Videogiochi > The Witcher
Segui la storia  |       
Autore: Ramalilith    01/09/2021    1 recensioni
Questa è una trasposizione a romanzo del videogioco "The Witcher 3 - Wild Hunt", completa di missioni secondarie, cacce al tesoro e contratti.
Genere: Avventura, Drammatico, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ciri, Geralt di Rivia, Triss Merigold, Yennefer
Note: nessuna | Avvertimenti: Non-con, Violenza
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

La capanna da cui aveva recuperato la padella costituiva una delle ultime propaggini del villaggio di Bianco Frutteto. Una volta lasciatasela alle spalle, il paesaggio si rifece presto molto più selvatico, e anche la quantità di persone visibili diminuì drasticamente.

Finalmente vide spuntare i resti diroccati di quella che era stata un’imponente fortezza in muratura, comprendente un ponte sul fiume. Alla sua sinistra, sulla sponda del fiume si alzava un terrapieno che aveva ospitato la spalla del ponte, di cui l’unica arcata superstite, colossale ma in rovina, lo sovrastava di diversi metri.

L’unica arcata superstite lo sovrastava di diversi metri, e la spalla sulla sua sponda si ergeva da un terrapieno alla sua sinistra. Geralt percepì la presenza di diversi uomini poco distanti. I nilfgaardiani dovevano aver sfruttato le porzioni di costruzione ancora agibili per installarvi la loro guarnigione. Quasi all’improvviso si trovò davanti a una scala di legno che permetteva di arrampicarsi sulla collinetta. Era rozza, ma apparentemente nuova. Nessuno sembrava badare a lui, così smontò e salì svelto senza fare rumore.

La scala saliva per tre ripide rampe, interrotte da piccole piattaforme. Una volta giunto in cima, si stupì di essere accolto da un fresco soffio di vento; i pochi resti di muratura superstiti lasciavano passare luce e aria, cosicché era quasi come stare sulla cima di un colle, nonostante i pavimenti in pietra.

L’aria fresca era piacevole, dopo il sudore della cavalcata, ma il witcher non lasciò che lo distraesse. Aveva la sua missione a cui pensare. Quella, e i due soldati di guardia che gli paravano davanti.

A quanto sembrava, all’interno delle mura superstiti era stata installata la guarnigione vera e propria, a cui si accedeva da un cancello di legno sorvegliato.

“Campo militare. Non sono ammessi residenti, senza l’espresso consenso del comandante della guarnigione” grugnì uno dei due soldati, fissandolo con malcelata disapprovazione. Geralt ricambiò l’occhiataccia. L’uomo aveva una gran barba grigia da cui, quando parlava, facevano capolino dentini da topo, e indossava un elmo tondo decorato da due corna (?).

“Ti sembro forse un residente?”

“Mi sembri un problema” intervenne l’altra guardia. Un po’ più giovane, teneva le braccia incrociate. Il nasale del suo elmo era così ampio che Geralt si chiese come diavolo potesse vedere qualcosa.

“Ti sbagli, io i problemi li risolvo. Sono un witcher”.

Si aspettava una reazione di disgusto, o magari di paura; invece, i due nilfgaardiani sollevarono le sopracciglia prima di scambiarsi uno sguardo eccitato. “Un witcher…? Il capitano Peter Saar Gwynleve è nella torre. A destra, dopo il cancello”.

Geralt sollevò le sopracciglia a sua volta, stupito dal cambiamento repentino. “Ah, voi Oscuri non siete poi così terrificanti… sapete anche essere gentili, se volete”.

Il soldato barbuto sollevò il labbro superiore in una smorfia – il che, secondo Geralt, non faceva molto per migliorarne l’aspetto. “Non abituartici troppo, uomo del Nord”.

Aprirono il cancello, ma Geralt indugiò ancora un attimo. “Presumo che il vostro capitano abbia del lavoro per me…”

“Questo è l’esercito, uomo del Nord. Noi non presumiamo”.

“Alla torre!” aggiunse l’altro, imperioso. “Va’!”

Questa volta Geralt obbedì, entrando nel cortile della guarnigione. Non aveva un aspetto molto minaccioso. Un paio di soldati chiacchieravano, invece di lavorare, seduti su un cavalletto di legno, e a Geralt parve di sentire qualche parola su un grifone. Cominciava ad intuire che cosa potesse volere da lui il capitano.

Si guardò intorno. Sulla destra, altri uomini ciondolavano vicino a un piccolo falò. Dall’interno di una grande e lussuosa tenda a scacchi gialli e neri qualcuno stava officiando un rito per il Grande Sole. Un ciuffo di denti di leone cresciuto in una fessura fra le pietre scintillò al sole attirando per un attimo il suo sguardo, prima di venire calpestato da un paio di soldati indaffarati, e Geralt ripensò involontariamente a Dandelion. Chissà dov’era, che fine aveva fatto. Non gli sarebbe dispiaciuto rincontrarlo – anche se era sempre meglio prenderlo a piccole dosi – ma aveva l’impressione che un tipo come il bardo non si sarebbe divertito granché in una cittadina come Bianco Frutteto. Troppi onesti lavoratori e pochi bordelli. Troppi soldati e poche contesse annoiate.

Poi Geralt individuò la torre – poco più di una rovina, a cui si accedeva con una breve scalinata di legno – che secondo le due guardie ospitava il capitano. Si avvicinò, ma prima di salire si accorse che proprio lì a fianco, un’incudine e due teli usati come pareti avevano creato la più piccola bottega di armaiolo che avesse mai visto, e incuriosito si fermò a dare un’occhiata. La postazione era presieduta da un quartiermastro dall’aspetto poco gradevole; portava dei bizzarri occhiali e aveva ciocche di capelli unti appiccicate alle tempie. Lo stava fissando con una smorfia sospettosa.

“Parola d’ordine?” lo apostrofò con una voce altrettanto sgradevole.

“Non ne ho idea”.

“Stai facendo una passeggiata, eh?” il quartiermastro arricciò il naso con disprezzo. “Conti le spade dell’imperatore prima di addormentarti? Be’, nell’esercito abbiamo un posto per gli impiccioni come te… il patibolo”.

Geralt fece un mezzo sorriso. Quell’uomo era così irritante da risultare ridicolo.

“E i quartiermastri stupidi? Avete un posto anche per loro?”

“Eh eh eh… te la cavi bene con le parole. Sei altrettanto abile a contrattare?”

Preso alla sprovvista dal brusco passaggio dalle minacce di morte agli affari, Geralt inarcò le sopracciglia. Decise di far parlare un po’ l’uomo, per prendere tempo mentre osservava le poche armi e attrezzi alle sue spalle per farsi un’idea della qualità del suo lavoro. “Com’è il morale al campo? I ragazzi credono che vincerete?”

“Ah, allora sei una spia… o un cercaguai”.

Il witcher scrollò le spalle. “Soltanto curioso”. Le armi apparivano piuttosto scadenti, ma la mola almeno sembrava funzionare.

“Ceeerto… Riferisci pure a chiunque interessi che vinceremo noi la guerra, perché Radovid è un folle, come tutti ben sanno, e perché abbiamo un esercito ben addestrato e armato. A proposito… sei qui per comprare qualcosa o no?”

Geralt annuì. “Mostrami la tua merce”.

Alla fine si accordò per una affilatura della sua spada d’acciaio – che gli costò gran parte delle corone ricevute dal fabbro – e quando ebbe finito e la sua arma gli fu restituita, salì finalmente alla torre per incontrare il capitano.

 

C’era già un colloquio in corso nella stanza, sempre se di stanza si poteva parlare; gran parte delle mura di mattoni erano crollate, e il cielo blu splendeva tra i lembi di quelle ancora in piedi, vivido come un arazzo di seta; perciò Geralt rimase in piedi sulla soglia, osservando interessato. Il capitano era seduto a una scrivania di fortuna; di fronte a lui, dando le spalle al witcher, c’era un uomo i cui abiti umili classificavano come contadino.

“Quanto grano ci fornirà il tuo villaggio?” stava chiedendo il nilfgaardiano.

“Ah… quello che volete, vostra eccellenza”. Dalla voce, il contadino sembrava giovane, e non troppo sveglio.

Il capitano si alzò, dando modo a Geralt di osservarlo con agio. Portava dei baffi sottili, la fronte era ampia e severa, e un grosso sole di metallo dorato campeggiava sul pettorale della sua armatura. Tese le mani verso il contadino.

“Guarda le mie mani. Guarda! Li vedi i calli?”

L’altro annuì timidamente.

“Queste non sono le mani di un “vostra eccellenza”, ma di un agricoltore. Perciò parliamo da contadino a contadino. Quanto potete darci?”

“Quaranta staia”. L’uomo esitò prima di proseguire. “Ne avremmo di più, signore, ma i temeriani ci hanno già tassati e…”

“Ce ne darete trenta, basteranno. Restiamo d’accordo così… e voglio che siano trasportate presto”.

Il contadino annuì e chinò la testa sollevato. “Grazie, signore! Grazie infinite!” Poi si affrettò giù per la scaletta e Geralt si fece avanti, avvicinandosi alla scrivania col suo passo indolente, da gatto.

Il capitano lo fissò perplesso per qualche istante, socchiudendo gli occhi. Non trasalì, ma era chiaro che non lo aveva notato fino a quel momento, e che stava cercando di dissimulare la propria sorpresa.

“Avevo convocato soltanto l’aldermanno e il fabbro, Willis… Ma dicono sia un nano. E tu sei troppo alto per essere lui”.

“Molto perspicace”. Il witcher fece un accenno di sorriso. “Hai intenzione di requisire qualcosa anche a lui?”

L’altro incassò la frecciata senza scomporsi. “Se necessario… sì, certo. Siamo in guerra, nel caso tu non l’abbia notato”. Socchiuse gli occhi, fissandolo con attenzione. “Chi sei? Parla”.

“Geralt di Rivia, witcher”.

Gwynleve sollevò un angolo della bocca – forse la cosa più simile a un sorriso che la sua faccia cupa potesse permettersi. “Un vatt’ghern. Questo spiega perché non ho sentito i tuoi passi. Che cosa cerchi?”

Geralt scelse un approccio diretto. “Yennefer di Vengerberg. Dov’era diretta?”

Neppure ora il nilfgaardiano parve sorpreso. Era come se i suoi occhi chiari, obliqui, tristi, fossero troppo stanchi e incassati per spalancarsi. “È un segreto militare”.

Geralt non si lasciò scoraggiare. Aprì le braccia che fino a quel momento aveva tenuto incrociate sul petto. “Non mi hai ancora sbattuto fuori. Non hai chiamato le guardie. Quindi, dimmi… qual è la tua proposta?”

“In zona si aggira un grifone. Uccidilo… e poi vedrò cosa posso fare per te”.

Non quello che si dice un contratto estremamente vantaggioso. Geralt osservò distrattamente il grosso anello d’argento che Gwynleve portava all’indice. Chissà se era un uomo sul cui onore si poteva fare affidamento. Magari la proposta era solo un tentativo di sbarazzarsi di lui facendolo uccidere in un’impresa disperata. Non sarebbe stata la prima volta che ci provavano.

Finora, tuttavia, non ci erano mai riusciti.

“Perché vi importa di questo grifone?”

“Perché mi importa della gente. Quella bestia ha già ucciso dieci persone. Compresi alcuni dei miei uomini”. Si voltò verso la finestra – che era poi una sezione di muro crollata – dando le spalle al witcher con una certa disinvoltura, e si allacciò le mani dietro la schiena. “Per dargli la caccia, dovrei mobilitare l’intera guarnigione, setacciare i boschi, organizzare una battuta… semplicemente impossibile”.

“Troppe seccature?”

“No. Troppi rischi”. La voce del capitano era secca. Si girò di nuovo. “Non posso disperdere le mie forze. Abbiamo annientato l’esercito di Temeria, ma la gente comune resta, pronta a rispondere a una chiamata alle armi. Quindi, per quanto riguarda questo grifone, posso restare a guardare… o assoldare un professionista”.

Geralt annuì. “Affare fatto. Prima d’iniziare, alcune domande… sai dov’è la tana del grifone?”

Gwynleve si chinò a osservare una rozza mappa distesa sul tavolo. Picchiò un dito su un’area. “All’inizio, restava nascosto nel Bosco della Volpe. Ho inviato una pattuglia… cinque giovani soldati”. Il suo volto si increspò in una smorfia quasi impercettibile. “Un cacciatore li ha trovati due giorni dopo. Li ho riconosciuti soltanto dall’armatura”. Sospirò. “Ma da allora il grifone si è fatto più audace. Attacchi ai villaggi, ai campi, sulla strada principale…”

“Significa che ha abbandonato la tana” spiegò Geralt. “Dobbiamo tendergli una trappola”.

“A giudicare dal tuo tono non sembra una cosa facile. Che cosa ti occorre?”

Geralt rifletteva rapidamente. Probabilmente avrebbe avuto bisogno dell’aiuto di Vesemir per far funzionare la trappola. Si immaginò nell’atto di dire al vecchio witcher che avrebberp dovuto affrontare di nuovo il grifone che lo aveva appena ferito, e neppure per un bel sacchetto d’oro, ma per la vaga promessa di informazioni su Yennefer.

L’idea non era molto accattivante.

“Mi servirà un’esca” rispose, tornando al presente. “Un’erba particolare… lo spincervino. Il suo odore attirerà il grifone da dieci miglia di distanza”.

“Spin… spincervino?” Il capitano aveva un’aria scettica. “Non lo conosco. Ma non sono ancora esperto della lingua comune”.

“Mmh… ma immagino che tu abbia già appreso le basi… Mani in alto, uccideteli…”

Questa volta la provocazione andò a segno. “No. Prima ho imparato i modi di dire. Ad esempio, non scherzare con il fuoco”.

Per nulla impressionato, Geralt resse il suo sguardo tranquillamente, e dopo un attimo il capitano continuò: “Va’ da Tomira, un’erborista. Vive vicino al crocevia. Ti aiuterà”.

“Mi servono altre informazioni su questo grifone… il suo sesso, perché ha abbandonato la tana…”

“Vuoi che chiami i testimoni?”

“Non mi diranno nulla che già non so. Devo recarmi dove sono morti i tuoi uomini e dare un’occhiata. Come si chiama il cacciatore che li ha trovati?”

“Mislav. Ha una capanna a sud del villaggio, vicino al bosco. Un tizio molto disponibile… ma un po’ strano”.

Geralt annuì, pur non capendo che cosa intendesse. “Tomira e Mislav… Grazie”.

L’altro mormorò qualcosa in nilfgaardiano che Geralt, con la sua conoscenza rudimentale della lingua e una certa dose di ottimismo, credette di poter interpretare come “Buona caccia”.

Scese dalla torre in rovina per ritrovarsi nel cortile affollato e inondato di sole. Dirigendosi verso il cancello, schivò alcuni soldati impegnati a discutere della morte di un certo Cerid Testa d’Acciaio, ignorandoli. Finalmente aveva una missione chiara, un obiettivo da perseguire che lo avrebbe portato più vicino alla sua meta… a Yen. Corse giù dalle scale, impaziente di montare in groppa a Rutilia e di galoppare. verso l’avventura che lo attendeva.

   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Videogiochi > The Witcher / Vai alla pagina dell'autore: Ramalilith