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Autore: Demy77    26/09/2021    3 recensioni
Cornovaglia, 1783. Dopo aver combattuto per l’esercito inglese durante la guerra di indipendenza americana Ross Poldark ritorna in patria e convola a giuste nozze con il suo grande amore, la bellissima Elizabeth Chynoweth, che lo ha atteso trepidante per tre lunghi anni.
Due giovani innamorati, una vita da costruire insieme, un sogno che sembra realizzarsi: ma basterà per trovare la felicità?
In questa ff voglio provare ad immaginare come sarebbe stata la saga di Poldark se le cose fossero andate dall’inizio secondo i piani di Ross.
Avvertimento: alcuni personaggi saranno OOC rispetto alla serie tv e ai libri.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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“Siete stato molto gentile ad invitarmi a restare per cena, capitano Poldark” – disse Odgers. Il piano prestabilito con Warleggan fino a quel momento aveva funzionato: il reverendo aveva terminato con Nampara il suo tradizionale giro di benedizioni, vi era giunto quando il sole era ormai tramontato e Ross, da padrone di casa che conosceva le buone maniere, non aveva potuto esimersi da quell’invito.
Ross rispose che un vero piacere poterlo ospitare.  Aggiunse che avrebbe dovuto accontentarsi di una cena semplice, ben sapendo che le virtù culinarie di Prudie non erano eccelse. Conoscendola, in quel momento Ross immaginò che stesse bofonchiando in cucina, tormentando Jud perché le desse una mano e maledicendo il padrone per aver aggiunto un commensale senza preavviso.
Odgers rispose che non si aspettava nulla di diverso: egli non era un palato esigente, ma un modesto prelato di campagna abituato a cene molto frugali, a differenza del suo superiore, il vicario Whitworth. Appena ebbe parlato si morse la lingua, ricordando che Osborne Whitworth era un cugino della signora Poldark. Ross ignorò l’allusione come se non avesse udito, ma il reverendo disse a se stesso che doveva restare calmo e tenere a freno la lingua. Non era il caso di farsi scappare parole sconvenienti; l’uomo era molto nervoso perché sentiva di stare ingannando colui che lo aveva con tanta gentilezza invitato a fermarsi a cena. In quegli stessi momenti probabilmente George Warleggan stava parlando con la signora Elizabeth, che era rimasta fuori in cortile; Odgers sperò che vi riuscisse senza intoppi, per il bene di tutti.
Il ruolo di Odgers era stato fondamentale nell’ottenere che Elizabeth si trattenesse in cortile mentre tutti gli altri erano in casa. La tradizione voleva che il fuoco venisse spento a notte fonda, e che vi fosse sempre qualcuno della famiglia a tenerlo vivo. Il reverendo, dopo essere stato invitato a fermarsi per cena, aveva chiesto di poter discorrere con Ross di alcune questioni inerenti la parrocchia. I Poldark erano da sempre tra i suoi finanziatori; la chiesetta di Sawle e l’adiacente cimitero erano ubicati proprio su un terreno un tempo di proprietà del bisnonno paterno di Ross, donato generosamente alla Chiesa. Il reverendo e il padrone di casa si accomodarono in biblioteca, mentre Valentine giocava sul tappeto con degli animaletti di stoffa. Odgers aveva portato con sé alcuni documenti, progetti di rifacimento del tetto della chiesa, lamentandosi delle spese eccessive che erano state preventivate. Nonostante le offerte generose di tanti parrocchiani era impensabile riuscire a trovare tutta la somma in breve tempo; nell’anno precedente molte famiglie avevano chiesto aiuto economico perché non riuscivano a sfamare i loro figli, tuttavia anche la casa di Dio meritava la sua attenzione...
Ross non era insensibile né ai bisogni dei poveri né alle necessità della Chiesa, pur non essendo mai stato un fedele particolarmente devoto. Ciò che non sopportava, però, era l’atteggiamento di certi ministri di culto; non tanto il povero Odgers, che alla fine era un povero diavolo che si limitava ed eseguire ordini emanati dall’alto, ma il suo superiore, il vicario Osborne Whitworth. Era un uomo talmente vanesio e frivolo che Ross si domandava spesso per quale ragione avesse scelto di abbracciare quel ministero. Egli non faceva altro che sollecitare il popolo a fare elemosina ma era certo che, di suo, non avrebbe sborsato neanche un penny per fare la carità ad un moribondo.
Fu per tale ragione che Ross, con tono un po’ polemico, sottolineò che non si potevano pretendere offerte sempre dai soliti noti; ciascuno dei cittadini benestanti dei dintorni doveva fare la sua parte. Anche George Warleggan, per esempio, che avendo acquistato Trenwith faceva ora parte della parrocchia a tutti gli effetti.
Il reverendo sobbalzò. “Il sig. Warleggan è già tra i nostri benefattori, capitano – biascicò – proprio pochi giorni fa mi ha fatto un’offerta molto generosa…”. Ed era la verità.
Nel frattempo, Elizabeth era rimasta seduta intorno al grande falò acceso in cortile. Cullava tra le braccia una bambola di cera, ritrovata in una soffitta a Cusgarne, che aveva sostituito l’ammasso di stoffa dei primi giorni in cui si era ripresa dopo il parto. Adesso, almeno da lontano, le fattezze della sua bambina immaginaria erano più verosimili.  
George, per non destare sospetti, aveva disposto che la carrozza con cui aveva accompagnato il reverendo rimanesse lungo il sentiero che conduceva a Nampara, in una posizione che non la rendeva visibile dalla casa. Era poi disceso a piedi, aveva percorso un breve tratto e si era acquattato dietro dei cespugli. Da quella posizione aveva seguito la scena svoltasi in cortile, la benedizione del prete al cospetto di tutta la famiglia e la servitù ed infine i domestici che si recavano verso la cucina entrando dalla porta di servizio e Ross e Odgers, con il piccolo Valentine, che entravano dal portone principale diretti in biblioteca.
Aspettò qualche minuto, infine a passo deciso attraversò tutto il cortile finché Elizabeth se lo trovò davanti all’improvviso, senza avere il tempo di reagire.
“Bentrovata Elizabeth, come state?” – le disse soltanto, come se fossero due conoscenti che non si vedevano da tanto tempo.
La donna parve sorpresa, ma ebbe una reazione composta come al solito; gli rispose, con un certo sussiego, che stava bene.
“Sono così sollevato nel sentirlo– aggiunse il banchiere – mi erano giunte delle voci allarmanti sul vostro stato di salute… vi trovo invece in splendida forma, voi e la vostra bambina.” E puntò con il dito la bambola che Elizabeth teneva tra le braccia.
Elizabeth non rispose. George la fissava senza perdere un solo movimento del suo viso, cercando di coglierne le reazioni. Pareva stupita, ma non turbata. Sorrise, infine, all’indirizzo della sua bambina immaginaria.
“Ursula è la mia gioia e la mia consolazione” – disse.
“Non ne dubito. Dovreste portarla più in spesso in giro. Perché nascondere una bambina così graziosa? Ross ne sarà orgoglioso. Ci siamo visti spesso negli ultimi tempi, io e vostro marito. Abbiamo discusso di tante cose e raggiunto un accordo molto vantaggioso per entrambi”.
Elizabeth non mostrava alcun tipo di reazione: teneva lo sguardo chino verso il basso, in contemplazione della sua Ursula, facendole un mucchio di  moine e sorrisetti. Pareva quasi non fare caso alla presenza di Warleggan e alle sue parole.
George non aveva né tempo né pazienza. Quella era la sua occasione e non poteva sprecarla. Si avvicinò alla sposa di Ross e si chinò verso il suo orecchio per sussurrarle qualcosa.
“Ross sa tutto, Elizabeth. Tutto dei debiti, tutto di quello che c’è stato tra noi due, tutto della gravidanza. È per questo motivo che hai inscenato questa farsa, non è vero?”. Poiché la donna continuava ad ignorarlo, George l’afferrò per un polso e la costrinse a guardarlo; cosa che Elizabeth fece, ma sgranando gli occhi come una cerbiatta impaurita.
“Non capisco proprio di cosa state parlando, George.”
“Certo, come no! – sghignazzò l’uomo – se tuo marito è un idiota, sappi che io non mi lascio incantare dalle tue bugie. Ti sei presa gioco di me già troppo a lungo; il dado è tratto, Elizabeth, e adesso tutti capiranno chi sei veramente!”
Fu un attimo. Warleggan le strappò l’involto con la bambola dalle braccia e lo gettò nel bel mezzo del falò. Il tessuto prese fuoco all’istante , le fiamme crepitarono, mentre alti sbuffi di fumo si innalzavano verso il cielo.
“NOOOO!” – urlò la donna; rimase poi immobile, in piedi, a fissare le fiamme che avvolgevano il fagotto che poco prima aveva in braccio.
Warleggan ghignò soddisfatto, pensando che aveva avuto la prova di cui aveva bisogno. Pregustando il momento in cui avrebbe esposto Elizabeth al pubblico ludibrio la sfidò: “Allora, Elizabeth? Lasciate che la vostra bambina bruci, senza fare nulla?”
Per tutta la sua vita George non avrebbe mai più dimenticato lo sguardo che Elizabeth gli rivolse, prima di lanciarsi tra le fiamme. Protese le braccia verso l’involto ormai bruciacchiato, ma nel tentativo di afferrare la coperta che avvolgeva la bambola generò un movimento d’aria che alimentò ancora più le fiamme; il suo ricco abito si incendiò ed in breve tempo venne lei stessa avvolta dal fuoco mentre, afferrata la bambola, la teneva stretta al petto.
George osservava la scena con orrore, incapace di muovere un passo. All’inizio aveva avuto l’istinto di tendere una mano e trarre Elizabeth fuori da quell’inferno, ma le fiamme erano divampate intorno a lei con tale celerità che in un attimo era diventata una torcia umana e chiunque si fosse avvicinato al fuoco avrebbe subito la stessa sorte. Gridò il suo nome, spronandola a venire fuori; ma Elizabeth non si muoveva.
Le sue urla disperate non mancarono di allertare la gente di casa.
Il primo ad arrivare in cortile fu Ross: appena capì cosa stava succedendo si tolse la giacca ed era sul punto di gettarsi tra le fiamme per tirare fuori sua moglie, ma Jud, che gli era venuto dietro, lo trattenne facendogli notare che rischiava di ustionarsi senza ottenere alcun risultato; allora si precipitò alla pompa dell’acqua e azionò freneticamente la leva, cercando di riempire un secchio, mentre urlava a Jud di portare una coperta bagnata attingendo l’acqua dalla cucina. Odgers a sua volta si era riversato in cortile e, impallidito, chiese a Warleggan cosa fosse accaduto. Solo in quel momento Ross si accorse di George e notò che Odgers non era meravigliato nel saperlo a Nampara; ma non era il momento delle recriminazioni, la priorità era agire rapidamente per salvare Elizabeth. Intanto Prudie aveva preso Valentine e lo aveva portato con sé in cucina, cercando di allontanarlo sia da quella scena drammatica che dalle grida disperate di Elizabeth. Riempito il primo secchio, Ross lo rovesciò addosso a sua moglie, mentre Jud completò l’opera con una coperta intrisa di acqua che gettò intorno alla padrona, traendola finalmente fuori dalle fiamme. Alla fine, qualche secchio d’acqua dopo, il fuoco era stato spento, ma non era sparito l’odore di bruciato. La bambola di cera si era liquefatta, il tessuto che lo avvolgeva era in più punti incenerito così come il vestito di Elizabeth, che giaceva in terra completamente ustionata.
Odgers e George, anche per trarsi fuori da una situazione imbarazzante senza dover dare troppe spiegazioni, si precipitarono con la carrozza a chiamare il dottor Enys; ma quando questi arrivò a Nampara non poté che constatare ciò che era chiaro a tutti: Elizabeth non avrebbe potuto sopravvivere.
Alle tre del mattino successivo Elizabeth Poldark, nata Chynoweth, tra indicibili sofferenze rese l’anima al Creatore.
Due giorni dopo si celebrarono le esequie. Il corteo funebre era talmente lungo che formava un unico cordone tra la cappella ed il bivio per Sawle. Dopo la sepoltura era scoppiato un tremendo acquazzone, e tante persone si erano dileguate senza neppure il tempo di porgere le condoglianze al capitano Poldark e all’anziano signor Chynoweth, che dopo quella tragedia che aveva coinvolto la sua unica figlia pareva più stanco e curvo del solito. Ross pensò amaramente che se fosse piovuto il giorno della disgrazia Elizabeth sarebbe stata ancora viva. Dopo aver messo a disposizione del suocero una carrozza per rientrare a Cusgarne, Ross fu accompagnato a casa da Zacky Martin e sua moglie, i fratelli Daniels e dall’amico Dwight con Caroline. Si fermarono a lungo a Nampara, cercando di portare consolazione ad un’anima provata da una perdita così tragica; Ross apprezzava la loro vicinanza e l’affetto che gli dimostravano, ma sapeva che nessuna parola, per quanto profonda e sincera, poteva dargli conforto.
Rimasto solo, salì in quella che un tempo era stata la loro alcova. Prudie aveva riordinato la camera, ma la presenza di Elizabeth vi aleggiava ancora. Sulla toeletta che avevano scelto insieme prima del matrimonio campeggiavano i suoi profumi e i suoi belletti; tra le setole della spazzola, ancora qualche capello castano arrotolato. Qualcuno avrebbe poi dovuto occuparsi  di svuotare gli armadi; Ross pensò che poteva donare gli abiti di Elizabeth e le sue scarpe alla parrocchia, la stoffa era in buone condizioni e vi si potevano ricavare vestiti più sobri per le donne del villaggio.
Quante morti, in quei quattro anni. Suo padre, suo zio, suo cugino, la sua prozia, la neonata ed ora Elizabeth. Da quando era ritornato in Cornovaglia, ad ottobre 1783, nella sua famiglia non vi erano stati che lutti e sciagure.  Ross pensò che forse sarebbe stato meglio che fosse morto in battaglia, che non fosse mai tornato dalla Virginia. In quattro anni era stato capace di distruggere la vita di quella fanciulla, un tempo adorata; se solo non avesse affrettato talmente le nozze….se avesse cercato di conoscere meglio Elizabeth, prima di sposarla… se non avessero avuto un figlio così presto… se fosse stato capace di comprendere meglio i suoi bisogni… se non avesse pensato solo a se stesso… se non si fosse innamorato di Demelza… se non avesse umiliato Elizabeth quella notte a Londra… se non l’avesse spinta tra le braccia di Warleggan… se le avesse parlato con sincerità, dopo la discussione avuta con George…. Erano tanti se che ora pesavano come macigni: Ross si sentiva responsabile della sorte di Elizabeth, per non averla protetta e difesa come avrebbe dovuto, anche da Warleggan. Non gli era ancora ben chiaro se fosse stato lui a spingerla nel fuoco, se l’avesse istigata a togliersi la vita, o se si era trattato solo di una tragica fatalità; l’unica certezza era che Elizabeth era morta e, qualsiasi errore avesse commesso nel corso dell’esistenza, l’aveva scontato. Loro due invece, lui e George, accomunati da un terribile segreto che non potevano rivelare ad alcuno, erano vivi, ma condannati a coesistere per l’eternità con un dilaniante senso di colpa.

 
  
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