Libri > Percy Jackson
Segui la storia  |       
Autore: edoardo811    04/09/2021    6 recensioni
Naito è un mezzosangue che ha trascorso la propria vita in fuga, senza un posto dove stare, una casa che lo accogliesse, una famiglia che lo accettasse. Questo perché non è un mezzosangue come gli altri, non è un semidio: è il figlio di un demone e di una mortale.
Rimasto da solo, consumato dal rimorso e pentito per gli errori commessi, comincerà un viaggio tra le montagne del Giappone alla ricerca dell'Elisir di lunga vita: qualcosa che mai nessuno prima è riuscito a trovare. Insieme a una vecchia conoscenza cercherà di riabilitare il suo nome e quello di tutti i mezzosangue come lui. Soli, abbandonati e spaventati. Come un tempo anche lui era.
«Chi sono i tuoi genitori?»
«Mia madre si chiamava Akane Itomi.»
«E tuo padre?»
«Non lo so… non mi ha mai parlato di lui.»

[Mitologia giapponese]
Genere: Angst, Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro personaggio, Gli Dèi, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Le insegne imperiali del Giappone'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

 

Voglio ringraziare infinitamente Roland per questo fantastico disegno di Hachidori: https://www.deviantart.com/rlandh/art/Hachidori-890292617

Grazie infinite! E buona lettura a tutti quanti! Sarà un capitolo molto felice e molto allegro, tranquilli!

 

 



Esilio

 

 

Naito si sedette sul bordo della sporgenza, facendo penzolare le gambe lungo quelle mura che scendevano fino ad essere inghiottite dal bosco. 

In lontananza, gli schiamazzi e le risa degli altri giungevano come irritanti versi striduli, facendogli serrare le labbra infastidito. Viaggiavano per non farsi trovare dai loro inseguitori, eppure facevano quel baccano infernale ogni volta che si fermavano per la notte. Non aveva idea di come non li avessero ancora trovati. I poteri di Hikaru per camuffarli dovevano essere molto più potenti di quanto immaginasse.

Se non altro, il panorama era gradevole. Avevano raggiunto le rovine del castello di Takeda quel pomeriggio, trovandolo come un semplice colle con in cima delle muraglie diroccate, alberi e macchioline di vegetazione.

Poi, era salita la nebbia, coprendo ogni cosa eccetto la cima, dove si erano accampati per la notte. Naito non aveva mai visto niente del genere. Non appena il sakè aveva cominciato a scorrere tra i membri dell’esercito, aveva approfittato della prima situazione buona per allontanarsi e godersi in pace e tranquillità la vista di quello strano fenomeno.  

La nebbia avvolgeva la collina, dando l’impressione di star galleggiando sopra alle nuvole, in una conca nascosta tra i monti. Era incredibile.

«Non ce la fai proprio a rimanere con gli altri, vero?» domandò una voce.

Hachidori si sedette accanto a lui, piantando i palmi a terra e facendo ondeggiare le gambe oltre la sporgenza, con espressione di puro rilassamento.

«Perché, tu ci riesci?» domandò Naito, abbozzando un sorriso. 

«Non sarei qui se ci riuscissi.»

Il sorriso svanì dal volto di Naito. «Stai dicendo che sono solo un rimpiazzo?»

«Forse» rispose lei con un’alzata di spalle. 

Quella frase gli diede molto più fastidio di quando avrebbe immaginato. Distolse lo sguardo da lei, lasciandosi scappare un grugnito di disappunto.

«O forse mi piace la tua compagnia, Naito-kun.»

Naito sussultò, tornando a guardare Hachidori ed accorgendosi adesso del suo sorriso gentile e dei suoi occhi luminosi puntati su di lui. Ricambiò lo sguardo senza sapere cosa rispondere, rimanendo incantato da quelle iridi e da quel viso.

Era da diverso tempo che si comportava così, ormai. Ogni volta che la osservava, ogni volta che lei gli rivolgeva uno sguardo, ogni volta che gli sorrideva, sentiva uno strano calore nel petto e si sentiva incapace di pensare a qualsiasi cosa che non fosse lei. 

Era… così bella.

«Naito-kun?» domandò lei, facendolo trasalire. Sembrava trovarlo divertente. «Ti sei di nuovo incantato?»

Naito distolse lo sguardo, sentendosi le guance in fiamme e farfugliando qualche parola di scusa. Si rese conto che aveva detto “di nuovo” e si sentì ancora più in imbarazzo. Chissà quante volte doveva essersi accorta degli sguardi di lui. Avvertì uno stretto nodo alla gola, di cui sentì il bisogno di liberarsi. «Anche… anche a me piace la tua compagnia» mormorò, osservando la nebbia.

Per un istante, non udì alcuna risposta. Realizzò solo in quel momento che cosa avesse detto davvero e spalancò gli occhi. Stava pensando a cos’altro dire, quando sentì la mano di lei posarsi sulla sua. Trasalì e sollevò lo sguardo, incrociando di nuovo gli occhi di Hachidori, che distese il suo sorriso gentile. Non sembrava turbata dalle sue parole, tutt’altro. Naito ricambiò timidamente, girando la mano in modo da incrociare le dita con le sue. Come sempre, erano calde e morbide nonostante gli artigli.

«Non era davvero il mio turno, quella sera» disse lei all’improvviso.

Naito corrucciò la fronte. «Che intendi dire?»

Per la prima volta da quando la conosceva, Hachidori parve imbarazzarsi. «La sera… in cui ci siamo parlati. Ti avevo detto che ero salita per il turno di guardia, ma era una bugia. Non toccava a me. Però… ti avevo visto lassù, da solo e… e ho pensato fosse una buona occasione per parlarti.»

Distolse lo sguardo da lui, mentre le fossette sulle sue guance si tingevano di colore. «Quando sono arrivata… mi sono subito accorta di te. Te ne stavi sempre in disparte, sullo sfondo, non parlavi quasi mai, ti allenavi e basta. Eri così… misterioso. Mi hai incuriosita. Così ho voluto conoscerti. Sentivo che tu non eri affatto come tutti gli altri, Naito-kun. E… ho avuto ragione.» Tornò ad osservarlo, allargando quel bellissimo sorriso. Si avvicinò di qualche centimetro, tenendo stretta la sua mano. «Non sei affatto come loro.»

Naito strinse più forte la sua mano senza rendersene conto, sorpreso delle sue parole, mentre il suo cuore cominciava a battere così forte da fargli male. Vide Hachidori farsi più vicina e anche lui accorciò le distanze.

«Sono felice di averti conosciuto» sussurrò ancora lei, ora così vicina da sfiorargli il volto con la punta del naso. 

«Anch’io… anch’io sono felice, Hachidori» rispose lui, avvertendo quella familiare sensazione di calore avvolgerlo completamente, questa volta, però, senza allarmarlo. Questa volta, fu gradevole.

Non si rese conto di quanto si fossero avvicinati finché non percepì il respiro caldo di lei soffiare sul suo viso. Hachidori inclinò la testa, in modo che il naso non le fosse d’intralcio mentre chiudeva le distanze, le palpebre serrate, le guance rosse accese. 

Naito non sapeva bene cosa stesse facendo. Non sapeva perché avesse avvicinato così tanto le labbra a quelle di Hachidori. Sapeva soltanto che quel calore stava continuando a crescere, a pulsare dentro di lui sempre più forte. Quando le loro labbra si sfiorarono, gli sembrò che il petto gli si fosse incendiato. Una sensazione nuova, che mai aveva provato, si fece largo dentro di lui. 

Ma non durò.

Nonostante avesse gli occhi chiusi, avvertì comunque Hachidori che si separava da lui all’improvviso. Vi fu un grido spaventato, proveniente proprio da lei. Naito spalancò le palpebre, ma prima che potesse davvero vedere qualcosa venne afferrato per le spalle e trascinato all’indietro. La terra si staccò da sotto di lui e per un attimo fluttuò in aria, prima di schiantarsi rovinosamente a terra. 

«Lasciami! Lasciami!» 

Naito udì le urla di Hachidori e si mise carponi, scrollando la testa per scacciare via quella sensazione di disorientamento. Sollevò lo sguardo, credendo che fossero sotto attacco, e rimase pietrificato.

«Che sta succedendo qui, Naito?» domandò la figura pallida e magra di Orochi, che lo fissava truce dall’alto. Alle sue spalle, Hikaru aveva stretto un braccio attorno al collo di Hachidori, che tentava di scalciare e liberarsi gridando furiosa. 

«Lasciami! Lasciami cagna schifosa!» sbraitò Hachidori, sferrando una gomitata che rimbalzò sul naso di Hikaru senza scalfirla. La kitsune sbatté le palpebre un paio di volte, poi sospirò e sferrò un pugno nel fianco della ragazza, mozzandole il respiro.

«Non rendere le cose più difficili» le disse con voce svogliata, prima di serrare la presa attorno al suo collo, così forte da sollevarla da terra. Hachidori annaspò, il suo viso assunse strane tonalità. Spalancò la bocca in un grido muto, affondando gli artigli nel braccio di Hikaru e dimenandosi senza alcun risultato.

Naito spalancò gli occhi. Scattò verso di lei, cercando il manico della wakizashi, ma venne afferrato per il braccio prima che potesse sguainarla. 

«Ti ho fatto…» Orochi lo fece voltare verso di lui, prima di sferrargli un pugno allo stomaco. «… una domanda!»

Naito si piegò, cadendo in ginocchio, gli occhi spalancati per il dolore e la sorpresa, il fiato che gli mancava. Sollevò lo sguardo, atterrito, incrociando le iridi iniettate di sangue dell’uomo. 

«La… la sta uccidendo» riuscì a boccheggiare. Riuscì a rimettersi in piedi a fatica, ma un altro pugno, questa volta in faccia, lo fece ruzzolare di nuovo a terra. Stramazzò sul suolo di ghiaia ed erba, sentendo una guancia in fiamme, ma non più nello stesso modo di prima. Tentò di sollevarsi sui gomiti e la mano di Orochi si strinse attorno al suo collo, tirandolo su. Naito gridò, mentre le dita dell’uomo affondavano nella sua carne, stringendo così forte da non farlo respirare. 

«Non te lo chiederò ancora, Naito» rantolò Orochi, scrutandolo dal basso con la bocca contratta in un ringhio, le vene che sporgevano sul suo volto squamoso. «Che cosa stavate facendo voi due?!»

«N-NAITO!» gridò Hachidori, tendendo una mano verso di lui. 

La sua voce riuscì a farlo riscuotere. Anche lui tese una mano verso di lei, mentre con l’altra cercava di liberarsi. «Hachidori!»

Non aveva idea di cosa stesse succedendo, ma non aveva importanza. Si sarebbe liberato e sarebbe corso da lei, a qualsiasi costo. 

«No…» biascicò Orochi all’improvviso, la sua voce parve l’eco di una caverna profonda. La presa attorno al collo di Naito aumentò, così forte da fargli sentire i polmoni in fiamme ad ogni respiro. Il mondo ruotò all’improvviso attorno a lui. Avvertì le dita di Orochi staccarsi dal suo collo e l’aria che sferzava di nuovo sul suo corpo. Si schiantò ancora una volta a terra, rotolando incontrollabile. Tremando per la sorpresa, per la rabbia e per il dolore, Naito si rimise in ginocchio e osservò di nuovo Hikaru.

La voce di Orochi sfregiò di nuovo l’aria, tagliente come una lama: «Lasciala andare, Hikaru.» 

La kitsune ricambiò lo sguardo di Naito con espressione incolore, poi lasciò andare Hachidori e la spinse verso di lui. La ragazza barcollò per qualche metro, prima di inciamparsi e cadere. 

«Hachidori!» Naito la raggiunse, mentre lei tossiva e si massaggiava la gola, annaspando in cerca d’aria. Il sollievo che provò nel vedere che stava bene sovrastò ogni altra cosa. «Hachidori» ripeté, accarezzandole la guancia, mentre lei sbatteva le palpebre confusa e spaventata. 

«N-Naito… che… che sta succedendo?»

«Non… non lo so…» 

Decine e decine di ombre si stagliarono alla luce della luna, circondandoli. Alzò lo sguardo, trovando l’intero esercito di Orochi stipato attorno a loro. Sguardi carichi di disprezzo e sadico divertimento si amalgamarono, rivolti verso di lui. Non aveva mai temuto quegli esseri, ma la vista di tutti loro riuniti in quel modo lo inquietò. Strinse la mano di Hachidori, facendo vagare lo sguardo tra i mostri, Hikaru e Orochi, soffermandosi proprio su quest’ultimo. «Che cosa significa tutto questo, Orochi?!»

«Dimmelo tu, Naito» rispose l’uomo, avvicinandosi a loro. «Dimmelo tu cosa significano le vostre mani intrecciate. Dimmelo tu che cosa stavate cercando di fare, prima. Dimmelo tu perché, al mio ritorno, mi sono trovato di fronte la patetica scena del mio soldato migliore che si sbaciucchiava con una mocciosa.»

Hachidori sussultò. Si girò a fatica su un fianco e osservò prima Orochi, poi Naito. Il ragazzo incrociò quegli occhi verdi che aveva sempre trovato così belli, ora sporcati da una vena di paura.

«Ti sei… innamorato» biascicò Orochi, sputando quella parola come se fosse il peggior insulto mai uscito dalla sua bocca. 

Naito spalancò gli occhi, avvertendo la mano di Hachidori che si stringeva ancora più forte alla sua. Udì alcune risa divertite provenire dalla folla, specie il gorgoglio di Bunzo, che si stava godendo con un ghigno la scena in prima fila.

«Tu… un demone… il mio secondo in comando, il mio soldato migliore… innamorato» sibilò Orochi, contraendo le mani, i denti così stretti che sembrava stessero per spaccarsi, le vene così gonfie da scoppiare. «Ma come ho potuto lasciare che accadesse…»

Hachidori aveva un’espressione di terrore puro dipinta sul volto. Sembrava stesse per crollare da un momento all’altro in pianti e grida. Naito non l’aveva mai vista così. Era sempre stata sorridente, allegra, sempre pronta con qualche commento per infastidirlo. Quegli occhi arrossati, quella smorfia spaventata, erano… sbagliati. 

«Dovrei uccidervi entrambi» disse ancora Orochi. «Ma sarebbe un peccato sprecarti così, Naito. Voglio darti una possibilità.»

Versi di disappunto si sollevarono tra i mostri, mentre Naito osservava quell’individuo sentendo la rabbia crescergli nel corpo. Orochi ricambiò quello sguardo impassibile. Le parole che uscirono dalla sua bocca furono come il rantolio di una belva feroce: «Uccidi la ragazza e ti risparmierò la vita.»

Un gemito scappò da Hachidori, mentre Naito sentiva il respiro mozzarsi. Non poteva dire sul serio. Rimase immobile, a ricambiare lo sguardo dell’uomo, aspettandosi che rettificasse l’ordine, ma non accadde nulla di tutto ciò. Orochi era sincero. Voleva davvero che uccidesse Hachidori. 

«Te lo scordi.» Naito lasciò andare la mano della sua compagna, alzandosi in piedi per mettersi allo stesso piano di Orochi. «Io non le farò del male.» 

Il naso di Orochi si arricciò. Non sembrò affatto gradire quella risposta, ma a Naito non importò, così come non gli importò di aver disobbedito ad un ordine per la prima volta, così come non si curò del fatto che Orochi avesse appena minacciato di ucciderlo. 

Non aveva importanza. Le parole di Orochi non avevano importanza. In quel momento, contava solo Hachidori.

«Va bene» rispose Orochi. Trafisse Hachidori con un altro sguardo e lei, rimasta in ginocchio, emise un gemito spaventato. «Hachidori. Uccidi Naito.»

«C-Che cosa?» bisbigliò Hachidori, rialzandosi in piedi a fatica. 

«Hai sentito. Uccidi Naito e ti risparmierò la vita. E non solo. Uccidilo e avrai anche il suo posto al comando.»

Altri versi infastiditi si sollevarono tra i mostri. Hachidori iniziò a tremare come una foglia, con le palpebre spalancate.

«Non puoi dire sul serio» sbottò Naito, digrignando i denti. «Lo Yomi ti ha consumato il cervello, Orochi. Io non farò del male ad Hachidori. E lei non lo farà a me.»

Si voltò verso di Hachidori, in cerca della sua conferma. Ciò che vide, invece, mandò una scarica di brividi lungo tutto il suo corpo. Una sensazione che mai aveva provato prima di allora si fece largo dentro di lui, una stretta opprimente che per poco non gli trasformò le gambe in fuscelli.

«Mi… mi dispiace, Naito» sussurrò Hachidori, gli occhi velati di lacrime, mentre sguainava il tantō. 

Naito fece un passo all’indietro, credendo di trovarsi di fronte ad un’illusione. La sua mente a malapena registrò il viso devastato di lei o la lama stretta nel suo pugno. «Hachidori… no…» 

Le risate che si sollevarono tra i mostri risuonarono come lo scroscio della pioggia, distante ed ovattato. «La ragazza comincia a piacermi» gracchiò la voce distorta di Bunzo, in qualche punto imprecisato. 

«Che stai facendo, Hachidori?» domandò Naito, con un sussurro.

Lei sollevò il tantō, la lama tremolante che emanava bagliori agitati. «Mi dispiace» ripeté, prima di emettere un grido lancinante e fiondarsi su di lui. Naito rimase immobile finché non percepì la lama ad un palmo dal suo stomaco. Afferrò il polso di Hachidori prima che potesse trafiggerlo, tenendolo fermo senza nessuno sforzo. Le sfuggì un verso sorpreso, mentre lui la fissava atterrito. «Hachidori…»

«L-Lasciami» rispose lei, prima di strattonare con forza. «Ho detto lasciami!» urlò, dimenandosi dalla presa di Naito, prima di gridare di nuovo e dimenare il pugnale verso il suo volto. Naito lo schivò, scattando all’indietro, e lei continuò ad incalzarlo, senza dargli un solo istante per reagire.

Il tantō non lo sfiorò nemmeno. Continuò ad evitare gli attacchi, che erano veloci, ma anche grossolani, dettati dalla paura. Afferrò di nuovo il polso di Hachidori, bloccandolo a poca distanza dal suo volto. «Hachidori, ti rendi conto di quello che stai facendo?»

«I-Io non morirò» rispose lei, con voce incrinata.

«E quindi… vuoi… uccidermi?» 

Hachidori gemette. I loro sguardi si incrociarono di nuovo e Naito nemmeno la riconobbe più. I suoi occhi brillavano di paura e follia. Non sembrava più la ragazza di pochi minuti prima. Non era più la Hachidori con cui aveva passato le ultime settimane.

Non era… la persona che gli aveva fatto sentire quel calore. Sembrava priva di ogni controllo. 

«Torna in te… ti prego…» la implorò, sentendo le guance calde e bagnate.

Le labbra di Hachidori tremolarono, mentre altre lacrime le cadevano dagli occhi. «Mi dispiace, Naito» sussurrò di nuovo, prima di dimenarsi e affondare il tantō. 

Vi fu un tintinnio metallico. Hachidori barcollò all’indietro, mentre Naito stringeva la wakizashi con cui aveva appena deviato la pugnalata. 

I due mezzosangue si guardarono di nuovo. 

«Perché Hachidori…» domandò ancora lui, stringendo con forza l’impugnatura della katana, fino a sentire dolore alle dita. «Perché…?»

«Sta… zitto…» ansimò lei, prima di attaccare di nuovo.

Le lame si incrociarono di nuovo, a mezz’aria, e Naito scorse ancora quegli occhi un tempo così belli, ora macchiati di rabbia.

«Hachidori…»

«Zitto.»

«Perché…»

«ZITTO!»

Il tantō si scontrò ancora con la wakizashi. Il respiro di Hachidori era diventato un gorgoglio furibondo. «Io non morirò.»

Naito piegò le labbra, sentendo gli occhi in fiamme e il petto chiuso in una stretta che non lasciava alcuno scampo. «Nemmeno io.»

Le lame si incrociarono ancora e ancora, riempiendo la notte con i loro tintinnii metallici. Più Hachidori lo attaccava e più sentiva la rabbia crescere dentro di lui. Non riusciva a credere a quello che stava succedendo. Non riusciva a credere che lei fosse disposta ad ucciderlo. Dov’erano finiti i discorsi sul trovarsi bene insieme? Dov’era finita la ragazza che gli aveva detto di essere felice di averlo conosciuto?

Dov’era finita… la Hachidori che stava per baciare?

La wakizashi si schiantò di nuovo contro il tantō. I due mezzosangue si scrutarono ancora una volta. 

«Ribelliamoci» sussurrò Naito, in un ultimo disperato tentativo. 

«Che… che cosa?»

Naito lanciò uno sguardo verso i mostri che li circondavano, in attesa di festeggiare la morte di uno di loro e probabilmente di gettarne il cadavere ai rovi. Non si erano mossi, erano immobili come statue, con sorrisi inquietanti scolpiti sui loro volti. Sembravano le opere di uno scultore impazzito.

Osservò anche Hikaru ed Orochi, immobili ed inespressivi, messi alle estremità di quel piccolo spiazzale in cui li avevano costretti a combattere come belve in trappola. «Possiamo batterli… se uniamo le forze» mormorò ancora lui, tornando ad incrociare quello sguardo sconvolto. «Ti prego, Hachidori… ribelliamoci… scappiamo, insieme. Non abbiamo bisogno di loro.»

«Ma che stai dicendo…» rispose lei, scuotendo la testa. «Tu sei pazzo…»

«Hachidori…»

«Smettila…» Hachidori roteò il polso, disarcionandolo. «… di parlare!» tuonò, prima di avventarsi sul suo ventre rimasto scoperto. 

I denti di Naito si incrinarono. Udì lo spostamento d’aria generato da Hachidori, il pugnale che lo sfiorava mentre lui si scansava. Sollevò la katana e, per un istante, tutto si tinse di rosso. Urlò furibondo e calò la lama.

Il grido straziante di Hachidori sovrastò completamente il suo. Naito indietreggiò, con il fiato grosso e la gola arsa, mentre osservava la ragazza stramazzare in ginocchio, la testa rovesciata all’indietro e un’orribile ferita sul braccio.

Ci mise qualche istante prima di capire quello che era appena successo. E quando lo fece, inorridì. Hachidori si accasciò a terra, tenendosi per il braccio sanguinante, mentre i versi divertiti dei mostri si sollevavano, mischiandosi con i suoi gemiti.

«Finiscila, Naito» ordinò Orochi, facendolo voltare di scatto verso di lui. Era ancora lì, ad osservarlo, impassibile. «Uccidila. Forza.»

Naito a malapena lo sentì. I sussulti di Hachidori stavano sovrastando ogni suono, ogni voce, ogni pensiero. «N-Naito…» bisbigliò lei, prima di affondare con forza le dita intrise di sangue attorno alla ferita.

Quella ferita che lui le aveva inflitto.

«Naito» disse ancora la voce di Orochi. «Uccidila. ORA!»

Il respiro di Naito si calmò, mentre scrutava dall’alto Hachidori e il senno ritornava in lui. Sollevò la wakizashi, poi serrò la mascella e scattò verso di Orochi. 

Se lo ritrovò di fronte in un istante, il collo in bella vista, pronto per essere trapassato da parte a parte. Qualcosa lo colpì allo stomaco, così forte da farlo piegare e da fargli perdere la presa sulla katana. Venne rispedito a terra, boccheggiando per il dolore. Affondò le dita nel terreno per rialzarsi, ma Orochi fu su di lui in un istante. Un altro pugno lo colpì sulla guancia, con la forza di una frana. 

«Schifosissimo ingrato.»

Naito si voltò, ricevendo un altro pugno, che lo costrinse a rimanere a terra.

«Con tutto quello che ho fatto per te.»

Un altro pugno. Sentì il sangue coprirgli il volto. 

«Tu osi puntarmi contro la tua spada?!»

Un altro ancora. Naito non sentì più il volto. Non sentì più nulla, a malapena riuscì a scorgere Orochi che lo scrutava dall’alto. «Tiratelo su» ordinò. «E tirate su anche lei.»

Qualcuno lo afferrò sotto le ascelle, trascinandolo in piedi di peso. Avvertì le zampe artigliate di Bunzo, più la sua risatina che giungeva al suo orecchio. «Questa è la fine che si meritano quelli come te.»

Naito lo sentì a stento. Il suo sguardo rimase focalizzato su di Orochi, mentre si avvicinava ad Hachidori, tenuta ferma da alcuni mostri mentre Hikaru osservava in silenzio, in disparte. 

«Ho fatto un errore a prenderti con me» le rantolò, prima di mandare un cenno ad un altro gruppetto di mostri. «Toglietele tutto.»

Quelli sogghignarono e si avventarono su di Hachidori, che spalancò gli occhi terrorizzata. Nonostante si muovesse a malapena, provò comunque a gridare ed a scalciare. Riuscì ad allontanare un oni con un calcio, ma un altro subito dopo di quello prese il suo posto. Le strapparono via lo yukata, scoprendo il suo corpo pallido.

«Che state facendo?!» tuonò Naito, riscuotendosi. «Non toccatela!»

«Sta zitto, stupid…» Naito non lasciò che Bunzo finisse la frase. Un’ondata di energia improvvisa lo pervase da capo a piedi, divampando come un incendio. Si liberò dalla presa dei suoi aguzzini con un urlo. Fece per correre, ma Bunzo si parò di fronte a lui e cercò di agguantarlo. «Dove pensi di anda…»

Naito gli afferrò il braccio e glielo piegò al contrario con un gesto secco, facendolo strillare come una capra di montagna. Gli sferrò un pugno sopra il naso, scaraventandolo a terra, e corse verso Hachidori. Altri mostri si frapposero, ma fecero tutti la stessa fine di Bunzo. Si fece largo spezzando braccia, gambe, sferrando pugni e testate, finché non sguainò la katana e cominciò a brandirla contro di loro, colpendo per uccidere. Una scia di yōkai mutilati stramazzò alle sue spalle.

«LASCIATELA STARE!» sbraitò, mozzando il collo di una rokurokubi. Udì il grido terrorizzato di Chioiji da qualche parte in mezzo alla ressa, finché una luce non balenò all’improvviso. Hikaru apparve come un miraggio di fuoco e fiamme, le nove code che spuntavano dall’abito e il muso volpino proteso verso di lui. Lo colpì allo stomacò con il palmo della mano, mozzandogli il respiro prima che potesse reagire. 

Cadde di nuovo a terra venendo subito circondato dal resto dei mostri. Pugni e calci scesero su di lui come pioggia. Cercò ancora di ribellarsi e di gridare, ma Hikaru l’aveva ridotto peggio di quanto avrebbe pensato. I mostri lo sovrastarono, restituendogli un livido per ogni loro compagno caduto per mano sua. Il dolore era insopportabile, agonizzante, ma non era nulla in confronto alla rabbia dentro di lui. 

«Basta così» ordinò la voce di Orochi, sollevandosi sopra il caos. I mostri si tolsero di mezzo, lasciando che Naito, riverso a terra, potesse osservare l’uomo mentre puntava una katana alla gola di Hachidori, che era tenuta immobile per le braccia da due oni. Malgrado tutto, provò sollievo nel vedere che non l’avevano spogliata completamente. Aveva ancora una fascia sopra i seni e l’intimo. Il resto del corpo era nudo, la pelle era liscia e glabra, fino alle spalle e alle ginocchia da cui spuntavano le piume che arrivavano fino alle mani e ai piedi.

I loro sguardi si incrociarono di nuovo. Il suo viso era arrossato dal pianto, la luce della luna rifletteva sopra sulle sue lacrime, le labbra erano strette in un’espressione devastata. Quella vista fu insopportabile per lui.

«Hai finito di uccidere la tua gente, Naito?» domandò Orochi, con voce grave.

Naito affondò le dita nel terreno. «La “mia” gente?!» urlò. «Questa non è la mia gente! Siete solo delle bestie prive di senno!»

Orochi avvicinò la lama al collo di Hachidori, premendo sulla carne. Lei gemette e Naito si allarmò. «Fermo!»

L’uomo rimase immobile, a fissarlo dall’alto. Una striscia di sangue cominciò a scendere dal collo di Hachidori, facendo ringhiare Naito per la rabbia: «Se la uccidi… giuro che vi sterminerò tutti. Uno per uno. Vi strapperò le unghie, le dita, gli arti, vi squarterò pezzo dopo pezzo e lascerò tutto ai vermi. Hai capito?!»

Orochi serrò la mascella. Naito riconobbe quello sguardo che gli rivolse. Spalancò gli occhi e gli urlò di non farlo, ma era troppo tardi: la katana scese su Hachidori.

Un urlo straziante si levò in cielo, perforando la notte, riecheggiando in tutta la valle. Naito rimase immobile, paralizzato, mentre osservava il braccio di Hachidori cadere a terra. La ragazza crollò in ginocchio, afferrandosi il moncherino sanguinante. Le sue urla gli si conficcarono nella mente, imprimendo cicatrici indelebili. Il suo pianto lacerante lo scosse dall’interno, riportando in auge emozioni che credeva di aver dimenticato.

«Hai finito di fare l’eroe, Naito?» sibilò Orochi, afferrando Hachidori per i capelli e minacciando di sgozzarla. «O preferisci che la tua amichetta venga smembrata pezzo dopo pezzo?»

Hachidori era pallida come la luce della luna. Incrociò ancora una volta lo sguardo di Naito, ma non sembrava nemmeno più in sé. «Hachidori…» sussurrò lui, incapace di fare qualsiasi altra cosa. In qualche modo, riuscì a trovare la forza di guardare di nuovo Orochi. «T-Ti prego… lasciala andare…» 

La katana rimase lì dov’era, i capelli di Hachidori stretti nel pugno dell’uomo. «Perché dovrei, Naito? È colpa sua se siamo finiti in questa situazione.»

Naito strinse i pugni. Ancora una volta, si sentì pervaso da una rabbia incontrollabile. Il desiderio di alzarsi, combattere e ucciderli tutti si insinuò nella sua mente, carezzandolo come un sussurro. Incrociò lo sguardo di Orochi e pensò a quando era ancora un bambino, alla promessa che aveva fatto a sé stesso. 

Poi, incrociò anche lo sguardo di Hikaru, che si era di nuovo portata accanto all’uomo. Non disse nulla. Si limitò soltanto a scuotere la testa in maniera quasi impercettibile, con uno sguardo che mai le aveva visto fare prima, come se avesse capito le sue intenzioni. 

A quel punto, la rabbia sfumò da dentro di lui. Realizzò che se si fosse mosso di un altro passo, Hachidori sarebbe morta. O peggio.

«Farò… farò quello che vuoi…» bisbigliò Naito, abbassando la testa. «Ma… non ucciderla. Ti scongiuro.»

«Guarda come ti sei ridotto. Tutto solo per lei.» Orochi punse il collo di Hachidori con la katana, strappandole un altro gemito di dolore, o forse di paura. Scrutò Naito con aria disgustata. «Da adesso in poi, obbedirai ad ogni mio ordine, senza discussioni. Imparerai a comportarti come un vero mostro. E ci dimenticheremo di questa faccenda. Tutto chiaro, Naito?»

«S-Sì» mormorò Naito. Qualsiasi cosa, pur di salvarla.

«Legatelo.»

Naito registrò a malapena le mani che si posavano su di lui, costringendolo a mettersi in ginocchio. Il suo sguardo rimase focalizzato su di Hachidori, il terrore che Orochi potesse ancora ucciderla occupò tutto quanto. Gli strinsero delle catene attorno ai polsi e alle caviglie, prima di schiacciarlo a terra. Non emise un solo suono.

Quando fu immobilizzato, Orochi lasciò i capelli di Hachidori, che stramazzò a terra. «Vattene da qui» le ordinò. «Hai due minuti per sparire dal mio campo. Se sarai ancora nei paraggi…» Lanciò uno sguardo ai mostri che continuavano ad osservare il corpo seminudo di Hachidori, famelici. «… ti darò in pasto a loro. E poi ti ammazzerò con le mie mani.»

L’espressione terrorizzata non abbandonò Hachidori. Incrociò ancora una volta lo sguardo di Naito, ma lui a malapena riuscì a vederla, a causa della vista appannata. 

Quella ragazza, quella mezzosangue, la sua amica, la sua compagna di viaggio, l’unica persona con cui fosse mai riuscito ad andare d’accordo, che l’aveva compreso, che gli era stato vicino, che l’aveva fatto sentire bene, abbassò la testa la testa afflitta e non la alzò più. Con gambe tremanti di fatica, si rimise in piedi e si allontanò barcollando, tenendosi per il moncherino, svanendo nella notte. 

Naito la osservò finché di lei non rimase soltanto il ricordo. Gemette, affondandosi le unghie nei palmi. Gli occhi cremisi di Orochi si piantarono di nuovo su di lui, brillando tra le tenebre e causandogli un brivido lungo la schiena. «Mi hai deluso, Naito. Portatelo via.»

Ancora una volta, Naito nemmeno registrò la folla di mostri che cominciava a circondarlo, celando Orochi dalla sua vista.

«AAAAAGGGH! Mi ha rotto un braccio! Mi ha rotto un braccio!» strillò Bunzo, apparendo nel suo campo visivo mentre si teneva il braccio piegato in posizione innaturale. Hikaru lo raggiunse con passo pesante e glielo afferrò, piegandoglielo nell’altro verso con un rumore disgustoso. Bunzo rovesciò di nuovo la testa all’indietro, gridando ancora più forte, prima di calmarsi. «Oh… va meglio ora… grazie, Hik…»

La kitsune gli sferrò un pugno allo stomaco, trasformando la frase in un risucchio d’aria. «Chiudi quella dannata bocca» rantolò, prima di afferrarlo per il naso storto e trascinarlo via.

Anche loro svanirono alla sua vista. Mentre i mostri lo portavano via, Naito riuscì soltanto pensare a quello che era appena successo. E a come avesse appena perso la seconda persona che aveva mai amato.

 

   
 
Leggi le 6 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Percy Jackson / Vai alla pagina dell'autore: edoardo811