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Autore: Clementine84    18/09/2021    0 recensioni
Due amiche e una crociera nel Mediterraneo con una band famosa. Una delle due, fan fedele sin dagli inizi, si fa accompagnare dall’altra, che non ha mai capito cosa ci trovino tutte nel biondino del gruppo, considerato un rubacuori in grado di far cadere qualunque donna ai suoi piedi. Un incontro casuale basterà a lui per decidere che vale la pena farglielo scoprire, costi quel che costi.
Genere: Fluff, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nick Carter, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Questa storia necessita di una premessa piuttosto lunga. Per iniziare, non sono una fan dei Backstreet Boys. Lo sono stata, per un breve periodo, da adolescente, ma mai in modo serio, quindi mi affaccio a questa fandom da neofita. Perché ho deciso di scrivere su di loro? Perché ultimamente ho ripreso ad ascoltarli, recuperando più di 20 anni di musica e notizie che mi ero persa, complice un’intervista ad A.J. vista per caso su YouTube per questioni di lavoro (e lo so che adesso vi starete chiedendo che diavolo di lavoro faccio, per dover guardare interviste ai cantanti su internet, ma non posso dire di più senza svelare particolari della mia vita privata, cosa che non voglio fare. Vi basti sapere che mi stavo interessando al tema delle dipendenze e, se non l’avete ancora vista, vi consiglio l’intervista fattagli da Mayim Bialik: fa venire la pelle d’oca). Ho scoperto un sacco di cose interessanti che non sapevo, e altre che, curiosamente, ho in comune con qualcuno di loro, tipo che A.J. adora gli Aerosmith e Friends, e anch’io, o che io e Nick tifiamo per la stessa squadra di football – Go Bucs! Ho anche scoperto le Backstreet Boys cruises ed è stato quello che mi ha fatto scattare l’idea per la storia, dato che le considero una trovata di marketing a dir poco geniale.

Sono di mio una perfezionista, quindi mi sono documentata a lungo, prima di imbarcarmi in questa impresa. Nonostante questo, più di vent’anni di informazioni sono difficili da immagazzinare in poco più di un mese, quindi chiedo un favore a voi vere fan: scrivetemi. Commentate. Ditemi cosa funziona e cosa, invece, non torna. Fatemi sapere se ho centrato le personalità dei ragazzi, almeno un po’. Sono sinceramente interessata alle vostre opinioni e alle informazioni che vorrete darmi.

La storia è praticamente già scritta, devo solo revisionare l’ultimo capitolo (a meno che non decida di aggiungerne altri, magari dietro vostro suggerimento) ma, se avete delle richieste particolari o ritenete che siano necessarie alcune modifiche imprescindibili, fatemelo sapere. Sono a disposizione. E, se questo primo tentativo in un nuovo universo non facesse troppo schifo, potrei tentarne un secondo. Ho già una mezza idea. Ma dipende da quanti commenti riceverò. Grazie della collaborazione e buona lettura.

 

PROLOGO – Backstreet’s Back

 

Stavo entrando in casa con le buste della spesa, quando il mio cellulare iniziò a squillare. Maledicendo il tempismo di chiunque avesse deciso di disturbarmi proprio in quel momento, mi richiusi la porta alle spalle con un calcio e feci quei pochi passi che mi dividevano dal bancone della cucina, dove posai le borse. Poi, senza nemmeno togliermi il cappotto, infilai una mano in tasca e presi il cellulare, che stava ancora squillando. Guardai il display, su cui vidi lampeggiare il nome della mia migliore amica, Jessica. Sorrisi. Era proprio da lei chiamare nei momenti meno opportuni. In ormai ventun anni di amicizia – ci eravamo conosciute alle scuole medie – potevo contare centinaia di volte in cui era successo qualcosa di simile. Sembrava un suo tratto distintivo.

“Ciao, Je” dissi, accettando la chiamata.

Non si preoccupò nemmeno di rispondere al saluto. Con voce piuttosto alta, disse soltanto “Prendi ferie dal 9 al 15 maggio”.

Posai le chiavi di casa, che ancora stringevo in mano, sul mobiletto dell’ingresso e, con gesti meccanici, dettati dall’abitudine, ritirai la borsa nel ripostiglio. Nel frattempo, mi sedetti sul divano e tolsi le scarpe.

“Perché?” chiesi, accorgendomi d’un tratto che il tono di voce elevato della mia amica tradiva una notevole eccitazione.

“Andiamo in crociera” mi rispose, sempre più su di giri.

Mi lasciai sfuggire una risata. “In crociera? Io e te?” domandai, incredula.

Non era la prima volta che io e Jessica andavamo in vacanza insieme. Lo avevamo fatto spesso, da ragazze, poi avevamo smesso per parecchio tempo, gli anni in cui io ero stata fidanzata con Luca, durante i quali, ovviamente, preferivo trascorrere le vacanze con lui. Quando, due anni prima, la nostra storia era finita, però, avevamo ripreso quell’abitudine che, dovevo ammettere, mi aveva permesso di superare uno dei periodi più brutti della mia vita.

Mai, però, eravamo andate in crociera. Anzi, eravamo solite prendere in giro chi prediligeva quel tipo di vacanza, che consideravamo prerogativa di pensionati ricchi e annoiati. Quando, anni prima, io e Luca avevamo fatto una mini crociera in Norvegia, per vedere i fiordi, Jessica mi aveva presa in giro per mesi. La sua proposta, quindi, mi lasciava alquanto spiazzata.

Capendo la mia perplessità, lei si affrettò a spiegare. “I Backstreet Boys fanno una crociera sul Mediterraneo. Ho preso i biglietti”.

Senza che potessi fare nulla per controllarlo, mi lasciai scappare un gemito e, istintivamente, alzai gli occhi al cielo. I Backstreet Boys. Ecco spiegato l’arcano. Jessica era fan del gruppo da che la conoscevo. Alle scuole medie, mentre io mi struggevo d’amore per il bel Leo di Caprio che moriva da eroe romantico in Titanic, lei passava pomeriggi interi a guardare a ripetizione il video di As Long As You Love Me, provando a replicare il balletto con le sedie del terrazzo. Dato che eravamo amiche e, quindi, come accade a quell’età, condividevamo tutto, lei si era sorbita le dieci visioni di Titanic al cinema con me, e io ero stata resa partecipe del suo amore per il quintetto americano, accettando di imparare le canzoni, guardare i video musicali insieme a lei – e sopportarla mentre fantasticava su cosa avrebbe fatto se avesse potuto incontrare Nick – e l’avevo addirittura aiutata a scrivere una lettera al suo biondino preferito, dato che me la cavavo decisamente meglio di lei con l’inglese. Qualche anno dopo, quando i cinque erano venuti a Milano in concerto, avevo accettato di accompagnarla e le avevo tenuto la mano per tutto il tempo, mentre lei urlava come una disperata ogni volta che, anche solo nella sua testa, il bel Nick incrociava il suo sguardo. Se dovevo essere onesta, non è che i Backstreet Boys non mi piacessero. Le canzoni erano orecchiabili e alcune delle loro ballate più romantiche facevano battere il mio cuore di ragazzina sognatrice. Avevano delle belle voci, specialmente Brian, il biondino ricciolino con gli occhi azzurri che avevo deciso, dietro pressioni della mia amica, essere il mio preferito. In realtà, quello che mi piaceva veramente di lui era la voce e avevo detto che era carino solo per far contenta la mia amica. Non che fosse brutto, per carità, ma non ci trovavo niente di speciale. Non trovavo niente di speciale in nessuno di loro, a dire il vero, e il mio interesse era puramente musicale. Nonostante questo, sopportavo stoicamente la mia amica che mi elencava tutte le caratteristiche che amava di Nick Carter.

Crescendo, i miei interessi erano decisamente cambiati. Mi ero avvicinata ad altra musica e i miei gusti erano diventati molto più rock, dimenticando completamente i Backstreet Boys. Jessica, invece, non li aveva mai abbandonati e, per quanto avesse smesso di sospirare sulle foto di Nick, continuava a seguirne la carriera musicale, aggiornandomi, di tanto in tanto, se pensava che qualche nuova canzone potesse essere di mio gradimento. Non mi stupiva, quindi, la decisione di cogliere l’occasione e partecipare a quella crociera, di cui non capivo ancora bene il senso. Ricordavo, vagamente, che la mia amica mi avesse parlato di una serie di crociere a tema che il quintetto aveva organizzato negli Stati Uniti e di come lei avrebbe tanto voluto partecipare, ma erano conversazioni sbiadite e conservate nei meandri più nascosti della mia mente, certa che non mi sarebbe mai servito riesumarle. Invece mi sbagliavo. Jessica voleva andare in crociera con il suo gruppo preferito e voleva che io andassi con lei.

“No”. La risposta arrivò secca, quasi prima che potessi rendermi conto di aver parlato, e non ammetteva repliche. Ma la mia amica aveva idee ben diverse dalle mie.

“Sì, invece” ribatté. “Non posso perdere un’occasione del genere”.

“Non ti sto dicendo di perderla. Solo non voglio essere coinvolta”.

“Ti prego” piagnucolò lei, decidendo di passare alle suppliche. “Se non trovo qualcuno che venga con me, mi toccherà dividere la cabina con una sconosciuta e sai quanto possano essere psicopatiche le fan dei BSB”.

“Sì, ne ho una vaga idea” commentai, ridacchiando.

“Scema” mi rimproverò Jessica. “Io sono una di quelle sane”.

“Ho paura a conoscere le altre, allora” confessai, ironica, ma la mia amica prese quella mia affermazione come una conferma.

“Quindi verrai?”

Sospirai. Non volevo andare. Non volevo sprecare una preziosa settimana di ferie per chiudermi su una nave piena di pazze scatenate che sognavano di toccare cinque uomini – ormai non erano più ragazzi da un pezzo – che continuavano a divertirsi a risvegliare i loro ormoni sculettando e ammiccando da un palco. Ma non avevo nemmeno voglia di discutere con Jessica. Conoscevo abbastanza bene la mia amica da sapere quanto poteva essere testarda, specialmente se c’era di mezzo il suo tanto amato gruppo musicale. Avrebbe vinto lei, ne ero certa. Avremmo discusso per ore, forse per giorni, ma, alla fine, mi avrebbe presa per sfinimento e convinta a salire su quella dannata nave. Tanto valeva rassegnarmi, accontentarla subito e farla finita, così avrei potuto finalmente togliermi il cappotto, che mi stava facendo sudare, e magari lenire il mio dolore con un bicchiere del Gewurtztraminer che avevo comprato al supermercato, poco prima. Oltre alla stanchezza e alla consapevolezza che ne sarei uscita comunque sconfitta, c’era anche un altro fattore che giocava a favore della mia amica. Il senso di colpa. Quella caratteristica così peculiare che accompagnava ogni mia decisione da tutta la vita e per la quale Jessica mi prendeva spesso in giro, chiamandomi martire, in quel momento la stava regalando una facile vittoria. Non potevo negare che la mia amica fosse stata un’ancora di salvezza, per me, dopo la rottura con Luca. Uscire da una storia lunga dieci anni di per sé non era facile, in più il motivo della rottura aveva causato ferite profonde dentro di me, che si erano cicatrizzate, col tempo, ma avevano lasciato segni indelebili, che mi avevano impedito di instaurare un altro rapporto serio con un uomo. Avevo passato due anni a scappare da qualsiasi possibilità di relazione, ancora troppo ferita per riprovarci e, soprattutto, decisa a non lasciare avvicinare nessuno a me perché l’amara verità era che mi sentivo in colpa, di nuovo e tanto per cambiare. Nel profondo del mio cuore sapevo che la rottura con Luca era stata tutta colpa mia e non volevo far soffrire qualcun altro allo stesso modo. Jessica, l’unica che avevo reso partecipe delle mie paranoie, mi diceva che ero pazza a pensarla così, che sì, forse la rottura era stata colpa mia, ma, in quella storia, la vera vittima ero io e, se avevo fatto soffrire Luca, era stato perché stavo soffrendo io, in primis. Aveva ragione, sapevo che era così. Ciononostante, non riuscivo a fare a meno di sentirmi in colpa, perché faceva parte del mio carattere. Ero consapevole che, se mi fossi ostinata a tener testa alla mia amica e l’avessi spuntata, mi sarei sentita in colpa a vita per non aver accontentato questa sua innocua richiesta, quando lei era stata così importante durante il mio processo di guarigione. Per tutta questa serie di motivi, mi ritrovai a sorridere e a rispondere “Mandami i dettagli, così so di che morte devo morire”.

Quella sera, dopo aver ordinato una pizza, in attesa che mi fosse consegnata, mi sedetti sul divano con il tanto agognato bicchiere di vino e il portatile sulle ginocchia. Per prima cosa, andai su Amazon e ordinai tutti i CD dei Backstreet Boys che mi ero persa, dal 1999 ad oggi – cinque più un Greatest Hits, diamine, ma dormivano ogni tanto? - poi mi spostai su YouTube e iniziai a guardare video e interviste più recenti, fino a ritrovarmi, a notte inoltrata, a guardare un documentario sulla vita di quei cinque ragazzi, di cui ricordavo nomi e canzoni ma per i quali non avevo mai nutrito un grande interesse. Scoprii cose che non avrei mai immaginato, tra le quali, quella che più mi sconvolse, fu sapere che il mio Brian, quel ragazzo dalla voce angelica che mi aveva aiutato a sopportare i deliri amorosi della mia amica da adolescente, aveva sviluppato un problema neurologico che aveva danneggiato le sue corde vocali. Ecco spiegato perché non mi era sembrato lo stesso, nei video che avevo visto online. Mi ritrovai a piangere, come se avessi visto un film strappalacrime, perché mi dispiaceva enormemente per lui. Allo stesso modo, quando vidi Nick, il vecchio amore della mia amica, scoppiare a piangere come un bambino davanti alla sua insegnante delle elementari, mi venne un’improvvisa voglia di abbracciarlo. Poi scossi la testa, come a scacciare quell’idea. Erano persone che non conoscevo e mai avrei conosciuto, dovevo piantarla di essere così sentimentale. Anzi, dovevo piantarla di leggere e guardare cose su di loro. Cosa diavolo mi era saltato in mente? Però, in fondo, se dovevo restare su una nave con loro per cinque giorni, tanto valeva essere preparata, no?

 

Now throw your hands up in the air
And wave 'em around like you just don't care
If you wanna party let me hear you yell
'Cause we've got it goin' on again

(Everybody – Backstreet Boys)

  
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