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Autore: MrsShepherd    15/09/2021    1 recensioni
Santana e Brittany hanno 35 anni. Santana vive a New York, con Rachel, Kurt e Blaine. Brittany vive in Ohio e ha aperto una scuola di danza con alcuni ex compagni del Glee club. A tenerle unite è la loro figlia Riley, che in questa storia sarà il filo conduttore che porterà le due donne a riavvicinarsi inevitabilmente e a chiarire ciò che dodici anni prima era rimasto sospeso.
Ogni capitolo porterà il titolo di una canzone eseguita dai protagonisti della serie tv. Il testo di ogni canzone rispecchierà il contenuto del capitolo.
Spero che questa fanfiction incentrata su Brittana possa appassionarvi quanto ha appassionato (e sta appassionando) me mentre la scrivo.
Un pensiero va' inevitabilmente a Naya Rivera, che ovunque si trovi, mi ha ispirato a scrivere questa storia.
Buona lettura!
Genere: Fluff, Generale, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: FemSlash | Personaggi: Altri, Brittany Pierce, Nuovo personaggio, Santana Lopez | Coppie: Brittany/Santana
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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CAPITOLO 2: IT’S MY LIFE CONFESSIONS
Riley si alzò dal letto e staccò il cellulare dal caricatore. La sveglia sarebbe suonata pochi minuti più tardi. Non aveva dormito molto perché era preoccupata per le lezioni pomeridiane. Oggi il professor Gregory Usborne avrebbe riconsegnato i temi. Aveva avvisato la classe all’inizio della settimana, guardando Riley con un sorriso beffardo. Probabilmente avrebbe preso un’insufficienza e questo avrebbe voluto dire niente skateboard per un’altra buona settimana. Riley si chiese se si sarebbe più ricordata come salirci.
Preparò i pancakes e prima di svegliare la madre andò a prepararsi.
Si pettinò i capelli castani raccogliendo le ciocche davanti in una coda dietro la nuca, lasciò che gli altri le ricadessero morbidi sul collo, come delle piccole fronde ondulate.
Portava due orecchini color ambra e un piercing ad anello sull’orecchio destro, che le davano un aspetto elegante e indipendente. Aveva due occhi verde muschio, attenti, che si posavano su ogni cosa e due labbra piene, che spesso mordicchiava sui lati quando era nervosa.
Indossò una maglietta a maniche corte a righe bianche e rosse, un paio di jeans a tubo risvoltati in fondo, una giacca di denim più scura e le sue Vans nere preferite. Aveva poche certezze nella vita, una di queste erano le sue scarpe. Le davano sicurezza; sentiva che con quelle ai piedi avrebbe potuto correre chilometri se ce ne fosse stato bisogno. E forse oggi sarebbe stato uno di quei giorni.
Sospirò davanti allo specchio, facendo scrocchiare tutte le dita delle mani. Poi si avviò in camera della madre.
Santana era ancora a letto. Dormiva. Riley la guardò sorridendo teneramente.
Sua mamma era una forza della natura. Tutto per lei era una sfida, che sapeva prendere di petto. Viaggiava a velocità doppia e dovevi stare al suo passo, perché non aveva tempo di voltarsi indietro e tenderti una mano. Faceva così nel lavoro, ma anche nella vita. E Riley si sentiva sempre metri dietro di lei. Era affascinante, ma anche estremamente frustrante. Sua madre aveva poco tempo per starla a sentire e Riley ne era consapevole. Se si fosse abituata a ciò, quella era tutt’altra faccenda.
Riley conosceva però anche il lato più intimo di Santana, quello che non voleva mostrare a nessuno. Sapeva quanto fosse faticoso per lei alzarsi la mattina, così come quanto le piacesse trovare pancakes, caffè e mela fresca appena alzata. Riley si svegliava sempre prima di lei, le preparava la colazione e andava a svegliarla, ma rimaneva sempre qualche minuto ad osservarla, così immobile, ferma nel tempo…non l’aveva mai detto a nessuno, ma quello era decisamente il momento migliore della giornata.
Si alzò dallo sgabello d’acciaio a tre gambe e si avvicinò alla mamma. Dormiva prona sul letto, abbracciando un vaporoso cuscino di piume d’oca, il resto del corpo era coperto da un piumone grigio tortora che la riparava dal freddo di fine Autunno.
Riley le scoprì un po’ le spalle e si chinò accarezzandole la schiena: << Mamma…>> la chiamò dolcemente: << È ora.>>
Santana strizzò gli occhi senza aprirli e mugugnò qualcosa di incomprensibile che fece sorridere Riley. << Tra 10 minuti sono pronta.>>
 Santana si presentò in cucina poco dopo, con i capelli lisci sciolti fino alla schiena e un vestito prugna molto elegante, dal quale spuntavano due collant nero vedo non vedo. Aveva un corpo perfetto, che non era appassito minimamente negli anni. Appoggiò la borsetta nera lucida su una sedia e si sedette a mangiare i pancakes con la figlia, che nel frattempo stava facendo le parole crociate.
<< Dimmi un indovinello.>> le disse soffiando sul caffè fumante.
<< Più la tiri, più si accorcia.>> disse la bambina staccando gli occhi dal foglio.
Santana ci pensò su poi addentò un pancake spiccia… << Non so, la maglia?>>
<< La maglia?>>
<< Sì, quella di lana…tu cosa dici?>>
<< Credo sia la sigaretta>> rispose Riley mettendo una forchetta in bocca. << Se la tiri, diventa più piccola.>> mimò il movimento del fumatore.
<< E tu come lo sai?>> disse la mamma con un sorriso indagatore. Attaccò l’ultimo pancake: << Anche la maglia però.>>
<< Sì.>> disse Riley sospirando. Pensò che avesse creato il terreno giusto per introdurre l’argomento: << Ehm…che fai oggi?>> chiese con falsa riluttanza giocherellando con la colazione.
<< Vado alla Columbia per le prove con la squadra, penso che mi ci vorrà tutto il giorno.>>
“Vestita in quel modo?” pensò Riley, ma decise di tenersi per sé quest’ultima opinione. << Torni tardi?>>
Santana smise di sorseggiare il caffè e lo posò sul tavolo << Può darsi…perché?>> chiese la donna lentamente, con sguardo inquisitore.
<< Nulla.>> si affrettò a dire a figlia: << Chiedevo.>>
Santana sospirò: << Riley, c’è un motivo per cui non dovrei fare tardi? >> disse con calma apparente scandendo ogni parola, memore delle volte in cui la scuola l’aveva chiamata i mesi precedenti.
<< Io…>>
<< Riley…>>
<< Non credo, insomma…>>
<< Che hai combinato>> il suo sguardo si fece più intenso. Riley deglutì a fatica la colazione.
<< Niente.>> disse. E pensò di essere stata abbastanza convincente dato che la madre spostò lo sguardo sul telefono per rispondere a qualche messaggio. Mise i piatti nel lavandino e inforcò la borsa con una mano e la giacca nera in loden con l’altra. Si avvicinò alla figlia e la guardò storta, cercando di capirne i pensieri.
<< Posso andare a scuola in skateboard stamattina?>> chiese la figlia con occhi dolci.
<< Scordatelo.>> rispose la mamma stampandole un bacio sulla guancia. << Mi farai morire.>> sentenziò scherzosamente prima di richiudersi la porta alle spalle.
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<< Secondo me stai esagerando.>> Bette la raggiunse con una pedalata e si piazzò esattamente accanto all’amica. << Vedrai che Neanderthal non farà lo stronzo questa volta.>>
<< Non lo farà?>> ribatté Finnegan affiancando la coppia di amiche.
<< Ehi!>> lo rimbeccò Riley: << Non tagliarmi la strada.>>
Il ragazzo non se ne curò e continuò la conversazione portando la sua solita vena di ottimismo: << Insomma, l’hai visto l’altro giorno. Non sembrava nemmeno umano da quanto era arrabbiato.>>
<< Grazie Finn, grazie tante.>> rispose l’amica sempre più sconsolata.
<< Dico solo che hai fatto bene a dirlo, almeno è pronta.>>
<< Pronta ad ammazzarmi, forse. Stamattina mi ha detto che la farò morire prima o poi.>>
<< Oh, ma sono cose che dicono tutti i genitori>>. La rassicurò Bette. << Mio papà quando abbiamo lanciato il razzo mi ha detto che gli ho fatto venire l’ulcera.>>
<< Chi, Kurt?>>
<< Blaine. Kurt ha detto che gli ho fatto venire uno sfogo nervoso.>>
<< Ehi Bette, dici che mi verrà il naso come il tuo?>> si inserì Finnegan dubbioso.
<< Ma cosa c’entra scusa…?>>
<< Niente, ma dato che siamo fratelli ci pensavo…>>
<< Deficiente! Semmai sono io che ho preso il tuo! >> le rispose offesa sferrando un calcio alla ruota dell’amico. Finnegan perse l’equilibrio e finì fuori dalla ciclabile, direttamente in strada.
I tre ragazzi urlarono terrorizzati quando una Prius nera suonò diretta verso il ragazzo, che sterzò repentinamente verso il marciapiede. Riley l’afferrò per il colletto della felpa prima di cadergli sopra, trascinando anche Bette per terra.
Riley, Bette e Finnegan si alzarono doloranti da terra. Riley si guardò le mani sbucciate e i jeans entrambi strappati sulle ginocchia, poi si voltò verso gli amici per accertarsi che stessero bene.
<< Doppiamente deficiente!>> disse l’amica seccata pulendosi da un cespo di foglie ingiallite che avevano evidentemente attutito la sua caduta. Finnegan si sentiva tremendamente in colpa: << Oddio. Sono rotte. Siamo spacciati, arriveremo in ritardo e ci uccideranno.>>
Riley, guardò l’orologio. Mancavano pochi minuti all’inizio delle lezioni e lei era ancora lontana dalla scuola, con i vestiti strappati, e la catena a terra. Finnegan aveva ragione. Era veramente spacciata.
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<< Il trio è arrivato in ritardo oggi…>> sogghignò a denti stretti Gregory Usborne
<< Ci si è rotta la bicicletta…>> si giustificò sussurrando Finnegan.
<< A tutti e tre?>> ringhio il professore sprezzante.
<< Alla prima ora…noi ora siamo alla terza.>> disse Riley.
<< Poco importa. Un ritardo è un ritardo e sarà segnalato a chi di dovere. Se non è stato già fatto.>>
<< Riley devi stare zitta.>> le sussurrò Bette al suo fianco: << O peggiorerai la situazione.>>
<< Già devo stare zitta…>> disse la ragazzina guardando impietrita la pila di temi che il professore aveva tirato fuori dalla sua cartelletta di cuoio ammuffita. Lì dentro c’era anche il suo.
Man a mano che il professor Usborne chiamava i nomi dei compagni sentiva il suo cuore farsi più pesante e l’espressione delusa sul volto della madre sempre più vicina e nitida nella sua testa. Toccò a Finnegan che non appena lesse il suo voto si voltò, mostrando il tema alle due compagne, con un sorriso che gli arrivava fino alle orecchie.
<< B+. >> indicò con il dito. Riley gli rispose con un pollice alzato e un sorriso forzato. Aspettando il suo turno come un imputato al patibolo.
<< Riley Lopez>> ringhiò G.U. sfregandosi le mani. Riley inghiottì tutta la paura e si avvicinò alla cattedra.
<< Uomo morto che cammina!>> sentì sussurrare da qualcuno accanto a lei. Si sporse per vedere il voto, ma il tema era rivolto a faccia in giù. Allungò la mano per afferrarlo, ma Usborne fu più rapido di lei e lo tirò verso di sé. << Preferirei discuterne con qualcuno di più competente.>>
Riley abbassò la testa; sapeva bene cosa volesse dire quella frase. Santana l’avrebbe raggiunta nel pomeriggio, saltando tutte le prove possibili della sua super squadra di cheerleader.
Fu solo quando tornò a posto che si rese conto che G. U. non aveva ancora fatto il nome dell’amica. Bette stava seduta con le mani arpionate al banco e gli occhi sbarrati. Riley le appoggiò una mano sulla schiena e le diede una leggera spinta che la fece alzare quando l’uomo alla cattedra pronunciò il suo nome. Le consegnò il tema sena dire nulla.
Bette si sedette con le lacrime agli occhi, tenendolo stretto in mano per minimizzare l’onta di vergogna che la stava investendo dalla testa ai piedi. Riley prese il suo tema, lesse il voto dell’amica e tutta la sua rassegnazione si tramutò immediatamente in rabbia. Si drizzò dalla sedia e inveì contro il professore: << Spero stia scherzando.>>
<< Prego?>>
<< Perché quel voto?>> gridò irritata.
Bette la tirò per la giacca in denim invitandola a sedersi. Ma Riley era già partita in quarta.
<< Stavate copiando. Inequivocabile.>> ribatté il professore con un’espressione da freddo calcolatore.
<< Ma si svegli. Bette ha scritto quattro pagine. Quattro! E io cinque fottutissime righe. Come avrebbe fatto a copiare scusi?!>>
<< Il male si nasconde in ogni angolo più recondito.>>
<< E la scemenza invece ce l’ha tutta lei.>>
<< Riley basta.>> mormorò l’amica alzandosi e afferrandola per le spalle.
<< Ha superato il limite signorina Lopez.>>
<< è un vero stronzo.>>
<< RILEY BASTA!>> disse in lacrime Bette, per poi scappare fuori dall’aula con le mani sul volto.
In classe regnava il silenzio più assoluto. La tensione tra Riley e Gregory Usborne si poteva tagliare con un coltello.
<< Professore>> disse Finnegan: <>
<< Non si muova.>> ringhiò G.U. tenendo gli occhi fissi su Riley, che non accennava minimamente ad interrompere quel contatto visivo.
Finnegan ignorò l’ordine del professore e uscì dalla stanza, con o stupore di tutti. Riley, conscia che il rispetto e l’autorità del professore si stavano sgretolando sotto ai suoi occhi, sollevò un sopracciglio sprezzante.
Gregory Usborne spostò lo sguardo sul tema della ragazzina e sempre tenendolo coperto lo rinchiuse nella sua cartelletta.
<< Riferirò tutto ciò che è successo questo pomeriggio.>> sentenziò scandendo ogni parola.
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Quel viaggio in macchina verso casa sembrò interminabile. Riley si era seduta sui sedili posteriori, per sfuggire alle occhiatacce della madre, che comunque le dedicava sguardi fiammeggianti dallo specchietto retrovisore. Un senso di nausea le pervadeva tutto il corpo; aveva provato ad abbassare il finestrino per farselo passare, il vento tra i capelli le aveva sicuramente dato un po’ di sollievo, ma Santana aveva subito tirato su i finestrini, perché voleva fare una chiacchierata a quattr’occhi con la figlia e il rumore intermittente dell’aria non rendeva il momento abbastanza drammatico.
Durante il colloquio con il preside e il professor Usborne Riley non era stata ammessa, era rimasta chiusa in macchina della madre, a mangiarsi le unghie per una buona mezz’ora. Avrebbe voluto scappare e tornare a casa a piedi, o magari restare a dormire da Finnegan o Bette, ma entrambi gli amici non le avevano più parlato per tutto il giorno. Forse era stata colpa sua, non avrebbe dovuto rispondere ad Usborne in quel modo. Le stava venendo il panico: aveva la sensazione che questa sua ultima bravata fosse stata la goccia che avrebbe fatto traboccare il vaso: Bette e Finnegan non le avrebbero più rivolto nemmeno uno sguardo, già sentiva la voce di Rachel risuonare nella sua testa “tua figlia è deleteria” e Santana…oh, Santana non l’avrebbe più guardata allo stesso modo. Non l’avrebbe più guardata. E questo la spaventava più di tutte.
Quando scorse la madre ancheggiare verso la macchina tirò un respiro di sollievo, che si tramutò immediatamente in panico quando la vide togliersi gli occhiali da sole e fulminarla con uno sguardo raggelante.
Entrò in macchina, non disse nulla e cominciò a guidare verso casa. Quel silenzio pesava, ma Riley non aveva il coraggio di aprire bocca, per paura che le parole della madre scivolassero fuori come saette in un temporale.
<< Salti la partita.>>
<< Cosa?>>
<< E gli allenamenti. Per una settimana.>> disse secca la donna.
Riley sospirò fregandosi il volto con le mani.
<< è il meglio che sono riuscita ad ottenere.>>
<< Ok.>> Rispose la bambina torturandosi le mani.
Santana continuò piatta: << Hai altro da dire?>>
<< Bette non stava copiando.>>
<< Lo so. >>
Gli occhi di Riley si illuminarono di speranza: << Mi credi?>>
<< Non ho detto questo.>> disse guardando Riley afflosciarsi cupa sul sedile. Sospirò e scosse la testa.
<< Dovevi restare zitta Riley.>>
<< Dovevo dire qualcosa!>>
<< No invece.>>
<< Mamma quel deficiente ha dato a Bette una F! A Bette! Per una cosa che non aveva nemmeno fatto.>>
Santana guardò la figlia sorpresa per un attimo, poi si ricompose e sospirò: << Non era affare tuo…>>
<< Avrei dovuto asciare Bette così…a piangere per una cosa che non aveva fatto? Come fa a non essere un problema mio!>>.
Santana accelerò di colpo è Riley sussultò aggrappandosi con due mani alla cintura. Si sentiva il vomito fino alle orecchie. Guardò la mamma con la faccia pallida in attesa che continuasse il discorso e supplicandola in silenzio di guidare piano.
Santana lo notò e alzò una mano in segno di scusa: << Mi hanno dato l’ultimatum oggi Riley.>> respirò forte con il naso e guardò la figlia riflessa: << Un’altra cazzata e sei fuori.>>
<< L’hanno detto anche l’ultima volta.>>
<< Già, ma questa volta sono d’accordo. Non possono tenerti ancora, non se ti comporti così.>>
<< Ma non ho fatto niente! Stavolta…>>
<< Dio santo Riley stavolta…c’è sempre una scusa buona per te! È possibile che non riesci a capire la situazione?!>>
Riley incrociò le braccia seccata: << Spiegamela te allora, visto che sai sempre tutto...>>
<< Questa è la nostra migliore opzione. Se fallisci nessuna scuola ti prenderà. Nessun istituto vorrà avere l’onere di sobbarcarsi una ragazzina con problemi di comportamento e un rendimento non così eccellente. Andrai in scuole mediocri e la tua educazione crollerà a picco.>>
<< Ah è questo il problema allora…>> ribattè furiosa la figlia: << Non essere al top per Santana Lopez. La leggenda di New York!>>
<< Smettila Riley…vedi come fai?!>>
<< Ammettilo che non sono la figlia che vorresti. Dodici anni fa hai perso la tua libertà e adesso la sconfitta brucia!>>
<< Riley basta.>>
<< Hai fallito come madre, hai fallito come compagna, un bel fallimento per la campionessa di New York!>>
Santana inchiodò l’auto in mezzo alla strada, facendo scattare Riley in avanti che picchiò la testa contro il sedile anteriore. La figlia si portò le mani sul volto, respirando forte per smaltire tutta la frustrazione che aveva in corpo. Santana allentò la presa sul volante e le sue nocche gialle e contratte tornarono del colore normale.
<< Scendi.>>
<< Cosa?>>
<< Adesso prendi le tue cose, scendi dall’auto e te ne torni a casa a piedi.>> espirò: << Ti fai una bella doccia e rifletti sul tuo comportamento deludente. Poi domani vai a scuola a piedi e recuperi la bicicletta per il ritorno.>>
Santana scese dalla macchina, aprì la portiera e attese sul lato della strada che la figlia uscisse. Riley spuntò silenziosa, con l’Eastpack viola in spalla, dalla Ford Fusion nera laccata e guardò la mamma, come un cane bastonato guarda il suo padrone.
La donna le porse un foglio di carta: << Scegli bene quali battaglie combattere Riley. >> disse prima di risalire sull’auto. << Non aspettarmi alzata.>>
Riley Lopez Pierce guardò il foglio con il suo nome scritto sopra. C-.
Vomitò sul ciglio della strada. Adesso si che era nei guai.
Sua madre non si fece vedere la sera e non fu in casa nemmeno il mattino dopo. Riley trangugiò una tisana e qualche biscotto. Lasciò un messaggio scritto su un foglietto alla madre e si avviò a piedi verso la scuola. Fu una giornata grigia. Nessuno si fermò a parlare con lei. Nemmeno Finnegan e Bette, che cercavano di evitarla come la peste. A fine scuola prese la bicicletta rotta e si incamminò verso casa. Iniziò presto a piovere e Riley ne fu grata. Con la pioggia nessuno avrebbe potuto notare le sue lacrime.
 
   
 
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