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Autore: Aagainst    07/09/2021    1 recensioni
Dal sesto capitolo:
“I miei vecchi quaderni sono ancora riposti negli scaffali, come se il tempo non fosse mai passato. Ne prendo uno a caso e lo apro. Lo sfoglio, il cuore in gola. I testi di vecchie canzoni che nemmeno ricordavo di aver scritto mi travolgono, senza alcuna pietà. Ripenso a ciò che mi ha detto Bellamy qualche giorno fa. Ho perso la mia musica. Ho perso la mia casa. E, anche se mi sembrano così vicine, non sono mai state più lontane. “
Sono passati sei anni da quando Clarke ha lasciato Polis per inseguire il suo sogno e diventare cantante e quattro da quando ha tagliato definitivamente i rapporti con chiunque appartenesse al suo passato. Costretta dal suo manager a tornare a casa dopo l’ennesima bravata, ritroverà la sua vecchia vita ad attenderla, tra cui due occhi verdi carichi di domande.
Genere: Drammatico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash | Personaggi: Clarke Griffin, Lexa
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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26.

 

And it feels like I don't have a place now
'Cause I don't connect with anyone who found a way out
And when I'm up, I'm just waiting for the takedown
Will my fear of living life ever die out?
(Josh A-Anxious)


 

Il sole filtra dalle tende, costringendomi a svegliarmi. Prendo il telefono dal comodino e leggo l’ora. Le tre e venti del pomeriggio, considerato che alle quattro dovrei essere all’ABC per registrare una puntata del Charmain Diyoza Show direi che è ora che mi dia una mossa. Sbadiglio e mi stiracchio, per poi alzarmi e recarmi in bagno. Mi guardo allo specchio, con ribrezzo. Sono andata a letto alle dieci stamattina e non mi reggo in piedi. Mi lavo la faccia e mi pettino i capelli. Il mio telefono squilla all’impazzata, segno che Raven deve essere già arrivata. Cerco di fare appello alle poche energie che ho e mi costringo a tornare in camera e scegliere qualcosa da indossare. Alla fine metto un vestito a caso e, infilati un paio di occhiali da sole per nascondere le occhiaie, esco di casa. Raven mi sta aspettando per strada, la schiena appoggiata alla portiera di un taxi piuttosto malmesso. 

“Avevano finito le limousine?” esordisco, con fare strafottente. Raven scuote il capo, cercando in tutti i modi di non rispondermi male.

“Sali, che siamo in ritardo.” si limita a dire, accomodandosi sul sedile anteriore. Obbedisco, senza fiatare. Da quando siamo tornate da Polis, il rapporto fra noi due si è alquanto raffreddato. Non tanto per quello che ha scoperto sul mio conto, bensì per come ho reagito al mio ritorno a Los Angeles. Mi sono completamente chiusa al mondo esterno. Vivo tappata in casa, alienata da tutto e tutti. Non vado a feste, non partecipo a serate di alcun tipo e, a meno che la mia presenza non sia fondamentale, mi rifiuto categoricamente di partecipare a un qualsiasi evento mondano. Ho perso interesse in qualsiasi cosa, perfino nella musica. Non ho più uno scopo, né stimolo. Vado avanti per inerzia, per mera abitudine. Passo le serate a bere e piangere, senza aspettative o prospettive. Non c’è alcun futuro per me, nessuna promessa di felicità. Non dopo quello che ho fatto. 

“Clarke, pensi di riuscire a sostenere un’intervista o devo annullarla?” chiede Raven, riportandomi alla realtà.

“Immagino che a Lightbourne non farebbe piacere sapere che ho deciso di saltare il Charmaine Diyoza Show, Rae.” dichiaro. La mia amica sbuffa, visibilmente contrariata dalla mia risposta. Proseguiamo il resto del viaggio in silenzio, fino a quando non arriviamo a destinazione. Gli studi dell’ABC oggi mi mettono più a disagio del solito, non so perché. Mi dirigo verso i camerini e lascio che la truccatrice mi sistemi per la trasmissione. Non ho il controllo del mio corpo, sto facendo semplicemente quello che mi è richiesto. 

“Clarke, posso ancora fingere che ci sia stato un contrattempo.” insiste Raven. 

“Rae, lasciami in pace.” le rispondo in malo modo. Scuote il capo e fa per dirmi qualcosa, ma cambia idea.

“Ci vediamo dopo.” sibila, per poi uscire dal camerino, più arrabbiata che mai. Mi maledico per il mio comportamento, ma non reagisco, né provo a fermarla. In fin dei conti, è meglio così. Forse il mio destino è restare sola, null’altro. E non riesco proprio a capire come io mi sia potuta illudere del contrario.

 

________________

 

“Dunque Clarke, ci hanno detto che hai scelto di lavorare a 100 in un posto particolare. Vuoi parlarne?” Diyoza mi chiede. Non ero pronta per domande del genere. Sorrido nervosamente, cercando di prendere tempo.

“Sì, avevo bisogno di tranquillità e così io e il mio staff abbiamo deciso di incidere il nuovo album nella mia città natale, a Polis.” rispondo. 

“E come è stato lavorare a casa? Non tornavi da molto?” insiste Diyoza. 

“Sì, da un po’. È stato…”. mi mordo il labbro, cercando di trattenere le lacrime. “È stato intenso.” mi limito a dire e posso chiaramente notare il ghigno dipinto sul volto di Diyoza, così compiaciuta dall’avermi messa in difficoltà. Giornalisti, sempre interessati a spremerti fino all’osso pur di guadagnare il più possibile.

“Beh, parliamo un po’ del disco. Si candida ad essere uno degli album dell’anno, deve essere una bella sensazione. Insomma, fino a qualche anno fa eri una totale sconosciuta, in poco tempo hai scalato le classifiche. Da una piccola cittadina del nord al dominio della scena musicale mondiale, niente male.”

“Già.” mormoro. Diyoza mi scruta, aspettando che io dica qualcos’altro. Eppure, dalla mia bocca non esce proprio un bel niente. 

“Bene, direi di fare una piccola pausa. Amici telespettatori, ci vediamo dopo la pubblicità.” Diyoza cerca di salvare la situazione, mentre mi fulmina con lo sguardo. È una donna alta, imponente. Il suo talk show è uno dei più seguiti al mondo ed essere intervistati da lei è sia un onore, sia una maledizione. Gli ospiti per lei non sono altro che una fonte di guadagno e spesso gode nel metterli appositamente in difficoltà, una tecnica che le permette di incrementare ascolti e mantenere un certo potere all’interno del mondo dello spettacolo. Adora vedere noi artisti cadere, fallire. E io le sto dando esattamente ciò che vuole. 

“Clarke, tutto bene?” mi soccorre Raven, preoccupata. Annuisco, ma è palese che non sto dicendo la verità. Raven si accuccia di fronte a me e mi carezza una guancia, con tenerezza. 

“Voglio andare a casa.” mormoro, scoppiando a piangere. Mi avvinghio a lei, affondando il volto nella sua camicia. Le sto sporcando i vestiti di mascara, ma non mi importa. Ho bisogno di qualcuno in questo momento e non posso permettere che se ne vada. Razionalmente, so che non lo farebbe mai, ma la paura di sbagliarmi è troppa. 

“Penso sia meglio sospendere l’intervista.” osserva. Diyoza scoppia a ridere e io mi sento morire. Mi stringo ancor di più a Raven, sforzandomi di non vomitare. 

“Abbiamo firmato dei contratti, non può andarsene così.” 

“Signora Diyoza, con tutto il rispetto, non credo sia possibile continuare.” insiste Raven. 

“Va bene. Chiederò a Lightbourne il conto però.” ribatte Diyoza.

“Faccia come le pare. Arrivederci.” taglia corto la mia amica, aiutandomi ad alzarmi e portandomi fuori di lì. Solo quando finalmente ci troviamo fuori dagli studi inizio a calmarmi. 

“Clarke, respira. Va tutto bene.” cerca di tranquillizzarmi Raven.

“Non è vero, non mentirmi. Non va tutto bene e lo sai benissimo.”. La mia amica china il capo, sconfitta. Ho ragione e ne è consapevole. Ci sediamo per terra, sul marciapiede. Ormai è settembre e l’aria si è raffreddata, nonostante la temperatura continui ad essere piuttosto calda.

“Come va con Anya?” chiedo a bruciapelo. 

“Bene. Alla fine ci vediamo tutti i fine settimana. Vorrei poter stare di più con lei, ma per ora non è fattibile.” risponde Raven.

“Vedi mai…”

“Sì.” afferma lei, anticipandomi. Mi mordo il labbro, indecisa se porre o meno la domanda che mi sta ronzando in testa. Prendo un respiro profondo, guardando di fronte a me. E, infine, decido.

“Chiede mai di me?”. Raven si passa una mano fra i capelli, alla ricerca di parole che possano farmi male il meno possibile. “Va bene, ho capito.”

“No, Clarke. Ascoltami, Lexa è ferita e molto confusa, ma sono sicura che ti voglia ancora bene, nel profondo.” 

“Hai detto bene, nel profondo.” replico, con una smorfia. Raven sospira e mi carezza affettuosamente la schiena. 

“Sai, per un po’ ho davvero creduto di poter essere felice. Non mi sono mai sentita così viva come quando ero con lei. E sai qual è la parte più divertente? Che sarebbe così facile dare la colpa a Finn, ma la verità è che sono io ad aver rovinato tutto. Non sarei dovuta rientrare nella sua vita, non avrei mai dovuto riavvicinarmi a lei. Avevo promesso a me stessa che mi sarei tenuta a distanza, che avrei fatto di tutto affinché mi odiasse. Era l’unico modo per poterla sapere felice.”. Raven mi scruta, gli occhi carichi di giudizio. Non è d’accordo con quanto ho appena detto, è evidente.

“Clarke, è la cosa più stupida che abbia mai sentito. Lexa non sarebbe mai stata felice odiandoti. Per non parlare del fatto che hai permesso vivesse una bugia per ben quattro anni.”. Chino il capo. Mi sento incompresa. 

“Non volevo farle del male. Io… Io non sapevo come comportarmi.”

“Lo so.” dichiara Raven. “Lo so, Clarke. Ma ormai è andata e penso sia ora di reagire.”

“Reagire?” sbotto. “Rae, io devo sparire. Tutto quello che tocco muore o va in rovina. Prima mio padre, poi la musica, poi Wells e ora Lexa. Distruggo tutto, so fare solo questo.”

“Clarke…” prova a farmi calmarmi Raven, invano. 

“No, lasciami. Sai cosa ti dico? Stammi lontana, Rae! È meglio per te!”. Sono sull’orlo del pianto, completamente fuori controllo. Mi alzo in piedi di scatto e faccio per scappare via, ma Raven mi ferma prendendomi per il polso.

“Clarke, ti prego…” mi supplica, ma io non l’ascolto. Mi divincolo dalla sua stretta e corro via, senza voltarmi indietro. La solitudine, sì. Ecco tutto ciò che merito. 

 

________________

 

È sera ormai. Non so da quanto io stia vagando per la città, non ne ho la più pallida idea. La luce dei lampioni illumina l’ampio viale in cui mi trovo, rivelando un lato di Los Angeles che non conoscevo, più familiare. Intorno a me, l’umanità si muove, a volte con uno scopo e altre volte senza. È incredibile come il mondo vada avanti nonostante il dolore che mi attanaglia il petto. In questo momento, vorrei solo che si fermasse e che percepisse le mie ferite, che le vivesse con me. Dio, quanto sono egoista. Mi chiedo se, forse, è la noncuranza del mondo ad acuire il dolore che provo. È come se avvertissi una sproporzione tra quello che dovrei provare e quello che provo effettivamente. A tratti fatico a respirare, tanto sono profonde le mie ferite. Di notte non dormo e la realtà che mi circonda mi sembra impalpabile, solo una dimensione onirica di cui non farò mai parte. Ma al mondo tutto ciò non interessa. Si è sempre soli con il proprio dolore, devo tenerlo a mente. 

“Signorina, faccia attenzione!” urla una voce. Mi volto, ma non faccio in tempo a spostarmi. Mi ritrovo per terra, dolorante. Quando alzo lo sguardo, sobbalzo. Non è possibile. Di fronte a me c’è un uomo che conosco fin troppo e che speravo non avrei mai più incontrato in tutta la mia vita. Non perché mi abbia fatto qualcosa, no. Anzi, è il contrario.

“Clarke Griffin!” esclama, stupito. Indietreggio, cercando di scappare. Come se fosse una cosa possibile. In questo momento, non sono altro che un verme, mi è evidente. Striscio su questo marciapiede, incapace di fare altro. Striscio su questo marciapiede perché non ricordo più come ci si alza in piedi.

“Clarke, aspetta! Non voglio farti del male.” mi ferma. Chiudo gli occhi, lasciando che le lacrime bagnino le mie guance. Non sono in grado di guardarlo in faccia. Lui mi aiuta ad alzarmi e mi stringe a sé. Non riesco più a trattenermi, non ha alcun senso reprimere tutto quello che celo dentro di me. Scoppio in un pianto disperato, senza alcun freno. 

“Clarke vieni, ti porto dentro.” mi propone lui e io nemmeno provo a resistere. Lo seguo, passo dopo passo, come un automa. Entriamo in un appartamento piuttosto piccolo, ma confortevole. 

“Scusami il disordine, non aspettavo ospiti. Siediti pure qui.” mi dice, indicando il vecchio divano verde che campeggia al centro del soggiorno.

“Cosa posso offrirti? Non che abbia poi così tanto, in effetti. Da qualche parte dovrebbe esserci del succo di frutta e…”

“Dell’acqua va benissimo, signor Jaha.”. Sono le prime parole che riesco a pronunciare da quando l’ho incontrato. L’uomo mi passa un bicchiere colmo d’acqua e si siede accanto a me. Finisco di bere e sospiro. Alzo lo sguardo, titubante. Thelonius Jaha, il padre di Wells Jaha, è qui vicino a me. Anzi, sono io a essere a casa sua. Non lo vedo da quando suo figlio è morto. Non sono nemmeno andata al funerale, da vera vigliacca quale sono. Mi aspetto di leggere disgusto e odio nei suoi occhi, ma con mia somma sorpresa non trovo nulla di tutto questo nelle sue iridi scure, solo un profondo affetto che non ho idea da dove nasca.

“Come stai?” mi chiede. È una semplice domanda, eppure mi colpisce allo stomaco come fosse un pugno. Come sto? Non credo esistano parole che riescano a spiegarlo. Disperata? Depressa? Senza più uno scopo per andare avanti? Carica di sensi di colpa? Anche, sì. 

“Vuota.” rispondo, non so nemmeno io perché. “Mi dispiace.” mormoro poi, mordendomi il labbro per evitare altre lacrime che, però, arrivano comunque. 

“Clarke.” mi chiama Jaha, costringendomi a guardarlo negli occhi. “Non è stata colpa tua.”

“Non è vero. Ho deciso io di prendere quella scorciatoia. Ero io l’obbiettivo del borseggio. Wells, lui…”

“Lui ti ha protetta. E tu, Clarke, devi tenerlo a mente. Wells l’ha fatto perché ti voleva bene.” 

“Wells è morto perché mi voleva bene, Jaha. Per colpa mia lei ha perso suo figlio.” ribatto, ma l’uomo di fronte a me scuote il capo, in disaccordo. 

“Io sono fiero di Wells, Clarke. Quella sera potevate morire entrambi e invece tu sei qui, viva. Non so perché il destino abbia voluto separarmi da mio figlio così presto, ma credo profondamente che lui ti vorrebbe sapere felice.” asserisce. 

“Io distruggo tutto ciò che tocco. Io…”. Prendo un respiro profondo. “Quando sono arrivata a Los Angeles, non riuscivo a smettere di pensare a mio padre. Avevamo litigato quella sera e io ero scappata di casa, senza pensare alle conseguenze delle mie azioni. Mio padre ha deciso di venirmi a cercare, nonostante diluviasse. Mia madre era in ospedale e se l’è trovato davanti, in condizioni critiche. Non c’è stato nulla da fare. Ho distrutto la mia famiglia, ho distrutto la sua e ora ho distrutto anche quella dell’unica persona che mi faceva sentire meritevole di felicità. Vorrei solo poter scappare il più lontano possibile, per potervi salvare dalla mia presenza.”. Non so con che coraggio gli sto dicendo tutto questo, probabilmente ho solo bisogno di qualcuno con cui aprirmi sul serio per una volta. Jaha mi sorride, in modo quasi paterno.

“Sai Clarke, forse è questo il problema. Non puoi continuare a scappare. A volte restare ripaga di più, potresti scoprire che quello che pensi di te è completamente sbagliato.”. Non capisco dove stia andando a parare. “Sei viva, Clarke Griffin. Hai sofferto tanto, hai perso tanto, ma sei ancora qui. Vivi, Clarke. Non per Wells, non per tuo padre, ma per te. Dici di volerci salvare dalla tua presenza, ma la verità è che è la tua assenza a pesare. Sei amata e anche molto, non lasciare che tutto questo non conti nulla, perché non è vero. Tu forse non lo vedi, ma meriti di essere felice. Wells lo sapeva, ecco perché quella sera ti ha protetta. E sono convinto che sia lo stesso motivo per cui tuo padre è uscito per cercarti.”. Apro la bocca per replicare, ma non riesco a formulare frasi di senso compiuto. Non l’avevo mai vista in questo modo. Non devi sempre scappare, la voce di Lexa mi risuona nella testa, all’improvviso. Vorrei poterla ascoltare, ma non sono ancora pronta. Eppure, non mi alzo da quel divano, non esco da quella casa. E, mentre tra me e Jaha cala un silenzio quasi irreale, non posso non pensare a Lexa e alle sue parole. Non devi sempre scappare, Clarke. E forse è vero.





Angolo dell'autrice

Clarke ha fatto molti passi indietro, purtroppo. L'idea di non meritare altro che una vita vuota la sta consumando, distruggendo. Troppi sensi di colpa tra suo padre, Wells e Lexa. Eppure, non è così. Non amo troppo Jaha nella serie, ma qui non potevo non far riconciliare i due. Wells si è sacrificato perché Clarke merita di vivere, non il contrario. E, a poco a poco, riuscirà ad accettarlo.
Grazie mille per le recensioni e per leggere questa storia. A venerdì (sì, avete letto bene, proprio venerdì, ho finito di scrivere questa storia e gli ultimi aggiornamenti vorrei portarli a due volte a settimana)!
   
 
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