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Autore: Lamy_    20/09/2021    0 recensioni
Artemis Dumont ha scoperto di avere un potere unico ed eccezionale: è in grado di manipolare le emozioni degli altri con un solo tocco. È una abilità che non riesce ancora a gestire poiché un simile potere può essere un pericolo mortale.
Intanto a New Orleans vengono ritrovati i corpi senza vita di streghe e sciamani appartenenti alle nove congreghe. Ciò scatena rivolte interne che riportano in città Brenda Cooper, la zia paterna di Artemis.
Klaus Mikaelson è preoccupato dato che la sua famiglia conta tre streghe: sua figlia, sua sorella e la ragazza di cui è innamorato.
Una vendetta vecchia di secoli si abbatte sul Quartiere: un cacciatore di streghe è risorto ed è pronto a compiere una strage.
Artemis e gli Originali riusciranno a fermare la nuova minaccia? E cosa perderanno nel tentativo di salvare la città?
Genere: Avventura, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Klaus, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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5. VIAGGIO NEL TEMPO

“L’aspetto delle cose varia secondo le emozioni; e così noi vediamo magia e bellezza in loro, ma, in realtà, magia e bellezza sono in noi.”
(Khalil Gibran)
 
Artemis spalancò gli occhi annaspando in cerca di aria. I polmoni le bruciavano come se avesse ingerito fuoco. Si massaggiò la nuca dolorante, doveva aver preso una brutta botta alla testa. Si guardò in giro con aria spaesata. Intorno a lei c’erano solo alberi, foglie ingiallite e il mormorio dell’acqua in lontananza.
“Ma che diamine…”
L’ultima cosa che ricordava era la biblioteca della Salvatore School. Stava scrivendo gli ultimi appunti quando aveva avvertito la presenza di qualcuno alle sue spalle. Poi il buio totale.
Si tastò le tasche della salopette ed estrasse il cellulare. Non c’erano tacche di segnale e non poteva comunicare con nessuno. Si mise in piedi vacillando e chiuse gli occhi per trattenere i conati di vomito.
“Alza le mani! Stai ferma!” gridò una voce.
Artemis sollevò le braccia e si voltò lentamente, sperava che fosse Alaric o qualche altro studente della scuola privata.
“Non fare gesti bruschi!” disse ancora la voce.
Le speranze di Artemis si frantumarono quando vide un ragazzo che le puntava una lancia alla gola. Era Klaus. O meglio, era Klaus con i capelli lunghi e abiti stracciati.
“Klaus! Che cosa è successo? Dove ci troviamo? E perché sei vestito così?”
“Come sai il mio nome? E perché tu sei vestita così?”
Klaus – quel Klaus – era spaventato. Solo adesso Artemis si rendeva conto che non aveva la barba, che le ciocche bionde ricadevano su una tunica ornata da un gilet marrone. Indossava calzoni neri infilati in un paio di stivali strani tenuti insieme da un laccio.
Un pensiero orribile le attraversò la mente.
“In che secolo ci troviamo?”
“Che significa? Sei un demone! Sì, sei un demone!” strillò il ragazzo.
Artemis indietreggiò quando la punta della lancia le sfiorò la gola, graffiandole la pelle.
“Sta calmo. Non sono un demone e non voglio farti del male.”
“Allora perché sei qui?”
“Io non lo so. Credo di essermi persa.”
Klaus abbassò l’arma e annuì, di colpo la sua espressione si era ammorbidita.
“Perdonami, credevo fossi un lupo mannaro. C’è un branco nei dintorni che si diverte a spaventare il nostro villaggio.”
“Questo vostro villaggio esattamente dove si trova?” chiese Artemis.
“A Vinland. Tu da dove vieni?”
Artemis fece mente locale, conosceva quel nome perché lo aveva letto in qualche libro di storia. Si sforzò e pochi istanti dopo giunse alla soluzione: Vinland era il nome con cui i vichinghi chiamavano l’America Settentrionale. La Colonia della Virginia era stata fondata a nord, pertanto quella terra un giorno sarebbe diventata Mystic Falls.
“Mi trovo nell’XI secolo. Come è possibile? Un minuto fa ero in biblioteca!”
Klaus intanto fissava la ragazza come fosse un animale mitologico. Indossava bizzarri abiti e aveva una porzione di capelli color verde acqua; che fosse una ninfa dei boschi?
“Che cos’è una biblioteca? E’ il nome del tuo villaggio?”
Artemis fece un respiro profondo e placò i battiti del cuore, oppure le sarebbe schizzato fuori dal petto. Si trovava nel Medioevo insieme ad un Klaus Mikaelson ancora umano.
Un qualche tipo di incantesimo l’aveva spedita indietro nel tempo per chissà quale motivo. Per tornare alla sua epoca aveva una sola chance: farsi aiutare dalla strega più potente della storia.
“Klaus, portami da tua madre.”
 
Klaus rotolò sulla schiena emettendo un rantolo di dolore. Si toccò la nuca e le dita si macchiarono di sangue. Ricordava di essere stato tramortito mentre Artemis era svenuta sul pavimento della biblioteca.
Aprì gli occhi piano, la luce gli feriva la retina come fossero braci accese.
“Finalmente! Come ti senti?”
Caroline apparve nella foschia della sua mente, era bella come un sogno. Klaus la mise a fuoco con difficoltà.
“Mi sento frastornato. Hope dov’è? E Artemis?”
“Hope sta bene. Sta riposando dopo aver passato la notte a vegliare su di te.”
L’ibrido posò i piedi a terra e si passò le mani sulla faccia che sembrava intorpidita. Quando il collo di un vampiro veniva spezzato, il risveglio era simile a un post sbornia ma senza il retrogusto dell’alcol in bocca.
“Artemis? Sta bene?”
“Artemis è incosciente.” Rispose Caroline.
“In che senso è incosciente?”
“Ce la fai a camminare? Vieni.”
Klaus si infilò le scarpe e seguì Caroline fino alla brandina più nascosta dell’infermeria. Artemis giaceva supina dietro un paravento bianco. Le braccia lungo i fianchi, le gambe dritte, l’espressione spaventosamente serena. Sembrava una Biancaneve moderna.
“Che cosa è successo?”
“Secondo noi è bloccata in uno stato di incoscienza. Chiunque l’abbia aggredita deve aver spedito la sua coscienza da qualche parte, forse in una dimensione psichica.”
“Il suo corpo è qui ma la sua mente è altrove.” Mormorò Klaus.
“Esatto. Ricordi chi è stato?”
Klaus accarezzò la guancia di Artemis, la pelle era fredda come il ghiaccio. Le scostò la frangetta in modo che non le desse fastidio, anche se in quello stato non aveva coscienza.
“No. Sono stato colpito alle spalle. Quando sono arrivato in biblioteca, Artemis era svenuta e mi sono inginocchiato per controllare il battito. Pochi secondi dopo qualcuno mi ha spezzato il collo.”
Caroline annuì, sbalordita dalla dolcezza con cui Klaus guardava la ragazza addormentata.
“Dalle telecamere si vede una figura incappucciata che si intrufola in biblioteca e aggredisce Artemis.”
“Il taccuino di Artemis? Lo avete trovato?”
“Non c’era nessun taccuino.” Rispose Caroline.
Klaus prese la mano di Artemis e col pollice le accarezzò le nocche. Quel tocco non faceva male a nessuno dei due, considerato che la strega non poteva praticare la sua magia.
“Dunque Artemis aveva scoperto davvero qualcosa. Chi ci ha aggrediti ha rubato il taccuino per non farsi scoprire. Non c’è nessuna traccia magica?”
“Alaric e le streghe stanno ancora indagando. Faremo il possibile.”
Klaus drizzò la schiena e serrò la mascella, era pronto a radere al suolo intere città pur di trovare il responsabile.
“Nel frattempo io chiederò a Freya come risvegliare Artemis.”
“Klaus…”
“No! Non dirmi che è impossibile. Artemis si sveglierà e tornerà da me.”
Caroline si fece da parte per far passare Klaus e tutta la sua rabbia che lo avvolgeva come un mantello invisibile. La magia diventava mille volte più pericolosa quando c’erano di mezzo i sentimenti.
 
Artemis non ne poteva più di camminare. Gli stivali di camoscio diventavano umidi ad ogni passo che affondava nella terra bagnata. Febbraio era un pessimo mese per fare un viaggio nel tempo, soprattutto in un’epoca in cui mancava il riscaldamento elettrico.
“Quello è il mio villaggio.” Esordì Klaus.
Il villaggio in questione era un agglomerato di circa dieci case disposte intorno alti alberi rigogliosi. C’era una pira al centro e vi erano svariate strutture di legno su cui i panni erano stesi ad asciugare.
“E’ carino. Qual è casa tua?”
Klaus si era oscurato in viso. La gentilezza dei suoi tratti si era tramutata in tristezza.
“Aspetta qui. Recupero un vestito di mia sorella, così sembrerai una del luogo.”
“Oh, va bene.”
Artemis rimase nascosta dietro i cespugli per una quindicina di minuti. La salopette era sporca di fango e una foglia le si era incastrata nella manica del maglioncino. Si passò le dita fra i capelli increspati per massaggiare la nuca che ancora le faceva male. Per quanto obbligasse la sua mente a ricordare, non aveva idea di chi l’avesse aggredita.
“E tu chi sei?”
Artemis sobbalzò e cadde a terra per lo spavento. In piedi davanti a lei c’era Rebekah – lunghissimi capelli biondi intrecciati a una corona di fiori – con l’arco armato da una freccia.
“Sono… un’amica di Klaus. Lo so che può sembrare assurdo ma ti giuro che è la verità.”
“Sorella, abbassa l’arco. Dice il vero.”
Klaus era sbucato al momento giusto con un abito appeso al braccio e una cuffia bianca in mano.
“Quello è un mio vestito. Non vorrai che lo indossi lei!” sbraitò Rebekah.
Klaus si avvicinò ad Artemis e le tese la mano per aiutarla ad alzarsi. Addirittura le spazzolò i capelli per rimuovere le foglie secche.
“Va a cambiarti, qui ci penso io.”
Artemis accettò gli indumenti e andò a ripararsi dietro una grossa quercia per spogliarsi.
“Che cosa combini, Nik?” domandò Rebekah, stizzita.
“Sto solo aiutando quella ragazza. Deve tornare a casa e ha bisogno dell’aiuto di nostra madre. Un aiuto magico, si intende.”
La bionda sospirò, il fratello aveva un debole per le situazioni di emergenza. Da bambino aveva rischiato di rompersi un braccio pur di aiutare un pettirosso a volare.
“Non è una buona giornata. C’è la luna piena stanotte, nostro padre è più nervoso del solito.”
“Ma io ho promesso che l’avrei aiutata. Non posso tirarmi indietro!” ribatté Klaus.
Artemis, che aveva origliato la conversazione, tornò da loro sollevando l’orlo del vestito. Era una semplice tunica lunga fino alle caviglie, con le maniche ampie e i lacci sul davanti. Era di un azzurro intenso che faceva risaltare i suoi capelli scuri. Sulla testa si era allacciata la cuffia bianca per nascondere la frangetta, nel medioevo era bizzarro che qualcuno si tingesse i capelli a quel modo, pertanto era meglio non attirare l’attenzione.
“Non importa se non puoi aiutarmi. Troverò un altro modo.”
Rebekah la fulminò con gli occhi, anche se doveva ammettere che quel suo vestito le stava piuttosto bene.
“Da dove vieni, straniera?”
“Dalla Russia, un paese lontano lontano.” Mentì Artemis.
Facendo due calcoli rapidi, nell’XI secolo i vichinghi conoscevano l’impero russo ma non tutti si erano spinti verso quelle terre. Il suo Klaus – quello del tuo tempo – non le aveva mai detto di essere stato in Russia prima della trasformazione, dunque quella bugia reggeva bene.
“E va bene, ti aiuteremo a tornare nel tuo paese. Però non puoi incontrare nostra madre.”
“Conosci un altro modo per tornare a casa tua?” domandò Klaus.
Artemis si grattò il mento mentre rifletteva su quanto aveva origliato. C’erano i lupi nei dintorni del villaggio e c’era anche la luna piena, una combinazione sovrannaturale utile ad una strega. Avrebbe sfruttato il plenilunio per lasciare quell’epoca.
“Portatemi nel punto in cui la luna è più alta di notte.”
“Da questa parte.” Disse Rebekah.
Il trio si incamminò verso la parte opposta al villaggio, mettendo più distanza possibile fra loro e Mikael. Rebekah guidava il gruppo mentre Klaus e Artemis camminavano vicini alo stesso passo.
“Come fai a sapere il mio nome? E come conosci mia madre?”
Artemis doveva aspettarsele quelle domande, erano le stesse che ponevano nei film in cui avvenivano assurdi viaggi nel tempo.
“Io sono una veggente, conosco molte cose e molte persone.”
“Oppure sei una spia dei lupi.” Disse Rebekah.
Artemis scavalcò una radice di albero e si abbassò per evitare di sbattere contro un ramo.
“Se fossi una spia dei lupi a quest’ora vi avrei già legati ad un albero in attesa di sbranarvi con la luna piena.”
“Una spia fingerebbe di essere innocua.” Replicò la bionda.
“Rebekah, basta. Artemis vuole solo tornare a casa sua.” Disse Klaus.
Rebekah scosse la testa ma non disse nulla. Suo fratello alle volte era così testardo che neanche la minaccia di suo padre lo faceva desistere.
Continuarono a camminare in silenzio, solo i loro passi e il cinguettio degli uccelli scandiva il tempo. Artemis era esausta, non aveva mai camminato tanto in vita sua e non su un terreno duro come quello.
“Siamo arrivati. Però ci fermiamo qui.” Annunciò Rebekah.
“Non possiamo invadere il territorio dei lupi.” Spiegò Klaus.
Artemis non vedeva niente – né capanne né persone – ma da lì riusciva a scorgere il fumo che saliva dai focolari. I lupi si stavano preparando per la notte di trasformazione.
“Perché ti servono i lupi per tornare a casa?” chiese Rebekah.
“A dire il vero, mi serve la magia del plenilunio. Sfrutterò la luna piena nel suo massimo punto per fare l’incantesimo e andare via di qui.”
“Parli come nostra madre.” Mormorò la bionda.
Artemis si sedette su un tronco caduto e spezzato e distese le gambe intorpidite. Se la sua coscienza era finita in quella specie di limbo magico, il suo corpo doveva ancora trovarsi in biblioteca. Sperava che Klaus – il suo Klaus – riuscisse a svegliarla nel caso in cui l’incantesimo fosse fallito.
“Vostra madre è una strega davvero potente.”
Klaus si sedette accanto a lei e prese un rametto su cui alloggiava una coccinella rossa.
“Ma si limita a incantesimi basilari. Lei ama praticare la magia naturale attingendo potere dai fiori e dalle piante.”
Artemis vide che coccinella adesso gironzolava sulla mano di Klaus, superando le nocche come fossero dossi stradali. Lui sorrideva e muoveva le dita per far passare l’animaletto.
Era così innocente che quasi non sembrava lo stesso uomo.
“Ti piacciono le coccinelle?”
“Mi piacciono tutti gli animali, ma i cavalli sono i miei preferiti.”
Artemis voleva scoppiare a ridere per lo stupore. Era incredibile che quel ragazzo dolce e gentile fosse l’ibrido spietato che conosceva lei.
“Quanti anni hai, Klaus?”
“Ho compiuto da poco venticinque giri intorno al sole.”
Dunque aveva venticinque anni, ovvero mancavano ancora tre anni alla trasformazione in vampiro. Per ora era solo un lupo mannaro inconsapevole della propria natura.
“Io me ne vado. Klaus, tu dovresti venire con me. Non è sicuro qui.” Disse Rebekah.
“Ma non possiamo lasciare Artemis da sola!”
“E’ una strega, sa cavarsela. Se i lupi ci scoprono… o peggio, se nostro padre ci scopre…”
Artemis lesse negli occhi dei due Mikaelson il terrore puro. Sapeva che Mikael era un padre violento e meschino, ma quel terrore era così tangibile che le vennero i brividi.
“Rebekah ha ragione. Dovreste andarvene prima che vi scoprano.”
Rebekah agguantò la mano del fratello per trascinarlo via ma lui si ritrasse con uno scatto.
“Tu va pure, io resto con Artemis. Tornerò non appena avrà concluso l’incantesimo.”
“Sei uno sciocco, Nik.” Borbottò Rebekah.
“Ora va e cerca di intrattenere nostro padre.” Disse Klaus.
Rebekah lanciò un’occhiata minacciosa ad Artemis, quello era un tratto della personalità che aveva conservato nei secoli. Anche la sua Rebekah gettava occhiate torve a chiunque fosse un pericolo per la famiglia.
“Se succede qualcosa a mio fratello, ti vengo a cercare e ti scuoio come un cinghiale.”
“Sei sempre gentile e delicata, Rebekah.” Disse Artemis.
La ragazza si voltò con un teatrale schiocco di capelli e riprese la via del ritorno al suo villaggio.
“Allora, Artemis, come posso aiutarti per l’incantesimo?” disse Klaus con un sorriso.
 
“Papà?”
Hope entrò in infermeria in punta di piedi, ma suo padre l’aveva sentita comunque avvicinarsi. Non aveva lasciato neanche per un attimo il capezzale di Artemis, era rimasto seduto a vegliare su di lei per tutto il tempo. Non si era nemmeno cambiato i vestiti sporchi di polvere.
“Ehi, Hope. Che c’è? Stai bene?”
“Io sto bene. Tu come stai? Ti fa male il collo?”
Klaus abbozzò un sorriso per la tenerezza di quella domanda.
“Sono un ibrido, guarisco in una manciata di secondi. Il mio collo è sano e salvo.”
Hope annuì e si avvicinò al letto, prese la mano di Artemis e le sfiorò il dorso col pollice.
“E’ fredda.”
“Già. Freya dice che è normale, che succede quando la coscienza viene trasferita altrove.”
“Non c’è modo di sapere dove è stata trasferita?”
Klaus sospirò, aveva posto la stessa domanda a Freya e aveva ricevuto una risposta insoddisfacente.
“Non c’è modo. La sua coscienza potrebbe essere finta ovunque, non possiamo scandagliare centinaia di dimensioni magiche. Possiamo solo aspettare che si svegli.”
Hope si soffermò ad osservare la mano di Artemis che stringeva. Era ghiacciata e pallida, le vene erano blu come corsi d’acqua su una mappa. Ogni dito era ornato da un anello che fosse una fascetta o una pietra colorata. Anche alle orecchie indossava perle colorate. Un dettaglio attirò la sua attenzione: una sottile corda nera attorno al collo.
“Questo cos’è?”
“Cosa?” domandò Klaus distrattamente.
Hope tirò la corda e dal maglioncino di Artemis sbucò una collana. Il pendente era un semplice cerchio nero.
“Papà, questo somiglia al tuo anello.”
Klaus riconobbe che era proprio il suo anello, quello che aveva donato ad Artemis come amuleto. Si trattava di un gingillo che aveva acquistato secoli prima in India, era rivestito di quarzo nero e glielo aveva venduto una strega del luogo.
“So come riportare Artemis indietro. Chiama subito Caroline e Alaric!”
 
“Poi intrecci le parti finali insieme e chiudi tutto con un nodo.”
Klaus terminò il nodo della corona di fiori e la mostrò ad Artemis con un sorriso. La ragazza batté le mani per l’eccitazione, sin da bambina desiderava imparare a intrecciare i fiori.
“E’ bellissima! Sei davvero bravo, ma questo lo sapevo già.”
“Lo sapevi già?” le fece eco Klaus, perplesso.
Artemis aveva visto l’arte di Klaus, i dipinti e i disegni, gli oggetti intagliati, e lo reputava un egregio artista. Gli bastava una matita o un coltellino da burro per creare un’opera d’arte.
“Nel senso che… cioè, si capisce che sei bravo. Ecco!”
Klaus arrossì fino alle punte delle orecchie e si morse le labbra. Non era abituato ai complimenti. Suo padre lo insultava e le ragazze del villaggio lo ritenevano un debole. Solo Rebekah ed Elijah si complimentavano con lui quando realizzava un nuovo colore.
“Questa è per te.”
Artemis abbassò la testa e Klaus le sciolse la cuffia bianca per sistemarle la corona sui capelli.
“Come mi sta?”
“Bellissima come una vera regina.”
Questa volta fu Artemis ad arrossire. Non importava in quale secolo fosse, Klaus Mikaelson riusciva sempre ad affascinarla.
“Grazie, Klaus, sia per la corona sia per l’aiuto.”
Lo sguardo di Klaus si adombrò, i suoi occhi diventarono grigi per la tristezza.
“So che cosa vuol dire essere soli e desiderare una mano d’aiuto.”
“Dici così per via di tuo padre? Sembra che lui sia un mostro.” Disse Artemis.
“Mia madre lo giustifica sempre, dice che è un uomo irascibile e che dobbiamo comportarti bene con lui. Io mi comporto bene, ma sembra che lo irriti la mia sola esistenza. Mi odia.”
Artemis sentiva gli occhi pizzicare, avrebbe voluto piangere per la sofferenza nella voce di Klaus. Era diventato crudele e paranoico per colpa di un padre che lo aveva detestato.
“Mi dispiace. Nessuno dovrebbe soffrire per colpa della famiglia.”
“Ma il vero amore include la sofferenza.” Disse Klaus.
Artemis gli accarezzò la guancia senza pensarci, senza preoccuparsi di manipolarlo. La pelle di Klaus era liscia e odorava di muschio, al contrario di quella ruvida e odorosa di bourbon che conosceva lei.
“L’amore non è mai sofferenza. La famiglia deve essere un porto sicuro, ricordatelo.”
Klaus chiuse gli occhi e si abbandonò alla carezza, gli anelli di Artemis erano freddi contro la sua guancia. Gli sembrava di conoscerla, di aver già sentito quel tocco sulla pelle, di riconoscere il suo profumo. Era solo immaginazione? Oppure era l’angelo che sognava di notte perché lo salvasse dalle botte di suo padre?
“Chi sei tu? Un angelo. O una dea.” sussurrò piano.
Artemis studiò il suo viso – che avrebbe riconosciuto anche bendata – e si impresse nella memoria nella linea della mascella, le labbra piene, la curva del mento, quelle sopracciglia che un giorno lo avrebbero resero ammiccante.
“Sono soltanto Artemis.”
“Niklaus!” tuonò una voce rabbiosa.
Klaus schizzò in piedi come una molla, l’agitazione che lo faceva tremare come una foglia.
“Niklaus! Figlio ingrato, dove ti nascondi?”
“Scappa, Artemis! Scappa!”
Artemis gli afferrò la manica della tunica e gli prese il mento con forza per farsi guardare in faccia.
“Scappiamo insieme. Non ti lascio con quello stronzo di tuo padre.”
“Ma il tuo incantesimo? Perderai l’occas-…”
“Non importa. Adesso andiamo!”
 
“Klaus, il battito cardiaco sta rallentando.” Disse Caroline.
Klaus tastò il polso di Artemis e appena appena riuscì ad udire la pulsazione. Stava morendo.
“Freya, sta morendo. Artemis non ha più tempo!”
“Com’è possibile che stia morendo? Il suo corpo è qui.” Si intromise Hope.
Freya era apparsa lì in forma di proiezione astrale grazie ad un cristallo che le consentiva di mostrarsi a tutti loro.
“Il suo corpo sta morendo perché la sua coscienza sta morendo. Qualcuno cerca di ucciderla nella dimensione in cui si trova.”
“Se qualcuno uccide la sua coscienza anche il corpo morirà?” indagò Caroline.
“Sì. Mente e corpo sono strettamente connessi.”
Klaus ebbe la sensazione di essere pugnalato al cuore. Aveva già rischiato di perdere Artemis un paio di volte, una terza non era ammissibile.
“Puoi salvarla, Freya?”
“Posso provarci. Posso usare la collana per rintracciarla e poi un incantesimo di telecinesi per riportare qui la sua coscienza. Avrò bisogno di Hope.”
“Certamente.” Acconsentì Hope.
“Hope si occuperà di localizzare l’amuleto e io penserò a riportare Artemis qui.” Disse Freya.
“Non puoi semplicemente localizzare Artemis?” domandò Caroline.
“Il suo corpo è qui, la localizzazione mi condurrebbe qui. Localizzare la coscienza è impossibile, anche perché non sappiamo dove sia. Nella dimensione in cui si trova ha con sé i vestiti e i gioielli, quindi possiamo rintracciare la magia dell’amuleto.”
“E’ geniale.” Commentò Hope.
Freya mosse le mani per recuperare una candela ma la proiezione mostrava solo un movimento convulso delle braccia.
“Hope, stringi l’anello di tuo padre e recita la formula che ti ho scritto.”
“Quale formula?”
Un odore di incenso si liberò nella stanza e Hope si ritrovò un biglietto ripiegato in tasca.
“Quella formula.” Disse Freya.
La ragazza strinse l’anello di Klaus appeso al collo di Artemis e lesse l’incantesimo ad alta voce.
Phasmatos tribum, nas ex veras, seguitas sanguinem.”
A quel punto Freya allungò le mani sopra il corpo di Artemis e spalancò gli occhi per trovare la sua coscienza nell’immensa vastità delle dimensioni magiche.
 
Artemis si appoggiò ad un tronco e si piegò con le mani sulle ginocchia per riprendere fiato. Klaus controllava che Mikael non li avesse raggiunti ancora. Ormai si stava facendo buio e il padre sarebbe dovuto tornare a casa prima della luna piena.
“Artemis, il tuo tempo sta per scadere. Ti stai allontanando troppo.” Disse Klaus.
“Non importa. Non lascerò che tuo padre ti picchi per colpa mia.”
Artemis sentiva le vesciche ai piedi, correre con quegli stivaletti non era stata una grande idea. Si passò le mani fra i capelli con la frustrazione che aumentava. Dove diamine era finita? Era un sogno? Un incubo? Una prigione mentale? Non sapeva dirlo con certezza. Poteva essere tutto e niente, un semplice sonno disturbato oppure una dimensione in cui era stata abbandonata.
“Mio padre mi picchia perché sono una nullità. Perché sono un debole e merito di essere raddrizzato.”
“Smettila di pensare queste cose!” sbottò Artemis.
Il suo Klaus era sicuro di sé, spavaldo e calcolatore mentre questo era un ragazzo spaventato e pieno di incertezze.
“Scusami.” Disse Klaus.
Artemis sospirò, forse preferiva la versione baldanzosa di Klaus. Andò da lui e gli diede una pacca sulla spalla.
“I genitori fanno schifo. Fidati, io lo so bene. Però noi non siamo i nostri genitori. Possiamo decidere quale strada prendere in base a ciò che vogliamo. Non permettere a tuo padre di trasformarti in qualcuno che non sei.”
“Niklaus! Bastardo! Ti nascondi come un maialino impaurito!” gridò Mikael.
Artemis spinse Klaus verso la parte opposta, in direzione del fiume che portava fuori da Mystic Falls.
“Corri!”
Era difficile distinguere gli alberi poiché il buio si stava stendendo coma una pennellata su una tela. Artemis inciampò almeno un paio di volte, imprecò e riprese a correre facendo slalom fra cespugli e querce secolari.
“Poveri sciocchi!”
Artemis piantò gli stivali nel terreno e cadde sulle ginocchia. Klaus sollevò le mani in segno di resa.
“Padre, io vi supplico…”
Mikael lo zittì colpendolo con un bastone sul fianco. Gli diede una seconda bastonata sulla spalla.
“Mi supplichi? E’ l’unica cosa che sai fare, bastardo. Sei un debole verme che arranca per sopravvivere.”
“Qui l’unico bastardo sei tu!” sbraitò Artemis.
Si era messa in piedi, anche se la caviglia destra era gonfia per via della caduta. Guardava Mikael con la stessa sfida con cui aveva affrontato i bulli al liceo.
“Niklaus, ti fai difendere da una femmina adesso?” lo derise Mikael.
Klaus era ancora a terra, le dita piantate nel terreno umido, e tremava di paura. Stava singhiozzando.
“Lei non c’entra niente. Lasciatela andare, padre. Lasciatela andare e i farò tutto ciò che mi direte.”
Mikael rise, e la sua risata era simile al gorgoglio di un mostro che sta per divorare la sua vittima.
“Tu sei inutile, non potresti fare quello che ti dico. Non mi servi a niente! Sei solo uno spreco di carne umana!”
Qualcosa scattò dentro Artemis. Ripensò a suo padre Oscar, all’indifferenza che aveva provato per lei, al modo in cui l’aveva abbandonata per salvarsi la reputazione nel Quartiere Francese.
Lihednat dolchitni.”
Il ghigno di Mikael si contorse in una smorfia. Artemis gli stava bloccando le vie respiratorie fino a causargli asfissia.
“Artemis, basta. Non ucciderlo. Basta!” la pregò Klaus.
“Lui è un mostro. Merita di morire!”
Klaus le mise la mano sulla spalla e la guardò con gli occhi lucidi.
“Non macchiarti la coscienza con la sua morte, non ne vale la pena. Fermati.”
Artemis interruppe il processo e Mikael svenne all’istante. Klaus gli controllò il respiro per assicurarsi che fosse ancora vivo.
“Sei troppo buono, Klaus.” Disse Artemis.
Klaus sorrise ma una fitta di dolore al fianco lo fece piegare in due. La pelle stava già diventando viola livido.
“Non sono un assassino. E non lo sei neanche tu.”
Artemis avrebbe voluto credergli, però sapeva che negli anni tutto sarebbe cambiato: lui sarebbe diventato il tanto temuto Klaus Mikaelson, l’ibrido spietato che tortura e uccide per diletto. Eppure cominciava a pensare che la storia fosse ben diversa.
“Artemis! Artemis, riesci a sentirmi?”
La ragazza si guardò attorno ma vide solo ombre e nebbia. Poi scorse una figura indistinta che avanzava verso di lei.
“Artemis, sei qui? Riesci a sentirmi?”
La figura diventò sempre più nitida e Artemis scoppiò a ridere di cuore. Il sollievo la travolse scaldandole il petto.
“Freya, sono qui. Ti sento e ti vedo! Sono qui!”
Freya sorrise a sua volta e sventolò le mani per salutarla. Artemis era come una luce in un mare di tenebra.
“Dobbiamo andare. Stai morendo, devi svegliarti.”
Artemis non aveva la sensazione di essere in fin di vita, ma c’era qualcosa di freddo che pareva sgusciarle nel sangue e nelle ossa. Più tempo trascorreva in quella dimensione, più alta era la probabilità di morire entro poche ore.
“Klaus, devo andare. Dobbiamo salutarci.”
Klaus le strinse entrambe le mani e le baciò, poi fece un mezzo inchino e sorrise.
“E’ stato un onore conoscerti, Artemis. E grazie per avermi protetto da Mikael.”
Artemis si issò sulle punte e gli diede un bacio sulla guancia, assaporando quel momento ancora un poco.
“Addio, Niklaus.”
 
Phasmatos motus robix!”
Freya fu sbalzata indietro, per fortuna la sua proiezione non poteva essere ferita in nessun modo. Seguì un silenzio assordante. Tutti aspettavano che Artemis si vegliasse.
“Niklaus!” strillò Artemis.
La ragazza quasi si rovesciò sul pavimento per essersi svegliata di soprassalto.
“Sono qui.”
Klaus, seduto sul letto accanto a lei, le sorrise e le scostò la frangetta dagli occhi. Artemis prima lo fissò con incredulità e poi si gettò fra le sue braccia. Lo strinse a sé come se fosse il porto sicuro in mezzo alla tempesta.
“Shh, va tutto bene.” la consolò Klaus.
Era la prima volta che si abbracciavano dopo mesi. Klaus affondò il viso nei suoi capelli e respirò a pieni polmoni il suo profumo. Tenerla fra le braccia fu come tornare a respirare dopo l’apnea.
“Dovresti mangiare qualcosa. Vado a prepararti un brodo di pollo.” Disse Caroline.
“E’ vegetariana.” Disse Hope.
“Era una scusa per lasciarli da soli.”
Alaric, Hope e Caroline lasciarono l’infermeria senza fare troppo rumore. Artemis si staccò da Klaus e si coprì la bocca con la mano per non scoppiare a piangere dal sollievo.
“Che cosa è successo, Artemis? Dov’eri?” chiese Klaus.
“Ero con te nell’XI secolo. Stavi davvero bene con i capelli lunghi e senza barba.”
“Io e te abbiamo molte cose di cui discutere. Fammi posto.”
Artemis si rannicchiò all’angolo della brandina e Klaus si distese al suo fianco, nessuno dei due osava toccarsi.
“Ti racconto come è andata.”
 
Salve a tutti! ^_^
L’idea di un viaggio nel tempo mi è sembrata davvero carina, soprattutto perché Klaus era diverso prima della trasformazione in vampiro/ibrido e volevo che Artemis conoscesse anche quella parte di lui.
Fatemi sapere cosa ne pensate.
Alla prossima, un bacio.

 
  
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