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Autore: Demy77    12/09/2021    3 recensioni
Cornovaglia, 1783. Dopo aver combattuto per l’esercito inglese durante la guerra di indipendenza americana Ross Poldark ritorna in patria e convola a giuste nozze con il suo grande amore, la bellissima Elizabeth Chynoweth, che lo ha atteso trepidante per tre lunghi anni.
Due giovani innamorati, una vita da costruire insieme, un sogno che sembra realizzarsi: ma basterà per trovare la felicità?
In questa ff voglio provare ad immaginare come sarebbe stata la saga di Poldark se le cose fossero andate dall’inizio secondo i piani di Ross.
Avvertimento: alcuni personaggi saranno OOC rispetto alla serie tv e ai libri.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Dopo che Ross aveva lasciato Londra per fare ritorno a Nampara, Hugh e Demelza avevano deciso di partire per un lungo viaggio. Lo zio di Hugh, il deputato, possedeva una villa in campagna nello Yorkshire dove si recava piuttosto di rado. Era il luogo ideale per trascorrere un periodo di riposo, lontani dalla frenetica e a volte troppo rumorosa capitale. Demelza si preoccupava che il tragitto fosse troppo stancante per Hugh, ma suo marito l’aveva persuasa che trascorrere l’estate in un luogo ameno, allontanandosi dalla routine di Londra, sarebbe stato il regalo più bello per lui. Egli sapeva di non avere molto tempo a disposizione e conservare il ricordo di un viaggio fatto insieme significava molto per lui; inoltre anche Demelza, una volta rimasta sola, avrebbe potuto farne tesoro nella sua memoria.
Trascorsero nello Yorkshire tutta l’estate. La tenuta non era molto grande, ma dotata di servitù a sufficienza che si occupava di soddisfare tutte le esigenze di chi vi era ospitato. Vi era una bambinaia che si prendeva cura di Julia, Garrick aveva ampi prati su cui scorrazzare, mentre Demelza scortava Hugh in lunghe passeggiate nel parco. Imparò anche a cavalcare, sebbene suo marito, prossimo alla cecità, non fosse in grado di fare altrettanto.
La governante aveva fatto preparare per gli sposi un’unica camera da letto e gli Armitage, per non alimentare inutili pettegolezzi tra le cameriere, dovettero fare buon viso a cattivo gioco e condividerla. La cosa non disturbava più di tanto Demelza, anche perché il calo di vista di Hugh le dava pensiero ed essere presente per qualsiasi necessità egli potesse manifestare nel corso della notte la tranquillizzava.
Giorno dopo giorno Demelza si rese conto di non essere mai stata così felice. Anche se poteva apparire il contrario, Hugh vegliava su di lei: si sentiva protetta, considerata, suo marito la riempiva di attenzioni e si assicurava che avesse a disposizione tutto ciò di cui aveva bisogno. Quando l’aveva sposata egli l’aveva allontanata da una situazione difficile e potenzialmente pericolosa, ma non si era limitato a quello. Hugh aveva portato alla luce una nuova Demelza, più libera e più consapevole del proprio valore. Il contatto con la natura di quei giorni l’aveva ricondotta alla libertà dell’infanzia ad Illugan, quando poteva correre scalza sui prati, emozionarsi per un’alba o un tramonto, gioire per un animale che aveva partorito i propri cuccioli; eppure Demelza si rendeva conto di essere cambiata. Non era più la ragazzina cenciosa raccolta un tempo da Charles Poldark; era una donna forte, ora, capace di gestire una dimora elegante, di prendere parte a ricevimenti senza sfigurare, di trattare alla pari un marito dalle origini ben più blasonate delle sue. Hugh non l’aveva mai trattata come una persona inferiore, ma aveva cercato di discutere e ragionare insieme a lei per assumere di comune accordo le scelte migliori per la loro famiglia. A Demelza piaceva quel senso di complicità e condivisione, nessuno l’aveva mai fatta sentire importante come quel ragazzo così dolce e così sfortunato che l’aveva presa in moglie. Benché il suo cuore appartenesse a Ross Poldark, si rese conto che esistevano varie forme di felicità e che la vita al fianco di Hugh era quanto di meglio potesse desiderare in quel momento.
Hugh era solito ripetere che sperava di arrivare vivo ad ottobre per poter festeggiare il loro primo anniversario di nozze; Demelza pregava con tutto il cuore che questo desiderio si esaudisse. Non sopportava l’idea che un giorno avrebbe dovuto andare avanti senza la tenerezza ed il sostegno di Hugh. Nonostante le premesse che erano alla base della loro unione, si erano rivelati una coppia molto affiatata. Appena aveva conosciuto Ross egli si era impadronito del suo cuore e non lo aveva mai più lasciato, ma Demelza sentiva a volte il bisogno di prendere le distanze da quella passione bruciante, che la faceva sentire viva ma al tempo stesso la caricava di preoccupazioni ed inquietudine. Se Ross era il fuoco, Hugh era come l’acqua. La vita accanto a lui scorreva placida, rinfrancante, sembrava una favola o un sogno meraviglioso dal quale Demelza mai avrebbe voluto destarsi.
Verso la fine di luglio Demelza ricevette da Caroline la lettera, spedita circa un mese prima, in cui le comunicava che Elizabeth, dopo un parto cesareo, aveva dato alla luce una bambina nata morta. Demelza la lesse ad alta voce in presenza di Hugh e, quando ebbe terminato, il marito le chiese se intendeva scrivere a Ross per esprimergli la loro vicinanza. Demelza scosse la testa: forse il galateo, tra persone di un certo rango, imponeva una simile formalità, ma a parer suo la solidarietà per fatti del genere si esprimeva con gesti e parole, guardandosi negli occhi; lei, almeno, non sarebbe stata capace di esprimersi altrimenti. Hugh le propose allora, se lo desiderava, di tornare in Cornovaglia per un breve periodo; Demelza rifiutò, disse che non lo avrebbe mai lasciato da solo. Le dispiaceva per Ross, ma non poteva trascurare Hugh, soprattutto ora che stava peggiorando e diveniva ogni giorno più fragile. Si domandò, in cuor suo, se quella disgrazia avrebbe mutato le cose tra Ross e sua moglie e si augurò che, dopotutto, lui fosse capace di trovare la forza per superare quel tremendo dolore. Rispose alla lettera di Caroline manifestando il suo dispiacere per l’accaduto e la pregò di riferire a Ross che sia lei che Hugh avevano appreso della sua perdita e ne erano molto addolorati.
Il mese successivo Demelza ricevette una seconda lettera, con la quale Caroline la informava degli sviluppi di Elizabeth. La lettera era piuttosto dettagliata sui comportamenti della donna, su ciò che Dwight ne pensava, sui consigli dati a Ross, ma era chiaro che si trattava di un terreno in cui la medicina dell’epoca procedeva a tentoni e nessuna certezza vi poteva essere sulla guarigione e sui suoi tempi.
Hugh provò compassione nei confronti della sorte dei Poldark; Demelza ne fu sconvolta e comprese che in quelle condizioni Ross non avrebbe mai abbandonato Elizabeth. Si rese conto che - anche una volta morto Hugh - un loro futuro insieme appariva sempre più incerto, ma forse non era un male. Suo padre avrebbe detto che attraverso la pazzia di Elizabeth Poldark stava scontando i suoi peccati; lei non credeva nelle punizioni divine, ma era innegabile che il destino stesse imponendo a lei e a Ross una strada ben diversa da quella che avrebbero desiderato.  
Intanto, mentre si avvicinava il tempo di fare rientro a Londra, Hugh appariva sempre più affaticato. Ormai anche le passeggiate nel parco prevedevano lunghe soste e si accorciavano di giorno in giorno. Demelza era preoccupata, lo spronava a farsi visitare dal medico del paese, ma Hugh diceva che non era necessario, non voleva prolungare la sua pena facendosi ripetere per l’ennesima volta ciò che sapeva benissimo. Dwight gli aveva dato dei medicamenti per lenire il dolore alla testa, ma gli aveva anche predetto che nella fase terminale della malattia non sarebbero stati sufficienti. D’altra parte, rientrare in fretta e furia a Londra in quelle condizioni poteva rivelarsi fatale.
Un pomeriggio di fine agosto Hugh decise che era giunto il momento di affrontare con sua moglie una questione molto seria.
Scelse il loro angolo preferito nel parco, si sedettero sull’erba e le comunicò che aveva fatto testamento, istituendo Julia quale sua erede universale; naturalmente Demelza, fino alla maggiore età della bambina, avrebbe gestito il suo patrimonio. Demelza non era sorpresa, sapeva benissimo che lo scopo delle loro nozze era assicurare una successione a Hugh, ma odiava dover affrontare quell’argomento. Hugh aggiunse che su suggerimento del suo legale, per evitare che lo zio  parlamentare impugnasse il testamento, aveva attribuito a lui le sue proprietà immobiliari, eccetto la casa di Londra, che sarebbe rimasta a Julia insieme al denaro: una quantità considerevole che avrebbe consentito loro di vivere di rendita per un bel numero di anni. Demelza singhiozzò stringendosi a suo marito, disse che poteva lasciare allo zio William anche la casa, perché lei non avrebbe mai vissuto a Londra senza di lui.
A tale proposito Hugh colse la palla al balzo: gli interessava sapere quali sarebbero stati i progetti di Demelza dopo la sua morte. Aveva sempre immaginato che Ross Poldark sarebbe tornato alla carica, che prima o poi avrebbe trovato un modo per sposare Demelza, ed in ogni caso si sarebbe preso cura di lei e di Julia, ma la mutata situazione di Elizabeth rendeva tutto più complicato….
Demelza non rispose. Non le interessava la ricchezza, si sarebbe adattata a vivere in una casa più piccola e si sarebbe data da fare in qualche modo, pur senza necessariamente tornare a servizio di qualcuno;  la realtà era che si sentiva un pesce fuor d’acqua. Non voleva vivere a Londra senza Hugh, ma non si sentiva nemmeno a suo agio a tornare in Cornovaglia con i nuovi abiti da lady. La verità è che senza Hugh si sentiva persa….e non voleva dipendere da Ross, in alcun modo. Disse a Hugh che, se il destino aveva deciso così, c’era solo da rassegnarsi:  in fondo, in cuor suo aveva sempre saputo che tra lei e Ross non poteva esserci un lieto fine.
“Promettimi che metterai sempre Julia al primo posto, qualunque sia la decisione che prenderai” – disse Hugh. Demelza rispose che non vi era bisogno di chiederlo, era sua madre e quella bambina era ciò che di più caro aveva al mondo.
Qualche giorno dopo Hugh perse completamente la vista. L’angoscia di Demelza cresceva di ora in ora; convinse Hugh a chiamare il medico, più per scrupolo di coscienza che per una vera necessità. Il medico lo visitò e concluse che non c’era più nulla da fare, gli restava da vivere una settimana o poco più.
Quella notte Demelza non riuscì a prendere sonno. La morte aveva aleggiato sempre sulla loro vita, ma come un presagio lontano. Adesso che stava per accadere l’irreparabile, la donna sentiva come non mai di non essere pronta. Avrebbe voluto avere Dwight accanto, Caroline, ma poi rifletté che dovunque fosse capitato e chiunque avesse al suo fianco nessuno avrebbe potuto condividere a pieno il suo fardello. Il suo compito era stato da sempre quello di alleviare la sofferenza di Hugh, accompagnarlo per un tratto di strada e rendere felice i suoi ultimi istanti. Solo quello le restava da fare. Gli si avvicinò, facendo aderire il suo corpo a quello del marito sotto le lenzuola. Neppure Hugh dormiva, perché la strinse teneramente a sé. Demelza scoppiò in lacrime, non riuscendo a trattenere l’emozione. Gli chiese perdono per non essere stata la moglie che lui desiderava, per non essere in grado di dargli forza in quel momento, anzi, sentiva che lo gravava del peso della sua tristezza.
“Le tue lacrime contano tanto per me, perché mi fanno capire quanto mi vuoi bene”- la rincuorò lui.
“Ma certo che ti voglio bene! – singhiozzò Demelza – io ti amo, Hugh!”
Hugh tacque per un secondo, e l’aria restò immobile come se i due stessero trattenendo anche il respiro.
“Per una volta, mi piacerebbe fingere che fosse vero, in ogni senso”- disse infine l’uomo.
“Allora, lasciamo che sia vero…” – sussurrò Demelza.
Fu così che accadde tra di loro ciò che mai era accaduto a Londra, l’epilogo naturale dell’intimità sempre più stretta che avevano vissuto in quel luogo. Demelza non si sentì in colpa nei confronti di Ross: lui era da sempre il suo grande amore, ma non aveva mentito, amava anche Hugh, sebbene in maniera completamente diversa. Quella notte d’amore fu un immenso dono per Hugh, che pochi giorni dopo, come aveva sentenziato il dottore, spirò, amorevolmente assistito da sua moglie.
Nel frattempo, anche in Cornovaglia l’estate volgeva al termine e Ross dopo il colloquio con Warleggan aveva preso tempo, senza stringere alcun patto con lui. Lo ripugnava l’idea di avere a che fare con quell’uomo per scopi subdoli; d’accordo, Elizabeth era stata sleale nei suoi confronti, forse al punto di attribuirgli una paternità non sua, ma metterla alla gogna non sarebbe servita a riportare in vita la bambina o cambiare il passato.
Il punto era che Ross non era così sicuro che Elizabeth mentisse. George aveva le sue ferme convinzioni, ma a differenza sua non l’aveva vista comportarsi nella vita di tutti i giorni.
Quando non si trastullava con la bambina immaginaria, poteva capitare che Elizabeth scendesse al piano di sotto, in biblioteca o in sala da pranzo; in quelle occasioni la conversazione si spostava su argomenti ordinari, e la sposa di Ross appariva normale, quella di sempre; ad un tratto però, improvvisamente, le sue guance si rigavano di lacrime, cui ella non sapeva dare alcuna spiegazione; era come se il suo animo si rendesse conto della verità, ma non avesse la forza di accettarla fino in fondo. Si chiudeva quindi nel suo silenzio, ergeva un muro impenetrabile, fino a quando non ritornava nella sua stanza, “da Ursula”. Come poteva Elizabeth fingere fino a quel punto, si chiedeva Ross?
Warleggan, dal canto suo, aveva deciso di pazientare. Si suol dire che la vendetta è un piatto da gustare freddo: non aveva fretta, avrebbe atteso. Se Poldark non voleva collaborare, avrebbe smascherato Elizabeth da solo. Per toglierselo di torno Ross gli aveva promesso che avrebbe saldato la metà del debito contratto da Elizabeth, il resto lo avrebbe pagato a rate entro due anni, quindi un primo risultato George lo aveva ottenuto. Se poi quell’imbecille era tanto cocciuto che neppure la scoperta dell’infedeltà di sua moglie lo tangeva, neppure il sospetto che ella era stata disposta a fargli crescere come suo un figlio bastardo, peggio per lui. Perdonare Elizabeth era una scelta di Ross; ma lui, George, non l’avrebbe perdonata mai, e doveva escogitare un modo efficace per svelare il suo inganno. Voleva togliersi la soddisfazione di vederla umiliata, derisa, lei che aveva avuto la presunzione di ingannarlo e di sfuggire al suo ricatto, credendosi più furba. Doveva sfruttare bene la sua occasione, perché, senza la collaborazione di Poldark, fallita la prima non ne avrebbe avuto una seconda.
L’occasione favorevole giunse a settembre. Poco prima del solstizio d’estate un’antica tradizione locale prevedeva che ogni famiglia che possedeva terre, padroni o fittavoli, accendesse un grande falò per propiziare il nuovo raccolto, che rimaneva acceso fino a sera e diveniva l’occasione per divertirsi con canti e balli in compagnia. Il reverendo Odgers aveva deciso di attrarre questa festa di origine pagana nell’alveo della religione e, d’accordo con il vicario Whitworth, aveva previsto di compiere in quella medesima giornata dell’anno un giro di tutte le famiglie, con il pretesto di benedire i lavoranti prima dell’inizio del duro inverno ed avvicinare in tal modo tante persone radunate, ben più numerose di quelle che la domenica venivano ad ascoltare i sermoni.
Conoscendo questa tradizione, qualche giorno prima Warleggan si recò dal reverendo e gli mise a disposizione la propria carrozza per compiere più rapidamente il giro; inoltre - ben sapendo che il religioso aveva moglie e sei figli e non navigava certo nell’oro, percependo solo la misera rendita della parrocchia - gli fece una cospicua offerta. In cambio, però, gli pose due condizioni: lui stesso lo avrebbe accompagnato durante le benedizioni; Nampara doveva essere l’ultima tappa della giornata.
“Come desiderate, signore.” – rispose Odgers , non potendo negare nulla a chi era stato così generoso nei suoi confronti.
“Devo chiedervi un’ultima cosa -  aggiunse George – so che la signora Poldark si è gravemente ammalata di nervi; non so quanto voi sappiate in proposito, ma ho sentito dire che immagina che sua figlia sia viva e se ne prenda cura come se fosse una bambina vera…”
Odgers annuì. “Purtroppo è così. Il capitano Poldark il mese scorso mi ha pregato di assecondarlo e fingere di battezzare la bambina; naturalmente alla funzione erano presenti solo lui, la signora Elizabeth, i Paynter e gli Enys… mi sono prestato a questa messinscena solo per le insistenze del dottor Enys, che afferma che la paziente non deve essere contrariata, altrimenti ci potrebbero essere danni irreparabili.  Vedete, è una situazione estremamente spiacevole.”
“Capisco – commentò George – ebbene, so che Ross intende mantenere stretto riserbo sulle condizioni di sua moglie, ma io sono molto affezionato alla signora Elizabeth, le sono stato vicino soprattutto nel periodo in cui Ross era al fronte. Avrei piacere di poterla salutare personalmente quando vi recherete a Nampara; sapendo quanto mi avete appena detto, la asseconderò anche io ed userò molto tatto, potete stare tranquillo. Vorrei solo che voi mi aiutaste a rimanere per qualche minuto da solo con lei… sapete, Ross è geloso del rapporto di amicizia che esiste fra me ed Elizabeth, benchè non ne abbia alcun motivo.”
Odgers parve dubbioso. Warleggan era un uomo potente cui non si poteva dire di no, ma lui non era un uomo di azione ed assumere una qualsiasi iniziativa in casa di altri gli sembrava una enormità. Cominciò a balbettare qualcosa a proposito del fatto che non sapeva in che modo, come avrebbe potuto…
George lo interruppe. “Sul come non dovete preoccuparvi. Ho già pensato a tutto io…”.
Ed iniziò ad illustrargli il suo piano.

 
  
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