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Autore: Hattress    07/09/2021    0 recensioni
Sono passati secoli da quando le Sentinelle della Luce sconfissero il Re in Rovina, imprigionandolo a Camavor e rendendolo una statua. Era il 990 D.N. e da allora Runeterra dovette affrontare i residui della Rovina. La Nebbia mise in croce la vita di molti innocenti, obbligando la popolazione a temere i frutti del fallimento di Viego. Con il tempo quella storia si elevò a leggenda, solo alcune Sentinelle ricordavano ancora il nome dell'uomo colpevole dei residui del male. Il Fato, padre ed artefice di tutte le grandi avventure, volle donare a quel lontano ricordo l'opportunità di redimersi, riscattarsi, guadagnarsi l'Assoluzione.
Siccome a nessuno è piaciuto il finale della storia di Viego (vero ?), ho pensato di dare una mano nel mio piccolo a mamma Riot, così che il piccolo Re in Rovina potesse ottenere una VERA Absolution, specialmente perchè di "ASSOLUZIONE" ne ho vista veramente poca in questa storia. Ho voluto prendere come finale canonico quello presentatoci nella cinematic "absolution" perchè tra tutti mi è sembrato quello migliore sinceramente.
Detto questo, spero la gradirete e che possa piacervi almeno quanto sta piacendo a me scriverla.
Genere: Avventura, Azione, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Thresh
Note: Missing Moments, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Il vento accarezzava timido le vele della Jacquelyn, un padre che culla la figlia tra le possenti membra tese, capaci di distruggere migliaia di uomini ma non lei, la sua piccola prediletta. Un cielo ceruleo e terso, una tela perfetta su cui stendere tempera fresca, così saturo da far concorrenza al colore delle acque che trasportavano il legno robusto e leggero.

- Capitano Vylldem ! Siamo tornati al quartier generale. –

- Ottimo Millie, continua a scrutare l'orizzonte, la prudenza è una virtù. –

La bandiera sventolava vivace e allegra, pareva volesse scappare via con l'amato che le portava tutta quella gioia di muoversi. Una bandiera nera ricamata, non disegnata, con l'iniziale del suo proprietario, accompagnata ai lati dalla siluette di due sciabole e la "J" della Jacquelyn come terza spada passante per il cuore della "V". Con portamento fiero ed orgoglioso il capitano Vylldem , figlio della Demone Nero, conduceva quel veliero imponente con la maestria di un vero bucaniere. Non una battaglia venne persa da lui e dalla sua ciurma, un po' per bravura, un po' per strategia, un po' anche per l'armamentario bellico, un po' per il dono lasciatogli in eredità dalla madre. Il Libro dei Regni, un artefatto magico di inestimabile valore per il quale chiunque sarebbe in grado di uccidere e per il quale sono morti moltissimi innocenti e disonesti. Quel gioiello dell'Era Runica conteneva innumerevoli pagine di luce aurea, parevano essere centinaia, migliaia, infinite... nessuna leggenda racconta di qualcuno che riuscì mai a leggerlo tutto. Il Libro poteva aprire varchi nel tempo e nello spazio per scortare il suo possessore, e chi con lui, nelle terre e nei regni desiderati dal prescelto. È così che la Jacquelyn si fece la nomea di nave fantasma, spariva e riappariva in punti diversi di Runeterra a suo piacimento, senza una regola fissa, compiendo viaggi di chilometri e chilometri ritenuti impossibili, miracolosi o rovinosi per chiunque la vedesse. Vyll (nomignolo usato dalle persone più fidate ) conosceva bene il suo mondo e la sua gente, lui come Milliner (la sua capomastro), erano cresciuti nel continente città di Bilgewater dove o sei vivo, o sei morto; non c'è mai stato spazio per i "deboli" ed i troppo onesti. Grazie alle loro origini si trovarono d'accordo nel mettere su una ciurma per ridistribuire le ricchezze e dare un'occasione a coloro ai quali gli era sempre stata negata, tuttavia la giovane Milliner fu un acquisto solo dell'ultima ora. Esatto, la capomastro venne assoldata dal suo capitano pochi anni prima, per quanto esosa, la sua presenza sulla nave portò solo privilegi. Milliner non amava parlare di sé, lasciava che fossero gli altri a spargere la voce sulle sue innegabili doti. Nata dal niente, cresciuta dal niente. I genitori la lanciarono nella prima fossa comune non appena capirono la natura della figlia "Sbarazziamocene o finirà per ucciderci e mangiare i nostri occhi!". Assurdo pensare ad una pargoletta di un paio d'anni come un mostro, eppure era cosa comune ai tempi, da dopo La Rovina. Senza nessuno ad insegnarle come stare al mondo, la vita la trasformò in una bestia. Artigli neri per uccidere, denti aguzzi per dilaniare le carni, occhi capaci di vedere le prede sempre e comunque anche nelle tenebre. Un uomo che condivideva con lei la stessa natura un giorno la prese con sé per salvarla e per salvare sé stesso. Era un uomo pallido, inespressivo, capelli neri ed occhi acquosi dall'iride nivea, perse la moglie e la figlia per colpa di farabutti mentecatti che tentarono di rapinarlo. Quell'uomo alto e smilzo vide in Milliner una possibilità di redenzione dai peccati che commise per necessità di placare la sua anima in frantumi, e così fu. Diede lui il nome alla bambina, visto che non ricordava più quello datole dai genitori.

Era inverno, le acque ed i venti erano gelidi. La bambina aveva cominciato a parlare come gli esseri umani e a tenere al sicuro la sua natura. Camminava su due gambe, iniziava a mangiare con le posate e ormai preferiva anche lei i cibi cotti; reagiva bene e apprendeva velocemente. L'uomo fu entusiasta nel vederla predisposta alla fantasia, volle darle carta bianca, vedere cosa avrebbe creato per lui in condizioni perfette. Quando andavano al mercato del pesce insieme, la piccolina era ammaliata dai vistosi copricapo variopinti adorni di pennacchi e sonagli dorati, volle così farne uno per l'uomo divenuto suo padre. Quel giorno la chiamò Millie, che negli anni si trasformò in The Milliner. Per quanto fabbricare cappelli le venisse stranamente bene, c'era una cosa per cui sviluppò un interesse maggiore: le armi da fuoco. Con approvazione del padre adottivo, cominciò a studiare e sperimentare ogni giorno senza mai vacillare. Il sessismo poteva fare ben poco contro le sue capacità superiori a qualsiasi uomo, costruiva macchine di morte da far rizzare i capelli dalla paura anche solo a vederle da lontano. Ci volle veramente poco prima che il suo nome venisse conosciuto e ricordato da tutti. Il capitano Vylldem si riforniva spesso da lei, era la sua capomastro di fiducia, ci mise anni prima di prendere la decisione e prima di convincerla definitivamente, alla fine comunque riuscì ad esaudire il suo desiderio.

Raggiunto il loro molo personale, l'unico tra l'altro, abbassarono l'ancora ed ammainarono le vele. Il capitano si avvicinò al legno della propria bambina, accarezzandolo e regalando qualche pacca come a dirle "sei stata brava". Scesero tutti, nessuno escluso.

Il quartier generale venne costruito su un isola deserta, sulla quale, solo da lontano, potevano essere scorse le mura di un vecchio castello per la maggior parte distrutto. La trovarono per caso, un giorno il Libro cadde mostrando l'immagine dell'isola durante il suo periodo di massimo splendore, il capitano volle vederla coi suoi occhi. Sfortunatamente la trovarono molto diversa da quell'immagine. Poco importò, decise di sfruttare la cosa a loro vantaggio rendendola il loro porto sicuro, la loro dimora. I marinai furono molto favorevoli ad abbandonare la propria patria per crearne una tutta loro, così portarono con sé moglie e figlioletti, chi ne aveva, ed ogni giorno potevano fare ritorno a casa per prepararsi alla missione del giorno dopo. Era una vita che andava bene a tutti, gradita e apprezzata, nessuno sentiva la mancanza dei "lussi" offerti dalla loro vecchia vita, anche perché pian piano ci stava pensando Milliner con calma e pazienza a rendere quel regno caduto un nuovo mondo. Decisero di stabilirsi sulla costa, zona certamente più sicura visto che i pericoli erano visibili fin da subito, lasciavano l'esplorazione dell'entroterra ai più coraggiosi, capitanati dalla capomastro. Bene o male la popolazione dell'isola conosceva la vera natura della loro Millie, era un qualcosa che se non fosse stato detto avrebbe potuto lesionare il rapporto di fiducia che faticosamente stava cercando di ottenere. Verità è, tutti hanno le ginocchia pronte a fare "Giacomo Giacomo" quando si tratta di esplorare foreste e zone rupestri con lei "Non sia mai che la natura da predatore si risvegli mentre giriamo in queste zone...", bene o male era un pensiero condiviso dalla comunità, però tra andare da soli e andare con lei, hanno sempre preferito la seconda opzione... e poi qualcuno capace di abbattere un albero adulto a pugni serviva sempre. Ogni giorno venivano dedicate tre ore all'esplorazione, compreso il ritorno alla battigia. Millie li lasciava sempre poco prima dell'effettivo arrivo, voleva studiarsi il territorio, scoprire cose nuove, andare all'avventura selvaggia. Quindi, una volta abbandonati a loro stessi per gli ultimi cento metri, la capomastro si legava in uno chignon basso i capelli lisci e color caffè, al fine di non impedirle una corsa fluida tra la vegetazione rigogliosa e superstite. Quel giorno osò spingersi un po' più in là del suo solito. Aveva la voglia di vederlo da quando gli ci cadde l'occhio mentre era sulla postazione di vedetta, ricordava con precisione quasi matematica la strada ipotetica per raggiungerlo. Salti come la falcata di un gigante, veloce come il battito d'ali di un colibrì, prendere qualcuno o qualcosa in quelle condizione significava ammazzarlo, ma tanto non c'erano di questi rischi. Balzo dopo balzo, scalata dopo scalata, con il sudore che le bagnava ogni centimetro di pelle, arrivò alla meta. Poteva vedere tutta l'isola da quell'altezza, sorrideva e incamerava ossigeno come non mai. Chiuse gli occhi, con quell'espressione beata, si lasciò cadere e prendere dal morbido prato incolto, il quale circondava le mura crollate da tempo e per la maggior parte divenute terreno fertile per erbacce e piccoli insediamenti di insetti di vario genere. Rimase distesa, voleva respirare a pieni polmoni il profumo che le stava regalando la natura. I pensieri ed i problemi erano solo un lontano ricordo per lei in quel momento, in quel posto. Rimase ad accarezzare i fili verdi prima sottili e poi spessi, prima lisci e poi porosi, tra le dita delle mani, si domandò come poteva essere quella terra prima di diventare una landa smeraldina e frondosa. Si tirò su, gambe a farfalla e mani sulle caviglie, sguardo perso a vedere una coccinella gialla proseguire con la sua vita.

- Meglio se torno alla battigia, non voglio far preoccupare papà o il capitano. –

Una volta sulle proprie gambe, qualche pacca sul culo e sulle cosce fu d'obbligo, insettini vari ed erba non ci teneva ad averceli addosso. In quell'attimo la vide. La statua di un uomo dalla postura torta e sofferente. Si avvicinò incuriosita, volle guardargli il volto. La realisticità di quei tratti, di quell'espressione, di quella posa, che per quanto travagliata fosse, era umanamente replicabile; questa cura nei dettagli la colpì molto.

- Che cosa ti attanaglia l'anima, amico mio? – gli chiese spontanea, guardandolo con dispiacere palpabile nei suoi occhi neri. Lì vicino, poco lontano dai suoi piedi, una diavoleria meccanica, l'irrefrenabile voglia di metterla in azione. Raccolse quel fiore meccanico dalla corolla bluastra (probabilmente dovuta all'ossidazione), al cui centro era presenta questa figura di donna intenta a danzare senza un cavaliere. Si mise seduta a gambe incrociate, tutta presa a studiare l'oggetto rivelatosi essere un carillon, questo nel momento in cui lo scosse ed il fiore rispose con una nota sorda. Un visino tutto crucciato cercava risposte. Soffiò nei due forellini affianco alla statuina di donna, meglio non dire cosa ne uscì. Prese sotto sequestro il fazzoletto che porta con sé dalla tasca, e con premura si dedicò alla pulizia dell'oggetto. Era praticamente da buttare, chissà da quanto tempo si trovava lì all'abbandono. Si domandava dove fosse il cavaliere per quella fanciulla, non le ci volle molto per trovarlo e rimetterlo al suo posto. Dopo un paio di tentativi, finalmente il carillon prese a suonare, sfortunatamente i ballerini erano un po' arrugginiti e non se la sentivano troppo di danzare con lei. Volle concedersi quella parentesi di fanciullezza, fingere di essere a corte, con un bel principe azzurro che amasse e volesse solo lei. Non sapeva ballare, ma senza un partner non serviva saperlo fare. Sotto le note di quella melodia meccanica volteggiava e volteggiava, immaginandosi in un sontuoso abito rosso dalla gonna vaporosa che la seguiva in quei cerchi ripetuti finché la testa non iniziò a girarle. Le mura marmoree, i candelabri d'oro e d'argento, le finestre con ritratti Dei e Santi in colori brillanti. Re e regina sul trono, la sala gremita, l'aria di festa inebriata da vini di ottima annata. Un inchino al suo principe dei sogni, la promessa di rivedersi un giorno, l'incanto svanito non appena gli occhi le mostrarono un nuovo volto. Il suo corpo come contromisura, si portò all'indietro, pronto a difendersi a qualsiasi costo. Il cielo sereno ora era nero, la natura piangeva soffocata da nebbia dello stesso colore, suoni di fulmini rimbombavano in lontananza. L'uomo, una volta statua, gridava con voce disperata, pretendeva risposte a domande che non sarebbero state capite nemmeno volendo. La nebbia avvolse tutto, persino Millie.

- Voglio la mia Isolde, la mia vendetta, e tu mi aiuterai !- qualche colpo di tosse da parte della ragazza che con la mano si aiutava a dissipare la nebbia nera che non riusciva a nuocerle; bastò questo a gettare l'uomo in uno stato di confusione profonda, come poteva resistergli?

- Ma tu esattamente chi cazzo sei? E questo fumo è tuo per caso?- continuava a tossicchiare e a spostarsi, questa volta quella nuvola la lasciò in pace e venne scacciata via dall'uomo dopo un gesto della mano.

- Tu... Non mi conosci...?! -

- Fino a prova contraria eri una statua, cosa pretendevi esattamente? - L'uomo dai capelli bianchi e gli occhi verdi s'introdusse con il nome di Viego, Il Re di Camavor, un uomo che ha tentato di tutto per riportare in vita la sua amata regina, Isolde. Come ogni uomo profondamente innamorato, intesseva lodi e laudi alla donna amata, e mentre gliene parlava sorrideva, drogato d'amore per la sua Isolde. Poi, il ricordo del fallimento, le Sentinelle della Luce gli avevano impedito di riaverla, gli avevano negato la possibilità di essere felice con la sua dolce ed unica metà, la sola che poneva pace al suo dolore, l'unica a ricucirgli l'anima dai suoi mille tormenti. Millie lo guardava affascinata dal suo modo di parlare così antico e forbito, quando parlava pareva stesse recitando una poesia per la bellezza delle parole da lui usate.

- Mh, beh allora suppongo che come minimo questo sia tuo, amico. - andò a recuperare per lui il carillon, porgendoglielo, sicuramente doveva essere importante se rimase lì con lui per tutto quel tempo. Il Re in Rovina non si sprecò in futili convenevoli come il ringraziare, la salutò banalmente, con tutte le intenzioni di andarsene. Aveva un Mondo da far sprofondare nella Rovina, e un Mondo di strada per riottenere la sua amata Isolde.

- Ehi, fermo! Ma dove vai?!-

- Devo trovare i frammenti di anima della mia amata-

- Ok zio, ma, non sarebbe più comodo se ti diamo una mano? Non ti voglio insegnare, ma almeno non stai da solo.-

- Tu, vuoi aiutarmi a trovare la mia Isolde? Perchè ci tieni tanto ad aiutarmi...? - La guardava allibito, con occhi sorpresi, l'ultima volta non era stato così "fortunato". Si domandava anche come quella ragazza singolare fosse stata capace di sottrarsi alla Rovina che non aveva mai fallito. Ne sembrava immune, probabilmente lo era per davvero, ma perchè, si chiedeva. La osservava gesticolare, presa nei suoi discorsi, nelle sue logiche, nel suo desiderio di prestargli aiuto e sostegno, quasi dimenticò perché gli fu difficile realizzare il suo sogno secoli e secoli prima. Sentirla parlare, vederla fare progetti, sentirsi incluso, tutto concorse per la totale dissoluzione della nebbia, riportando il cielo e la natura al suo stato originario. Era così distratto dai suoi pensieri che ritrovarsi una mano tesa davanti a sé lo riportò coi piedi per terra. Due battiti di ciglia, occhi sulla mano e poi riportati verso di lei che non accennava a smettere di fissarlo, passarono pochi attimi, poi glielo richiese: "Ci stai?".

- Tu sei... Una donna singolare... - con fare titubante allungò anche lui la mano verso la sua, stringendo il patto con lei. Al Re in Rovina non interessava molto di tutte quelle formalità, di tutto quel " supporto", pensò semplicemente che partire in vantaggio sulle Sentinelle questa volta lo avrebbe portato ad avere successo nella sua impresa, nella sua missione per salvare l'amata e ricongiungersi a lei. Se qualcuno si offriva di sua sponte, anche meglio, ma a Viego avrebbe fatto comodo ascoltare il papiro di istruzioni e clausole prima di stringere quella mano, perché le cose sarebbero andate molto diversamente dai suoi piani.

   
 
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