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Autore: Nephertiti    17/09/2021    0 recensioni
*SEQUEL DI GIRL OF LIFE*
Molte cose sono cambiate dalla prima volta in cui Mitsuko ha messo piede in villa Sakamaki.
E adesso può affermare di essere parte della famiglia.
Ma con il suo diciottesimo compleanno alle porte, il destino sembra avere in serbo altri piani per lei.
***
Estratto da un capitolo:
“All’improvviso, a qualche chilometro di distanza, notai una figura in mezzo alla strada e, man mano che ci avvicinavamo, realizzai si trattasse di un uomo.
Mi resi conto che non accennava a muoversi, mentre il maggiordomo, al mio fianco, sembrava ignorare la sua presenza.
Urlai a George di frenare e questo, colto di sorpresa, affondò il piede nel freno: la limousine ruotò su sé stessa, facendomi sbattere contro il finestrino.
Un’auto dietro di noi ci tamponò.
Quando sollevai lo sguardo, ancora dolorante per il colpo, dell’uomo non v’era traccia.
Tuttavia, ciò che mi era rimasto impresso, prima che quella sagoma svanisse nel nulla, erano stati i suoi lunghi capelli bianchi.
***
Per poter leggere questa storia avrete bisogno di conoscere “Girl of Light” e “Girl of Life”, quindi correte a recuperare!
La fan fiction prende alcuni spunti dal videogioco, ma la trama sarà ben diversa.
Genere: Angst, Fantasy, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Ruki Mukami, Shuu Sakamaki, Sorpresa, Subaru Sakamaki
Note: Lemon, Lime, What if? | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate, Triangolo
Capitoli:
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Capitolo 34 - … Or mostly everything -

 

 

 

 

 

 

Reiji si assicurò che i propri fratellastri stessero bene e che Mitsuko fosse al sicuro coi Mukami.
Sebbene avesse constato lui stesso che la ragazza aveva dei poteri straordinari e seppe che, da quel momento in poi, non avrebbe corso più alcun pericolo.
Per cui, se già prima aveva l’audacia di badare a sé stessa, sfidando creature ben più potenti di lei, adesso non correva alcun rischio.
Tornò quindi a dedicarsi ad Edith.
L’aveva ringraziata, così come aveva ringraziato gli altri Predatori corsi in loro soccorso, tant’è che questi erano già spariti nel nulla, ma lei era ancora lì, come se attendesse qualcosa.
E Reiji sapeva benissimo cosa stesse aspettando, ma lui non poteva permettersi quel lusso, l’aveva vista troppo spesso ultimamente e rimanere da solo con lei gli avrebbe fatto perdere il controllo, ne era sicuro.
Gli si avvicinò con passo felpato, era sempre stata aggraziata nei movimenti, probabilmente tempo prima era stata una ballerina.
“Non mi divertivo tanto da anni.”, annunciò lei, mentre spostava il peso del corpo da un piede all’altro.
Aveva un lungo taglio che le correva su per il braccio destro e qualche livido sparpagliato sul corpo.
“Dovresti medicare quelle ferite.”
Reiji parlava seriamente, ma Edith scoppiò a ridere.
“Sul serio? Speravo in qualcosa di più dopo aver combattuto al tuo fianco.”
La vampira dai capelli scuri scosse il capo e ruotò il busto, pronta ad andarsene, ma prima di farlo parlò ancora.
“Non devi dimostrare più niente a nessuno –, dichiarò, lanciando un’occhiata alla testa mozzata di Karl Heinz che giaceva a qualche metro di distanza. – Puoi essere te stesso senza aver paura di deludere le aspettative.”
Quella frase lasciò Reiji spiazzato, sgranò gli occhi come se gli fosse stata rivelata chissà quale recondita verità.
Non doveva più essere all’altezza di alcuna aspettativa.
L’unica persona per cui si era impegnato tanto negli anni era stata sua madre, voleva compiacerla in ogni modo, ma Shu gli aveva assicurato che lei sarebbe stata fiera di lui.
Mentre Karl Heinz era morto e sapeva già da un pezzo di non dovergli nulla.
“Dovresti proprio farti medicare le ferite.”, esclamò quindi il vampiro occhialuto.
Edith roteò gli occhi al cielo, pronta a smaterializzarsi, ma quello che aggiunse Reiji la bloccò sul posto.
“Potrei farlo io. Nel mio studio.”
Un sorriso malizioso le curvò le labbra.
“Se proprio insisti…”, sussurrò improvvisamente al suo orecchio.
I due si smaterializzarono contemporaneamente.

 

***

 

Quando entrai nel salone di villa Mukami, non seppi se scoppiare a ridere o mostrarmi indignata nel trovare mio padre buttato su un divano, in una posizione scomoda ed evidentemente non scelta da lui.

Azusa sedeva sul sofà di fronte, parlava con una delle sue ferite sul braccio e quando ci vide entrare ci accolse con un piccolo sorriso.
“Ben tornati!”, esclamò con voce flebile, ma era sinceramente entusiasta di rivederci, solo che non riusciva ad esternarlo più di così.
Mi accertai che stesse bene, prima di rivolgere le mie attenzioni ad uno svenuto Takeshi.
Realizzai che Ruki guardava altrove con fare evasivo, ero sicura che ci fosse il suo zampino se mio padre era ridotto così, ma poco importava, l’importante era saperlo al sicuro.
Lo scossi per le spalle un paio di volte prima che iniziasse a riprendere conoscenza.
Mi fissò stralunato per un momento, poi spalancò gli occhi e balzò a sedere, lo sforzo improvviso gli provocò una smorfia.
Gli domandai come stesse ma non mi diede retta, si mise invece a controllarmi da capo a piedi, per assicurarsi che non avessi alcuna ferita.
“Sto bene.”, affermai, facendo una piroetta su me stessa per convincerlo.
In realtà, avevo le gambe indolenzite e qualche osso rotto che (in qualche modo) stava guarendo più velocemente del normale.“E i Cacciatori?”
“Non ci causeranno più alcun problema.”
Takeshi mi fissò scettico, così gli parlai del patto tra me e il cardinale Williams.
“Non avresti dovuto dargli quel libro.”
Non mi aspettavo quella risposta, non credevo fosse tanto importante, ma non avevo avuto scelta e se avesse significato tenere buono il cardinale, l’avrei rifatto di certo.
“Era così importante?”
“Non è del Cardinale che mi preoccupo, ma di altri Cacciatori che potrebbero impossessarsene, lo terrò d’occhio.”
Takeshi mi abbracciò all’improvviso, cogliendomi alla sprovvista, ma mi affrettai a ricambiare.
“Temevo di averti persa…”, annunciò, stringendomi ancora più forte.
“Sono qui, invece, e non mi perderai, te lo prometto.”
Lo sentii tremare mentre pronunciavo quelle parole, sapevo bene che quello fosse il suo timore più grande, ma Carla non avrebbe mai potuto sostituirlo.
Takeshi mi aveva cresciuta, dandomi amore e affetto, insegnandomi i valori della vita.
Quel pensiero mi rattristò, sciolsi l’abbraccio, cercando di non incrociare lo sguardo di mio padre.
“Ho… Ho ucciso Karl Heinz.”
Sentivo il suo sguardo addosso, ma non osavo ricambiare.
Takeshi mi prese una mano.
“Ha fatto del male alla nostra famiglia…”
“Gli ho staccato la testa.”
La presa di Takeshi si rafforzò.
“So che sei stata costretta.”
Karl Heinz mi aveva manipolata fin da quando ero bambina, quindi sì, non avevo mai avuto scelta.
“Non era una persona, era un mostro.”
“Non avrei voluto farlo.”
“Lo so.”
Sollevai lo sguardo, col timore che mio padre potesse rivolgermi un’occhiata delusa, o spaventata perfino, sapendo che avevo sviluppato dei poteri capaci di togliere la vita a qualcuno.
Invece Takeshi aveva un’espressione apprensiva in volto, non voleva giudicarmi, né rimproverarmi.
Mi sentii più tranquilla.
“Vorreste… restare a pranzo?”
Ruki era comparso dal nulla, quella proposta non avrebbe dovuto sorprendermi, io ero solita trascorrere le mie giornate a mangiare a casa loro, ma credevo che Ruki mi odiasse, Oltretutto, aveva esteso l’invito a mio padre.
Guardai l’esterno, il sole splendeva alto nel cielo, avevo perso la cognizione del tempo dopo la battaglia, e dimenticato di essere affamata.
Ma ricordando quel dettaglio, il mio stomaco brontolò rumorosamente.
Tuttavia non avevo intenzione di trattenermi oltre dai Mukami.
“Se mio padre se la sente, preferirei pranzare in un posto nel parco Ueno(?)”
Volevo allontanarmi per un po’ dai vampiri e trascorrere del tempo con Takeshi.
Lui accettò con piacere.
Saremmo passati dalla nostra vecchia casa, dove Takeshi ancora abitava, lui avrebbe cambiato la tuta da Cacciatore con un abbigliamento più sobrio e io ne avrei approfittato per prendere in prestito alcuni dei miei vecchi indumenti, quelli che indossavano erano sporchi di fango e sangue.
Mi congedai con i Mukami, ringraziandoli ancora una volta per essermi stati accanto.
Poi la limousine bianca accompagnò me e Takeshi a casa.

 

***

 

Yuma osservò Mitsuko lasciare la villa assieme al suo padre adottivo, quando la limousine sfrecciò via, scostò la tendina e quasi si sentii sollevato.
Era tutto finito, non c’era più nessun uomo con cui sdebitarsi, lui e i suoi fratelli erano finalmente liberi.

Frugò nelle tasche, estraendo una zolletta di zucchero. Dopo che la Dama gliele aveva rubate, si era affrettato a riempirsi di nuovo le tasche con delle sostitute, e si era detto che la prossima volta le avrebbe fatto pagare un tale affronto.
La tregua durante la battaglia era dovuta solo alle circostanze, ma quel dispetto lo aveva ferito nell’orgoglio, e durante il loro prossimo incontro l’avrebbe punita come si deve.

Mentre la zolletta si scioglieva sulla sua lingua, ripensò al maggiore dei Sakamaki.
Durante la lotta aveva avuto un piccolo flash, un’immagine sfocata nella sua testa, aveva visto una versione bambina di Shu e di se stesso, mentre gli regalava un cucciolo di cane.

Ma non riusciva a capire se si trattasse di un ricordo o solo la sua memoria che gli giocava brutti scherzi , mescolando la realtà con la fantasia.
Ma perché avrebbe dovuto immaginare di aver regalato un cucciolo a Shu?
Sapeva bene che alcune parti della sua infanzia, quelle risalenti al periodo prima dell’orfanotrofio, erano inspiegabilmente scomparse.
Aveva attribuito la colpa ai traumi che aveva collezionato in quell’edificio.
Tuttavia Ruki aveva confessato di aver fatto delle ricerche sul suo conto e aveva detto che il suo villaggio natio era stato distrutto da un incendio.

Yuma schioccò la lingua in dissenso, quella storia gli puzzava e non solo per il ricordo delle fiamme che avevano incenerito la sua vecchia casa.

 Poi uno spostamento impercettibile alle sue spalle, se non fosse stato impegnato a masticare la zolletta e a ripensare con tanta intensità al suo passato, la Dama non lo avrebbe colto di sorpresa.
Quando infine captò la presenza alle sue spalle, la Dama lo aveva già inchiodato al muro col suo corpo.

Il petto di Yuma era premuto contro la parete, mentre lei gli puntava un coltello affilato alla gola.
“E adesso che diavolo vuoi?”, ruggì Yuma, valutando le possibili vie di fuga.
“Stavo pensando… abbiamo combattuto bene durante la battaglia, bel fusto.”
Yuma digrignò i denti al suono di quell’appellativo.
“Potremmo essere una buona squadra.”
Il vampiro grugnì, frustrato per non essersi ancora riuscito a liberare.

Non riusciva a capire perché quella bionda si divertisse tanto a provocarlo, poi nella sua testa si accese una lampadina, d’altronde, se si era spinta nella loro villa per offrirgli un posto come Predatore, doveva pur esserci un motivo.
E lo capiva solo in quel momento.
Quella consapevolezza gli fece ritrovare sicurezza, con un piccolo ghigno afferrò la mano di lei che impugnava il coltello, la Dama provò a divincolarsi, ma Yuma possedeva una forza notevole, nonostante fosse un vampiro solo per metà.
La Predatrice non avrebbe dovuto sottovalutare quel dettaglio.
Le storse il polso, facendola imprecare sottovoce e ribaltò la situazione, spedendo lei spalle al muro e la bloccò lì col suo corpo.
“La proposta non m’interessa. Ma puoi venire a trovarmi quando vuoi, bambola.”
La Dama si trattenne dall’insultarlo, sentendo quell’appellativo, e gli riservò un’occhiata glaciale.
“Cosa ti fa pensare che voglia rivederti?”
“Questo.”
Yuma sorrise sprezzante, prima di rubarle un bacio.
Nonostante la Dama avesse provato a sottrarsi e, capendo di essere in trappola, perfino a staccargli il labbro inferiore coi canini, alla fine si abbandonò a quel bacio.
Quando Yuma si staccò, lasciandola confusa e, sotto sotto, eccitata, lei avrebbe voluto proseguire il discorso.
Ma il vampiro non gliene diede modo, la liberò dalla sua stretta e fece qualche passo indietro.
“Cerca di non distruggere nulla, o Ruki se la prenderà con me.”
E così dicendo la lasciò da sola nella stanza.
La Dama fissò irata il punto in cui Yuma era svanito nel nulla, ma poi la sua rabbia si dissolse con un piccolo sorriso che curvò le sue labbra.
“A presto, bel fusto.”

 

   
 
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