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Autore: _Zaelit_    24/09/2021    0 recensioni
È trascorso qualche mese dal termine della lotta per la libertà dei guerrieri originati dal Progetto Jenova e Progetto Yoshua.
Sephiroth è partito in cerca della sua redenzione, mentre Rainiel vive con Zack ed Aerith nel Settore 5. Un altro nemico, però, intende portare avanti la guerra che loro credevano terminata. Quando un vecchio amico porterà discordia nelle vite dei due ex-SOLDIER, quando un angelo dalle piume nere tornerà a cercare il dono della dea, Rainiel e Sephiroth, e tutti i loro compagni, dovranno ancora una volta confrontarsi con un male più pericoloso del precedente e che, come se non bastasse, sembra conoscerli molto bene.
Libertà, amore, pace: tutto rischia di essere spazzato via ancor prima di poter essere ottenuto... e il Dono degli Dèi è più vicino a loro di quanto pensino.
Genere: Avventura, Azione, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Genesis Rhapsodos, Nuovo personaggio, Sephiroth, Zack Fair
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Crisis Core, Contesto generale/vago
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- Questa storia fa parte della serie 'Heiress of Yoshua'
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Capitolo 10
PRIGIONIERI
 
Genesis sentì il vento insidiarsi tra le piume della sua ala. Quale immenso senso di libertà... e che grande peccato, il fatto che fosse solo un'illusione.
Guardò Midgar dall'alto con gli occhi di chi ha imparato a odiare il posto che l'ha accolto. Più di quanto aveva odiato Banora, la sua vera casa, il villaggio dove erano cresciuti lui e Angeal. La città sulla piattaforma era bellissima, di una bellezza che i paesi come il suo potevano solamente sognare, moderna e tecnologica, ma come tutte le cose troppo belle per essere vere, nascondeva un lato oscuro. Tutto ciò su cui era stata fondata erano oscurità e menzogne e segreti brutali.
A malincuore, scese di quota per planare, silenzioso come un gufo a caccia, su uno degli eliporti della torre Shinra che gli erano stati indicati in precedenza. Poggiò i piedi a terra in un atterraggio perfetto e aggraziato, e lanciò un'ultima occhiata carica di rimorso all'ala alla sua sinistra prima di farla sparire in un vortice di piume nere.
Con tanti pensieri per la testa camminò senza alcuna fretta verso la porta automatica che si aprì orizzontalmente appena vi fu davanti, e poi attraversò i corridoi del palazzo, illuminati solo da quell'inquietante luce troppo bianca. Come aveva fatto a farci l'abitudine?
Si sentì come una volpe in un pollaio, mentre si aggirava a passo felpato tra un piano e l'altro, discendendo verso il posto che sapeva di dover raggiungere. Una volpe con una museruola.
Evitò di buon grado i piani di residenza dei SOLDIER prendendo l'ascensore e ammirando per ancora qualche secondo la grande città e le sue luci immortali. Un reattore poco lontano stava emanando una pallida luce verde.
Arrivò al piano esatto. Davanti a quella maledetta porta. L'ufficio della scienziata che lo teneva stretto al guinzaglio.
Pigiò la maniglia giurando a se stesso che avrebbe dato quel luogo alle fiamme, prima o poi.
All'interno della stanza erano già presenti i suoi tre cari carcerieri. La donna dagli occhi allungati, la scienziata devota a Hojo, Jadin, era accomodata dietro la sua scrivania e stava leggendo dei fascicoli sistemandosi gli occhiali sul piccolo naso.
«Non ti hanno insegnato a bussare?» domandò seccata.
Gli altri due erano in piedi, alla sua destra e sinistra. Il SOLDIER di prima classe biondo, Narcisse, era acquattato in un angolino buio, le spalle e un piede contro il muro. Gli lanciò un'occhiataccia appena entrò.
Fu ricambiata.
«Immagino non facesse parte del programma di prima classe.» sibilò in risposta Genesis, forte del suo sarcasmo, ispezionando anche l'ultima presente.
Una Turk dal taglio corto e corvino, la pelle bronzea e gli occhi grandi. Se ne stava in piedi con un'espressione non troppo convinta, e sembrava del tutto fuori luogo lì.
Jadin ignorò la sua simpatica battuta.
«A giudicare dal fatto che non vedo Rainiel e Sephiroth qui con te, considererò il tuo tentativo di oggi un fallimento.» cambiò al contrario argomento, a stento dedicandolo di uno sguardo che lo analizzò da capo a piedi. Se non altro, non era ferito.
Eppure le sue parole lo fecero tremare di rabbia.
«Oggi? Fallimento?» ringhiò piano, «Ho volato fino a Nibelheim e ritorno per fare quello che mi hai chiesto.» le fece notare.
«Ma senza risultati.» continuò a sminuirlo lei, «Come dicevo, un totale fallimento.»
Genesis strinse i pugni per la rabbia e la stoffa lucida dei suoi guanti rossi si tese. Camminò avanti e indietro per l'ufficio per sbollire la rabbia.
«Sephiroth e la ragazza sono di nuovo insieme. Ci sono altri, con loro, tra cui Zack Fair.»
La Turk, che se non ricordava male doveva chiamarsi Vaneja, deglutì visibilmente. Non sembrava particolarmente a suo agio. Evidentemente conosceva tutti quei nomi e, a differenza degli altri due, non sembrava avere rancori esagerati nei loro confronti.
«Non m'importa di chi ci sia con loro. Voglio entrambi. Se è necessario per la realizzazione della missione, elimina chiunque si metta in mezzo.» ripeté la giovane scienziata.
Genesis era colpito, se non altro, dalla crudeltà che una persona smilza e piccola come Jadin potesse contenere. Aveva un aspetto grazioso e docile, eppure nascondeva molto sotto quella maschera.
«Non sarà comunque facile portarli qui. Non in vita. Sembra che ti aspetti che io risolva questo problema da un giorno all'altro.»
«Perché è proprio quello che mi aspetto da te. Se ci tieni alla tua vita, certo.»
Il super-SOLDIER perse la pazienza e si scagliò contro di lei.
Narcisse si spostò fulmineo, andando a pararsi fra i due. La Turk mise mano alla pistola nella fondina sul suo fianco. Genesis si arrestò e scoprì i denti verso di loro come un animale selvatico.
«Non sono la tua marionetta, ragazzina. Non sto agli ordini di nessuno. Se solo volessi, potrei uccidervi tutti e tre seduta stante.» volle ricordarle.
Jadid sospirò, annoiata, ma gli rivolse comunque un sorriso.
«So benissimo che non è la volontà, quella che ti manca. No... piuttosto, quella che non hai è la libertà di scegliere.»
«Perché altrimenti mi uccideresti? Inizio a dubitare del fatto che tu sia in grado di uccidermi. Cos'è, hai inventato un bottone che puoi premere quando ne hai voglia e disintegrarmi all'istante?»
«Oh, qualcosa del genere. Grazie per la domanda.»
Jadin si alzò lasciando frusciare i lunghi lembi bianchi del camice. Girò attorno alla scrivania e continuò a camminare verso di lui.
«Vedi, nel periodo in cui dormivi profondamente ho iniettato nel tuo corpo delle cellule in grado di reagire a particolari stimoli esterni, persino quelli digitali.»
Poggiò una mano sulla spalla di Narcisse, inducendolo a rilassare i muscoli.
Il SOLDIER sorrise compiaciuto e fece come gli era stato chiesto.
«Dopodiché, ho ideato un programma automatico che ha il compito di attivare quelle determinate cellule, inducendo loro e quelle vicine all'autodistruzione grazie anche all'uso del DNA di Jenova. Il software è progettato per attivare la degradazione una volta al giorno, ma io mi occupo di rimandare di altre ventiquattr'ore l'avvio, ogni giorno, accendendovi tramite una password che soltanto la sottoscritta conosce.»
Genesis avrebbe voluto strapparle quel dannato sorriso dalla faccia. Non la sopportava, così gongolante e sicura di sé mentre lui era in catene, piegato ai suoi voleri.
«Quindi, se dovessi fare del male a qualcuno di noi, specialmente a me, io semplicemente non inserirei più quella password.» si picchiettò un dito sulla tempia, «E l'unico posto in cui è conservata è la mia mente. Non puoi averla. Fai un solo passo falso, Genesis, e non vedrai una morte istantanea, ma una lenta e dolorosa. Capisci cosa intendo.»
Non era una domanda. Lo capiva davvero. Aveva dovuto convivere con la degradazione per settimane. In quei momenti, sembrava che gli stessero tranciando via a piccoli morsi sempre più parti del corpo, fino a renderlo incapace di difendersi.
Si odiò, così tanto e in maniera talmente tremenda... non poteva fare nulla. Se davvero Jadin non stava mentendo, allora non c'era alcun modo per trarsi in salvo da solo. Era sotto scacco dal momento in cui aveva ceduto alla degradazione, mesi prima, convinto di essere vicino alla morte, dall'attimo in cui aveva chiuso gli occhi per poi riaprirli in quel laboratorio, davanti alla scienziata. Era diventato niente più che uno schiavo costretto a ubbidire.
Avanzò nella stanza, ignorando Narcisse e la Turk, e poggiò le mani sulla scrivania davanti a lui.
«Troverò un modo.» giurò, e la sua non era una promessa. Non stava parlando del suo compito... no, la sua era una minaccia.
Jadin lo comprese.
«Buona fortuna, allora.» lo derise ancora, chinando la testa vicino a lui e sorridendogli a una spanna dal viso. «Ma fino a quel momento sarai mio e farai ciò che ti chiedo. E quello che ti ordino...»
Genesis la fulminò con lo sguardo.
Non aveva mai preso ordini, neppure quando era parte dell'élite di SOLDIER. Tutto quello che aveva fatto non gli era stato imposto, era stato una sua scelta. E ora...
«... è di portarmi il soggetto S ed il soggetto R. Voglio Sephiroth e Rainiel, vivi, e tu li condurrai da me in un modo o nell'altro.» gli diede istruzioni. «Ci siamo capiti?» chiese poi conferma.
L'uomo mostrò i denti. Il suo voleva essere un sorriso beffardo, di quelli che avrebbe sfoderato davanti alla stessa morte. In verità, però, non ci teneva proprio a morire. Aveva le sue ambizioni, anche se tutto il mondo gli era crollato addosso e ormai nessuno derivava più far parte della sua vita. E pensare... che forse Sephiroth era l'ultimo caro amico che gli restava. 
Un pensiero sciocco, si disse poi. Aveva perso anche lui. Probabilmente lo odiava, specie dopo aver attaccato la sua cara allieva.
Rivoltarsi contro di lui era tutto ciò che poteva fare per rimanere in vita. Sacrificare la sua, e tutto ciò a cui lui teneva, per tornare libero. Sempre che così fosse. Jadin non gli aveva mai promesso nulla, in realtà.
Gli faceva male la testa ogni volta che ci pensava, così si impose di seguire l'istinto.
Tirò su la schiena e annuì, e suo malgrado sembrò così maledettamente spaventato che si diede il voltastomaco da solo.
Si sarebbe vendicato anche di questo.
«Altroché.» rispose senza mezzi termini. In quel momento non aveva voglia nemmeno di recitare qualche verso in replica alla sua altezzosa richiesta.
Jadin azzardò di più. Con una mano diede una sistemata alla sua giacca. Pur sapendo che Genesis aveva una voglia matta di estrarre Rapier e mozzarle il braccio.
«Bravissimo. Vedi? È tutto più semplice, una volta stabiliti i ruoli: io comando e tu esegui.»
Tornò dietro la scrivania senza attendere risposta.
«Sparisci, ora. Non farmi attendere, o potrei dimenticarmi di risparmiarti la vita per un altro giorno ancora.»
Il sangue ribolliva nelle vene del SOLDIER, che tuttavia non poté obiettare. Non si inchinò come forse lei aveva sperato, si limitò a indietreggiare a testa alta, l'andamento un po' oscillante, negli occhi una fiamma viva, odio puro.
Squadrò da capo a piedi lei e i sue due scagnozzi. Narcisse non mantenne il suo sguardo, fingendo noia quando invece fu possibile notare la sua pelle d'oca. Vaneja... lei non osò nemmeno tentare di provocarlo.
Genesis non salutò, non aggiunse altro. Lasciò la stanza sui suoi piedi, tornando a camminare tra i corridoi che aveva percorso per tutta una vita, e raramente da solo. Era arrivato lì con Angeal, dopotutto. Ma quella era una realtà diversa, una vita diversa. Lui... sentiva di essere morto davvero, tempo prima, e di essere poco più che uno spettro adesso. Andò a cercarsi un posto tra le tenebre della Torre Shinra. Uno in cui poter pensare a un piano che salvasse la sua vita, e condannasse quella di colui che un tempo aveva chiamato amico.
Intanto, nell'ufficio di Jadin, la scienziata scoccò un'occhiata all'ultimo SOLDIER rimasto nella stanza.
«Narcisse.» lo chiamò, la voce atona.
Il biondo dagli occhi simili a rubini si irrigidì, pronto a qualsiasi richiesta.
«Voglio che tu lo segua a debita distanza.» lo informò lei, incrociando le braccia e lasciandosi cadere sulla sedia girevole davanti allo scrittoio.
Da un comodino trasse fuori un fascicolo relativamente scarno, che portava il titolo di "Progetto Rainiel". Erano appunti che aveva raccolto durante il periodo di assistenza nei laboratori al fianco del grande e unico Hojo, un uomo che per lei era stato di enorme ispirazione. Come lui, Jadin desiderava sapere fino a che limite la scienza potesse spingersi, sempre ammesso che un limite esistesse. Aveva scoperto del progetto quando Hojo aveva iniziato a fidarsi di lei, e ne era rimasta affascinata. L'idea che da semplici cellule aliene si potesse formare un essere umano, e che questo fosse dotato di poteri straordinari, che fosse un ibrido... alle sue orecchie era una dolce melodia. Il laboratorio era il suo parco giochi e lei voleva fingersi il dio indiscusso di quel luogo. Aveva iniziato a frequentare Rainiel per osservarla da vicino, ma lei non sapeva nulla. Così l'aveva aiutata a comprendere. Quando era fuggita con Sephiroth, quando Hojo era morto, aveva visto il suo piccolo paradiso crollare. Lo voleva ripristinare, voleva esplorare le possibilità di due DNA perfetti e unici che mai e poi mai sarebbe stata in grado di ricreare basandosi sulle sue sole competenze.
Ecco perché non poteva fallire.
Lasciò scorrere le lunghe unghia rosee sulla copertina del fascicolo, prima di sistemare gli occhiali sul naso.
«Tu hai conosciuto Sephiroth e hai avuto modo di allenarti con Rainiel. Potresti guadagnarti la loro fiducia. Va', e assicurati che Genesis porti a termine la missione e non si faccia venire strane idee.» finì allora di dire a Narcisse.
Lui annuì.
«Sarà fatto. Ho già qualche idea in mente... non ti deluderò.» sorrise spavaldo, per poi schiarirsi la gola, «Anche se naturalmente questo comporterà una paga più... generosa, mi auguro.»
Jadin alzò gli occhi al cielo.
«Voi SOLDIER siete così puntigliosi! Sì, certo, avrai la tua paga a lavoro completato.» lo rassicurò.
Lui gongolò per quella speranza. Poi a sua volta si diresse all'uscio. «Era tutto ciò che volevo sapere. Ti chiamerò quando avrò finito, così potrai mettere sul fornello un buon tè per i nostri due cari ospiti.»
Jadin si coprí la fronte con una mano quando anche lui se ne fu andato. Respirò a fondo, ricordando che a stento sopportava i suoi collaboratori. Si ricordò anche... dell'amica taciturna.
«Come mai così silenziosa, Vaneja?» le domandò quanto più direttamente possibile.
La Turk sembrava scossa. Quasi balzò sul posto per la sorpresa di essere stata interpellata, e finse un colpetto di tosse.
«Ascoltavo.» squittì a malapena, evitando il contatto visivo.
«Se ascoltavi, avrai anche formulato una personale opinione della situazione attuale. Non ti ho mai chiesto cosa ne pensi della missione... e perché mi sembri sempre così poco convinta di quello che stiamo facendo.»
E come avrebbe fatto a esserne convinta, dopotutto? Vaneja non aveva idea di cosa pensare, figurarsi di come agire.
Come Rainiel, aveva sempre pensato che Jadin fosse una normalissima ragazza, un'amica fedele a cui rivolgersi per avere delle informazioni in più tra quelle chiuse sotto chiave, o anche solo per prendere un caffè insieme o fare un giro in città nel fine settimana. Le aveva sempre voluto bene. Si era fidata di lei.
La notte in cui la Turk aveva voltato le spalle a Rain, Zack e Cloud, quella in cui aveva permesso loro di entrare nel laboratorio di Hojo pur sapendo che loro l'avrebbero ucciso, era stata anche quella in cui la sua perfetta illusione era andata in frantumi. All'alba l'allarme e le notizie avevano raggiunto tutti nella Torre Shinra, dopodiché si erano propagati anche nel resto di Midgar. Quello stesso giorno, aveva fatto visita a Jadin per chiederle se sapesse qualcosa in più. Magari... che fine avesse fatto Rainiel. Si sentiva in colpa per essersi comportata in quel modo con lei, anche se era stata tenuta all'oscuro di tutto. Quando aveva bussato alla porta dell'ufficio, lo stesso in cui si trovava ora, tuttavia... la Jadin che l'aveva fatta accomodare non era più la timida e dolce ragazza che arrossiva a ogni interazione con Cloud. La sua espressione era di pietra, la sua voce dura e decisa. La Jadin della messinscena era ormai morta o, per meglio dire, non era mai esistita. Vaneja aveva fatto squadra con lei per non essere contro di lei. Quella nuova Jadin le faceva paura. Allo stesso tempo, si ripeteva che quel che stavano facendo era giusto. Che Rain e Sephiroth erano davvero dei mostri e che per il bene del resto del mondo sarebbe stato meglio trattarli come tali. E i mostri... se non si uccidono, si rinchiudono. Si tengono sotto controllo. Si domano.
Le sue unghie grattarono la superficie liscia della scrivania mentre ci ripensava.
«Non ho motivo di commentare un piano che non è mio. Io mi sto limitando a seguire la tua linea di pensiero.» disse allora, cercando di ignorare le gambe che ancora non avevano smesso di tremare. Lì con loro, fino a pochi secondi prima, c'era anche Genesis, un essere spaventoso. Ma in che guaio si stava cacciando? «Anche se non sto facendo nulla di particolare, se non aspettare i tuoi ordini, o di vedere che piega prenderà il corso degli eventi. Mi domando solo...»
Jadin tese l'orecchio. La ragazza aveva esitato, lasciato una frase a metà. Snervante.
«Cosa, Van? Sii chiara. Puoi chiedermi ciò che vuoi.»
«Io... credo sia inutile chiederti il perché lo stai facendo. Il fatto è che... non so se sono in grado di fare del male a Rainiel. O a Zack. Oppure a Cloud.» mormorò a stento la Turk, «La mia divisione ha deciso di non immischiarsi nelle faccende del dipartimento scientifico dopo la morte del professor Hojo. Eppure io ci sono dentro fino al collo. Quel che voglio sapere è se c'è un motivo per venirne fuori.» Con molti giri di parole, riuscì ad arrivare al sodo.
La scienziata fece qualche attimo di silenzio, dopodiché mostrò un piccolo sorriso e andò a prendere posto accanto a lei. Le posò una mano sulla spalla. Sembrava che si stesse rivolgendo a una bambina cocciuta.
«Van, carissima Van...» sospirò, «Non capisci? Noi siamo immischiate in questa faccenda dal momento in cui abbiamo messo piede a Midgar. Tutti lo sono, qui alla Shinra, è solo che non ne sono ancora consapevoli, e alcuni non lo saranno mai. Ma io e te lo siamo, e possiamo fare qualcosa per evitare che accada il peggio. Dimmi, non è per questo che hai deciso di entrare a far parte dei Turks? Per proteggere i giusti lavorando nell'ombra?» chiese con voce calma e trascinante.
Vaneja dovette sforzarsi di non evitare il suo tocco. Si sentiva estremamente a disagio, non vedeva l'ora di lasciare quell'ufficio, tornare nella sua stanza e chiudere la porta facendo fare alla chiave almeno tre giri nella serratura.
«Sì, ma-»
«Allora quello che stai facendo è giusto, e non dovresti porti troppe domande. I tuoi superiori fanno la stessa cosa. Reno, Rude, Tseng... credi che loro prendano parte solamente alle missioni che più gli piacciono? Tu non puoi sapere quanti lavori sporchi debbano accettare. In qualità di Turk, però, devi fare lo stesso. Anche se questo significa andare contro Rainiel e gli altri.»
Van serrò i denti prima di parlare di nuovo.
«Credi davvero che Rain sia pericolosa? La conosco bene e da molti anni, e non ha mai fatto nulla che reputerei malvagio. Non c'è un altro modo di risolvere la questione?»
Davvero non riusciva a immaginarsi mentre faceva del male a colei che era stata la sua migliore amica. Jadin, però, non sembrava d'accordo. Batté con rabbia una mano sul tavolo e fece sussultare la ragazza più alta.
«Vorrai scherzare! Rain ti ha mentito, ti ha voltato le spalle e non ha esitato a mettere il suo bene e quello di altre persone prima del tuo. Sono d'accordo, in passato è stata una ragazza premurosa e non è mai venuta meno alla nostra amicizia, ma sai benissimo qual è il suo problema.» alzò la voce.
Vaneja si pizzicò un braccio. Sapeva a cosa stava alludendo, e che Jadin voleva che fosse proprio lei a dirlo.
«... Sephiroth.» soffiò con un fil di voce dunque, «Il problema è Sephiroth.»
«Separarli porterebbe solo a un miglioramento, tanto per cominciare. Hai visto che cattiva influenza quel SOLDIER ha su di lei. Credimi, le stiamo facendo un favore.»
Vaneja sentiva le lacrime agli occhi, ma si morse la lingua e mantenne la calma. Voleva davvero crederle, voleva che pensarla a quel modo fosse così facile, ma la verità è che si sentiva in colpa. Stava permettendo che accadesse tutto questo, ma ciò che voleva era tornare ai bei tempi in cui lei, Jadin, Rain, Zack e Cloud si ritrovano la mattina al bar della zona ristoro per fare colazione tutti insieme, parlare del più e del meno e stuzzicarsi con frecciatine e battute di ogni tipo. Le mancavano, più che mai, le risate dei suoi amici. E le proprie. Van non rideva da quella maledetta notte.
Jadin le diede un'ultima pacca sulla spalla, poi prese ad allontanarsi.
«Rifletti su questo, Van, e fatti una bella dormita. Voglio che tu sia pronta, nel caso in cui dovessi mandare anche te là sotto.» l'avvisò, facendo riferimento ai bassifondi, e così la congedò definitivamente.
Van si morse le labbra fino a sentire il sangue tra i denti e sotto la lingua.
Pronta... non credeva che sarebbe mai stata pronta per una cosa simile. Ma l'avrebbe fatto comunque.
 

 
   
 
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