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Autore: daphtrvnks_    10/09/2021    1 recensioni
La mia pelle una volta pallida, un vanto per chi viveva nel lusso, ora è scura.
L'americana continua a guardarmi, abbiamo legato in queste ultime settimane, sa che io, una stupida cinese, non posso fare molto.
Riproverò questa notte. 
Sopravviverà, ne usciremo insieme.''
Genere: Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Bulma, Chichi
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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2 Novembre 1942, Isole Salomone, Guadalcanal.


Cara Chichi, questa è la prima lettera che ti mando dopo il nostro forzato addio in Giappone.

Mi scuso per i miei errori grammaticali e la carta sporca ma sai bene quanto io non conosca bene l’inglese e quanto in una situazione di questo tipo trovare della carta su cui poter scrivere sia complicato.

Mi dispiace averti mentito e non averti avvisato che saresti dovuta tornare a Sumatra, non potevo fare altrimenti.

Mi dispiace anche non averti contattata prima ma la mia vita sembra essere perseguitata dalla sventura e in questo mese di lontananza non ho avuto il tempo di potermi sedere qualche attimo e dedicarti del tempo.

Non mi dilungherò.

Sto bene, resisto e spero di poterti venire a prendere.

Qui la situazione non è delle migliori e gli americani sembrano avere la meglio nella conquista dell’isola impedendo la costruzione della base.

Chichi, spero che tu non possa provare odio nei miei confronti e possa perdonarmi.

Abbi fede e lotta, tornerò a prenderti non appena tutto sarà finito; tu osserva il cielo ed io farò lo stesso, forse per un istante ci incontreremo.

Ti sogno. 

Tuo, Goku.


29 Novembre 1942, Isole Salomone, Guadalcanal.


Cara Chichi, questo mese sta per terminare e non ho ricevuto tua risposta, se sei arrabbiata ti prego, ti prego dimmelo, capirò. 

In ogni caso ti avviso che sto bene, nella notte alcuni dei nostri uomini sono stati uccisi in una retata, Vegeta è ferito ma non accetta il mio aiuto.

Lo comprendo, non ha mai voluto l’aiuto di nessuno.

Qui mi sento inutile, non sono un grande stratega e neanche il meglio dei soldati, sono solo il braccio destro di un conflitto senza senso.

Davanti a me il mondo sembra volersi ribellare al potere degli uomini: le giungle interminabili, distese di piante rampicanti, clima umido e insidie in ogni angolo.

Non siamo immuni al potere della natura, anche gli statunitensi, così invincibili ai nostri occhi, cadono come mosche per le febbri.

Chichi dimmi che mi pensi, che sei viva, sana e salva in quell’inferno in cui ti trovi.

Aspetterò e ti sognerò ancora, anche se la tua immagine non è più vivida come una volta. 

Tuo, Goku.


12 Dicembre 1942, Isole Salomone, Guadalcanal.


Cara Chichi, avrai letto le ultime due lettere che ti ho mandato, forse questa sarà l’ultima.

L’inchiostro sta per finire e la situazione degenera di giorno in giorno.

Il nostro campo d’azione si restringe, da Nagasaki ci dicono di continuare, non arrenderci e proseguire nell’obiettivo per la gloria del nostro impero ma gli uomini e le munizioni scarseggiano, se non è la fame, la sete o la guerra a farci disperare ci si mette l’odio e la frustrazione.

Io li vedo, Chichi, vedo la pazzia negli occhi dei miei commilitoni.

Io li osservo tra le trincee, sono pazzi, Chichi, non hanno più nulla in cui credere e neanche il sonno dà loro sollievo.

Ho paura, ho paura di poter diventare anche io come loro.

Con gli occhi spenti, desiderosi della morte o tanto matti da voler ancora combattere.

Ho paura, anche, di dimenticare presto il tuo viso, si somma tra gli amici che sotterro, per alcuni mi rammarico di non aver potuto dar loro una degna sepoltura.

Non riesco a dormire, ogni qualvolta io chiuda gli occhi, nella speranza di poterti vedere la mia mente si ostina a voler cambiare ricordo e anche il più bel sogno si trasforma in realtà, un incubo da cui non riesco a sfuggire.

Nonostante Vegeta non voglia dì alla tua amica che anche lui la pensa, non lo ammette ma spesso ha pronunciato il suo nome senza che se ne rendesse conto. 

Tornerò Chichi, è una promessa. 

Abbi fede e sopravvivi. 

Tuo, Goku.


8 Gennaio 1943, Isole Salomone, Guadalcanal. 


La nave di ritorno per i superstiti giapponesi giaceva immobile sulla riva nell’attesa che gli uomini vi salissero. 

L’isola aveva mutato il suo maestoso primordiale aspetto. 

Il cielo nuvoloso copriva come una lastra la grande vegetazione rendendola cupa e maligna, gli uccelli dalle piume colorate che al loro arrivo cantavano gioiosi sembravano esser stati zittiti dagli orrori della guerra, se ne stavano appollaiati col becco serrato a fissare con le iridi vitree i volti dei soldati. 

Sulla sabbia, mesi prima candida e pura, giacevano armi, mine inesplose, fili di ferro e caschi, questi ultimi divenuti casa di granchi e paguri. 

Kakaroth si guardò intorno in attesa del suo turno di salire sulla nave e tornare finalmente a casa. 

Nonostante la sconfitta il ragazzo si sorprese nel non vedere gli uomini trepidare dalla gioia nel sapere che sarebbero ritornati dalle loro famiglie. 

Muti e dal viso scarno, ogni briciolo di emozione pareva esser stato risucchiata in una voragine di apatia. 

Nemmeno una lacrima, un lamento da i feriti, un cenno di sorriso dalla controparte per la vittoria, solo il continuo ondeggiare delle onde e l’infrangersi violento di esse contro la scogliera. 

Vegeta dinanzi a lui fece un passo, la suola della scarpa atterrò sulla pedana in metallo ma una mano bloccò il suo cammino.

Altre mani afferrarono le sue braccia, al contatto col bicipite destro dolorante, ancora fasciato e forse infetto, digrignò i denti ma i soldati ignorarono tirandolo indietro. 

- Voi no, rimanete con noi. – 

Quello che a prima occhiata parve essere il capitano della divisione americana sull’isola aprì bocca spostando il fucile dietro la schiena. 

Kakaroth provò ad intervenire ma anche lui venne prontamente bloccato e tirato indietro lasciando che i suoi connazionali salissero al loro posto. 

- Che diamine significa? Avete vinto, non è abbastanza? – 

Provò a liberarsi dalla presa, il tenente ci provò con tutte le sue forze scalciando i piedi fino a cadere sulle ginocchia.

Kakaroth osservò quella scena con pietà e sdegno, colui che non si era mai chinato dinanzi a nessuno adesso si trovava inconsciamente inginocchiato al nemico, eppure, col seguire degli eventi, quegli attimi divennero preludio della sconfitta imperiale.

- Non crediate che dopo questa futile guerricciola vi lasceremo andare, due figure così informate come voi due. Stolti. –

Il biondo parlò nuovamente mentre un suo sottoposto gli passava una sigaretta accesa.

Le labbra sollevate in un ghigno disturbante che dava fastidio, pizzicava sotto le carni, ma forse, Vegeta dovette rendersene conto, era la rabbia, non quella faccia da stronzo che l’americano si ritrovava ad avere.

Quelle rughe, il ridicolo berretto e la divisa colma di medaglie e stelline.

Ma forse no, era anche il suo aspetto ed essere seccante.

- Se credete che uno di noi due possa darvi delle informazioni sbagliate di grosso. – 

Sibilò Kakaroth beccandosi in risposta una gomitata nello stomaco prima di essere gettato a pancia in giù sulla sabbia con un calcio al polpaccio, granelli gli entrarono in bocca e quando sollevò lo sguardo, appena sfocato, ciò che vide fu Vegeta sputare sugli stivali lucidi del generale americano prima di essere colpito violentemente alla testa, senza poter ribattere la stessa sorte capitò a lui.


//HEEEEYLÀ So che è piuttosto corto ma avevo bisogno di uno stacco per approfondire meglio la nuova situazione nel prossimo capitolo, non tarderò più di qualche giorno so... Stay tuned! -daph
  
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