Storie originali > Romantico
Segui la storia  |       
Autore: Clementine84    17/09/2021    0 recensioni
Quando Becky viene mandata a intervistare Craig, musicista di una band sulla cresta dell'onda, sa esattamente che le dichiarazioni rilasciate verranno usate per spargere calunnie sul suo conto. Ha due possibilità: mettere a tacere la sua coscienza e consegnare la registrazione al suo capo, oppure rifiutarsi e perdere il lavoro. Non esita nemmeno un istante. E, forse, quella decisione presa d'impulso farà capire a Craig che, di persone così, se ne trova una su un milione e porterà a Becky molti più benefici che danni.
Genere: Fluff, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

“Arrivo, arrivo! Dio! Sembra che ti stiano scuoiando vivo!” commentai, entrando nel mio appartamento, riferita ai miagolii disperati di Romeo che protestava per essere stato lasciato solo tutto il giorno.

Richiusi la porta e gli diedi una grattatina dietro alle orecchie, sperando di farlo tacere, ma non ottenni grandi risultati, così mi rassegnai a riempirgli la ciotola di crocchette.

“Materialista” commentai, guardandolo divorarle avidamente, dopodiché mi svestii e mi infilai sotto la doccia.

Era passato circa un mese da quando ero stata licenziata ma, fortunatamente, non ero stata inoperosa per molto. Come promesso, William aveva parlato di me a quel suo cliente che lavorava per il Daily Mirror e lui, gentilmente, aveva accettato di conoscermi, così il mio amico aveva organizzato una cena, durante la quale avevo fatto del mio meglio per sembrare una giornalista brillante e preparata. Evidentemente aveva funzionato perché, dopo qualche giorno, ero stata richiamata e mi era stato fissato un colloquio, in seguito al quale ero stata assunta, dapprima in prova e, dopo sole due settimane, permanentemente. Il cliente di William, Joseph Loy, che era diventato mio capo, credeva fermamente nelle mie capacità e mi aveva subito affidato importanti servizi di attualità in veste di inviata speciale, per i quali avevo intervistato politici e uomini d’affari, senza mai combinare pasticci, segno che l’incompetente non ero io ma quell’idiota del mio vecchio capo. Aveva una così alta stima di me che mi chiedeva un parere per questioni anche molto importanti, facendomi sentire onorata e, se capitava che, per qualche motivo, non potessi presentarmi in ufficio, non mi faceva nessun problema. Il nuovo lavoro mi piaceva da morire, era quello che avevo sempre sognato fare, andavo d’accordo con i colleghi e adoravo letteralmente il mio capo. La vita sembrava sorridermi di nuovo e non ero mai stata così felice in vita mia.

Ero appena uscita dalla doccia e stavo gingillandomi alla prospettiva di poter passare la successiva domenica mattina a letto, quando sentii suonare il telefono e corsi a rispondere. “Pronto”.

“Non hai chiamato”.

Voce inconfondibile.

“Craig!” esclamai.

“Ciao” salutò lui. “Non hai chiamato” ripeté, tranquillo.

Arrossii. Aveva ragione, avevo promesso che l’avrei chiamato e non l’avevo fatto.

“Ehm…temo di aver perso il tuo numero” mentii. Non speravo che se la bevesse, ma era comunque un tentativo.

Infatti… “Va bene, farò finta di crederci” commentò, facendomi sorridere. “Comunque, come stai?” “Bene, grazie. Tu?”

“Non c’è male. Siamo tornati oggi dall’Olanda” spiegò.

“Siete in città?” domandai, cercando di non dimostrare troppo interesse. Non volevo si facesse strane idee.

“Sì,” rispose lui “per questo ti ho chiamata”.

“Scusa?” farfugliai, confusa. Ricordavo che ci eravamo detti di rivederci, quando lui fosse stato di nuovo in città, ma non ci eravamo dati nessun appuntamento.

“Volevo sapere se eri ancora dell’idea di fare quella cena” spiegò.

Già, la cena.

“Certo, perché no?” assentii.

“Bene” esclamò lui. “C’è qualche posto particolare dove vorresti andare?” si informò.

Ci pensai su un attimo. Non mi veniva in mente niente.

“Hmm…no. Mi fido di te”.

“Okay”.

“Ah!” aggiunsi, ripensandoci “Magari un posto non troppo elegante, se non è un problema”.

Mi sentivo sempre fuori luogo nei ristoranti eleganti.

“Guarda che non devi preoccuparti. Pago io” mi rassicurò lui.

“No, non è per quello!” mi affrettai a precisare. “È che mi sento sempre a disagio nei posti eleganti” confessai.

“Ah, capisco. D’accordo, allora! Niente di troppo chic, tranquilla”.

“E, comunque, ho un nuovo lavoro, adesso. Non devi pagare tu” protestai.

“Lo so che non devo, voglio pagare!” insistette.

Restai in silenzio per un attimo, riflettendo su quanto sarebbe stato difficile dissuaderlo. “D’accordo” rinunciai, alla fine “Grazie”.

“Potrei sbagliarmi, ma mi sembra di aver sentito un grazie” scherzò Craig.

“Beh…io…” farfugliai.

“Farò finta di non aver capito bene” mi interruppe. “Dicevi?”

Decisi di stare al gioco. “Ho chiesto quando ci vediamo”.

“Mah, non so. Tu quand’è che sei libera?”

“Hmm…domani?” proposi.

“Benissimo” concordò lui.

“Vengo in albergo, o…” mi informai.

“Sì, se non ti dispiace. Vorrei fare il galante e passarti a prendere a casa, ma ho paura che l’intervista che dobbiamo fare vada per le lunghe e di non fare in tempo” si scusò.

“Ma figurati, nessun problema” lo tranquillizzai.

“Allora ci vediamo al Conrad per…diciamo…le sette?”

“Alle sette al Conrad. Non mancherò” assicurai e, dopo esserci salutati, riagganciai.

“Altro appuntamento?” mi voltai di scatto e trovai Joey che mi sorrideva sulla porta.

“Joey! Mi hai spaventata” lo rimproverai.

“Scusa. Ero passato a chiederti se potevi scendere un po’ prima, stasera, ma eri al telefono, così ho aspettato” spiegò.

Poi, lasciandosi vincere dalla curiosità, aggiunse “Allora? Altro appuntamento?”

Annuii. “Se così vogliamo chiamarlo”.

“Sempre quel Craig?”

Annuii di nuovo.

“Beh, non ha più niente per cui ringraziarti, quindi questo è un vero appuntamento” constatò, sorridente.

“Non iniziare a fare castelli in aria, per favore” lo pregai.

“Nessun castello,” mi assicurò lui, serio e poi, prima di richiudere la porta e sparire “solo un piccolo monolocale!”.

 

Dando un’ultima sistemata ai polsini neri che indossavo per l’occasione, entrai nel locale, trovando tutti i miei amici già al lavoro.
“Ciao Lizzie” salutai, prendendo posto insieme a lei dietro al bancone.
“Ciao” rispose lei, servendo da bere a un signore e poi, guardandomi con un sorrisino divertito. “Joey mi ha detto che domani hai un altro appuntamento”.
Lanciai un’occhiataccia al mio amico, impegnato a parlare con un cliente e lui, per tutta risposta, mi mandò un bacio con la mano.
Non feci in tempo a replicare perché Bridget, la ragazza di Arthur, mi passò vicina con in mano due pinte di birra chiara da portare a un tavolo e chiese “Com’è questo tipo? Carino?”
“Beh, sì…” farfugliai, messa alle strette.
“Dove ti porta?” si informò William, appoggiando sul bancone tre bicchieri vuoti.
“Non lo so, gli ho chiesto di cercare un posto semplice” spiegai.
“Che ti frega, tanto paga lui, no?” commentò Arthur, passando un’ordinazione alla sua ragazza.
“Non è per quello, lo sai che mi sento a disagio nei posti eleganti” mi giustificai.
“Oh, quanto mi piacerebbe che Arthur mi ci portasse, invece!” sentenziò Bridget, sognante.
“Beh, sì tesoro, ma lo sai che sono sempre un po’ a corto di spiccioli per la mancia del cameriere” cercò di sdrammatizzare lui, guadagnandosi una linguaccia dalla sua ragazza, alla quale si affrettò a schioccare un bacio per farsi perdonare.
“Per cosa deve ringraziarti, questa volta?” scherzò Lizzie, avvicinandosi mentre spillavo una birra.
“Ah-ah, simpatica” commentai, con una smorfia. “Per nulla”.
“Wow! Allora ammetti che è un vero appuntamento” insistette.
Sorrisi. “Beh, vedi, c’è una storia dietro a questo invito, ma è troppo lunga da spiegare” minimizzai. “Ah! Bene! Adesso avete anche delle ‘storie lunghe’ che vi accomunano!” mi canzonò lei, per farmi arrabbiare.
Stavo per risponderle per le rime quando Joey mi arrivò alle spalle e mi immobilizzò le mani dietro alla schiena.
“Cuccia tu!” mi rimproverò, come se fossi il suo cane “Vi pestate dopo, adesso è ora di cominciare lo show”.
Annuii e, insieme alle mie due amiche, salii sul bancone, lasciando il posto dietro ai ragazzi. Joey fece partire la musica e noi tre iniziammo a ballare. Lo facevamo tutti i sabati, almeno da quando Joey aveva istituito la Serata Coyote Ugly per incrementare la clientela del locale. Sulle prime non ero stata entusiasta dell’idea. Non amavo ballare, specialmente se dovevo farlo in piedi su un bancone con un centinaio di maschi arrapati che mi guardavano. Poi, però, avevo accettato di farlo, se non altro per aiutare il mio amico, e ormai era diventata una routine: non ci avrei mai preso gusto, ma almeno mi ci ero abituata e riuscivo anche a divertirmi insieme alle mie amiche.

 

“Okay, a chi tocca, ora?” chiese Arthur, inserendo l’ennesima monetina nel vecchio juke-box del locale.
“Oh, a me, a me!” urlò Lizzie, saltellando per richiamare l’attenzione del ragazzo.
“D’accordo, la canzone di Lizzie” acconsentì lui, premendo un pulsante e un istante dopo le note di I Feel Lonely, una divertente canzonetta di un tedesco semisconosciuto che rispondeva al nome di Sasha, riempirono il locale ormai vuoto.
“I feel lonely lololonely…” cantava la mia amica, mentre asciugava i bicchieri che le passavo e tutti ridevamo vedendola così partecipe e concentrata.
“Bene. Adesso tocca a Joey” proposi, al termine della canzone.
“Sicuro” rispose Bridget, mettendo un’altra moneta nel juke-box e facendo partire la canzone dei Bon Jovi che si intitolava, appunto, Joey.
Il ragazzo sorrise, benevolo, e scoppiò a ridere quando abbandonammo tutti le nostre occupazioni per cantare in coro la strofa che faceva “Joey’s parents owned a restaurant, after closing time they’d give us almost anything we’d want…”.
Ogni sabato, al termine della serata, ci fermavamo per dare una mano a Joey a risistemare e uno dei nostri passatempi preferiti consisteva nel trovare le canzoni che più si addicevano a ognuno di noi. Quella dei Bon Jovi, per esempio, era proprio perfetta per il nostro amico, che aveva ereditato quel locale dai genitori, che l’avevano gestito per più di trent’anni prima di ritirarsi.
“E adesso è il turno della nostra Becky” concluse Joey, facendo partire l’ennesima canzone. Sorrisi, sapendo cosa mi aspettava, e iniziai a cantare con entusiasmo sulle note di Bad Reputation, specialmente la mia strofa preferita, che faceva “And I don’t really care if I’m strange, I ain’t gonna change…” e, secondo i miei amici, mi descriveva particolarmente bene.

 

“Ehi, Becky” mi richiamò Lizzie, dopo esserci salutate sulla porta del mio appartamento.
“Sì?” domandai, voltandomi.
“A che ora ti aspetto, domani?”
Strabuzzai gli occhi “Scusa?”
“Per aggiustarti i capelli, no?” spiegò lei, tranquilla.
Sorrisi. “Suonami il campanello quando torni da lavoro così mi consigli anche cosa mettermi” proposi e lei annuì, entusiasta.
“Allora, domani rivedi Craig, eh?” chiese Joey, prima di salutarmi.
Annuii “Già”.
“Non mi sembri troppo entusiasta” commentò.
“No, no” mi affrettai a precisare “lo sono. È solo che…beh, è tutto così strano”.
“Strano? Cosa c’è di strano a uscire con un ragazzo?” chiese lui, perplesso.
“Nulla, di per sé” spiegai. “Ma ci conosciamo appena”.
“Appunto!” ribatté il mio amico “Gli appuntamenti dovrebbero servire proprio a conoscersi, sai?” mi fece notare.
Sorrisi. “Sì, hai ragione. Mi sto facendo un sacco di paranoie per nulla. In fondo è solo una cena”.
“Già, solo una cena” concordò Joey.
“Tra amici” aggiunsi io.
“Tra…beh…” farfugliò, preso in contropiede.
“Buonanotte Joey” lo salutai, interrompendo le sue macchinazioni mentali, e lui scoppiò a ridere, augurandomi sogni d’oro.

 

“Allora, che ne dici?” chiesi, speranzosa.
“Sei uno schianto” commentò Lizzie, sorridendo alla mia immagine riflessa nello specchio.
Mi diedi un’ultima occhiata e constatai che non aveva tutti i torti. Il rosa mi aveva sempre donato e l’idea di abbinare quella maglia con lo scollo a barchetta a una camicia nera, in modo da poter indossare le mie solite ballerine sotto ai jeans era stata vincente. Lizzie, poi, aveva fatto un ottimo lavoro raccogliendomi i capelli dietro la nuca in una treccia, che mi scendeva sulle spalle, mescolandosi agli altri, che avevo lasciato sciolti.
Sorrisi. “Bene. Augurami buona fortuna, Liz”.
“Spacca tutto, Becky!” esclamò lei, entusiasta.
Il rumore di un clacson, in strada, ci avvertì che il mio taxi era arrivato così afferrai la borsa e il cappotto e uscii, salutando Romeo e la mia amica.
“Magari quando torno passo a raccontarti com’è andata” proposi.
“Ah…ehm…io…non so se…” farfugliò Lizzie, cambiando colore.
Mi bloccai di colpo a guardarla.
“Non sai cosa?” domandai, insospettita.
“Non so se mi trovi” spiegò lei.
“Esci?” mi informai.
Lizzie annuì, abbassando lo sguardo.
“Appuntamento?”
“Una specie”.
“Qualcuno che conosco?” tentai, sperando di farle sputare il rospo.
“Può darsi…”.
“Chi è, Liz?” insistetti, controllando l’orologio per accertarmi di non essere troppo in ritardo.
“Will” rispose lei, continuando a guardarsi i piedi.
“Cosa? William?” sbottai. “Il nostro William?”
“Quanti altri William conosci?” commentò lei, rassegnata.
“Ma…ma…” farfugliai. “Come diavolo…?”
“Niente! Mi ha chiesto di uscire e ho accettato, tutto qui” minimizzò.
Restai a guardarla a bocca spalancata. Miliardi di domande affollavano la mia testa, ma non riuscii a formularne nemmeno una perché il clacson suonò di nuovo, segno che il tassista stava iniziando a spazientirsi.
“Devo andare” sentenziai.
“Già” disse la mia amica.
“Ma non pensare di cavartela così, questa ma le spieghi” la minacciai, prima di correre di sotto.

 

Arrivai al Conrad Hotel ancora sotto shock dalla rivelazione della mia amica tanto che, quando Craig mi venne incontro sorridendo e mi salutò con un bacio sulla guancia, realizzai solo in parte quello che stava succedendo e riuscii a restare relativamente calma.
“Scusa il ritardo” dissi, non appena riacquistai l’uso della parola. “Ho avuto una discussione con una mia amica”.
“Niente di grave, spero”.
Scossi la testa. “No, assolutamente. È solo che ho scoperto che esce con un mio amico e…Dio! Non riesco ancora a crederci” spiegai.
Il ragazzo mi rivolse uno sguardo perplesso.
“Non hai capito niente, vero?” azzardai.
“Ehm…temo di no” confessò. “Ma sono convinto che il mio cervello lavorerà meglio davanti a una bella cenetta”.
Sorrisi. “Ne sono convinta” commentai. “A proposito, dove andiamo?”
“Oh, sei mai stata al Chelsea Kitchen?” chiese.
Scossi la testa.
“Beh, Sean dice che si mangia piuttosto bene e ho deciso di fidarmi”.
“D’accordo, fidiamoci di Sean!” esclamai. “Almeno, nel caso la cucina facesse schifo, potremo prendercela con qualcuno” scherzai, facendo ridere Craig, dopodiché chiamammo un taxi e andammo al locale.

“Quindi, fammi capire…la tua amica Lizzie, che fa la parrucchiera, stasera esce con il tuo amico William, che lavora in borsa, e non ti aveva detto niente” ricapitolò Craig, bevendo un ultimo sorso di vino.
Annuii “Esatto”.
“Visto? Te l’avevo detto che tutto sarebbe stato più facile, a stomaco pieno” scherzò lui.
Sorrisi. Era incredibile come quel ragazzo, che mi conosceva appena, si interessasse così alle mie faccende che, paragonate alla sua vita piena di avvenimenti e gente importante, dovevano sembrargli ben poca cosa.
“Chissà, magari sono amanti segreti da un pezzo e tu non te n’eri mai accorta” ipotizzò.
Spalancai gli occhi. “No!” sbottai e poi, dopo aversi pensato su un istante “Oppure si?”
Craig rise.
“A me è successo qualcosa di molto simile con il mio amico Michael” raccontò. “Vedi, lui è sposato con la sorella di Sean, Tanya, adesso, ma nessuno si era accorto che si frequentavano finché una mattina non l’abbiamo beccata a sgattaiolare di soppiatto fuori dalla stanza d’albergo di Michael”.
“E credi che anche per Lizzie e Will sia così?” domandai, scioccata.
“Beh, potrebbe anche essere” osservò lui, facendo spallucce. “Comunque, fossi in te, non mi ci romperei la testa. Queste tresche non durano mai troppo, verrai a saperlo presto”.
“Com’è che sei così esperto?” lo canzonai.
“Oh, beh, lo diventeresti anche tu se fossi costretta a vivere con quei curiosoni dei miei amici. Non gli si può nascondere nulla” spiegò
“Quindi sanno che sei a cena con me” azzardai.
“Non gliel’ho detto direttamente, ma credo proprio che abbiano capito” confessò.
“Non te la prendere. In fondo me l’hai detto tu, sarebbero comunque venuti a saperlo, prima o poi” cercai di consolarlo.
“Nel loro caso, meglio poi che prima” commentò.

Non mi era mai capitato di stare così bene con un ragazzo, o, meglio, l’unica volta che mi era successo era stato con Joey e lui non contava. Craig era veramente speciale come mi era sembrato all’inizio e, sebbene quella fosse solo la terza volta che ci vedevamo, incluso il giorno dell’intervista, mi sembrava di conoscerlo da una vita e sentivo di potergli parlare di tutto senza sentirmi in soggezione. Non sembrava affatto un cantante famoso, non si atteggiava a rock star e non dava sfoggio della sua ricchezza in alcun modo. Mi faceva sentire a mio agio come solo Joey sapeva fare. Non credevo che sarei mai arrivata a pensare una cosa simile, ma mi sarebbe tanto piaciuto poter avere anche solo una piccola speranza con lui. Eppure, sapevo che erano solo sciocchezze, non si sarebbe mai accorto di me, non in quel modo, almeno. Anche se il suo atteggiamento me ne faceva dimenticare, dovevo tenere a mente che era pur sempre un cantante ricco, famoso e dannatamente affascinante, seppur non di quella bellezza quasi perfetta, mentre io ero soltanto una povera orfanella dell’East End che giocava a fare l’inviata per un giornale importante e, soprattutto, che la mia vita non seguiva il copione di Notting Hill.

“Odio l’inverno, fa troppo freddo” si lamentò Craig, scendendo dal taxi di fronte all’albergo e tenendo la portiera aperta per salutarmi.
“Io invece trovo che il Natale sia il più bel periodo dell’anno” replicai, con aria sognante. “Le luci, gli addobbi, le vetrine piene di regali, le canzoncine in ogni negozio…sembra il paese dei balocchi” sentenziai, entusiasta.
“È bello che ti piaccia il Natale. Voglio dire, credevo che, non avendo i genitori, odiassi questo periodo” disse, gentilmente.
“Per molti è così, infatti, ma io credo di aver superato brillantemente la cosa” lo rassicurai.
“A proposito, che farai a Natale?” mi domandò, nascondendo le mani nelle tasche.
“Credo che lo passerò con Joey e Lizzie, come al solito. In mancanza di una famiglia, ce ne ricreiamo una tra di noi. Tu che farai, invece?”
“Oh, me ne tornerò a Inverness dalla mia famiglia. È un po’ che non li vedo”.
“Fai benissimo” commentai. “Quando partirai?”
“La vigilia di Natale, credo. Prima devo fare un po’ shopping natalizio”.
“Anch’io devo ancora comprare tutti i regali. Pensavo di andarci domani” annunciai e poi, assecondando un’idea improvvisa “Mi fai compagnia?” proposi. “Se non hai impegni, ovviamente”.
Craig sorrise e io mi ritrovai a pensare a quanto fosse dannatamente carino quando i suoi occhioni blu scintillavano in quel modo.
“Sarebbe magnifico” disse solo.
“D’accordo” dissi, non riuscendo a credere alle mie orecchie. “Allora ci vediamo domani alle tre all’ingresso di Harrod’s, okay?”

Lui annuì e ci salutammo con un bacio sulla guancia.

 

Scusa il ritardo, sono stato trattenuto da alcune fan” mi giustificai, arrivato da Harrod’s, salutando Rebecca con un bacio sulla guancia.
“Figurati. Il lavoro prima di tutto” minimizzò lei. “E poi, nemmeno io ero puntuale. Lizzie mi ha finalmente raccontato tutto” annunciò.
“Davvero? Allora?” chiesi, curioso.
“Beh, a quanto pare era da un po’ che aveva messo gli occhi su William, ma quello di ieri sera è stato il loro primo appuntamento che, a sentire lei, è andato piuttosto bene. A parte quando lui le ha rovesciato la salsa al guacamole sul vestito” riassunse, ridacchiando. “Comunque usciranno ancora il prossimo weekend e Lizzie spera seriamente in un’evoluzione”.
Sorrisi, compiaciuto e, ancora una volta, mi stupii di come quelle persone sconosciute mi interessassero così seriamente soltanto perché erano importanti per quella ragazza così speciale che mi stava vicino. All’inizio credevo si trattasse soltanto di attrazione fisica ma, più stavo con lei, più mi accorgevo che il feeling che si era creato tra di noi era davvero speciale. Con lei potevo essere me stesso, senza aver paura di farlo nel modo sbagliato, ed era una sensazione bellissima. Facevo una tremenda fatica ad ammetterlo, ma stavo iniziando a provare qualcosa di più che una semplice simpatia per Rebecca e avevo una tremenda paura che per lei non fosse lo stesso e di restare deluso. Decisi di non pensarci e godermi quel pomeriggio di shopping in sua compagnia.
“Allora, da che parte iniziamo?” chiesi, entrando nei grandi magazzini.
Rebecca ci pensò su un attimo, poi propose “Che ne dici del reparto profumeria? Devo comprare un profumo a Joey”.
Annuii. “Andata. Così mi aiuti anche a sceglierne uno per mia madre. Sono una frana, non ci azzecco mai”.

Che ne dici di questo?” domandai, facendole annusare una fragranza fruttata che mi ero spruzzato sul polso.
“Non so…non mi convince” disse lei, storcendo il naso.
“Forse è un po’ troppo dolce?” azzardai.
“Sì, forse” commentò, distratta e poi, afferrando una confezione di Hugo Boss “in ogni caso non ce lo vedo proprio su tua madre”.
“Come fai ad esserne così sicura? Voglio dire, non l’hai nemmeno mai vista” osservai.
“Sì invece” ribatté lei, sorridendo “Hai la sua foto nel portafoglio, vero?”
Restai a bocca aperta. Non credevo che l’avesse notato.
“Allora cosa proponi?”
“Fossi in te cambierei decisamente genere”.
“Cioè?”
“Se con i profumi non sei stato fortunato, perché non le compri qualcos’altro? Che ne dici di un gioiello?” propose.
Ci pensai un attimo. “Sì, potrebbe essere un’idea” decisi.
“D’accordo. Pago questo e poi andiamo insieme al reparto gioielli a scegliere un bel paio di orecchini per tua mamma. Mi è sembrato di vederglieli nella foto, giusto?”
Non risposi, ero troppo scioccato dal suo spirito di osservazione.

 

Stavamo aspettando che il commesso incartasse gli splendidi orecchini che Craig aveva comprato per sua madre e intanto davamo un’occhiata intorno, chiacchierando del più e del meno.
“A me, per esempio, piace questo” dissi, indicando un ciondolo con diamante che luccicava dietro al vetro del bancone.
“Beh, dici niente!” mi canzonò lui, scoppiando a ridere.
“Potendo scegliere, punto al meglio” mi giustificai.
“A me invece piace quel braccialetto” sentenziò, tranquillo.
“Quale?” domandai, non riuscendo a capire a cosa si riferisse.
“Quello semplice che sembra una catena” mi spiegò, indicandomelo.
“Per tanto così prendi la catena della mia bicicletta! È tua, se vuoi” scherzai, guadagnandomi una linguaccia.
Era incredibile come io e Craig andassimo d’accordo. Ovviamente avevamo gusti e opinioni differenti, ma sapevamo accettarci e anche prenderci affettuosamente in giro.
“Propongo una pausa caffè” disse, mettendomi un braccio intorno alle spalle e guidandomi verso il bar. Io non risposi, mi limitai ad annuire, sorridendo, pensando che, se solo Lizzie e Bridget mi avessero vista, avrebbero sicuramente detto che provavo una certa simpatia per Craig. Il che, ad essere sinceri, era vero.

 

Ehi, guarda! Quello è Arthur!” esclamò Rebecca, raggiante, indicando un cartellone che pubblicizzava uno shampoo per capelli.
“Chi?” chiesi, perplesso, fissando il ragazzo moro che mi stava indicando.
“Il mio amico attore” spiegò, bevendo un sorso di caffè.
Restai a fissarla, sbalordito.
“Ma quanti amici hai, tu?” domandai.
“Solo quelli di cui ti ho parlato” minimizzò lei, facendo spallucce.
“Vediamo un po’ se mi ricordo bene…” proposi, appoggiando la tazzina sul tavolino di uno dei bar che si trovavano all’interno dei grandi magazzini. “C’è Lizzie, la parrucchiera, William, che lavora in borsa, Arthur, attore, e la sua ragazza Bridget…e poi c’è Joey, che ha un pub” elencai, contandoli sulle dita.
Rebecca annuì, soddisfatta. “Sei stato bravissimo. Ora tocca a me” iniziò. “C’è il tuo vecchio amico Simon, poi Sean, che sta con quell’attrice, Brenda mi pare. Poi il tastierista, Paul, e Micheal, marito della sorella di Sean”.
“Tanya, esatto” conclusi, compiaciuto.
Rebecca sorrise, soddisfatta e restò un istante persa nei suoi pensieri mentre io mi chiedevo invano cosa diavolo le stesse passando per la testa poi, improvvisamente, se ne saltò fuori con “A proposito, sai che mi sono comprata tutti i vostri CD?”
“Davvero?” chiesi, scioccato, e lei annuì.
“Sì, volevo vedere che tipo di musica era. Sai, senza limitarmi ai pezzi trasmessi in radio” spiegò.
“E…?” insistetti, curioso. Speravo tanto che la nostra musica le piacesse, non mi era mai importato così tanto di essere apprezzato per il mio lavoro.
“Beh, non ve la cavate niente male, sai?” commentò, sorridendo.
Tirai un sospiro di sollievo. “Meno male! Credevo ti avessero fatto schifo” confessai.
“No,” mi rassicurò lei, ridendo “affatto”.
“Bene. Vorrà dire che ti farò avere un biglietto per venirci a vedere in concerto, allora” proposi. “Con molto piacere!” acconsentì lei, felice.

 

Tornai a casa molto soddisfatta del pomeriggio passato con Craig e, mentre mettevo i pacchetti con i regali dei miei amici sotto all’albero di Natale, mi ritrovai a fischiettare, sotto lo sguardo divertito di Romeo, che non era abituato a vedermi fare certe cose. Arrossii e, sorridendo, esclamai “Possibile che passare qualche ora con lui mi renda così felice?”
Capivo che era assurdo, ma non potevo farci niente. Craig mi piaceva e mi piaceva ancora di più stare con lui. Era divertente, ironico e premuroso e non mi faceva mai sentire a disagio. Raccolsi una piccola scatolina rettangolare impacchettata con una carta rossa e sorrisi, rigirandomelo tra le mani. Appena salutato Craig, all’uscita di Harrod’s, mi ero precipitata dentro di nuovo per andare a comprargli quel braccialetto che gli piaceva e per cui l’avevo tanto preso in giro. Avevo già in mente di fargli un regalo, se non altro per ringraziarlo di tutte le gentilezze che usava nei miei confronti, e quello mi era sembrata la scelta più giusta. Avrei lasciato passare qualche giorno e poi l’avrei chiamato chiedendogli di vederci, così avrei potuto dargli il regalo. Ero così eccitata! Mi sentivo una quindicenne alla prima cotta cosa, peraltro, assurda perché io non mi ero affatto presa una cotta per Craig. Mi piaceva, vero, ma solo perché stavo così bene con lui. Sì, se, in un mondo ipotetico, mi avesse chiesto di sposarlo, probabilmente non ci avrei pensato due volte ad accettare, ma era una situazione talmente assurda da risultare quasi ridicola, quindi inutile perdere tempo a pensarci. Meglio tornare con i piedi per terra, alla mia vita di sempre. Rimisi a posto il pacchetto e andai in cucina a preparare la cena, con Romeo che mi trotterellava allegramente dietro.

Oggi vi lascio un capitolo un po' fluffoso, dove Becky e Craig iniziano a fare conoscenza, e ne approfitto per augurare a tutti buon weekend! Se non sapete cosa fare e vi va di lasciare un commento, mi fa piacere.

  
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: Clementine84