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Autore: Mary P_Stark    13/09/2021    2 recensioni
Il piccolo paese di Nederland, Colorado, viene stravolto dalla notizia di un rapimento incomprensibile ed Emily Poitier, fotografa e scrittrice presso una piccola casa editrice della zona, è suo malgrado costretta a rivivere ciò che, vent'anni addietro, accadde a lei.
Sarà grazie all'aiuto dei suoi amici e di Anthony, sua vecchia fiamma, se riuscirà a non impazzire a causa dei ricordi, aiutando così a scoprire chi si cela dietro al rapimento e a recuperare, una volta per tutte, la serenità tanto cercata.
Genere: Mistero, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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11.
 
 
 
Tà Nung (Vietnam) – settembre 1972
 
 
 
Non aveva mai neppure lontanamente immaginato che in un corpo umano potesse esservi così tanto sangue, né che ve ne potesse essere tanto nel corpicino smagrito e smunto di una bambina.

Eppure, ciò che aveva dinanzi era reale, niente affatto una reazione all’oppio che, in quegli anni, aveva fumato grazie all’aiuto compiacente di vietcong locali che, per aver salva la vita, smerciavano droghe agli americani.

No, quelli non erano i fumi dell’oppio. Era un massacro vero e proprio, e lui vi stava prendendo parte perché il tenente Pinkerton sembrava essere stato posseduto dal diavolo stesso.

A chi si era rivoltato contro di lui, il tenente aveva sparato in testa con la sua Colt M1911, su cui aveva aggiunto tacche con il coltello a ogni uccisione portata a termine  dall’inizio del suo turno in Vietnam.

Meyerson e Whindam erano tra quelli che, fortunosamente o vigliaccamente, se l’erano data a gambe in mezzo alla selva, mentre lui e un’altra ventina di soldati erano rimasti a compiere quel massacro per non essere, a loro volta, massacrati.

Ora, però, non solo non aveva più proiettili nel suo M16, ma lo stomaco gli si stava rivoltando nelle budella di fronte a quello scempio sempre più terribile. L’odio nei confronti del tenente Pinkerton era così forte da fargli sperare che qualcuno sparasse al suo superiore, a quel punto.

In un villaggio di donne, anziani e bambini, però, non si poteva sperare di trovare qualche vietcong armato e, tra di loro, nessuno era in grado di levare mano sul tenente.

Chi per paura, chi per follia, a nessuno era venuto in mente di ribellarsi, dopo che i primi colpi di fuoco amico avevano falcidiato le loro fila, e adesso sembrava che le loro armi non avessero più una sola pallottola utile per fermare quell’apocalisse.

Era stato un idiota a seguirlo, a fidarsi di lui, a lasciare che la sua condizione di debolezza peggiorasse, facendolo diventare dipendente da oppio e sigarette di contrabbando.

Ancora una volta, aveva finito con il dare ragione al suo vecchio, che da sempre gli aveva dato del ragazzo disturbato. E per cosa? Per una scopata e qualche canna?

Dopo essersi passato le mani sul viso madido di sangue e sudore – che gli penetrava negli occhi, offuscandogli la vista – William gettò a terra il caricatore ormai vuoto, si tastò i fianchi in cerca del coltello e, dopo aver scrutato Pinkerton con puro odio, attaccò.

Non arrivò mai a fare più di due passi, però.

Gli huei dell’esercito americano piombarono sul villaggio, ormai in fiamme, come l’avvento degli angeli dal paradiso e bloccarono le mosse di Pinkerton prima che portasse a totale compimento il suo personale massacro.

Atterrando in uno spiazzo libero da cadaveri – che erano caduti come mosche sotto i colpi degli M16 e degli L96A1 – gli elicotteri fecero discendere non meno di una decina di uomini che, furiosi come vespe, accerchiarono Pinkerton e gli irriducibili al suo seguito.

Dai mezzi aerei discesero anche Whindam e Meyerson che, nel vederlo a debita distanza da Pinkerton e i suoi seguaci, lo raggiunsero in tutta fretta per conoscerne le condizioni.

Lui reclinò colpevole il capo, comprese finalmente ciò che i due amici avevano fatto – non certo fuggire, ma allertare il comandante della guarnigione – e, nel rinfoderare il coltello, borbottò: “Stavo per attaccarlo, ma avete preceduto le mie mosse.”

“Potevi pensarci prima” sbottò irritato Cooper, guardandosi intorno con espressione disgustata.

Quel piccolo villaggio, del tutto privo di nemici e abitato soltanto da persone inermi e indifese, era stato praticamente raso al suolo, niente più che una distesa di morte e di fuoco a ricordo di ciò che, solo un’ora prima, si era trovato lì.

William si risentì per quelle aspre parole ma, ben conscio di essere in una posizione scomoda, preferì soprassedere.

Almeno in questo, era maturato. Aveva imparato quand’era il caso di chiudere la bocca, in previsione di avere un’occasione migliore per ribattere e, magari, vincere un diverbio.

Passandosi le mani tra i capelli lordi di sudore, polvere e sangue, Michael sbottò: “Cristo! E’ un altro maledetto massacro di Mÿ Lai1! Pinkerton ha già le palle su un ceppo, poco ma sicuro.”

“Puoi scommetterci” assentì torvo Cooper, recuperando l’arma di William prima di passargliela con un gesto secco, guardare ombroso il compaesano e borbottare: “Quanti ne hai ammazzati, prima di rinsavire?”

Ancora, William non rispose – pur se le mani fremettero per spaccare la faccia a quel damerino da strapazzo – e Cooper, sbuffando, ringhiò: “Spero tu sia soddisfatto di aver seguito le orme di quel pazzo furioso.”

“Non le ho…” cominciò col dire William, prima di venire azzittito da Michael.

“Piantala, Will. Pensi che non sappiamo con chi ti accompagnavi, durante le tue perlustrazioni con la compagnia di Pinkerton? Pensi che i ragazzi non parlassero? O non vedessero?” lo rabberciò Meyerson. “Ti conviene tenere la testa bassa, aprire la bocca per cantare, se te lo chiederanno, e fare scena muta se Pinky ti chiederà aiuto. Sempre che tu voglia tornare a casa da uomo libero.”

“Sono solo dei luridi vietcong, dopotutto! Cosa cazzo avete da fare tanto la predica?! Li avete ammazzati anche voi, in questi anni!” sbottò a quel punto William, ormai paonazzo in volto per l’ira repressa a stento.

Cooper controllò per un momento a che punto fosse il recupero degli irriducibili di Pinkerton, dopodiché tornò con lo sguardo sul volto arcigno di William e replicò caustico: “Ci siamo battuti contro uomini armati… non contro donne e bambini e vecchi. C’è una differenza.”

William fece per ribattere ma Michael lo sospinse verso gli huei e disse rapido: “Diremo che volevi affrontarlo, ma noi siamo arrivati prima. Ti salveremo il culo anche se non te lo meriti, quindi vedi di ringraziare tua madre, per questo, quando torneremo a casa. Lo facciamo solo perché lei è una brava donna, e non merita di rivederti in galera.”

“In che… in che senso?” borbottò William, seguendoli di malavoglia.

“Se avessi fumato meno e ascoltato di più, sapresti che ci stanno rimandando a casa. Nixon ci sta portando via di qua, e noi siamo i prossimi. Il nostro battaglione partirà nel giro di un paio di settimane” gli fece presente Cooper, quasi gettandolo di peso sul pianale dello huei.

Fatto ciò – e prima che William potesse replicare per il servizio non certo elegante – gli mise una mano sulla spalla per tenerlo a terra dopodiché, rivolgendosi al suo superiore: “Ha cercato di fermare Pinkerton, ma il nostro intervento lo ha preceduto.”

Il sergente storse appena la bocca, lanciò un’occhiata dubbia a William, ma Michael intervenne dicendo: “Era d’accordo con noi per rimanere sul posto e lanciare razzi segnalatori nel caso non riuscissimo a trovare di nuovo il villaggio.”

Annuendo recisamente, a quel punto, il sergente Callum borbottò: “Sta bene. Partiamo pure, allora!”

Le pale degli huei ruotarono sempre più velocemente, levando polvere, foglie e sangue dal terreno e, mentre i mezzi dell’esercito si allontanavano da quello scempio, William seppe di essersi appena fatto carico di un debito enorme.

E che forse mai, nel corso della vita, avrebbe potuto ripagare.
 
***

Nederland – dicembre 1972
 
Tornare non aveva aiutato molto a migliorare l’umore di William. La notte, rivedeva il massacro di Tà Nung come se si fosse ancora trovato lì e di giorno, ogni santo giorno, era costretto a vedere la gente mentre si congratulava con Cooper e Michael per le loro medaglie al valore.

Oh, certo, ne era stata data una anche a lui, grazie alla bugia clamorosa raccontata da quei ragazzi per bene che erano Whindam e Meyerson e, proprio per questo, lui detestava quell’onorificenza con tutto se stesso.

Più ancora, odiava la gente perché si congratulava anche con lui senza sapere bene cosa, in realtà, fosse avvenuto tra quelle foreste pluviali e quei villaggi sperduti nel nulla.

Era così facile ingannare la gente!

Aveva ucciso, fatto ciò che aveva creduto meglio per sé, seguito chi aveva pensato essere il graduato più opportuno per i suoi interessi ma, alla fine, si era solo cacciato in un guaio più grande di lui. Ed era stato salvato dalle due persone che più odiava al mondo.

Aveva dimostrato, almeno a se stesso, di non essere in grado di gestire per niente le emergenze e questo lo faceva sentire un perdente, cosa che odiava ancor più della medaglia immeritata.

Perché era così differente da suo padre, che sembrava sempre affrontare ogni cosa con cognizione di causa, con la capacità di sopperire a qualsiasi problema, anche il più complesso?

La sua ribellione giovanile era nata in parte anche da questo, da quel continuo confronto con la figura genitoriale, in cui lui appariva sempre in ombra, perdente, niente affatto al suo livello.

Continuare anche in Vietnam con quel trend era stato solo l’ultimo chiodo sulla sua bara, la conferma di non aver preso nulla di buono da quell’uomo all’apparenza così perfetto.  

Ormai si sentiva davvero un perdente, non credeva più di essere migliore degli altri, o soltanto un incompreso.

L’averlo scoperto sulla propria pelle, e nel modo più brutale possibile, lo aveva colpito come un macigno, un macigno di cui era difficile portare il peso, poiché si accompagnava anche alla menzogna.

Whindam e Meyerson erano saliti di grado, avevano ricevuto più e più medaglie per meriti in battaglia, non si erano mai tirati indietro di fronte a un dovere e, alla fine, lo avevano salvato dalla Corte Marziale.

Lui, invece, non aveva fatto altro che dare ragione a suo padre, una volta di più. Aveva reso chiaro a sé stesso, prima ancora che a qualsiasi altra persona, quanto in realtà fosse un debole, un uomo senza nerbo, una nullità.

Rendersene conto, però, era forse un passo avanti, una sorta di primo passo verso qualcosa che avrebbe potuto essere un riavvicinamento con il padre, una redenzione in vista di un futuro migliore.

Certo, il peso della sconfitta provato nel momento in cui i suoi compagni lo avevano salvato, non sarebbe scomparso, né così il debito con loro, ma forse avrebbe potuto trovare una nuova forza per sopportarlo.

Forse, dopotutto, assomigliare di più a suo padre sarebbe stato qualcosa a cui agognare, non qualcosa da odiare perché ritenuto irraggiungibile.

Prima di tutto, comunque, doveva farsi carico di un’altra cosa, di un altro fardello che, nel corso degli anni, aveva accumulato.

Sua madre.

Whindam e Meyerson erano stati chiari; era stato salvato per amor suo e, se voleva cominciare da qualche parte per rimettersi in piedi, poteva iniziare da lei, ringraziandola per essersi fatta amare anche da persone estranee alla famiglia.

Non era mai stato bravo con le parole e, spesso e volentieri, queste ultime lo avevano cacciato nei guai, ma era disposto a provare, per alleviare il peso che sentiva sul petto. Sentirsi in debito con qualcuno era qualcosa di terribile, e voleva cominciare a vivere senza quel peso a farlo sentire sempre così maledettamente inutile.

Già sul punto di raggiungere la madre nelle sue stanze, William si bloccò quando udì la voce del padre, stranamente gorgogliante, e del suo migliore amico, Gareth Simpson, impegnati in una strana discussione.

“…se anche fosse, non dobbiamo per forza dirglielo. Certe cose devono morire con noi” borbottò Darren Consworth, la voce  apparentemente alterata dall’alcol.

“Maledizione, Darren! Pensi davvero che mentire ancora sulla nascita di Will servirà a qualcosa? E’ chiaro, ormai, che quel ragazzo ha dei problemi. E’ inutile girarci intorno… è colpa di Paco!” sbottò Gareth con voce incrinata da qualcosa di molto simile al rimorso.

“Perché devi dire così? Sembra… sembra stare meglio, da quando è tornato” intervenne dubbiosa Julie Consworth.

La voce della madre bloccò definitivamente i passi di William che, silenzioso, ascoltò con attenzione le parole dei tre adulti.

“Julie, so che vuoi bene a tuo figlio, ma William si sta comportando esattamente come Paco, e ormai non posso più chiudere gli occhi di fronte a questa verità. Sapete che ha iniziato a vedere la figlia dei Krueger, da quando è tornato?”

“Chi? Marlene?” borbottò Darren.

“Sì, lei. Quella bambina sembra avere un’autentica venerazione per vostro figlio… e cosa pensate che succederà, quando la ragazza si negherà ai suoi approcci?”

“Ma cosa dici, Gareth?!” esalò sconvolta Julie.

“Mi spiace essere così diretto, Julie, ma è un problema reale. Vostro figlio soffre di un profondo stress, e non state facendo nulla per curarlo. Non vi siete mai accorti di come si comporta, in pubblico?”

“Gli danno fastidio i rumori forti, lo so… ma mi sembra normale, no?” mormorò turbata Julie.

“Sì, certo che è normale. Ma non lo sono le sue reazioni. Un paio di volte l’ho visto afferrare il coltello che tiene alla cintura, in risposta a uno di quei rumori. E non è un bel vedere, Darren” sbottò Gareth con voce quasi rotta dall’ansia provata.

“Lo stai tenendo d’occhio?” sbottò l’amico, irritandosi immediatamente.

Gareth allora sospirò e ammise: “Mi sento responsabile, Darren. Fu anche colpa mia, ciò che avvenne a Julie. Non posso non sentirmi preso in causa dal vostro ragazzo.”

“Lui starà bene, e questa cosa non dovrà più tornare a galla” biascicò Darren, caracollando verso Gareth nell’intento di dare maggiore peso alle sue parole.

L’amico lo sorresse prima che potesse cadere e, sinceramente addolorato, asserì: “Da quando in qua ti ubriachi, Darren? Sai anche tu che ho ragione, o non reagiresti così al ritorno di tuo figlio. Da quando è rientrato, sono più le sere che passi tracannando whisky di quante io non ricordi in oltre trent’anni di amicizia.”

“Me ne devo occupare io… sono io suo padre” mormorò a quel punto Darren con voce rotta.

Julie scoppiò in un pianto leggero, sottolineato da singhiozzi dolenti e Gareth, nello stringere in un abbraccio l’amico, esalò: “So che tu la vedi così, ed è stato coraggioso dargli il tuo nome, la tua protezione, ma dobbiamo guardare in faccia alla realtà. William non ha un solo goccio del tuo sangue e la cosa sta venendo fuori nel modo più tragico. La guerra ha solo inasprito il suo carattere, e non passerà molto tempo prima che i fantasmi che si è portato dietro da quel posto lo facciano diventare come il suo vero padre.”

Will raggelò a quelle parole, non riuscendo minimamente a comprendere le parole di Gareth e, nello stringere le mani a pugno lungo i fianchi, si domandò di cosa diavolo stessero parlando.

Non contento, Gareth proseguì dicendo: “Ho tenuto Paco lontano da Nederland con la minaccia di spiattellare tutto alla polizia, ma non so per quanto tempo lo terrò a bada. E’ una mela marcia, e gli anni non lo hanno cambiato, ma ora ha addirittura la presunzione di volere che suo figlio vada con lui. Gli ho detto di impicciarsi degli affari suoi, che non ha niente a che fare con Will, ma Paco si è intestardito e non cederà facilmente.”

“Non lo ha mai voluto conoscere. Perché diavolo torna adesso?!” si imbestialì a quel punto Darren, falciando l’aria con un braccio.

“Perché? Perché gode nel fare del male alla gente. Per questo sono preoccupato per William in primis, o Marlene, o qualsiasi altro abitante di Nederland. Perché William sta percorrendo la stessa strada di Paco. Di suo padre” sospirò Gareth, passandosi una mano sul volto con espressione sofferta. “E’ anche una mia responsabilità, lo sai bene. Avrei dovuto vigilare su di lui, e non l’ho fatto, perciò permettimi almeno di aiutare Will. Di aiutare tutti voi.”

“Non è un problema tuo” sentenziò lapidario Darren.

Julie sospirò addolorata e Gareth, nel sospirare a sua volta, afferrò la maniglia della porta della stanza per uscire e, spiacente, mormorò: “Ci sarò sempre per voi tre, non dimenticarlo mai. Ma non dimenticare anche che a volte, da solo, l’amore non può aggiustare tutto.”

“Will non deve essere aggiustato” gli ringhiò contro Darren.

Gareth non disse altro e uscì, lasciando a malapena il tempo a William di nascondersi nel vicino pozzo delle scale che conduceva ai garage.

Silente, Will lo osservò andarsene mentre mille e più domande gli affollavano la mente. Chi diavolo era il Paco di cui aveva parlato Gareth, e perché aveva detto che quell’uomo era il suo vero padre?

La sua attenzione, però, venne prima di tutto canalizzata dal pianto della madre che, apparentemente, era rimasta sconvolta dalle parole dell’amico di famiglia.

Tornando ad avvicinarsi alla porta socchiusa, udì il padre dire: “Non ascoltarlo. Lui non sa chi è Will in realtà. Noi sapremo strapparlo ai suoi incubi.”

“Forse ha ragione, Darren. Dovremmo aiutarlo, mandarlo da qualcuno … proteggerlo da se stesso” replicò Julie, inconsapevole del peso che quelle parole stavano avendo sul figlio.

“Non crederai anche tu che la violenza sia ereditaria, spero?!” dichiarò sconvolto Darren.

“Non vorrei crederlo, Darren, ma ciò che ha notato Gareth l’ho notato anch’io… e ne ho paura” ammise Julie con voce tremante. “A volte lo guardo, ma lui non mi vede affatto. Ha la mente altrove, è come se non fosse mai tornato veramente qui, e non posso sopportare di vederlo così ogni giorno.”

“Gli starò ancora più vicino, te lo prometto. Non lo abbandonerò a se stesso.”

“Tesoro, tu non lo hai mai abbandonato, lo so. Lo hai protetto fin da quando hai saputo di lui e di me, anche se non avevi alcuna responsabilità nei confronti di entrambi” mormorò a quel punto Julie, sgomentando non poco William.

Che diavolo stava dicendo, la madre? Cosa stava ascoltando, in realtà? Sua madre era stata con un uomo che non era il padre? Era davvero il figlio di un altro?

Ma più di tutto, suo padre aveva accettato di crescere il frutto di un tradimento?

A tal punto si era dimostrato debole? A tal punto aveva permesso che la moglie e quel fantomatico Paco lo rendessero becco?

Non potendo ascoltare altro, William discese in fretta quanto in silenzio lungo le scale che conducevano al garage e, senza attendere oltre, prese l’auto e se ne andò per fare un giro.

Non importava dove. Doveva soltanto rimanere lontano da quella casa, da quelle persone, dai tradimenti e dalle bugie che ammorbavano l’aria di quel luogo.

Sua madre aveva tradito la fiducia di suo padre, accoppiandosi con un uomo che non era lui e, quel che era peggio, a suo padre non solo era stato bene, ma non si era neppure vendicato della persona che lo aveva reso becco.

Non contento, aveva cresciuto come suo il frutto di quel tradimento e aveva fatto credere a tutti di esserne il padre, da bravo vigliacco quale sapeva essere.

Lui non era altro che un errore, il frutto di un tradimento, ed era stato cresciuto da un uomo tutt’altro che perfetto. Non si era vendicato dell’onta subita ma, quel che era peggio, pur di non ammettere con nessuno di essere stato tradito, lo aveva reso complice inconsapevole della sua menzogna.

No, non avrebbe ambito ad assomigliare a quel genere d’uomo. Per nulla al mondo.

Avrebbe puntato a essere spietato, senza la traccia alcuna di debolezza e mai, mai più, avrebbe permesso a qualcosa – o qualcuno – di obnubilargli la mente.

Sarebbe stato lucido, freddo e calcolatore e non avrebbe mai più permesso a nessuno di deluderlo, di ferirlo e di cacciarlo nei guai.

A partire dai suoi genitori.

Fu per questo che, nello svoltare lungo la via principale, raggiunse la casa dei Krueger e passò a prendere Marlene.

Lei, come sempre, si dimostrò incantata al solo presentarsi sulla soglia di casa – cosa che ancora lo lasciava interdetto – e, quando uscì per entrare in auto con lui, sorrise deliziata e disse: “Non sapevo saresti passato, ma mi ha fatto davvero piacere questa improvvisata. Cosa vorresti fare, stasera?”

Avviando l’auto per dirigersi lungo la via che costeggiava il lago, William ripensò alle parole appena udite e, nell’accigliarsi, domandò: “Mi tradiresti mai, Marlie?”

Lei fece tanto d’occhi, a quelle parole così dure e, scuotendo furiosa il capo, replicò: “Non lo farei mai e, se qualcuno ha detto il contrario, dammi i nomi. Mi saprò spiegare per benino.”

“Anche quanto, lo farei io per te. Sono gli uomini a pensare a certe cose” sogghignò leggermente lui, accelerando lungo la strada deserta.

Marlene accentuò il proprio sorriso e mormorò sorniona: “Oh… mi difenderesti?”

“Difenderei il mio onore di uomo” precisò William, sorprendendola un poco.

“E non me?”

“Difendendo il mio onore, difenderei anche il tuo, poiché tu sei la mia donna” ribatté William, accelerando ulteriormente per poi abbassare il finestrino.

L’aria umida e fredda della sera ormai prossima scompigliò i capelli castani di Marlene che, sorridendo divertita, esalò: “Davvero sono la tua donna?”

“Non lo credevi?” replicò sorpreso William.

“Beh, nessuno ha mai detto che ero sua, perciò…” ammiccò lei con fare malizioso.

“Ora te l’ho detto io, e nessun altro dovrà mai dirtelo, altrimenti io ucciderò colui che oserà tanto” le promise William, svoltando all’improvviso con una sgommata per poi immettersi in una stretta mulattiera.

Marlene rise eccitata, si trattenne una ciocca di capelli che, birichina, le era finita sul viso, e asserì: “E lo ucciderai dinanzi a me?”

“Ti piacerebbe? Ho ucciso spesso, in Vietnam” sorrise sornione William, rallentando progressivamente con l’allontanarsi della via principale.

Marlene, allora, si lappò lentamente le labbra, mugolò eccitata e disse: “Se tu uccidessi per me, io ti darei qualsiasi cosa. L’idea che un uomo possa arrivare a tanto, e solo per me, mi eccita da matti.”

“Non… non per te. Ma per il mio onore” tornò a ripetere William, arrestando di colpo l’auto per affrontarla a muso duro.

Lei a quel punto annuì, gli sfiorò la gola con un tocco delicato di dita e unghie e, in un sussurro lussurioso, asserì: “Se io sono tua, faccio parte anche del tuo onore, no? Perciò, è come se lo facessi anche per me.”

William considerò le sue parole, il modo in cui l’orlo della gonna stava lentamente salendo al tocco infuocato delle dita di lei e, nel sorriderle a un passo dalla bocca, mormorò: “Hai ragione. Tu sei mia e, visto che sei parte di me, fai parte anche del mio onore.”

Ciò detto, le afferrò il collo con una mano e strinse, le spinse indietro il capo e aggiunse, rivolto ai suoi occhi pallidi e sgranati: “Ricorda, però. Vale la stessa cosa anche per te. Se sarai tu, a tradirmi, io ti ucciderò.”

Lei si lappò nuovamente le labbra, annuì per quello che le fu possibile fare e, socchiudendo gli occhi, afferrò la mano libera di William per infilarla tra le sue cosce, mormorando roca: “Prendimi e fammi tua completamente. Non posso sopportare di non essere con te in ogni momento, perciò voglio stare con te adesso.”

William socchiuse gli occhi nello sfiorarle il pube umido, desiderò assaporarne gli effluvi come aveva più volte fatto con le donne vietnamite che si era scopato ma, all’ultimo istante, desistette per dire: “Non ora. Ti prenderò quando saremo sposati. Non voglio che tu concepisca un figlio al di fuori del matrimonio. Ne andrebbe del mio nome. Visto che i miei genitori pensano che io abbia bisogno di aiuto, andrò a Denver da un dottore e farò quel che c’è da fare, così anche la gente non avrà più nulla da dire, su di me. Una volta che sarò tornato, però, ti sposerò e potremo fare quello che vorremo. Saremo intoccabili, agli occhi del mondo.”

“Lo farai davvero? Mi sposerai?” sospirò lei. “Mi porterai davvero via dalla casa dei miei genitori?”

“Ti strapperò a loro, fosse l’ultima cosa che faccio, Marlie. Non dovrai più sopportare le reprimende di tuo padre o l’inedia di tua madre” le promise lui, ben comprendendo come la ragazza si sentisse.

Neppure lui ne voleva più sapere dei suoi vecchi, a questo punto.

Marlene allora gli gettò le braccia al collo, lo baciò con passione fino a farlo ansimare, fino a farlo desiderare di non aver proferito quelle parole in merito alla loro unione prematrimoniale.

Fu quando lei afferrò l’orlo dei suoi calzoni, che cedette e, nel condurla in fretta e furia fuori dall’auto, la prese per le spalle, la spinse contro la portiera e, dopo averle sollevato la gonna, la penetrò con violenza da dietro.

Lei urlò, picchiò le mani sul tettuccio dell’auto per quell’intrusione improvvisa ma, dopo alcuni attimi di smarrimento, sopraggiunse il piacere anche per Marlene.
Non che a William importasse molto. Quella donna era sua e l’avrebbe usata a suo piacimento, come il padre non era stato in grado di fare con la moglie.

Con un’ultima, violenta spinta, venne in lei, sorrise soddisfatto e lasciò che Marlene giocasse a piacimento con il suo corpo. Dopotutto, quello che voleva lo aveva ottenuto.

L’aveva marchiata senza però rischiare di lasciare tracce del danno. Non si sarebbe più comportato come un perdente e, una volta per tutte, si sarebbe smarcato per sempre da suo padre.

 
 
 
 
 
1. Massacro di Mÿ Lai: fu un massacro di civili inermi che avvenne durante la guerra del Vietnam, (1968) quando i soldati statunitensi della Compagnia C, 1º Battaglione, 20º Reggimento, 11ª Brigata della 23ª Divisione di Fanteria dell'esercito statunitense, agli ordini del tenente William Calley, uccisero 504 civili inermi e disarmati, principalmente anziani, donne, bambini e neonati.


N.d.A.: scopriamo il passato di William e l'oscuro segreto celato dietro la sua nascita. Scoprire i suoi comportamenti passati, serve in previsione di ciò che avverrà prossimamente. 
  
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