4) Sparatoria a Shinjuku
La sfida era stata lanciata. Il primo
colpo, arrivato senza preavviso aveva stordito non poco un uomo che di
battaglie mortali ne aveva già affrontate a decine. Ryo
si sentì soffocare lentamente a causa del fumo che come un cappio gli si era
formato tutt’intorno. Riuscì aggrappandosi alla sua esperienza a trascinare
fuori lui e la sua partner da quella zona rossa. Si riparò quindi rapidamente
dietro il solido parapetto che dava sulla strada e così Kaori, per fortuna
rimasta cosciente.
–
E io che avevo impegni per oggi – borbottò sarcasticamente impugnando la
sua fedele Colt Python 357 Magnum. Appena recuperato il senso della vista si
guardò intorno alla ricerca del responsabile, stando attento a non rivelare la loro
posizione.
Avesse voluto attaccarmi direttamente
avrebbe sparato appena usciti. Che sta aspettando?
– Credimi, è un onore per me
conoscerti – riprese con tono deciso lo sconosciuto.
Dove sei bastardo!
– Ryo, credo
ci abbia attaccato da lì – lo aiutò Kaori indicando un vecchio palazzo che dava
poco di fronte. Dismesso ed abbandonato da anni quel blocco di cemento
dimenticato nel tempo faceva da scudo a quel nemico mortale. Lo sweeper annuì convenendo che specie dal tetto, recintato
malamente da vecchie lamiere, si apriva un angolo di tiro niente male, una
manna scesa dal cielo per un professionista.
Ottima osservazione, Kaori.
Un nuovo colpo sibilò ad alta
frequenza proprio sopra le loro teste colpendo per schernirli l’insegna che
recitava il numero dell’appartamento. Poi un altro e un altro ancora. E rideva,
eccome se rideva quella voce tanto fastidiosa quanto maligna.
– Non reagisci? Davvero? Che
delusione! – gridò il suo avversario mutando d’un tratto i toni.
Ryo, senza scomporsi più di tanto fece
gesto alla donna di rimanere immobile, esaminò poi attentamente i fori di
entrata dei proiettili e un bossolo poco distante dai suoi piedi. Calibro non
sufficiente a giustificare un fucile da cecchino, ma ottima mira visto gli
spari ravvicinati, ne concluse. Si trattava sicuramente di un uomo che
difficilmente avrebbe sbagliato avesse prestato incautamente il fianco. Ma
subire e basta non era nelle sue corde.
– Kaori, mi sa che dovrai avvisare Miki e quel testone di Umibozu.
Faremo un po’ tardi oggi – scherzò indossando la maschera dello spaccone che
portava tanto bene.
Ok, campione. Vediamo che ne pensi di
questo.
Quasi disteso, di spalle contro la
nuda protezione che gli stava assicurando la vita, impugnata l’arma che mai lo
aveva tradito, mirò ciecamente apparentemente al nulla alzandola quanto bastava
per permettersi un tiro libero. Ne sarebbe bastato uno solo e sarebbe stato
game over. Set. Vittoria. Rispose al fuoco senza aspettare un secondo di più.
Udì un urlo agghiacciante, quasi
disumano, da far accapponare la pelle. Aveva fatto centro. Kaori non ebbe
nemmeno il tempo di rendersi conto di quanto successo che venne trascinata di
peso giù per la rampa di scale, dritti in auto, evitando nella forsennata corsa
altri colpi, questa volta più incerti. Uno di essi però era andato a segno, o
quasi, ferendo di striscio il vincitore al fianco sinistro. Ryo
strinse i denti senza farsi notare dalla partner. Aveva negli anni subito molto
di peggio e poteva considerarsi molto fortunato visto l’esito della battaglia. Non
avrebbero infatti inseguito l’attentatore. Andare incontro al cacciatore sarebbe
stato sciocco e un invito a morire, del resto era sicuro di non averlo ucciso. Non
aveva fatto un tiro ottimale per quanto miracoloso, la vera impresa era stata
basarsi sull’angolazione dei fori di entrata dei colpi del rivale per poi
decidere al volo la sua traiettoria.
– Kyoko… spero sia al sicuro! –
esclamò preoccupata la partner mentre sfrecciavano per le strade diretti al Cat’s Eye.
–
Senti, quel bestione sarà anche fastidioso ma sa fare bene il suo mestiere.
Sono sicuro che sta benissimo.
–
Sì…ma
– E poi.
–
Poi cosa?
– Neanche mi hai fatto i complimenti,
ma hai visto che tiro!? Sono o non sono il migliore? – si vantò lui prendendosi
un bel pizzicotto sulla guancia come ringraziamento.
– Pff.
Sempre il solito.
Sempre il solito.
****
Arrivarono al locale ch’erano ormai le tre
passate. Lontani dal conflitto la normalità e il brusio di una giornata come
tante furono come una boccata d’aria fresca per i due che, tirato un sospiro di
sollievo, si apprestarono ad entrare senza dar troppo nell’occhio.
– Barista, un caffè bello carico,
svelto – esordì Ryo con un sorriso beffardo ai danni
di Umibozu, già vittima di una mattinata alquanto
imbarazzante. Troppi gli aneddoti e i complimenti da parte della sua Miki di fronte quella sconosciuta a loro affidata.
– Questo è abbastanza forte per te? –
bofonchiò l’energumeno sventolando il pugno chiuso a pochi centimetri dalla
faccia del cascamorto più cascamorto di tutti.
– Giornata difficile? – chiese Kaori
prendendo posto al fianco del partner dopo aver salutato Miki
con un sorriso complice. – Kyoko dov’è?
– Eccola tornare, è filata via dopo
aver visto un vecchio ambulante vedere non so cosa. Ho provato a fermarla ma è
stata veloce un lampo – rispose la donna guardando fuori dalla vetrina alla
figura che si stava avvicinando.
–
Ciao a tutti. Ryo, Kaori… tutto bene? – salutò
Kyoko.
– Diciamo che è stata una mattinata movimentata.
E tu come stai splendore? – domandò Ryo col suo tono
da marpione accogliendo le mani della ricercatrice tra le sue.
– Io sto benissimo, tu non so, ti vedo
un po’ pallido a dir la verità – confessò con non molto tatto lei
allontanandosi subito da quel contatto per suo sommo dispiacere. Eppure, per
quanto detestasse quel suo modo di fare, si era sentita per pochi attimi
piacevolmente al sicuro in quella dolce stretta. Quasi le ricordava quella
notte. Avrebbe mentito dicendosi di non ritenerlo un uomo affascinante, ma
quella attrazione era destinata a rimanere tale per il bene di tutti o così si
era promessa. E poi c’era lei: Kaori era stata così gentile dal principio tanto
da sentirsi da subito in colpa per esser stata toccata da simili pensieri.
C’era qualcosa tra quei due, qualcosa di forte e palpabile. Ryo
le aveva salvato la vita e la sua era una sciocca infatuazione nata per un
gioco macabro del destino, si disse non molto convinta.
Ma cosa mi sta succedendo?
Kyoko distolse lo sguardo incapace di
reggere il peso di quel contatto visivo così intimo, lo stesso di ieri sera che
l’aveva fatta tremare come nessuno prima. Si scusò flebilmente e andò a sedersi
poco distante ad un tavolo. Kaori, spettatrice inerme dell’intera scena,
avvampò dentro in preda alla fiamma della gelosia. Questa volta però non era
arrabbiata per le solite cretinerie del socio, bensì aveva captato la reazione
della scienziata: inaspettata, imbarazzata e impacciata. Riconosceva quello
sguardo quasi colpevole e quel tremolio perché n’era stata vittima anch’ella
parecchie volte.
– Vado in bagno, se scusate – esclamò
seccata poco dopo prima di sparire dalla loro vista.
Si barricò per darsi un contegno. Come
poteva comportarsi così dopo quella confessione? Proprio non capiva. Inorridì
al cospetto del suo riflesso, atroce nella sua limpida obiettività nel
mostrarle gli effetti di quella mai doma gelosia. Gli occhi, lucidi e affranti,
trattenevano al loro fragile precipizio preziose lacrime che non avrebbe voluto
versare per lui, non questa volta. Le mani, serrate tanto da far male in due
pugni, non assecondavano i suoi tentativi di calmarsi con dei profondi respiri.
Eppure l’era sembrato così sincero. Quelle parole non potevano essere dettate
dal caso. “Impossibile”, pensò. O probabilmente quello che tanto desiderava non
si sarebbe mai avverato.
Stupida, stupida, stupida.
Si deprecò sino allo sfinimento, così
tanto da far perdere significato a quegli epiteti ripetuti così rapidamente. “Tutto
così chiaro”, formulò, “Ryo non mi vedrà mai in quel
modo, non proverà mai cosa provo io per lui”. Questa la tesi finale dettata dal
suo tormento interiore. Chiuse gli occhi trattenendo un singhiozzo e prese a
piangere il più silenziosamente possibile, incapace di contenersi oltre.
Lo sweeper,
nel frattempo, s’era invece appartato con Umibozu per
narrargli della disavventura di poco fa. Nelle sue mani un bossolo, trofeo
della vittoria ottenuta.
– Che ne pensi? Questo è il ricordino
che mi ha lasciato il mio nuovo ammiratore – domandò cercando un’opinione
differente dalla sua.
– Un proiettile calibro nove, coda
bruciata, il tipico segno che lascia un’arma sovietica. Ti spaventi con poco,
uh?
– Piano con le parole! Si tratta
probabilmente d’una Makarov vista la facilità di tiro che ha avuto. Ma la cosa
preoccupante è la precisione… c’erano circa cinquanta metri ad occhio a
separarci e armi del genere sono instabili a certe distanze.
– Un tiratore eccellente.
– Stava giocando con me, quasi volesse
studiarmi. La cosa non mi piace e non credo affatto sia finita qui – spiegò Ryo dopo un breve silenzio. Nella sua mente frullavano
mille pensieri, non tutti concordanti tra loro.
– Cosa hai intenzione di fare ora?
– Non starò di certo con le mani in
mano. Sono sicuro si farà di nuovo vivo, nel frattempo spero che Saeko sappia dirmi di più su quanto avvenuto anni fa e poi
c’è lei… – rispose adocchiando Kyoko che nel frattempo stava chiacchierando del
più e del meno con Miki.
– E non ti fidi del tutto, lo si vede
chiaramente. Bene, ti dico solo una cosa. Trova la soluzione e fallo in fretta
prima di rimetterci la pellaccia – chiarì il rivale d’una vita prima di dargli
le spalle. – e curati quella ferità prima di sporcarmi il locale – aggiunse
prima di tornare dietro il bancone.
Accolto il suggerimento, Ryo si diresse verso il bagno dal quale era appena uscita
una silenziosa Kaori. Mosse prontamente due passi per dirle qualcosa ma venne
prontamente ignorato senza alcuna possibilità di replica. Fece spallucce, si
procurò qualche garza e materiale vario dal solito vano delle emergenze del Cat’s Eye.
Una volta in bagno iniziò a medicarsi
alla bene e meglio dopo essersi ispezionato la ferita allo specchio. Per sua
fortuna notò che essa era superficiale e facilmente rimarginabile con un po’ di
sano riposo. A preoccuparlo era più la sua partner, decisamente strana a suo
dire nei comportamenti.
– E ora? – scandì sommessamente al suo
silente riflesso.
****
Il viaggio di ritorno fu decisamente
meno animato del solito. Kaori non aveva spiccicato parola e Ryo, avvertita la distanza della donna, s’era incupito
quasi a perdere la sua solita verve. Kyoko, unica dei tre ad essere più
propositiva, si acquietò al secondo monosillabo rivoltole dallo sweeper dopo un breve scambio di battute. E sempre in
completo silenzio la donna s’era dileguata una volta arrivati. Il cielo andava
oramai a brunire e presto sarebbe scesa la notte. Si diresse verso la solita
terrazza dove soleva guardare il profilo della città ghermita da luci, il loro
posto speciale. Ryo la lasciò andare non con poca
fatica avendo compreso che forse era meglio così.
Kaori si appoggiò alla ringhiera e si
lasciò andare a mille pensieri, perdendosi di tanto in tanto nei mille dettagli
del chiaroscuro di quel panorama che aveva imparato ad amare nel tempo. E quel
fragore lontano di vite normali, schiamazzi e vivaci risate, le sembrò come non
mai così vicino: invidiava chi non aveva tali patemi. Avrebbe voluto almeno per
una notte sentirsi una donna e non solo la metà di City Hunter; avrebbe voluto
poter travasare con mille baci quell’amore che a stento riusciva a contenere in
quel cuore lacerato da innumerevoli notti solitarie. Lui non riusciva a vederla
in quel modo, a vederla come le altre. Eppure, nonostante soffrisse per quella
distanza, non riusciva a spegnere quel sentimento, a mollare la presa e a
dimenticare tutto. Razionalmente sarebbe stata la scelta giusta, pensò, ma lei
era fatta così: non riusciva ad amarlo di meno o meglio, ad amarlo in maniera
differente. Voleva piangere, di nuovo, ma non ne ebbe la forza preferendo immergersi
nei ricordi, nei bei momenti che avevano passato insieme. Essi erano immobili,
cristallizzati dal tempo e un rifugio sicuro da un presente che al momento
sembrava così grigio e opprimente. La memoria cadde al primo Natale insieme, al
suo regalo: una bellissima spilla che custodiva gelosamente e che indossava
solo nelle occasioni migliori pur di non rovinarla, proprio perché così
speciale nel suo significato. Sorrise per un attimo felice a quegli attimi, al
ricordare quel bellissimo sorriso imbarazzato di Ryo
nello spiegare un gesto tanto inaspettato.
Ma sentiti…
Venne riportata al presente
dall’incombere del suo partner, che poco fece per attirare l’attenzione
preferendo fermarsi al suo fianco, anch’egli lì per contemplare quella vista
magnifica, o così sembrava. In un gioco d’orgoglio si lanciarono per un po’
sguardi furtivi vicendevolmente cercando di non darsi il fianco, sino a quando
uno dei due non cedette.
– Kyoko dov’è? – domandò lei per
rompere il ghiaccio.
– Dorme.
– La invidio, non credo riuscirò a
dormire stanotte.
– Saeko
verrà qui tra poco, le ho chiesto di passare appena possibile per discutere
delle indagini di Maki.
– Capisco, siamo sulla strada giusta.
Qualcuno vuole fermarci ad ogni costo.
– E quel qualcuno non vuole che
aiutiamo Kyoko a stanare i cosiddetti “Conti Bianchi”. La nostra scienziata dice
di avere l’impressione di esser stata sempre seguita da quando è tornata in
città alla mia ricerca – spiegò lo sweeper voltandosi
verso di lei. – Ma guarda caso colpiscono proprio quando cominciamo a fare
passi in avanti.
– Ryo, non
mi piace cosa stai insinuando – lo rimproverò lei per quanto non potesse negare
la singolarità della cosa.
– Sai… – riprese con una lunga pausa
tra una parola e l’altra, – quando affronto un duello guardo sempre negli occhi
il mio avversario. Questi, quando il velo tra vita e morte è così sottile da
essere trasparente, non mentono mai. Cercavo qualcosa di simile in Kyoko oggi
al Cat’s Eye – terminò con un sorriso enigmatico.
Allora ha notato…
– E i miei?
– Mh?
– Se sei tanto bravo – dichiarò di
colpo irrigidendosi nei modi, - spiegami cosa vedi nei miei occhi ora!
Ryo, preso in contropiede, restò
inebetito da quella richiesta. Kaori, a pugni serrati lo stava squadrando a mo’
di sfida, senza apparente paura. Ma in un angolo del cuore della donna che
amava una crepa era pronta a richiudersi o a incrinarsi ancor più. A deciderne
il fato era la sua parola, soltanto la sua. Tirò un lungo sospiro. Nessuna via
di scampo.
– Non credo sia il momento.
– Certo che lo è, avanti, abbiamo
tutta la notte!
– Lo vuoi proprio sapere? Bene, te lo
dico subito visto che ci tieni tanto! Vedo paura, incertezza e dolore, Kaori.
Tre peccati che non possiamo proprio permetterci – rispose insultandosi
mentalmente nel farlo. Ancora una volta l’aveva respinta mettendosi sulla
difensiva. Bianca in viso la donna cercò di opporsi con dei balbettii dettati
più dallo choc che da un reale senso logico. Non riuscì a resistere oltre
andando via non prima di guardarsi alle spalle.
Più che i peccati della donna credette
di aver enunciato i suoi.
Il primo: paura di perderla a causa di
quel mondo torbido e senza morale che anche oggi aveva provato a trascinarli
nel baratro. Il secondo, ovvero l’incertezza nell’ammettere quanto davvero
desiderasse con tutto il suo essere e infine il terzo, il dolore, inflitto e
autoinflitto.
Un tuono annunciò indomito l’arrivo
della pioggia e a Ryo quel fragore senza pari non sembrò
che un sussurro.
****
Da tutt’altra parte della città un
uomo si stava trascinando a fatica verso una meta sicura. Dietro di sé una
lunga scia di sangue tracciata da un passo claudicante. Il braccio gli faceva
un male cane, ma a bruciare di più era la sconfitta. Lui, soldato bambino che
aveva visto il dramma della guerra dalla più tenera età, aveva perso e
nettamente. Non era casa sua quella, si convinse, altre regole: era andato a
stuzzicare un altro predatore nel suo habitat naturale pagandone le conseguenze.
Il lavoro era pagato bene e solamente ora ne capiva il perché. “Fatto fuori
lui, nessuno potrà fermarci” gli aveva confidato fiducioso il committente, il
solito uomo d’affari troppo vigliacco per agire con le proprie mani. I “Conti
Bianchi”, come rivelatogli in un breve debriefing, avevano già subito pesanti
battute d’arresto per mano prima d’un ex detective troppo vicino alla verità e
poi sotto i colpi del famigerato City Hunter. Giocare col fuoco non è mai buona
cosa si raccomandò guardandosi la ferita, l’umiliante verdetto della sua
presunzione.
–
Non finisce qui, Ryo Saeba.
Fine capitolo
Che roba, eh? Proprio devo smettere di
mettere i bastoni tra le ruote a questi due. Una cosa che mi piace fare come
autore, e spero non mi odierete per questo, è evidenziare quanto Ryo sia estremamente contraddittorio quando si tratta dei
suoi sentimenti. Un attimo si scopre, l’altro ritratta in un conflitto tra le
parti che sembra senza fine. A rimetterne è la povera Kaori, sempre più
frustrata e confusa da quegli atteggiamenti. Lo stress per l’attentato e per il
caso sta instillando il dissidio tra i due. Riusciranno a chiarirsi? Beh non
posso dire altro eheh. Ci troviamo quasi a metà opera
e ce ne sono ancora di cose da dire.
Ps: non sono un esperto di armi e a
stento ricordo il moto del proiettile studiato nel mio esame di Fisica all’università,
quindi perdonate eventuali cretinerie…ma scrivendo del manga più folle di
sempre per quanto riguarda le abilità balistiche può starci, no?
Alla prossima!