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Autore: Soleil et lune    05/09/2021    0 recensioni
Il ritorno di una guerra e la minaccia di un mostro da sventare, il tutto ambientato in una foresta dai toni fiabeschi. L'avventura e i colpi di scena si susseguono in un tornado di emozioni e strategie, il tutto per recuperare l'unico oggetto in grado di dare speranza al pianeta Terra: Chaos e i suoi servi sono tornati per riportare lo scompiglio nell'universo, ai cui estremi si trova il suo più grande e fatale alleato.
Genere: Avventura, Fantasy, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Andromeda Shun, Cygnus Hyoga, Dragon Shiryu, Pegasus Seiya, Phoenix Ikki
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Hoi raga, scusate per l’assenza ma il computer si era rotto (saltava la corrente in casa ogni volta che lo accendevo, problemi col case box). Mi scuso per l’assenza lunghissima, ma in compenso ecco il capitolo nuovo. Il Mistero della foresta di Chaos sta giungendo al termine, e vi ringrazio molto per chi ha letto perché senza di voi, senza le letture che potevo vedere, questa storia non sarebbe mai arrivata ad una conclusione. Questa storia fa parte di una serie ed è la storia di apertura in cui incrocio sia il mondo epico dei cavalieri ad una realtà che può essere anche peggio del campo di battaglia. Vi ringrazio davvero tanto, ma adesso basta con le smancerie e vi lascio ai capitoli finali della storia! Boiiiiiiiiiiii!!!!
 





ATTENZIONE: Il seguente capitolo contiene violenza, non a livelli esagerati ma sentitevi di continuare la lettura finché vi sentite di farlo. Chi continuerà la lettura lo fa a propria discrezione per tanto non mi assumo alcuna responsabilità in caso decidiate di farlo. Buona lettura.
 

 
Mentre camminavamo in quella radura fui assalito da un senso di malinconia. Capitava spesso che accadesse, soprattutto a New York, e tra di noi era calato un silenzio di tomba. “Quanto manca alla fine di tutto questo?”, mi chiedevo, ma era già un miracolo uscirne vivi, lo sapevamo tutti, ma questa domanda purtroppo non me la stavo ponendo solo in quella circostanza.
 
Ricordo ancora le luci di New York, in quelle sere di pioggia, il rumore del traffico e le gocce che sottili bagnavano il vetro del taxi che prendevo sempre per tornare a casa dal lavoro, perché non avevo nemmeno i soldi per permettermi una macchina tutta mia. Il veicolo giallo era bloccato nel traffico, eravamo lentissimi e non ci muovevamo di un centimetro, i clacson in sottofondo poi erano una vera tortura per l’udito, inoltre se fossi sceso avrei dovuto sopperire al gelido vento novembrino che si insinuava tra i palazzi e nei giacconi dei malcapitati che correvano sul marciapiede in cerca di un riparo dal maltempo. Lavoravo in un pub, di quelli pieni di insegne, che verso la mezzanotte accolgono coloro che nell’alcool e nella solitudine affogano le tristezze della vita. Da barista ero abituato ad ascoltare le storie di coloro che traevano un minimo di sollievo solo nell’essere ascoltati, nel potersi sfogare, anche solo con un giovane barista che dall’altra parte del bancone sentiva le loro parole strascicate e i loro accenti cadenti a causa della vodka e che probabilmente il giorno successivo non avrebbero trovato. Pensare a questi individui mi portava sempre una tristezza immane, li vedevo come dei miserabili, mio malgrado, e me ne impietosivo, ma più che ascoltarli non sapevo che fare. Lo stesso bar mi metteva tristezza: i neon che lampeggiavano indicavano una qualsiasi marca di qualche alcolico, l’unica parte decentemente illuminata era il bancone e infatti era lì che si riunivano tutti, sotto la luce biancastra e mortuaria di un neon appeso al soffitto proprio sopra di quel pezzo di legno. La parte divertente è che la zona degli alcolici disponeva di lampadine che servivano proprio ad evidenziarli, ho sempre pensato che fosse una tattica per spingere le persone a bere di più e lo trovo meschino e crudele…ma del resto è proprio grazie all’alcool che quel posto andava avanti. La paga era abbastanza da permettermi di pagarmi la retta universitaria, il resto lo usavo per vivere ma era davvero misero, cercavo di risparmiare il più possibile: il cibo in scatola era il mio migliore amico, soprattutto le scatolette di tonno, peccato che ne mangiassi talmente tanto che mi dava la nausea, eppure oltre quello non è che mangiassi molto altro, perché dopo una giornata di studio non hai voglia di cucinare niente, e anche volendo cosa potresti preparare con quel poco che ti restava che era abbastanza da pagare si e no l’affitto e le bollette? Il bar si trovava in un vicolo, nella classica stradina malfamata, dove gli autobus passano massimo un paio di volte al giorno, per questo avevo sempre un senso di inquietudine a tornare a casa quando finivo siccome era sempre molto tardi, e nemmeno per quanto riguarda casa mia era diverso. Si trattava di un bilocale situato al primo piano di un condominio vecchiotto in periferia, i muri esterni erano pieni di graffiti, di crepe, altri locali erano disabitati e fatiscenti, inoltre i muri erano talmente sottili che potevi sentire i televisori degli altri inquilini negli appartamenti accanto al tuo, e se riuscivi a sentire i televisori figurati le grida, le minacce…anche le percosse. L’affitto era di duecento dollari mensili, ed io lo dividevo con il mio coinquilino Franky. Franky era un anno più grande di me, anche lui frequentava l’università ma non ci teneva quanto me, i suoi genitori per giunta erano alcolizzati e lui era scappato di casa all’età di diciassette anni. Non l’hanno mai cercato. L’università, come dicevo, non gli interessava particolarmente, ma lavorava comunque da Starbucks per mandare avanti quell’abitacolo che per comodità entrambi chiamavamo “casa”, anche se per noi non lo era affatto, o meglio, lo diventava, quando Franky non era sotto effetto di sostanze stupefacenti. Esatto, si drogava, eroina soprattutto, lo faceva ascoltando musica lo-fi, e si rilassava così. Prima si limitava alle canne, ma dopo un po’ non gli fecero più effetto e passò all’eroina. Franky era un tipo esile, più alto di me ma con spalle e fianchi stretti, spesso vestiva di scuro, il suo incarnato era pallido e spesso gli occhi, marroni, erano cerchiati da enormi occhiaie scure, i capelli erano neri e gli toccavano l’orecchio, a vederlo sembrava un emo, e invece si faceva di eroina. Sentivo spesso i vicini parlare di lui, ma io sapevo che in realtà non era un cattivo ragazzo, era solo preda di se’ stesso e dei propri demoni. Una volta presi persino un pugno da parte di John, che abitava nella porta affianco. “Non criticarlo perché si fa di eroina, lui almeno non fa del male a nessuno, non è un porco che va a prostitute con la moglie in casa!”, gli dissi una volta, prendendomi un pugno da quest’energumeno, alto e obeso, con il grasso che colava dal mento, era un muratore e fumava molto, tanto che sentii l’odore del tabacco quando mi colpì. “Che marca disgustosa”, ricordo di aver pensato, infatti la mia dipendenza dal fumo iniziò proprio lì, a New York. Franky era un tipo a posto, era gentile, si vedeva che aveva sofferto molto, spesso si sfogava con me e liberava il dolore che lo opprimeva da anni, passavo molte notti accanto a lui, anche solo poggiandogli una mano sulla spalla, perché era mio amico e gli amici fanno questo. Lo aiutava parlare, lo aiutava tanto, ma poi tornava a farsi per trovare sollievo. Io cercavo di farlo smettere ma non c’era verso, cominciai a temere di trovarlo morto una volta tornato a casa. Era in questa situazione che continuavo a chiedermi: Quanto manca alla fine di tutto questo? Perché la mia vita è un saltare da un incubo ad un altro? Dalla paura di morire alla miseria più profonda? E per giunta non riuscivo a smettere di pensare a mia madre…chi era mia madre, e poi…il proiettile d’argento…ma no, Baba Yaga era solo una pazza.
 
“Eccola!”, la voce di Chloe mi riportò bruscamente alla realtà, avevamo camminato parecchio ed ora la ninfa stava indicando una grotta, “si trova là”. Mi avvicinai alla grotta e vi entrai, era spaziosa, simile ad una tholos, solo che vi era un buco nel centro della semi-cupola, da cui partiva un fascio di luce che illuminava una lucente varietà monocristallina dell’ossido di alluminio. Mi avvicinai alla pietra preziosa, situata su una sorta di podio, e data la fatica fatta per ottenerla il suo colore rosso pareva ancora più luminoso. Lo presi tra le mani, e gli altri mi raggiunsero, la luce si rifletteva su quella pietra e per un attimo fummo presi dalla gioia, tuttavia fu appunto solo un attimo, perché poi vedemmo le pietre che, dal reggersi autonomamente grazie al loro peso, cominciarono a cadere sulle nostre teste. “Tutti fuori!”, urlò Zorba, e noi cominciammo a correre fuori mentre tutto intorno a noi collassava, Chloe stava inciampando sull’uscio e io feci appena in tempo a prenderla tra le mie braccia e a saltare fuori, cadendo sull’erba morbida con lei stretta al petto e tremante.
Anche gli altri erano stati costretti a gettarsi fuori in quel modo, della grotta non restava niente, solo cumuli di pietra. Mio malgrado un pensiero mi assalì: cosa ne sarebbe stato di Chloe?
Lo avrete già capito, Chloe non era tra le mie simpatie all’inizio, eppure era stato istintivo aiutarla; sarà stato per l’istinto di saint, per un raptus di misericordia, fatto sta  che adesso lei era aggrappata e stretta a me. Confuso, guardai mio fratello, che ora mi sorrideva leggermente, poi mi alzai aiutando Chloe. “Dobbiamo muoverci”, dissi poi avviandomi, mentre mi voltavo per riprendere a camminare notai che Chloe stava sorridendo ed era arrossita. Camminammo un po’, poi Zorba imprecò guardando il cielo sopra di noi e anche noialtri alzammo lo sguardo: tinte di rosso e giallo tingevano un cielo arancione e alcune nuvole parevano quasi di un colore a metà tra il viola e l’azzurro. “Dannazione…”, disse Hyoga, io avrei esordito con qualcosa di più volgare ma mi astenni. Il sole stava tramontando ed eravamo solo al quarto rubino, cercai di mantenere la calma ma mentre sugli altri si disegnava un’espressione di panico dentro me cresceva un senso d’ira che cercavo di nascondere, giuro che avrei ammazzato chiunque, perché ormai mi ero abituato alle stranezze di quella foresta. Mi toccai la fronte con la punta delle dita, avevo i nervi a fior di pelle, e soprattutto mi chiedevo dove diavolo fossero Dragone e Seiya! “Muoviamoci”, dissi in tono secco e feci per avviarmi, poi Hyoga mi chiese se stessi bene ma mi girai verso di lui e gli feci capire con sguardo eloquente che non ero in vena di chiacchiere, poi proseguii. Dopo qualche passo sentii gli altri continuare a camminare e gli occhi di mio fratello su di me, ma non avevo voglia di parlare o proferire parola e dopo qualche minuto cominciai a correre, perché non avevamo tempo da perdere. “Chloe dov’è la quercia?”, chiesi io e Chloe ci indicò la strada. Non vi dico il viaggio, non fu molto lungo e non parlammo per niente, quindi non perderò tempo io a scrivere e non farò perdere tempo voi a leggere. Arrivammo di fronte alla quercia, però c’era qualcosa di diverso perché…era come se fosse sul punto di morire. Goldilocks si incupì, tacque per un po’ mentre io scrutavo nei minimi particolari quella quercia: il suo colore pareva tendere sul grigio, non c’erano foglie, affatto, ma non fu questo a farmi scattare sull’attenti, bensì quella che sarebbe dovuta essere la porta: in alcune parti mancavano dei pezzi, lo spazio per infilare il rubino era molle e puzzava molto, per non parlare di quando mi avvicinai, decine di insetti scapparono via dalle radici dell’albero che puzzava come un cadavere. Io rimasi in silenzio, infilai il rubino nel buco apposito ed entrammo tutti in quel tronco dall’odore nauseabondo, una volta entrati sentimmo un vento gelido entrarci fin nelle ossa, poi un suono simile ad un rametto che viene calpestato, poi quel vento cessò ed apparentemente non accadde nulla. Ci fissammo qualche minuto, poi Eretria aprì la porta e scoprimmo che il piano era diverso. Diamine se era diverso.
Il vento muoveva i rami secchi degli alberi, che erano spogli e dai tronchi neri nonostante fossimo a giugno, l’erba era alta e di uno strano colore tendente al marrone e non c’era neanche traccia di animali che non fossero insetti che ci giravano intorno. Ci incamminammo senza dire una parola ed io alzai gli occhi al cielo: era grigio, ma non di quel grigio tipico di un cielo nuvoloso, era…semplicemente grigio, non so come spiegarvelo, grigio con delle striature di nero, simile ad un cielo al tramonto ma con quelle tinte sul nero e sul grigio e il tutto, nell’insieme, pareva un quadro dalle tinte surreali, ma non come il resto della foresta ma in un senso più cupo, più tetro. Vi siete mai chiesti come si potesse raffigurare l’anima di un essere umano? Io si, in genere se vogliamo attenerci ad uno stile più fantasy potremmo immaginarla, secondo me, come una sfera luminosa e bianca, o forse colorata, e se poi siete fan di Undertale potreste immaginarla come un cuore colorato di uno dei sette colori dell’arcobaleno, dipende poi dal tratto della personalità che volete far emergere di più e infine Platone divideva l’anima in tre parti: razionale, concupiscibile e coraggiosa e poi su queste e sul tratto più evidente formava i ruoli nella società; non che mi lasci sempre coinvolgere da questi discorsi così filosofici, ma in quel momento ricordo di aver pensato che se mi avessero chiesto di raffigurare l’animo e la psiche di un noto serial killer – come ad esempio Charles Manson – niente avrebbe potuto raffigurarli meglio di quello scenario così immobile e terribilmente mortuario. Improvvisamente sentii un brivido percorrermi la schiena e un’inquietante presenza dietro di me, così mi voltai di scatto e i miei compagni fecero lo stesso. “Shun che succede?” mi chiese Hyoga, perché stavo guardando un punto indefinito in cui non c’era nulla.
Non c’era davvero nulla ma io mi sentivo osservato. “Non vi sentite osservati?” chiesi con estrema naturalezza, ricevendo in risposta gli sguardi confusi dei miei compagni che dopo qualche secondo cominciarono a guardarsi gli uni con gli altri. “Lasciate stare” risposi cercando di chiudere in fretta il discorso, poi mi guardai di nuovo alle spalle e continuammo a camminare, ma quella sensazione non voleva proprio sparire. Dopo qualche minuto Ikki aprì la bocca per parlare e disse parole, ma io non riuscivo a sentirlo, ma pareva che tutti gli altri ci riuscissero, ed anzi gli rispondevano! Non sentivo una parola, solo un inquietante ronzio nelle mie orecchie ogni volta che qualcuno parlava, provai a parlare ma non riuscivo nemmeno ad aprire la bocca.
Continuavo a camminare notando che lo scenario stava cambiando, sentii sulla mia spalla una mano stringermela forte, ma non avevo il coraggio di girarmi. Di colpo gli alberi secchi divennero edifici di una Tokyo di quasi vent’anni fa, le foglie abbandonate sul suolo persone che si muovevano prese nelle loro faccende, il cielo grigio e nero un cielo serale e i miei compagni divennero persone totalmente sconosciute, tranne Ikki e Hyoga. Ikki parve invecchiare di colpo, i suoi capelli da disordinati divennero pieni di gel e tirati indietro, l’armatura un completo elegante da uomo d’affari sui toni del grigio e divenne leggermente più basso e un po’ più…in carne. Hyoga invece cambiò totalmente il suo aspetto, a differenza di Ikki che un minimo ricordava il suo aspetto originale Hyoga divenne tutt’altra persona: era diventato un uomo sulla trentina dalla pelle chiara, con due occhi neri, piccoli e sottili e sotto cui vi erano delle occhiaie evidenti; i capelli erano tagliati corti ed erano sui toni del nero, non era basso ma nemmeno alto ed era molto magro, aveva un pizzetto sul mento e un completo da uomo d’affari, ma sui toni del nero, inoltre nel taschino erano appesi dall’asticella un paio d’occhiali dalle lenti sottili, forse da lettura e sotto un braccio portava una cartellina gialla. I due uomini cominciarono a parlare tra loro, la dizione perfetta e il linguaggio forbito mi avrebbe fatto pensare a due persone per bene, ma i loro sguardi tradivano quest’idea superficiale.
“Conosci un mortale più sventurato di me, Llyod?” disse l’uomo che somigliava ad Ikki, e l’altro replicò: “No, la tua infelicità giunge fino al cielo”, e ancora il primo: “Ecco perché sono pronto a morire”.
Osservai i due uomini, Llyod era evidentemente più giovane del primo e dalla tasca della sua giacca usciva l’angolo di un biglietto. Senza pensarci due volte mi sporsi leggermente e presi il biglietto tra le mani, con mia sorpresa era un biglietto da visita su cui c’era scritto “Akahito Shikamura”. Shikamura…? Sbaglio o era il cognome di Sakura Shikamura, Albachiara?
Potevano essere fratelli, e se quello fosse stato lo zio di Ikki? No, non ci credetti, si somigliavano troppo, era come se Ikki fosse di colpo invecchiato di vent’anni, era molto più probabile che fosse il marito di Sakura e che lei avesse acquisito il cognome da lui, quindi era molto più probabile che quell’uomo fosse il padre di Ikki, quell’uomo di alto grado della Yakuza.
D’ora in poi scriverò sotto forma di dialogo, perché tutto quel che hanno fatto è stato camminare e controllare sporadicamente orologi o cellulari.
Llyod: Credi che gli dei si curino delle tue minacce?
Akahito: Gli dei sono protervi con me ed io lo sono con loro.
Llyod: La tua superbia potrebbe moltiplicare i tuoi mali.
Akahito: Trabocco di mali, non potrei accorgermi di altri.
Llyod: Allora cosa farai? Dove ti porterà la tua ira?
Akahito: Ritornerò all’Inferno, da dove, crescendo, ho maturato l’idea di essere venuto.
Llyod: Sono discorsi indegni di un signore.
Akahito: Fai presto a darmi consigli e a farmi rimproveri: sei giovane e fuori dalla bufera, tu.
Llyod: Non è detto che non ci possa finire, una volta intrapresa questa strada non si torna più indietro, se non rimettendoci la vita, e questo tu dovresti saperlo meglio di me.
Akahito: Come fai a darmi del signore dopo che le mie mani si sono sporcate del sangue di vittime innocenti? Con queste stesse mani io accarezzo mio figlio.
Llyod: Akahito, io so benissimo quello che hai fatto con quelle mani e non ti do certo del signore per questo motivo, ti do del signore perché nonostante ti porti questa colpa non piangi e non strilli implorando pietà nel tentativo di ottenere la pena minima per quello che hai fatto. Sarò sincero con te: non ti lamentare delle tue mani sporche di sangue, ma addolorati per quelle volte che hai ordinato ad altri di uccidere, così hai rovinato l’anima tua e di quelli, più di quanto non fosse già rovinata.
Akahito: Mi stai forse dicendo che disprezzi questa posizione? Se ti sentisse qualcun altro saresti già in ginocchio in procinto di ricevere una pallottola in testa.
Llyod:Lo so, ed è per questo che faccio questi discorsi solo con te, perché so che resteranno tra noi. No, non disprezzo questa posizione, non sono un tipo che sputa nel piatto in cui mangia, perché io stesso mi sono portato a questo e sarebbe ipocrita ed immaturo piangere sul latte versato, ti pare?
Akahito:E’ anche vero che la resistenza ha un limite.
Llyod:Non siamo un gruppo di beneficenza, non puoi semplicemente andartene quando ti stufi di mandare avanti i giochi.
Akahito: Lo so molto bene Llyod, ma se stai cercando di aiutarmi questi discorsi non lo fanno. Ascolta semplicemente le ragioni che mi oppongono ai tuoi rimproveri. La mia vita non è vivibile ora così come non lo è mai stata. Mio padre uccise mio nonno ed ancora impuro del suo sangue violentò la seconda figlia e quando si scoprì che ella era incinta la sposò. Si può dire che la mia vita sia cominciata grazie alla violenza. Mio padre era già un membro della Yakuza, uno potente, ecco perché io adesso sono dove sono. Anch’io, come mio padre, sposai Sakura perché rimase incinta di mio figlio, anche se onestamente non la amo, l’ho fatto solo perché sennò quel bambino sarebbe finito per strada, e una cosa che detesto è quando Sakura si porta dietro quella Melanie, ultimamente dice di vedere il dio del cielo…secondo me deve solo farsi ricoverare.
Llyod:Solo i celesti possono giudicare le parole degli umani, rammendalo bene.
Akahito: Ahimè, io penso a tutto fuorché a questo, ma per come stanno andando le cose credo che a breve ci trasferiremo in America.
Llyod:Lascerai il Giappone permanentemente?
Akahito:Ancora non so, Katsukami mi ha affidato delle cose da fare in America, ma no, non penso di tornare in Giappone. So quello che ho fatto e so che non potrà essere perdonato, ma al contempo voglio spendere ciò che rimane di questa vita per fare del bene, per quanto posso.
Llyod:Preoccupati solo di non disubbidire eccessivamente a Katsukami.
Akahito:Ti ringrazio, amico mio.
Sentii di colpo qualcosa sollevarmi da terra, ma solo di pochi centimetri tenendomi dal colletto, poi la sensazione di stretta sulla spalla sparì e quegli edifici e quelle persone scomparvero, ed io tornai in mezzo ai miei compagni accorgendomi che era Hyoga a tenermi da dietro il colletto.
“Uh…?” feci io con voce impastata, come se mi fossi svegliato da un sogno, “Ti sei svegliato finalmente”, mi fece Hyoga “hai camminato tutto il tempo facendo strani gesti, prima hai fatto segno di afferrare qualcosa e di leggerlo, poi continuavi a camminare guardando fisso davanti a te e spostando la testa da una parte all’altra, abbiamo cercato di svegliarti varie volte ma niente, eri un sonnambulo con gli occhi aperti”, continuò poi il russo. “Mhm…”, feci semplicemente, mi sentivo intontito, come sotto farmaci, poi ci trovammo di fronte ad una quercia. “Di già?” feci io, la porta era anche aperta. “Qualcuno ci ha preceduto”, fece Dalia ed io sperai che avanti a noi vi fossero Sirio e Seiya. Entrammo di nuovo nella quercia. Quel piano era tranquillo…sperai dentro di me che non fosse solo la calma prima della tempesta, anche se a onor di logica probabilmente era così…e quella tempesta aveva il nome di Chaos. Il piano successivo era quasi identico, solo pareva più buio…forse per la tarda ora. “Che ore sono…?” chiesi ai miei compagni e Ikki mi rispose “Credo le nove di sera…”.
Avevamo undici ore per porre fine a tutto ciò e noi eravamo solo al…sesto piano…? Avevo anche perso il conto porca miseria!
Cominciammo a correre e Goldilocks ci guidava, ma io avevo la testa da tutt’altra parte: Akahito Shikamura era il padre di Ikki, ok, ed era uno dei membri più alti della Yakuza, figlio di un membro più anziano che dopo aver violentato sua madre, quindi la nonna di Ikki, l’aveva sposata. Ok, quindi nacque da uno stupro e crebbe praticamente nell’ambiente mafioso ereditando la posizione di suo padre ma dopo un po’ si trasferì negli Stati Uniti e questo spiegherebbe anche il perché la madre nel sogno che avevo fatto nella grotta di Baba Yaga aveva chiesto al figlio dollari e non yen. Fin qui ok, ma prima cosa: perché parlavano di dei? Seconda cosa: perché Akahito è stato mandato in America?
Inoltre mi tocca fare un’altra annotazione, se Akahito parla già di Melanie allora vuol dire che all’epoca o mia madre era quasi in procinto di essere incinta siccome vedeva Uranus o li ha seguiti in America, cosa abbastanza improbabile, ma se Baba Yaga era stata precisa il primo a morire fu Akahito, poi mia madre rimase incinta…quindi quello che avevo visto era un estratto delle ultime settimane di vita del padre di Ikki? Quindi se le mie supposizioni erano esatte nell’ordine: mia madre cominciò a vedere Uranus e Sakura ed Akahito erano in procinto di trasferirsi in America, ma Akahito fece un incidente stradale dopo aver assunto sostanze stupefacenti e morì, nel frattempo Melanie rimase incinta, Sakura invece a questo punto restò in Giappone e non ebbe più contatti con la Yakuza visto che finì per fare la prostituta, però Melanie commise quegli omicidi, venne catturata, partorì e poi dopo due anni venne condannata a morte, siccome Sakura in quel sogno indicò una cifra con i dollari americani evidentemente si  trasferì comunque in America, magari sperando di iniziare una nuova vita, ma finì comunque per fare la escort con il nome di Albachiara per poi morire dopo la venuta di Pandora, ma se le cose stanno così come abbiamo fatto io ed Ikki ad arrivare a Nuova Luxor, in Giappone?
“ATTENTI!” urlò Dalia ridestandomi dai miei pensieri e tutti fummo investiti da un enorme ramo che ci buttò dall’alta parte. Sbattemmo tutti a terra, ma alcuni riuscirono a mantenersi su un ginocchio, poi sentimmo una voce femminile ma profonda iniziare a parlare dicendo: “Bene bene…chi abbiamo qui? I traditori e i Saint di Athena, ma che bella sorpresa”, e poi sentimmo dei passi e lei continuò “non mi aspettavo sareste sopravvissuti a tanto, complimenti per la vostra forza” ed uscì allo scoperto. Era una donna alta, la sua età era indefinita, ma aveva lunghi capelli castani legati in una coda alta le cui punte erano simili a rami, la sua pelle era quasi grigia, aveva occhi totalmente viola e addosso aveva una calzamaglia nera e un paio di tacchi abbastanza spessi. “Ma che…cazzo..?” fece Ikki guardandola, ma la donna schioccò le dita e un albero spostò i propri rami e ad uno di quelli dell’albero dietro di esso si vedeva un enorme bozzolo appeso, era talmente grande che avrebbe potuto contenere un essere umano. “Tamara…”, la chiamò Goldilocks con la minaccia nella voce, allora la signora si girò a guardarla e sorrise, poi guardò verso di me e dopo verso tutti gli altri. Un brivido mi percorse la schiena quando poggiò la mano sul bozzolo, da esso infatti potevo riconoscere un cosmo e…oddio, stavo per svenire. Tamara increspò le sottili labbra colorate di rosso in un sorriso inquietante, poi disse: “Mi dispiace Orion, ma stavolta sono stata io ad essere dieci passi avanti a voi”, e di colpo dal terreno spuntarono decine e decine di radici che in un lampo afferrarono me e i miei compagni per le caviglie. Imprecammo tutti, mentre le radici continuavano a salire e ad afferrarci più saldamente. “State zitti e smettetela di urlare come maiali al macello” disse Tamara, ricevendo da tutti noi un’occhiataccia, “ho una lunga conversazione da fare, con tutti voi”, e si sedette su una roccia vicino a quel bozzolo. “ALLONTANATI DA LI’!” strillai mentre la vedevo passare la mano su quel corpo viscido e dall’inquietante colore verdastro, lei di tutta risposta mi guardò e sbeffeggiandomi mi chiese: “Sennò che fai? Chiami il tuo fratellone? Ah no aspetta, lui è proprio lì, accanto a te, e ora che fai? Piangi?”, ero sul punto di strangolarla, ma quando lei disse, fingendo un’espressione intenerita: “Povero piccolo” lanciai la catena contro di lei e la catena di attacco la colpì quasi in pieno volto ma all’ultimo lei si spostò, non l’avevo colpita minimamente. “Shun non fare stron-“ “SI CAZZO LO SO!” urlai contro uno spaurito Hyoga, preoccupato, pareva, più dalla mia reazione che dalla situazione in se’. In tutto ciò Chloe tremava come una foglia, le sue gambe lignee erano bloccate dalle radici e ogni tanto la sua voce tremolante si faceva sentire in sporadici lamenti. Avrei voluto solo zittirla, soprattutto quando Tamara rivolse a lei i suoi occhi minacciosi. “Che c’è tesorino? Hai paura?” fece con voce smielata e Chloe di tutta risposta emise un urletto che fece sobbalzare anche Tamara prima di farla scoppiare a ridere. “Se tutte le ninfe sono come te” disse tra le risate “allora quasi quasi potrei lasciarvi passare solo per vedere questa foresta distrutta”, poi si rivolse a me con lo sguardo e subito dopo tornò a guardare Chloe che tremava ancor più visibilmente e le punte dei capelli di Tamara si alzarono, sapevamo tutti cosa stava per succedere. “NO!” “FERMA!” urlammo tutti, chi la prima chi la seconda frase, ma era già troppo tardi: i capelli, o radici, di Tamara avevano trapassato il petto di Chloe da parte a parte. Mi si gelò il sangue vedendo che da dietro Chloe si stava cominciando a formare una vischiosa pozza di liquido rosso cremisi, il corpo di Chloe era quasi abbandonato e poi la sua assassina tirò via le radici, ormai sporche di sangue, dal petto di Chloe. Liberata per essere uccisa, che triste scherzo del destino, forse…forse sarebbe stato meglio lasciarla lì. Nemmeno Goldilocks e Dalia avevano qualcosa da dire. Le piane poi avevano inveito ancora sul corpo della ninfa e stavano cominciando a prosciugarla, nutrendosi del suo sangue. Hyoga era sbiancato, Ikki sudava freddo, ma potei vedere Syria piegarsi in due e vomitare. Tamara non se ne accorse, era troppo impegnata nel suo lavoro, ma io me ne resi conto. Syria non poté nemmeno buttarsi a terra tanto era tenuto saldamente e per questo mi faceva pena. Se gli altri avevano dato un cenno di reazione io no. Io mi sentii solo svuotato nel vedere quello spettacolo macabro, perché sarei un bugiardo ed un ipocrita a dire di aver provato dolore, io e Chloe ci eravamo conosciuti solo un paio d’ore prima, ma non avevamo legato; non fraintendetemi, non ero affatto felice che fosse morta, soprattutto in modo così macabro, se potessi tornare indietro per salvarla lo farei eccome, eppure tutto ciò che ricordo di quel momento fu uno schiacciante senso di vuoto che incombeva su di me, la nausea venne in un secondo momento. Ancora oggi mi chiedo cos’avrei potuto fare per salvarla. Eretria pareva sul punto di perdere i sensi e Zorba, nonostante fosse il re dei demoni, pareva poco turbato rispetto a noi, tuttavia anche lui parve non poter arrivare ad un tale livello di malvagità. Tamara appena finì di tagliare gli arti prese entrambe le braccia e le buttò apparentemente a caso, e così fece con le gambe e col busto, invece la testa la buttò nel laghetto vicino a noi. “…cos’hai fatto?” chiesi, incredulo, mentre lei continuava a sorridermi e poi le radici avvolsero le parti del corpo di Chloe e le trascinarono sotto terra. “Mangiate miei tesori, mangiate” mormorò, probabilmente si riferiva al terreno. Forse anche lei ha potere sul piano, mi dissi, ma no, non poteva essere, probabilmente aveva poteri più ristretti. “Allora”, disse poi voltandosi verso di noi e schiarendosi la voce “volete stare zitti oppure preferite fare questa fine?”. Io ero ancora sconvolto, ma non gliela diedi vinta, quindi provai a fare ugualmente un tentativo. “CATENA DI ANDROMEDA!” urlai e la catena mi ubbidì, andando contro di lei, ma contro le mie aspettative lei si limitò solo ad afferrarne le estremità. “Le cose stanno così eh?” mi chiese retoricamente guardandomi e sorridendo con fare sornione, allora tese le catene e corse verso di me mentre i suoi capelli o rami o come dir si voglia cominciarono già ad alzarsi, mi parve infatti di vedere la mia vita passarmi davanti agli occhi e tra le grida degli altri chiusi gli occhi, aspettando il colpo fatale, ma quest’ultimo non arrivò. Riaprii prima un occhio, poi un altro e potei notare che Tamara era ferma, avvolta in un’aura d’oro, ma non riusciva a muoversi per quanto ci provasse. “Ma che diavolo…?” fece Ikki, gli altri rimasero immobili, eppure l’atmosfera di paura di poco prima si era diradata. “Veloci!” fece Goildilocks, dalle mani di Hyoga partì una nebbiolina azzurra che si andò a depositare vicino alle radici, rendendole di ghiaccio e poi distruggendole, finalmente potevamo muoverci. Non perdemmo tempo, riconoscevamo chiaramente quel cosmo: era Athena, quindi forse Saori era vicina, finalmente.
Tamara cominciò ad innervosirsi, poi urlò contro di noi: “Cosa pensate?! Che solo perché la vostra dea da quattro soldi vi ha giovati il combattimento sia finito? Non è affatto così!” e dal terreno spuntarono decine, centinaia di radici che cominciarono a venire verso di noi, ma stavolta non ci facemmo prendere alla sprovvista. Goldilocks saltò in alto e così fece Eretria, accanto alla cui comparvero dei portali piccoli ma tantissimi ed in varie direzioni, poi lasciò che la sua amica scagliasse la sua lancia in uno di questi ed immediatamente da tutti gli altri portali apparvero le lance di Goldilocks, che finirono per tagliare le radici. Ikki e Hyoga collaborarono e si misero l’uno alle spalle dell’altro guardando in direzioni opposte: Hyoga riuscì a congelare la sua metà grazie alla Diamond Dust e Ikki con le ali della fenice riuscì a bruciare la sua, io non potei fare nulla in quanto la mia catena era ancora bloccata nella mano di Tamara, che certamente non stava per vedersela bene. Syria, Dalia e Zorba erano rimasti fermi, ma non per questo avrebbero lasciato correre un crimine tanto atroce. Syria cominciò immediatamente a suonare, facendo strillare Tamara che però non poteva muoversi, allora Dalia la afferrò da dietro il collo e la buttò a terra; la donna fu liberata dalla sua posizione e lasciò anche andare la mia catena che prontamente ritornò a me, ma quei tre avevano solo cominciato. Tamara cercò di alzarsi ma Dalia le bloccò la testa a terra con un piede e impedendole di alzarsi e nel frattempo l’assassina continuava a strillare. “Adesso chi è che urla come il maiale da macello?” mi venne spontaneo pensare e non so se in quel momento mi si formò un ghigno sul viso, perché mi parve quasi che fosse così. Syria non smetteva di suonare, lo sguardo amichevole e gentile del mio amico era scomparso e rividi quello dell’avversario spietato e crudele che conobbi durante la battaglia contro Poseidon. Zorba afferrò da prima una pietra appuntita e la alzò verso il cielo, poi guardò verso Goldilocks e immediatamente si fermò; in quella posizione era facile intuire che volesse colpire Tamara alla testa, tuttavia non lo fece, fermandosi proprio guardando la ragazza bionda. Si ritirò, poi lasciò la pietra a terra sotto lo sguardo smarrito di Dalia, voleva…risparmiare Tamara?
Era strano per uno come lui, Zorba, ormai l’avevo capito, era un signore solo all’apparenza, per quanto riguardava gli avversari era a dir poco un mostro, ma non come Dalia, che si limitava a giudicare severamente chi andava punito – basti pensare a quella volta con Baba Yaga -, lui godeva nell’infliggere torture e castighi agli altri ed era inutile tentare di dire il contrario, ma poi capii. Zorba fece qualche passo indietro, poi si voltò dando le spalle a tutti noi e alzò una mano davanti a sé. Improvvisamente il terreno fu scosso da un terremoto e poi si creò in vari punti. “Zorba!” lo chiamai io rischiando anche di cadere, Hyoga ed Eretria erano già caduti e Ikki si reggeva ad un albero. Da quelle crepe sorsero due colonne corinzie alte dai tre ai cinque metri unite da una chiave di volta sormontata da un arco a tutto sesto che poggiavano su una base preceduta da tre gradini. Era un portale, dava sul nero più totale in cui era visibile una nebbiolina grigia. Tamara quando lo vide sgranò gli occhi e disse: “No…tu…TU!!!!” scuotendo la testa, ma Dalia le tirò un altro calcio su di essa e la fece quasi sprofondare nel terreno. Zorba prese la nostra avversaria dal colletto mentre lei continuava ad urlare: “NO TI PREGO! TI PREGO!!”, ma il demone non sentì ragioni, la fece prima alzare, poi la praticamente lanciò nel portale, facendola cadere. Sentimmo le sue grida per una manciata di secondi, poi un silenzio assordante, infine Zorba chiuse il portale. Ne rimanemmo tutti turbati, poi gli chiesi: “Zorba dove l’hai spedita?”, lui mi guardò e poi rispose secco: “Nel limbo”, poi spostò lo sguardo sul bozzolo. Io, Hyoga ed Ikki ci avvicinammo velocissimi a quel corpo viscido, ci guardammo e dopo di che con un movimento repentino del braccio sinistro afferrai il triangolo cavo che si trovava all’estremità della catena di difesa e lo usai per tagliare il bozzolo dall’albero e quando questo cadde a terra cominciai letteralmente a sbucciarlo sotto gli occhi di Hyoga ed Ikki, stranamente quella sensazione era quasi rilassante, ma cercai di non farlo capire agli altri che mi guardavano. Tirammo un sospiro di sollievo vedendo cosa c’era nel bozzolo: Era Shiryu!
Ikki scoppiò in una fragorosa risata data più dal sollievo che da altro ed anche Hyoga tirò un sospiro carico di tutta la tensione scaricata. Lo feci alzare, era incosciente, chissà da quanto era lì, per giunta era sporco di una sostanza vischiosa e verdognola che si era attaccata perfino ai suoi lunghissimi capelli neri. “Shiryu!” lo chiamammo più volte, ma lui non accennava a rispondere, finché dopo vari tentativi (tra cui quello di buttargli l’acqua in faccia) riuscimmo a farlo rinvenire. “Che succede…?” ci chiese “Dove siamo…? Ragazzi d quanto tempo siete qui? Dov’è Seiya? E Athena?”, “Una domanda per volta” gli fece poi Hyoga divertito, aspettammo che si riprendesse un altro po’, Goldilocks, Dalia ed Eretria avevano persino raccolto delle bacche per lui siccome lo vedevano molto pallido e rimasi sorpreso nel constatare la quantità di bacche commestibili presenti in quella foresta, erano tutte bacche che non avevo mai visto prima d’ora. Ce n’erano di vari colori: rosse, blu, bianche e ripiene di un succo color porpora…una molto carina aveva la forma di un piccolo melograno morbido e liscio come una pesca sciroppata, giallo che sfumava verso il rosso. Dopo una decina di minuti Shiryu si riprese e ci raccontò quel che aveva successo: lui e Seiya erano atterrati sullo stesso piano ed insieme a loro c’era Lady Saori, però Tamara li aveva attaccati e si erano separati. Era riuscito a  far scappare Seiya e Saori ma lui era stato catturato. Non sapeva altro. Lo ascoltammo e capimmo di doverci muovere. Entrammo nella porta che ci avrebbe condotti al sesto piano.
Il piano era quasi identico al quinto, però, stranamente, non c’era nessuno. Era quasi notte, una notte priva di stelle, ma non c’era vento. Il piano era illuminato solo da alcune torce in stile medievale appese agli alberi, il resto era totalmente silenzioso. Ci avviammo, cominciammo a correre mentre il sole tramontava, e trovammo la quercia: era aperta!
Fu il piano più veloce, la quercia era aperta ed era nelle stesse condizioni della precedente, ma c’era il rubino, c’era tutto!
Cominciai a ragionare mentre gli altri analizzavano la quercia. Il rubino c’era, era lì, come un pomello, nella posizione in cui sarebbe dovuto essere…ma quindi…Seiya era già all’ultimo piano? Poteva essere così: che avesse trovato il rubino e che fosse andato all’ultimo piano insieme a Lady Saori, quindi era fatta, l’ultimo piano!
Agognavo quel momento da quando il primo rubino entrò nella toppa, finalmente eravamo giunti nell’ultimo piano. Era stato facile, il penultimo piano, avevamo già il piattino pronto, ma la verità era solo una: era solo la calma prima della tempesta perché, oltre quella porta, c’era Chaos.
   
 
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