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Autore: Giulia K Monroe    01/09/2021    0 recensioni
❝𝑰𝒍 𝒈𝒊𝒐𝒓𝒏𝒐 𝒊𝒏 𝒄𝒖𝒊 𝑲𝒂𝒄𝒄𝒉𝒂𝒏 𝒇𝒆𝒄𝒆 𝒆𝒔𝒑𝒍𝒐𝒅𝒆𝒓𝒆 𝒍𝒂 𝒔𝒄𝒖𝒐𝒍𝒂
𝒆̀ 𝒂𝒏𝒄𝒉𝒆 𝒊𝒍 𝒈𝒊𝒐𝒓𝒏𝒐 𝒊𝒏 𝒄𝒖𝒊 𝒄𝒊 𝒍𝒂𝒔𝒄𝒊𝒂𝒎𝒎𝒐.❞
Haruka Aizawa, figlia del riservato Eraser Head e della sua ormai ex-moglie, l'eroina della guarigione, Lady Healer, ha solo quattordici anni quando scopre per la prima volta il significato dell'amore. Anche se i suoi genitori non vanno d'accordo da quando ne ha memoria, tanto che si domanda come abbiano fatto a sposarsi e soprattutto perché, non può evitare di cadere vittima dei propri sentimenti quando la sua strada si incrocia prima con quella di Katsuki Bakugo e poi con quella di Eijiro Kirishima. I due non potrebbero essere più diversi di così: Bakugo è un ragazzino arrogante e incline a lasciarsi andare a veri e propri scatti d'ira; Kirishima è invece gentile, accomodante e protettivo. Eppure, qualcosa in comune devono averla per forza, non solo perché sono amici, ma perché entrambi sembrano sviluppare un particolare interesse per la piccola Aizawa.
⇢ 𝐋𝐚 𝐬𝐭𝐨𝐫𝐢𝐚 𝐬𝐢 𝐬𝐯𝐨𝐥𝐠𝐞𝐫𝐚̀ 𝐬𝐮 𝐝𝐮𝐞 𝐝𝐢𝐯𝐞𝐫𝐬𝐞 𝐥𝐢𝐧𝐞𝐞 𝐭𝐞𝐦𝐩𝐨𝐫𝐚𝐥𝐢
Pʀᴇsᴇɴᴛᴇ : Bakugo x OC x Kirishima
Pᴀssᴀᴛᴏ : All Might x OC x Eraser Head
{𝚜𝚘𝚗𝚘 𝚎𝚗𝚝𝚛𝚊𝚖𝚋𝚒 𝚝𝚛𝚒𝚊𝚗𝚐𝚘𝚕𝚒 𝚊𝚖𝚘𝚛𝚘𝚜𝚒, 𝚗𝚘𝚗 𝚌𝚒 𝚜𝚘𝚗𝚘 𝚒𝚗𝚝𝚎𝚛𝚊𝚣𝚒𝚘𝚗𝚒 𝚜𝚎𝚗𝚝𝚒𝚖𝚎𝚗𝚝𝚊𝚕𝚒 𝚝𝚛𝚊 𝚒 𝚍𝚞𝚎 𝚛𝚊𝚐𝚊𝚣𝚣𝚒 𝚍𝚒 𝚎𝚗𝚝𝚛𝚊𝚖𝚋𝚒 𝚒 𝚝𝚛𝚒𝚊𝚗𝚐𝚘𝚕𝚒}
Genere: Angst, Commedia, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: All Might, Katsuki Bakugou, Kirishima Eijirou, Nuovo personaggio, Shōta Aizawa
Note: nessuna | Avvertimenti: Triangolo
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“Non scorderò mai l’odore di Kacchan.
Sapeva di polvere da sparo e mandorle dolci.”
 
 
«Dimmi chi cazzo sei o ti faccio esplodere la testa.»
La voce che ha pronunciato questa minaccia improvvisa è cupa come il ringhio di un lupo selvatico.
Sono ancora così stordita dal fatto che un attimo prima fossi sui miei piedi e quello dopo io sia bloccata contro il materasso, che in un primo momento non riesco a reagire in alcun modo. Il ragazzo mi tiene incollata al letto, un ginocchio premuto su una coscia, una mano stretta attorno al polso di quella delle mie che ha cercato di toccarlo; l’altra è sul mio collo. Le sue dita sono calde, incredibilmente calde. Odora di polvere da sparo… e di mandorle dolci.
Il cuore mi schizza in gola e mi domando incoerentemente se, sotto i polpastrelli, riesca a sentirlo anche lui. Provo a pronunciare qualcosa, ma le mie labbra si muovono senza produrre alcun suono, la mia voce bloccata tra le corde vocali dalla sorpresa.
Lui mi scruta, senza muoversi, i suoi occhi rossi tanto intensi che sembrano volermi scavare nella testa e tirarmi fuori le parole che non riesco a pronunciare. Provo di nuovo a parlare, senza successo, e questo sembra sconcertarlo un po’, come se si rendesse conto, solo in questo istante, di aver appena intrappolato sotto di sé una ragazzina minuta e spaurita, e non qualche pericoloso Villain che ha tentato di attaccarlo nel sonno. Tuttavia, capisco subito che è un tipo diffidente per natura perché, anche se i suoi occhi assumono un’espressione meno minacciosa, il suo corpo rimane teso sul mio, pronto a scattare alla prima avvisaglia di pericolo.
«Allora?» sbraita, dopo interminabili secondi di silenzio.
Sussulto sotto di lui e questo, in qualche modo, lo convince a rilassare un po’ la presa delle sue dita, sia attorno al mio polso che attorno al mio collo. Assottiglia lo sguardo, studiandomi con più attenzione.
Chissà cosa vede di me... cosa pensa, di me.
Sei proprio coraggiosa, Ruka, e tu vorresti diventare una supereroina?
Stringo la mano libera in un pugno, cercando di trovare un po’ di audacia, e riesco finalmente a schiarirmi la voce. «Io...»
«KACCHAN!» La voce che esplode copre del tutto il mio timido tentativo di parlare. Tempo un battito di ciglia e mi ritrovo da sola sul lettino, di nuovo senza riuscire a capire cosa sia successo.
Un colpo poderoso è apparso dal nulla e ha scaraventato Kacchan contro il muro dell’infermeria. Mi tiro su di scatto, spaventata, e giro la testa verso l’altro letto, che ora è vuoto. Spostando ancora lo sguardo, mi ritrovo a fissare Midoriya, adesso in piedi accanto a me, con il braccio ancora teso nel pugno col quale ha colpito l’altro ragazzo. Volto ancora il capo e incontro la figura accasciata di “Kacchan”, svenuto in terra in una posa scomposta.
«Oddio! Che ho fatto? Che ho fatto?» esclama Midoriya, gli occhi sgranati sul viso pallido. Si agita sulla punta dei piedi e sventola la mano dolorante nell’aria. Sembra poi ricordarsi di me, e del perché abbia agito in quel modo tanto sconsiderato, e mi si avvicina, ancora con quegli occhioni grandi e spaventati. «Stai... stai bene? Io...»
Agitato è ancora più carino.
Mi metto a sedere e mi massaggio il collo. Kacchan non mi ha fatto davvero male, il fantasma delle sue dita su di me è fermo, ma non violento.
«Io... sì, sto bene,» rispondo e accenno un sorriso che spero sia rassicurante. «È stata solo colpa mia, mi sono avvicinata a lui e devo averlo colto alla sprovvista, non... ma, ei! Ti sei fatto male?» gli domando, notando come si stia ancora massaggiando il braccio.
«Oh, io... no, non è niente» smentisce lui e si porta la mano dietro la nuca, a scompigliare i capelli, «non so ancora utilizzare bene il mio quirk e quindi...»
«Fammi vedere.» Scendo dal letto e, senza aspettare un suo consenso, gli afferro delicatamente un braccio.
«No, non è niente, davvero...» cerca di sottrarsi lui, ma lo ignoro e gli tiro su la manica del costume.
Il braccio è fasciato, dopo le cure di Recovery Girl. Gli prendo la mano tra le mie, respiro a fondo, quindi chiudo gli occhi e assorbo un po’ del suo dolore. Piccole vene scure si disegnano sui miei avambracci, ma le punture d’ago rovente e ghiacciato sono niente in confronto a quelle che ho sentito la prima volta che l’ho toccato: non si è fatto eccessivamente male, sento solo un senso di intorpidimento.
Lascio la sua mano e riapro gli occhi. Lo trovo a fissarmi con la stessa espressione stupita e curiosa della prima volta che ho applicato il mio quirk su di lui.
Di nuovo, gli sorrido. «L’effetto di guarigione di Recovery Girl è ancora in circolo, questo ha attutito il danno, ma comunque non avresti dovuto fare uno sforzo del genere» lo rimprovero.
Sembra preso in contropiede da questo mio atteggiamento d’un tratto apprensivo e severo, perché sussulta e arrossisce.
«Se Recovery Girl sa che ti sei alzato per colpa mia, è la volta buona che mi caccia. Devi tornartene al letto, subito! aggiungo.
Lo afferro per un gomito e lo costringo a voltarsi, quindi lo spingo verso il suo letto, prima di ricordarmi dell’altro ragazzo, che ancora giace svenuto in terra. Mi arresto e tiro Midoriya per una manica. Quando lui si gira a guardarmi, ancora rosso in viso per l’imbarazzo, mi trova a fissarmi le scarpe con innaturale interesse. Adesso anche le mie guance devono aver assunto una tonalità più scura.
«Scusa... potresti prima aiutarmi a rimettere anche lui al letto?» dico, con un sorriso impacciato, ed entrambi guardiamo il ragazzo ancora riverso al suolo.
«Oddio, Kacchan!» esclama di nuovo Midoriya e corre da lui, inginocchiandosi al suo fianco. «Questa è la volta buona che mi uccide... cavoli, ma che cosa mi è venuto in mente?» Se lo carica in spalla e, sebbene Kacchan non dia l’idea di essere leggero, con tutti quei fasci di muscoli e nervi, Midoriya non ha alcuna difficoltà a riportarlo al letto. «Speriamo che quando si sveglia non ricordi nulla o sono un Deku morto.»
«Deku?» ripeto confusa. «Non è un modo molto carino di definirti.»
«Oh, no! È il modo in cui Kacchan e anche Uraraka…»
Sorrido. «Siete molto amici, vero?»
Midoriya fissa prima il ragazzo biondo, poi torna a guardare me e storce le labbra in una smorfia peculiare. «Sì, diciamo di sì. È… complicato.»
«Capisco. Non sono affari miei, quindi…» Scrollo le spalle. «Grazie, comunque, per quel colpo. Ka… Kacchan,» ripeto, certa che sia a sua volta un soprannome e non il vero nome del ragazzo, «non mi stava davvero facendo male, ma credo di averlo colto di sorpresa, io…» Mi porto una ciocca di capelli dietro l’orecchio. «È che sembrava sentire dolore e così volevo…»
«È il tuo quirk, vero?» mi chiede Midoriya, interessato.
Annuisco e mi fisso le dita. «Riesco a sottrarre il dolore alla gente, sì. Diciamo che lo trasferisco dalla persona che tocco a me, ma a differenza della gente comune, ho una soglia del dolore molto più alta. Quello che assorbo è il dolore, non la ferita, quindi una volta che allontano le mani, la sensazione di malessere sparisce» spiego e torno a guardare Midoriya, che mi fissa ancora interessato. Sembra stia prendendo appunti mentali e il modo in cui muove inconsciamente le dita mi dà la sensazione che vorrebbe avere con sé una penna per trascrivere le mie parole.
Mi sento lusingata, nessuno si è mai mostrato così appassionato a ciò che ho da dire. Non sono una persona molto espansiva e faccio difficoltà a relazionarmi con gli altri, motivo per il quale sono quasi sempre da sola. Probabilmente è per questa ragione che la mia migliore amica è una ragazza egocentrica ed egoriferita come Mei Hatsume: il totale opposto della sottoscritta, insomma.
«Ma è un quirk fichissimo!» esclama Midoriya, sorprendendomi. «Sarai utilissima agli eroi, in futuro! Qualunque agenzia sarebbe fortunata ad avere una guaritrice tra i suoi membri!» aggiunge, forse con fin troppo entusiasmo.
Mi ritrovo mio malgrado ad arrossire. «Dici? Insomma, è un quirk utile, sì, ma in battaglia non mi servirebbe a granché contro i Villain, senza contare che non sono in grado di guarire propriamente le ferite, come fa Recovery Girl, ma solo togliere il dolore che causano, un po’ come una potente anestesia istantanea.»
«Con il problema che ho io col controllo del mio quirk, mi sarebbe senz’altro utile avere qualcuno come te nella mia squadra, in futuro. Potrei anche rompermi le ossa, ma continuare a combattere in caso in necessità, e poi…»
Midoriya ha preso a borbottare tra sé e perdo velocemente il filo dei suoi ragionamenti contorti. Sembra rinchiudersi in una sua bolla personale, due dita ad afferrarsi il mento, le labbra che si muovono veloci al ritmo dei suoi mormorii e gli occhi bassi che sembrano vedere calcoli e prospettive che mi rimarranno per sempre inaccessibili.
Non riesco a trattenermi dal ridacchiare e questo lo fa tornare alla realtà.
«Scusami» dice, e si porta di nuovo una mano a scompigliare i capelli dietro la nuca. Deve essere un gesto che fa spesso e dà un senso alla piega scarmigliata dei suoi capelli.
«Sei uno spasso» rispondo, ridendo di cuore.
Mi rendo subito conto che Izuku è qualcuno con cui potrei facilmente diventare amica… sempre che lo voglia anche lui, ovvio.
«Oh, ecco, io…» Anche lui ridacchia imbarazzato.
«Su, ora rimettiti al letto» ordino di nuovo e gli indico il materasso. «Devi riposare. Su, su!» lo incito, battendo le mani.
Midoriya china il capo e si trascina di nuovo al letto.
«Bravo! Ti sei meritato…» frugo nella tasca della mia felpa e ne tiro fuori un lecca-lecca, «ecco, tieni!» Glielo porgo, con un grosso sorriso.
«Grazie» fa lui, stupito, ma lo afferra e lo scarta.
Ne prendo uno anche per me, quindi torno alla scrivania, per recuperare le mie cose. «Tu sei… Midoriya, giusto?» dico, una volta che ho sistemato libri e quaderni dentro lo zaino.
«Esatto. Tu invece…» Si ferma, quasi non sapesse come proseguire. Con buone probabilità, ricorda il modo in cui mi ha chiamata All Might.
Mi giro verso di lui. «Sono Haruka Aizawa» mi presento.
Midoriya si morde il labbro inferiore, sembra a disagio. Mi scruta per qualche istante. «Aizawa come… il professor Aizawa?» chiede alla fine.
Annuisco.
«E sei sua nipote, sorella o..?»
«Sua figlia.»
Izuku si strozza con la sua stessa saliva. «C-cosa?» pigola, battendosi una mano sul petto per cercare di fermare l’accesso di tosse.
Scoppio di nuovo a ridere: sapevo che sarebbe andata a finire così.
«Ma quanti anni hai, scusa?» domanda ancora lui.
«Quattordici» rispondo, ancora con la stessa espressione candida.
«Ma il professor Aizawa… no, non può essere… insomma, o se li porta estremamente bene, oppure…» Midoriya ha ripreso a borbottare tra sé. Proprio come il gesto di scompigliarsi i capelli, anche quel continuo rimuginare sulle cose a bassa voce deve essere un suo vezzo caratteristico.
«I miei genitori mi hanno avuta giovani» spiego, venendo in suo aiuto.
Midoriya si blocca e mi guarda.
«Avevano entrambi diciotto anni, non sono stata propriamente voluta» mi stringo in una spalla e sorrido ancora, «ma, nonostante questo, hanno deciso di tenermi e quindi eccomi qui.»
Izuku è evidentemente sorpreso da quelle rivelazioni sul professor Aizawa: in effetti, non dà l’aria di uno che possa avere un passato del genere, con la sua aria sempre seria… ma, in fondo, è anche quello che dorme in un sacco a pelo in classe, prima delle lezioni, quindi c’è davvero da stupirsi che non sia un tipo ordinario?
«E dimmi» fa ancora Midoriya, «che quirk ha tua madre?»
La domanda mi colpisce, perché mi aspettavo altro dopo la mia rivelazione. «Guarigione, come Recovery Girl, ma lei non sbaciucchia la gente per curarla» ridacchio, «le basta toccare le persone, come faccio io» aggiungo e gli mostro i palmi delle mani, neanche siano strumenti particolari.
«Immagino che sia un sollievo per tuo pad… cioè, per il professor Aizawa» considera Midoriya e rieccolo a scompigliarsi i capelli. «Insomma, non so se sia un tipo geloso o meno… voglio dire, non è che sia uno facile da leggere e…» e riecco anche i soliti borbottii.
Sorrido, ma non commento.
I miei genitori hanno divorziato ormai molto tempo fa, quando avevo solo quattro anni. È stato quando ho sviluppato il mio quirk e una parte di me si è sempre domandata se sia stata una coincidenza o se c’entri qualcosa con la loro separazione. A essere onesti, non sono mai andati d’accordo, da che ne ho memoria, ma l’unica questione su cui non litigano sono io: non si sono mai contesi la mia attenzione, non hanno mai gettato ombre sull’altro in mia presenza e non hanno mai discusso sul mio affidamento; passo tanto tempo con la mamma che con papà e se trascorro più giorni con uno che con l’altro è solo per via dei vari impegni come eroi (e come professore, nel caso di mio padre) che possono avere.
Per il resto, sono come cane e gatto: ogni volta che si incontrano, si lanciano continue frecciatine e semplicemente non sopportano di stare per più di un minuto nella stessa stanza, a respirare la stessa aria. A volte mi chiedo che fine abbia fatto l’amore che li univa in passato, che li ha spinti a volermi tenere, che li ha portati a sposarsi… immaginarli insieme adesso è strano come immaginare un matrimonio tra All Might e Endeavor.
«Ah, ecco! Ora ho capito» esclama Midoriya, riportandomi alla realtà. «Il tuo quirk è una miscela perfetta dei due ereditati dai tuoi genitori: Eraser Head può cancellare le unicità altrui, tua madre può curare le ferite… tu puoi eliminare il dolore delle ferite; fico, davvero fico.» Annuisce e, ancora, sembra davvero colpito.
«Sì, beh… immagino che sia così» rispondo. «Tu invece?»
«Eh?» fa lui e mi rivolge uno sguardo confuso.
«Il tuo quirk» dico, avvicinandomi di nuovo a lui, piena di curiosità. «Di che tipo è? Direi che sei molto forte, per aver schiantato così Kacchan con un solo colpo, ma non sono riuscita bene a capire di cosa si tratti.»
«Oh, ehm… ecco…» D’un tratto, sembra a disagio e non riesco a capirne il motivo. Piego il capo verso una spalla, in attesa. «Il mio è un quirk di potenziamento.»
«Mmm» annuisco, meditabonda. «E tu da chi lo hai ereditato?»
Midoriya si strozza di nuovo con la sua stessa saliva. Mi chiedo se abbia problemi di disfagia o cosa: non è normale strozzarsi in questo modo ogni due per tre.
Mi avvicino a lui e gli batto gentilmente una mano al centro della schiena, perché questo accesso di tosse è stato più violento del precedente.
Prima che possa chiedergli se si senta bene, la porta dell’infermeria si apre di scatto, facendoci sobbalzare entrambi. Midoriya si riprende in modo incredibilmente veloce per essere uno che sembrava stesse per morire soffocato.
«Ma insomma!» esclama Recovery Girl, avanzando lentamente nella stanza. «Cos’è tutto questo baccano?» Mi guarda con i suoi piccoli occhi severi e io mi allontano da Midoriya con la stessa velocità di un gatto beccato a infilare la zampetta in un acquario. «Non ti avevo forse detto di lasciar riposare questi due ragazzi? Il mio quirk accelera il processo di guarigione, ma se non si dà modo al corpo di ristorarsi, allora è tutto inutile.» I suoi occhietti esigenti si spostano su Izuku, che balbetta qualche scusa, alla quale mi unisco.
«Su, ora fuori di qui, signorinella» dice alla fine l’infermiera e, con forza insospettabile per il suo corpo attempato e minuto, mi spinge fuori dalla stanza senza tante cerimonie.
Mi giro appena in tempo per vedere Midoriya sventolare la mano in segno di impacciato saluto. Lo reciproco, ma il secondo dopo Recovery Girl mi sbatte la porta in faccia, lasciandomi a salutare l’uscio.
Sospiro e mi sistemo meglio lo zaino in spalla.
«Che hai combinato, stavolta?» La voce divertita ed esasperata alle mie spalle mi costringe quasi a mettermi sull’attenti.
Mi giro, fino a incontrare la figura di Aizawa, poggiato al muro a braccia conserte, un sorriso a mezza bocca sulle labbra sottili. «Ciao papà» lo saluto, con una smorfia strana.
«Allora?» fa lui. Si stacca dalla parete e mi si avvicina. Con le mani infilate nelle tasche dei pantaloni, china la schiena fino ad avere il viso a pochi centimetri dal mio. Gli mostro il più innocente dei miei sorrisi, ma questo non serve a farlo desistere. «Haruka.»
«Non ho fatto niente, giuro!» Faccio un passo indietro, per ristabilire le distanze, e agito le braccia di fronte al viso. «Stavo solo parlando con un ragazzo e…»
Gli occhi scuri di Aizawa si accendono di una scintilla pericolosa. «Un… un ragazzo?» ripete e un nervo teso gli fa ballare l’occhio destro, proprio poco sopra la cicatrice.
Arrossisco. «Non è come pensi!» Agito di nuovo le braccia di fronte al viso.
Aizawa mi afferra per un polso, fermandomi. «Voglio ben sperarlo, signorina. Sei troppo piccola per pensare ai ragazzi.»
Vorrei far notare a mio padre che ho quattordici anni, non dieci, ma non lo dico ad alta voce, perché so che mi ritroverei avvolta dalle bende che porta al collo prima ancora di finire di pronunciare una singola parola della mia protesta.
Sempre tenendomi il braccio, ma senza rudezza, mi trascina accanto a sé e prende a camminare a passo spedito verso l’uscita della Yuei.
Gli trotterello accanto.
«Chi era, comunque?» chiede dopo un po’.
«Il ragazzo in infermeria. Chi era?»
«Oh. Izuku Midoriya.»
«Tsk.» Aizawa scuote il capo. «E chi altri poteva mai essere? Quello si rompe ogni due per tre, è senza speranza.»
«Io l’ho trovato molto sim…» Mio padre mi guarda male e io mi azzittisco subito. «È uno dei tuoi allievi?» chiedo poi, mentre usciamo nel cortile ormai deserto della scuola.
«Mh» risponde Aizawa, «non uno dei migliori, di certo. Sta ancora imparando a usare il suo quirk, neanche avesse ancora quattro anni. Però ha del potenziale ed è il pupillo di Toshinori, anche se lui cerca di nasconderlo.»
«Il pupillo di… All Might?»
«Mh» fa di nuovo mio padre, ma non aggiunge altro. «Com’è andata oggi, comunque?» mi chiede poi e si volta a guardarmi.
«Bene» rispondo, flettendo i muscoli inesistenti del mio braccio destro. «Ho usato il mio quirk su Midoriya e non sono svenuta neanche una volta! Sto diventando più brava, vero?»
«Questo dovrebbe essere Recovery Girl a dirmelo, non tu» risponde Aizawa, rinfilandosi le mani nelle tasche dei pantaloni.
Mi fermo e metto il broncio. «Ma sono migliorata davvero!»
Aizawa si ferma a sua volta e mi lancia un’occhiata strana da sopra la spalla. Alla fine mi sorride. «Ne sono certo» dice e torna sui suoi passi. Allunga una mano e mi scompiglia i capelli. «Continua così e l’anno prossimo mi farai fare un figurone qui alla Yuei.»
Le mie labbra si tendono in un sorriso enorme e i miei occhi brillano contenti. «Vi renderò fieri di me!»
Il modo in cui Aizawa mi guarda denota che lui lo sia già, ma non è il tipo di persona da esternare quei sentimenti, nemmeno con me che sono sua figlia.
Però si china e il secondo dopo mi afferra le guance e le tira. «Non aspettarti un trattamento di favore solo perché sei la figlia di un professore. Non entrerai qui sotto raccomandazione, ma farai il test come tutti gli altri, chiaro? Io e quella diavolessa di tua madre non abbiamo cresciuto una pappamolla!»
«Ahia, papà! Mi fai male!»
Lui mi molla e le guance tornano al loro posto, nemmeno io abbia la faccia di gomma. Me le massaggio.
«Su» fa poi Aizawa, tirandosi di nuovo in piedi. Mi porge una mano. «Andiamo, stasera ti porto a cena fuori.»
Il dolore alle guance passa subito. Annuisco con un nuovo sorriso entusiasta e gli afferro la mano. «Scommetto che non c’è più cibo in casa, vero?» commento divertita, mentre usciamo dal cortile.
Le spalle di Aizawa si irrigidiscono. «Ma come ti viene in mente?! Un padre non può portare una figlia a cena fuori senza che ce ne sia un motivo?!»
Ho ragione io, cento per cento.
Scoppiamo entrambi a ridere.
Amo mio padre. Non sarà perfetto, ma è l’uomo della mia vita.
   
 
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