarono maestose, smarrendosi verso l’orizzonte. Naito osservò di nuovo quel paesaggio che già aveva visto, mentre era diretto verso casa. Non avrebbe mai creduto che ci sarebbe tornato tanto presto. Il suo sguardo scivolò sui fiumi che attraversavano le valli innevate e verdi e si domandò se da qualche parte ci fosse ancora quel kappa che aveva avuto il dispiacere di conoscere.

«Ci siamo.» Hachidori indicò un’alta cappa di nebbia bianca che si sollevava in lontananza, circondata da una fitta boscaglia nascosta tra delle colline verdi, viola e rosse. La Valle dell’Inferno si trovava laggiù. «Sbrighiamoci.»

Scesero lungo il pendio, affrettando il passo. Oltrepassarono quella foresta ancora ricoperta di neve, dagli alberi spogli e secchi, come spettri prosciugati dal clima freddo, e sbucarono sull’orlo di una gola formata da scogliere ripide e appuntite, così alte da far venire le vertigini. Da lassù poterono scorgere un lungo fiume dall’acqua bianca per via del vapore che saliva fino in cielo, mandando quella cappa che loro due avevano intravisto in lontananza. 

Decine, forse centinaia di scimmie erano immerse in acqua, anche se alcune stavano cominciando ad arrampicarsi sulle scogliere per rifugiarsi di nuovo nei boschi, in vista della sera.

Eccola, la Valle dell’Inferno. Un nome altisonante ed evocativo per definire delle sorgenti termali naturali dove le scimmie andavano a farsi il bagno durante i climi più rigidi1

Scesero lungo la scogliera, facendo attenzione a dove mettevano i piedi. Naito pensò che Hachidori avrebbe faticato, invece i suoi piedi e la sua mano artigliati le resero la discesa molto più semplice di quanto lo fu per lui. 

Riuscì ad arrivare a riva senza precipitare o dilaniarsi e seguì la compagna verso il fiume, dove quelle bestiacce continuavano a farsi il bagno incuranti. 

«Tieni la mente libera e lascia parlare me, Naito-kun» mormorò Hachidori. Naito fu molto felice di obbedire.

Quando furono abbastanza vicini alcune scimmie si allarmarono, emettendo i loro fastidiosissimi striduli. Dovettero rendersi conto che non erano due mortali andati a gettargli del cibo. Chi si trovava sulla loro sponda del fiume cambiò immediatamente lato e tutte andarono a mettersi a fianco di una scimmia più grossa, che posò il suo sguardo annoiato sui nuovi arrivati.

Naito ricambiò quello sguardo, serrando le labbra. Poteva sembrare davvero un grosso macaco, ma i suoi occhi erano molto più grandi del normale, venati di rosso, le pupille spiritate. Le sue mani erano lunghe e affusolate, il pelo era sporco e irto nonostante fosse a mollo nell’acqua calda.

Satori2. Lei e tutte le altre lo erano. I mortali credevano fossero semplici scimmie, ma lui e Hachidori potevano vederli per quello che erano realmente. E a Naito non piacevano per niente le satori. Le aveva già incontrate, assieme ad Orochi. Erano ottime fonti di informazioni, ma erano anche imprevedibili e, soprattutto, meschine.

«Che cosa vuoi questa volta, Hachidori?» mugugnò proprio la scimmia più grossa, osservando la ragazza con fare svogliato.

«Panji» affermò Hachidori. «Siamo qui per…»

«L’Elisir di lunga vita» borbottò Panji, con voce annoiata. Il suo sguardo era vitreo, assente. Non sembrava nemmeno che riuscisse a vederli. «Non siete i primi a venire a chiedermelo. E come ho detto anche a tutti gli altri, non ho idea di dove sia. Ora levatevi dai piedi. Ti ho già detto che non voglio pidocchiosi mezzosangue attorno al mio fiume.»

Hachidori strinse la mano a pugno. Naito fece un passo avanti, commettendo l’errore di infastidirsi.

Panji posò gli occhi pigri su di lui. «Sei arrabbiato perché ho offeso la tua amica… Naito-kun?»

Naito serrò le labbra, lanciando un’occhiata ad Hachidori, che dal canto suo sembrò arrossire imbarazzata. 

«Ti chiedo scusa, “solo” Naito, ma Hachidori ti aveva detto di non pensare a niente, e invece è proprio quello che stai facendo.» Un inquietante sorriso prese forma sul volto della satori. I sorrisi delle scimmie erano sempre orribili da guardare. «Ma vedo che Naito e Hachidori non sono nemmeno i vostri reali nomi… ditemi un po’, sarebbe un vero peccato se li scoprissi e li rivelassi, giusto? Oppure potrei dire io quello che voi non avete il coraggio di dirvi a vicenda… per esempio il tuo desiderio più recondito» borbottò, lanciando un’occhiata eloquente ad Hachidori, che si irrigidì.

«Sei a conoscenza di quello che pensa davvero la tua amica, Naito? O forse per te è “più” che un’amica…»

Le altre scimmie cominciarono a sghignazzare sotto i baffi. Alcune si alzarono dall’acqua, mostrando gli artigli. Panji rimase immobile, compiaciuto. «Andatevene, prima che vi faccia pentire di essere venuti fin qui. Ci sono così tante cose che potrei dire che…»

Non terminò la frase. Naito scattò verso di lui, attraversando l’intero fiume con un balzo e afferrandolo per il collo. Panji strillò di sorpresa e si ritrovò catapultato sulla riva, la lama della wakizashi pressata contro al collo. Il suo sguardo spiritato si incrinò con una vena di paura. 

«Dì un po’, questo l’avevi previsto, stupido lancia escrementi?» sibilò Naito.

«Devi migliorare con gli insulti, Naito-kun» borbottò Hachidori, affiancandolo.

Panji rimase a bocca aperta, mentre le altre scimmie fuggivano via terrorizzate, riversandosi fuori dall’acqua e arrampicandosi sulle pareti come se avessero visto un Ashura. Tipico delle satori, facevano le spavalde con i numeri ma non appena una di loro veniva aggredita tutte fuggivano a gambe levate.

Nel giro di poco tempo, il “capo” delle satori rimase solo soletto in compagnia di due mezzosangue che non si fecero alcuno scrupolo ad immaginare quello che avrebbero adorato fargli se non li avesse aiutati.

«L-La mia carne non ha affatto un buon sapore!» piagnucolò con voce spaventata, rivolto ad Hachidori. «E la mia pelliccia non tiene caldo!» aggiunse, ora verso di Naito.

«L’elisir» ordinò Hachidori. «Ora

«V-Ve l’ho già detto, non lo so dove sia! Nessuno lo sa!»

Naito e Hachidori si scambiarono uno sguardo. Lei si strinse nelle spalle.

«Aspettate, non fatemi allo spiedo!» esclamò ancora Panji, tentando di dimenarsi inutilmente dalla presa di Naito. «D’accordo, forse… forse qualcosa lo so, ma non è niente di certo! Sono solo voci che ho sentito in giro! E no, non le ho sentite dalla tua amica Hikaru» disse anche, sempre a Naito. «Okay, non è tua amica, ma hai capito cosa intendo dire!»

Il ragazzo serrò la mascella. Era difficile rimanere a mente vuota, bastava una semplice parola per evocare dei pensieri che quello sgorbio avrebbe potuto leggere e usare contro di lui.

«Non lo farei mai, te lo giuro!» petulò ancora Panji, strappandogli un ringhio infastidito. «Dicci cosa sai dell’elisir e falla finita!»

«Sono solo voci, come ho detto prima, però pare che l’imperatore l’abbia nascosto alle Tribune Negishi!»

«Le Tribune Negishi?» domandò Naito, confuso. 

«Imperatore?» fece eco Hachidori. «Intendi l’imperatore del Giappone? Della famiglia reale?»

«Sì, sì! Lui!» 

Naito corrucciò la fronte. «Pensi che l’imperatore avesse l’elisir?» 

«“Io” non penso nulla, sono gli altri a farlo! Io riporto solamente quello che sento» protestò Panji, prima di ammansirsi sotto lo sguardo eloquente di Naito. 

«Le… le Tribune Negishi erano un ippodromo» cominciò a spiegare la satori. «Commissionato dall’imperatore Meiji, che durante la seconda guerra mondiale venne riconvertito a base militare. Dicono che durante quel periodo abbiano aggiunto tunnel sotterranei e una stanza segreta, blindata, impossibile da accedere. E dicono che l’imperatore Shōwa abbia voluto custodirci la sua arma più potente, che sperava potesse ribaltare le sorti della guerra. Tuttavia, gli americani vinsero prima che potesse usarla3

Naito non era un esperto di storia, ma sapeva quello che era successo un secolo prima. Orochi non era stato l’unico ad immischiarsi con gli occidentali con risultati catastrofici. Conosceva quello che i mortali avevano fatto al loro paese. E a quel pensiero, sentiva la pelle accapponarsi. Lui era un mostro, aveva conosciuto mostri, aveva lavorato per uno che si nutriva di vergini. Eppure la sua storia, a confronto con quello che gli americani avevano fatto, sembrava una favoletta da raccontare ai bambini.

Quando pensava a storie di quel tipo, si domandava perché mostri come Orochi volessero uccidere i mortali. Gli sarebbe bastato rimanere fermi e lasciare che loro si autodistruggessero da soli, come stavano già facendo, del resto. 

«Quindi… credi che l’imperatore volesse usare l’elisir per ribaltare le sorti della guerra?» domandò Hachidori, sorpresa. 

«Ho già detto che “io” non…» Panji si interruppe, decidendo invece di annuire e basta. «Gli… gli americani si impadronirono delle Tribune, dopo la vittoria, ma non seppero mai dell’esistenza della camera, che rimase sigillata. Secondo le voci, qualunque cosa ci fosse al suo interno, è ancora lì.»

«Perché l’imperatore non è mai tornato a riprendersela?» domandò allora Naito, scettico.

«Credo di saperlo io» mormorò Hachidori, smarrendosi con lo sguardo nel vuoto. «Quando il Giappone ha perso la seconda guerra mondiale… l’imperatore Hirohito Shōwa è stato costretto ad ammettere di non avere alcuna discendenza divina4. E forse, per questo motivo… ha preferito non cercare più l’elisir. Forse era l’elisir a rendere la famiglia reale… “divina.”»

Naito ricordò la leggenda di Jinmu, il primo imperatore. Dicevano fosse un discendente diretto di Amaterasu, motivo per cui si era sempre creduto che la famiglia reale fosse divina, ma lui non ci aveva mai creduto davvero. Forse i primissimi imperatori erano davvero “divini”, ma a distanza di così tanti secoli e millenni il sangue di Amaterasu che scorreva nei loro discendenti doveva essersi ridotto ad una frazione infinitesimale, al punto da renderli “mortali” tanto quanto i loro sudditi. 

Il fatto che l’imperatore avesse accesso a qualcosa come l’elisir era plausibile, tuttavia la teoria di Hachidori non lo convinceva. Ripensò a quello che aveva imparato da Orochi e da Miyamoto. 

«E se invece…» cominciò a dire, lasciando andare Panji, che squittì ancora spaventato. «… il legame tra l’imperatore e gli dei si fosse davvero reciso, dopo che ha dichiarato di non essere un loro discendente? Magari non ha scelto di non cercare più l’elisir. Magari… l’ha dimenticato. Un po’ come i mortali che quando smettono di avere fede “dimenticano” gli dei, o i mostri. Forse la Nebbia gli ha cancellato la memoria.»

«La Nebbia?» domandò Hachidori, confusa, e per una volta Naito si sorprese di essere quello che sapeva di più dei due. Con un sorriso compiaciuto, le spiegò quello che aveva scoperto in occidente. La “Foschia”, il velo invisibile che si poneva tra quelli come loro e i mortali, che celava le loro reali fattezze. 

«Sapevo che alcuni mortali fossero ciechi come talpe» mormorò la ragazza, a spiegazioni concluse. «Ma non credevo che ci fosse proprio un nome per… ehi!» Hachidori scagliò un kunai ad un centimetro dall’orecchio di Panji, che stava cercando di strisciare via. «Non abbiamo ancora finito con te!»

Un lungo gemito straziato provenne dalla satori, che si girò di nuovo sulla schiena, sollevando le mani in segno di resa. «Vi prego, vi ho detto tutto… oh, sì, giusto. Le Tribune si trovano Yokohama, proprio a sud di Tokyo.»

«Grazie, levati dai piedi adesso» concluse Hachidori, minacciandolo con un altro kunai. Panji non se lo fece ripetere e si arrampicò sulla scogliera, svanendo in pochissimi istanti in mezzo alle tenebre della sera appena giunta.

«Tokyo?» sibilò Naito, per nulla tranquillo. «Dobbiamo davvero andare là?!»

«Non Tokyo, Yokohama» precisò Hachidori, sorridendo.  

«… dobbiamo proprio?»

«Dai, Naito-kun! Sarà divertente! Capisco che tu abbia trascorso tutta la vita con Orochi, in mezzo a boschi, montagne e così via, ma forse è anche ora che visiti il mondo reale. Siamo nel ventunesimo secolo, non nel dodicesimo!»

Il pensiero non piacque per niente a Naito. Era già stato in una grande città, San Francisco, e tutto quel caos gli era bastato e avanzato. Non aveva voglia di ripetere l’esperienza, che fosse Yokohama, Tokyo, Kyoto e così via. Perfino andare a ritirare la spesa di Minoru in una cittadina microscopica rispetto a quelle gli aveva dato il voltastomaco.

Quelli come lui erano fatti per la montagna. C’era un motivo se nelle leggende demoni e mostri avevano sempre casa sopra dei monti. Lassù le regole erano diverse, le tradizioni erano rimaste pressoché intatte e le battaglie tra gli yōkai e i samurai non erano mai davvero terminate. E forse per i mezzosangue come Naito questo poteva essere un problema, specie quando erano bambini, ma se non altro aveva imparato a conoscere quei luoghi e a viverci e muoversi al loro interno. Non poteva farlo in un posto come Tokyo, o Yokohama, o San Francisco, invece. Lì poteva succedere di tutto. Purtroppo, sapeva di non avere molta scelta. 

«Siamo davvero sicuri che stiamo facendo la scelta giusta?» domandò ad Hachidori, mentre si allontanavano lungo la riva del fiume, accompagnati dalla notte calante. «Insomma, Panji ha detto che non siamo stati i primi a chiedergli dell’elisir. Cosa ci garantisce che qualcuno non l’abbia già trovato?»

«Nulla» rispose lei, con brutale onestà. «Ma allo stesso tempo, se qualcosa fosse davvero uscito da questa camera blindata, penso che l’avremmo già scoperto.»

«Magari l’hanno già svuotata e hanno tenuto il segreto» suggerì Naito. 

«O magari nessuno l’ha mai trovata.»

«Magari non esiste nemmeno.»

Hachidori sospirò. «Ascolta, Naito, so che potrebbe trattarsi di un viaggio inutile, ma non…»

«Non abbiamo altra scelta» concluse il ragazzo, anche lui con un sospiro.

«Smettila di lamentarti, Naito-kun. Magari non troveremo nulla, ma… saremo insieme, no?»

Per fortuna, lei non riuscì a vedere le guance di lui che si arrossavano in mezzo al buio. 

«Cos’è che stava dicendo Panji? “Più” che un’amica?»

«Stavo… solo cercando di confonderlo…» biascicò Naito, più rigido di un morto.

Hachidori si avvicinò a lui, battendo la spalla contro la sua. «Ma davvero?»

Poteva davvero essere grato alla notte. Se avesse visto la sua faccia, Hachidori non lo avrebbe mai più lasciato in pace.

«E… e allora tu, con il tuo desiderio recondito? Di che si tratta?»

Per un secondo, sembrò che l’aria fosse stata risucchiata via dal corpo della sua compagna di viaggio. La sentì annaspare e allontanarsi rapida da lui. «N-Non è niente…»

Naito avrebbe dovuto sentirsi appagato dalla sua reazione imbarazzata. Invece, si sentì ancora più a disagio. Chissà che razza di pensiero deviato doveva essere per far fuggire via lei in quel modo. 

Sentì caldo, di nuovo, e si sforzò di andare avanti e soprattutto di rimanere concentrato su come camminare per non inciampare come un povero fesso.

Ripensò a Panji. C’erano molte altre domande che avrebbe potuto fargli, in realtà. Chi fosse il re, chi fosse la donna assieme a suo padre, se aveva sentito qualcosa a proposito delle loro reali intenzioni… e se sapeva dove avessero rinchiuso Kate Model.

Era stato tentato di fermarlo e chiedergli ciascuna di quelle cose, ma non l’aveva fatto. In qualche modo, sapeva che se avesse avuto la risposta a quelle domande, non si sarebbe più dato pace pur di andare fino in fondo.

E in quel momento, immischiarsi in faccende di quel tipo era l’ultima cosa che voleva fare. Aveva un solo obbiettivo: l’Elisir di lunga vita. E lo avrebbe trovato.

Dopo, solo dopo, avrebbe potuto pensare a suo padre, al re, alla madre del piccolo dio e a tutto il resto.

Spostò lo sguardo su Hachidori, che camminava in silenzio, avvolta nelle ombre. Con quei capelli era davvero graziosa. Gli scappò un gemito non appena ci pensò e per poco non inciampò per davvero.

«Naito-kun? Ti senti bene?» domandò Hachidori, con voce stranita.

«S-Sì…» rispose lui, anche se il sibilo che provenne dalla sua gola parve più il verso di uno tsuchinoko ubriaco.

Si sentì osservato da lei e provò l’irrefrenabile desiderio di fuggire via. Poi, la sentì ridacchiare. Le loro spalle si sfiorarono di nuovo e Hachidori non disse nulla, lasciandolo con il cuore che batteva all’impazzata nel petto e quel calore più forte di una sorgente termale che lo avvolgeva in quella stretta tanto spaventosa quanto gradevole.

 

***

 

Il fuoco crepitava in mezzo alla riva, mandando scintille che si disperdevano nell’aria. Il fiume continuava a scrociare accanto a loro, emettendo quell’interminabile suono calmante. Un cumulo di pesci e animaletti selvatici morti era stipato accanto a loro. Hachidori li stava divorando crudi, senza risparmiare niente. Naito, invece, prima di mangiarli preferiva abbrustolirli sul fuoco, come faceva da bambino. Non c’era niente di meglio del sapore della carne così bruciata da essere nera.

Non si erano parlati molto, dopo aver incontrato Panji. Forse per l’imbarazzo dovuto a quello che lui aveva detto, o forse perché nessuno dei due sapeva davvero come rapportarsi di nuovo con l’altro, memori di ciò che era successo tra di loro.

Ancora una volta, lo sguardo di Naito scivolò sul mantello di Hachidori, illuminato dai bagliori arancioni delle fiamme. Non sarebbe mai riuscito a darsi pace per quello che aveva fatto. Lei non fece caso a lui, troppo presa dalla sua cena.

Naito addentò un pezzo di pesce annerito, concentrandosi sul suo sapore salato e amarognolo per smettere di pensare a quella dannata notte.

«Posso chiederti una cosa, Naito?»

Quella domanda improvvisa gli fece drizzare la testa. Hachidori lo stava osservando dall’altro lato del fuoco, la luce delle fiamme che gettava strane sfumature sul suo viso. «Non devi rispondere, se non te la senti.»

«Chiedi pure» mormorò Naito, sentendosi a disagio.

«Quella… quella casa distrutta, dove ti ho trovato… era casa tua, vero?»

Naito schiuse le labbra. Da una parte si sentì sollevato che la domanda riguardasse quello e non chissà che altro. Dall’altra, sentì ancora quella stretta allo stomaco che arrivava ogni volta che pensava alla sua vecchia vita. «Sì» rispose, con un filo di voce. Tenere nascosta la cosa non sarebbe servita a nulla, tanto. 

«Ci… ci abitavi con tua madre?»

«Sì.»

Vi fu un attimo di silenzio. Hachidori abbassò il suo pesce, mentre la sua espressione si contorceva in una angosciata. «E… cos’è successo? Chi è stato a…»

«I seguaci di un dio» rispose lui, affondandosi i denti nelle labbra. «Mia madre… era una sacerdotessa, in un templio vicino a Kyoto. Si chiamava Akane. Mio padre l’ha… insomma… contro la sua volontà, e quando il dio a cui quel templio era dedicato ha scoperto che aveva avuto un figlio da un demone… si è infuriato. Ha ordinato a mia madre di consegnarmi a lui, per essere giustiziato, ma lei… si è rifiutata, ed è fuggita. Si è rifugiata vicino a quel villaggio, tra le montagne. Ha provato a crescermi e a tenermi nascosto, ma ci hanno comunque trovati. Hanno bruciato la casa e mia madre… lei è morta per proteggermi.»

«Mi dispiace, Naito» sussurrò Hachidori.

Naito si strinse nelle spalle, rimanendo in silenzio. Le fiamme, gli sguardi folli di quegli uomini, quel mostro coi capelli rossi balenarono di nuovo nella sua mente, facendolo irrigidire. Non era stato proprio sincero. Non erano stati solo i seguaci di un dio a trovarli, quella notte, ma non voleva pensarci. Erano passati dodici anni da quella storia, e il pensiero di quello che era successo ancora faceva nascere in lui il desiderio di fuggire e nascondersi come un bambino spaventato.

«Hai scelto di combattere per questo motivo?» domandò allora la sua compagna di viaggio. 

«All’inizio no. Orochi mi ha trovato mentre fuggivo da alcuni mortali che mi inseguivano, e mi ha preso con sé. Non sapevo ancora, all’epoca, perché loro mi odiassero o perché avessero ucciso mia madre. Nemmeno Orochi, in realtà, sapeva perché volesse uccidere i mortali. Con il tempo, però, ha iniziato a ricordare. E man mano che ricordava, io scoprivo la verità. La morte di mia madre è stata causata da quel dio. Ho scoperto che quelli come me… come noi… non sono voluti, qui. E ho deciso di voler cambiare le cose.»

Naito scosse la testa, abbassando lo spiedino con il pesce. «Ma la violenza… porta solo violenza. La rabbia porta solo rabbia. Uccidere non è la soluzione. Avrei dovuto capirlo prima.»

«E come avresti potuto capirlo prima? Orochi… lui…»

«Sarei dovuto andarmene. Avrei dovuto capire chi fosse in realtà quando… quando…» Naito osservò ancora una volta il mantello di Hachidori, che questa volta se ne rese conto. 

La ragazza ci appoggiò la mano sopra, sospirando. «Smettila di darti pene, Naito. Non è stata colpa tua.»

«Non sarebbe dovuta finire così…» disse ancora lui con voce incrinata. 

Osservava Hachidori, ma non vedeva solo lei. Hachidori era Rosa. Era Konnor. Era Edward. Era tutte le persone che aveva ferito, ucciso, o a cui aveva fatto del male in un modo o nell’altro. Hachidori era stata soltanto un’altra vittima, una delle tante, tantissime. Era stata la prima, però, che avrebbe dovuto aiutarlo ad aprire gli occhi, ma non era successo. Dopo di lei, aveva continuato a fare del male. 

Aveva attaccato i piccoli dei. Aveva ucciso delle persone. Aveva quasi condannato Rosa a morte. Si era comportato da mostro, come Orochi gli aveva imposto. Ancora non capiva perché Konnor l’avesse lasciato in vita. Non se lo meritava. 

«Smettila.»

Hachidori si alzò in piedi e fece il giro del fuoco, parandosi di fronte a lui. Naito la osservò dal basso, sorpreso. Sembrava arrabbiata con lui. Ma durò poco. La sua espressione vacillò e le labbra le tremolarono. Si inginocchiò di fronte a lui, incrociando il suo unico occhio. Poi, strinse le palpebre e lo abbracciò di getto, appoggiando la guancia sulla sua spalla. 

«Smettila… di incolparti…» bisbigliò, lasciandosi andare ad un lento pianto. La sua schiena iniziò ad alzarsi e ad abbassarsi mentre il suono dei suoi gemiti si alzava sopra il crepitio del fuoco e lo scrociare del fiume. «È stata tutta colpa mia. È stata solo colpa mia.»

Il suo braccio lo circondò, facendolo irrigidire. Il suo tocco era morbido, caldo e delicato proprio come lo ricordava, nonostante non potesse abbracciarlo per intero. «Mi dispiace, Naito. Perdonami» sussurrò lei, premendosi contro di lui, facendo aderire i loro corpi. 

Naito venne avvolto dal suo torpore e si irrigidì. «Ti ho già perdonata, Hachidori. Non eri in te. Orochi…»

«Avrei potuto ribellarmi, come hai detto tu. E non l’ho fatto. Sono stata una stupida.»

«Hachidori…»

«Mi dispiace, Naito. Ho… ho rovinato tutto. Ti ho… ti ho tradito.»

Un dolore insopportabile colpì il petto di Naito. Sentì le labbra tremolargli e la vista appannarsi, ma si sforzò di mantenere il controllo. «Possiamo… possiamo sistemare le cose, Hachidori.»

«D-Davvero?»

Con il cuore che martellava all'impazzata, Naito la circondò per le spalle, stringendo a sé quel corpo magro e tremolante. Percepì il suo calore avvolgerlo ancora e la sua pelle formicolò. «Certo. Io… io tengo a te. Non voglio perderti di nuovo.»

Lei allontanò appena il volto dalla sua spalla, trovandosi di nuovo all’altezza dei suoi occhi. «Dici… dici sul serio?» mormorò, con voce sorpresa.

Naito le accarezzò una guancia, annuendo impacciato. «Sì.»

Un piccolo sorriso nacque sul volto di lei. Appoggiò la fronte sul suo petto, rannicchiandosi contro di lui. «Non… non lasciamoci più.»

«Non succederà» la rassicurò Naito, passandole la mano tra i capelli con delicatezza, il cuore che batteva all’impazzata. 

«Lo… lo prometti?»

Naito fece per rispondere, poi si ricordò le parole del vecchio Musashi. Sorrise. «Quando un samurai esprime un’intenzione, essa è già da considerarsi compiuta.»

Sentì la risatina di Hachidori. «Questa l’hai letta in quel libro, vero?»

«Sì, e non vedo perché tu debba trovarla una cosa divertente» borbottò lui.

«Non lo trovo divertente. Anzi… penso sia bello che anche tu stia cercando di cambiare dopo quello che Orochi ti ha fatto.»

Il ragazzo storse le labbra, stringendo le ciocche di lei tra le dita. Rosa, Konnor ed Edward balenarono nella sua mente.

Cambiare… già.

«Grazie per… per quello che hai fatto, Naito-kun. Grazie per avermi perdonata. E grazie per avermi salvata.» Hachidori alzò di nuovo la testa, arrivando all’altezza dei suoi occhi. Distese il suo sorriso timido e gentile. Era bellissima. Proprio come la ricordava.

Gli accarezzò la guancia, mentre i loro nasi si sfioravano. Naito rimase paralizzato, ipnotizzato dal suo sguardo, dal suo viso e dal suo tocco delicato. 

«Naito-kun…» sussurrò lei con voce tremolante. La vide socchiudere gli occhi e inclinare la testa, per accorciare le distanze tra loro. 

Come quella notte.

Una tempesta di emozioni prese vita nel corpo di Naito, mentre vedeva le labbra di Hachidori avvicinarsi alle sue. Il volto di Orochi balenò nella sua mente, seguito da urla disperate. Tutto accadde in un lampo.

Felicità, tristezza, paura, si insinuarono nella sua mente come kunai scagliati nelle tenebre. Le sue mani si chiusero sulle spalle di Hachidori, fermandola un istante prima che potesse fare ciò che in quella notte che aveva cambiato per sempre le loro vite non erano riusciti a fare.

Lei spalancò gli occhi, facendo un verso sorpreso. Le loro labbra erano così vicine che sarebbe bastato un solo millimetro per farle incontrare. Naito non si mosse, scrutandola con la bocca semiaperta, incapace di pensare o di parlare. La allontanò delicatamente da lui, mentre il suo stomaco si contorceva ed un dolore straziante lo lacerava al cuore. 

«Non… non posso…» sussurrò, con un filo di voce. 

«N-Naito…» mormorò Hachidori, mentre la sua espressione di stupore si trasformava in una di delusione.

«Mi dispiace Hachidori… non… non posso…» bisbigliò ancora lui, distanziandola da sé e distogliendo lo sguardo, incapace di reggere quegli occhi venati di tristezza.  

Nella sua mente, Orochi sogghignò. Naito poteva vedere la sua espressione compiaciuta e divertita mentre si sdraiava sulla ghiaia, facendo di tutto per non voltarsi più verso di Hachidori.

Strinse i denti, avvertendo ancora una volta quella sensazione di rimorso così forte da occupare tutto il resto. E quando percepì, alle sue spalle, Hachidori sospirare e allontanarsi, il dolore si amplificò ancora di più.

Chiuse l’occhio, cercando di non pensarci, ma era impossibile non farlo. Era impossibile ignorarlo. Era molto più forte di qualsiasi ferita gli avessero mai inflitto. Una lacrima gli rigò la guancia, ma se la pulì immediatamente.

«Mai ridere. Mai piangere. Mai amare.»

La notte avvolse ogni cosa. E in qualche modo, complici le ferite che ancora lo fiaccavano, Naito riuscì ad addormentarsi senza esplodere in lacrime.

 

 

 

 

 

1Il Parco delle scimmie di Jigokudani: https://it.wikipedia.org/wiki/Parco_delle_scimmie_di_Jigokudani

2Le Satori sono un tipo di yōkai che può leggere nella mente con un solo sguardo. Possono essere pericolose perché, essendo in grado di leggere nel pensiero, possono prevedere qualsiasi attacco. Allo stesso tempo, se le si attacca senza pensare a nulla, le si può cogliere di sorpresa. Siccome loro non sono vere combattenti, ma fanno semplicemente scena con i numeri, ferendone una, il capo in particolare, è molto probabile che tutte le altre fuggano via terrorizzate, cosa che è successa qui.

3 Le Tribune Negishi sono un luogo che esiste davvero, e la storia riguardante la seconda guerra mondiale è anche vera. Vennero riconvertite da ippodromo a base militare, prima giapponese e poi americana, durante l’occupazione degli americani al termine della guerra, e al giorno d’oggi giacciono lì, nella periferia di Yokohama, abbandonate e divorate da ruggine e edere, perciò potete immaginare come sono nel momento in cui la storia è ambientata, vent’anni più avanti. Sono una meta ambita di esploratori urbani, e sono nate queste leggende in cui esistano dei tunnel sotterranei (assieme a fantasmi e cose del genere, insomma, i grandi classici) e quindi eccoci qui. In realtà noi sappiamo che è tutto vero, però la Foschia ci nasconde la verità, rip. Comunque ne riparlerò meglio senz’altro, ora ho solo dato una rapida spiegazione.

4Un po’ di storia, mentre che ci sono. Sì, sono riuscito ad incastrare la seconda guerra mondiale in una ff del cavolo, non chiedetemi come perché non lo so nemmeno io: https://it.wikipedia.org/wiki/Dichiarazione_della_natura_umana_dell%27imperatore

 

 

 

 

Salve gente, grazie per aver letto, e spero che il capitolo vi sia piaciuto!

Dunque, facendo ricerche per le mie storie, mi sono imbattuto in queste due cose: Satori, e Valle dell’Inferno in cui le scimmie si fanno il bagno. E niente, questo è stato il risultato. In realtà, nel mito le satori non si trovano nella Valle dell’Inferno, ma da un lato ho pensato che la Foschia potrebbe semplicemente camuffare le scimmie che si trovano lì, e dall’altro… beh, anche alle satori piaceranno i bagni caldi, no?

Il fatto che possano leggere nel pensiero, poi, le rende praticamente delle enciclopedie viventi, con tutte le menti che analizzano ogni giorno e tutte le voci che sentono, che siano di mostri o di persone, ed essendo yōkai sono immortali, quindi sono in giro da diverso tempo, e di cose ne avranno sentite parecchie.

Riguardo il discorso tra i due ragazzi e Panji (che è un nome ricavato da Chinpanjī, scimpanzé in giapponese) in realtà all’inizio non sapevo bene come svilupparlo, finché, sempre facendo ricerche di location per la storia, ho scoperto la storia delle Tribune, della leggenda dei tunnel sotterranei (che in realtà non ci sono, ma con un pizzico di Foschia tutto è possibile) e ho visto anche che la storia di questo edificio si intersecava con la seconda guerra mondiale, e da lì mi sono collegato alla dichiarazione della natura umana dell’imperatore (in Giappone l’imperatore è sempre stato visto come una vera e propria divinità, almeno, finché non è successo quello che è successo), quindi il resto è venuto da sé, in questo misto di leggenda, storia e realtà.

Ovviamente, non sappiamo che cosa ci sia davvero sotto le Tribune, in questo momento della storia, non sappiamo nemmeno se i tunnel esistono oppure no, però, ehi, continuate a leggere e lo scoprirete! E continuate a leggere e scoprirete anche cosa cavolo è successo tra Naito e Hachidori. E vedrete anche qualche altra location giapponese… Tokyo, magari. Chissà…

Grazie per aver letto, e alla prossima!

   
 
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