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Autore: Fiore di Giada    28/09/2021    0 recensioni
[Sandokan]
Ho cercato dei generatori di prompt e ne ho scelto uno per cominciare questa avventura. Mi dava otto parole da usare nella storia, ma, essendomi caduta la connessione e avendo dimenticato di annotare le suddette, ne ho usato solo quattro. Me idiota.
Comunque, è un ipotetico spaccato di vita di Yanez fanciullo, quando ancora viveva nel Portogallo. Si cerca di spiegare la ragione della sua decisione di andare per mare.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
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L’immenso velario del cielo notturno, d’un intenso blu cupo, privo di stelle, era rischiarato dalla luce della luna piena.

I raggi dell’astro notturno, delicati, velavano d’argento l’immensa tenuta dei de Gomera e le foglie delle viti e degli ulivi, sfiorate dal vento estivo, ondeggiavano, riempiendo l’aria di deboli sussurri.

Yanez, in piedi, osservava il paesaggio dalla finestra della sua camera. Un’altra giornata faticosa era conclusa.

Avrebbe dovuto riposare, ma, in quelle ore silenziose, desiderava fissare il cielo e abbandonarsi all’onda delle fantasticherie.

In quel momento, sospeso tra sogno e realtà, poteva liberarsi dalle catene di una esistenza infame.

Sono un idiota. – mormorò a sé. Non aveva senso smarrirsi in fantasie prive di senso.

La realtà sarebbe tornata a prenderlo.

Aveva solo undici anni, eppure ben conosceva la ragione della sua condizione.

Era un figlio illegittimo e, per questo, era condannato a subire le vessazioni dei due nobili e stupidi eredi del conte Antonio de Gomera.

Fernando e Adriana, nati dal suo legittimo matrimonio, consacrato da Santa Romana Chiesa, erano degni delle premure e del denaro del padrone.

Nei loro colori bruni, era riflessa la conferma di una dinastia potente, che mai si sarebbe estinta.

Con i suoi capelli biondi e i suoi occhi cerulei, lui era l’incarnazione del tradimento.

E quella deviazione dal sacro ordine doveva essere colpita.

Una risata, colma di amarezza, risuonò sulle sue labbra. Conosceva l’ordine naturale della cose, eppure non aveva potuto fare a meno di compiere una stupidaggine.

Inimicarsi i due figli del padrone!

Osare insultare le loro sacre persone!

Accennò ad un debole sorriso, mentre le lacrime bagnavano le sue guance. Quando era libero dal suo lavoro, si recava al piccolo cimitero del villaggio.

Tra quelle lapidi, così anonime, era presente la tomba di sua madre, morta due anni prima di tisi.

In quel silenzio, vibrante di racconti dimenticati, conosceva un frammento di serenità.

Quei bastardi, però, avevano conosciuto il suo segreto e avevano deciso di giocargli un tiro crudele.

Lo avevano seguito e, incuranti della sua pena di orfano, avevano cominciato a profanare la sua tomba.

Avevano versato, con crudele giocosità, il vaso con le margherite, da lui amorevolmente preparato.

Il tonfo del vaso era penetrato nella sua mente, monotono, crudele, implacabile.

La mamma non meritava un simile trattamento!

Il dolore era svanito e la rabbia era divampata nel suo piccolo e fragile corpo.

Aveva afferrato due sassi e li aveva lanciati contro Fernando e Adriana, colpendoli alla testa.

Voleva ucciderli e non gli importava nulla delle conseguenze.

Ma la sua forza di bambino era ben poca cosa rispetto alla loro e l’avevano facilmente sopraffatto.

Non si illudeva, lo avrebbero punito per quel suo atto di ribellione

Nella loro mente perversa, intossicata dal veleno della superiorità di classe e nascita, in quanto figlio illegittimo, doveva sopportare qualsiasi loro sopruso e ringraziare la loro generosità, perché gli consentivano di vivere alla tenuta.

Era poco più di uno scarafaggio, a cui si donava la vita con somma liberalità.

Ma non avrebbe supplicato la loro pietà.

Un tempo, avrebbe desiderato l’affetto dei suoi fratellastri, ma, in quel momento, essi erano per lui fonte di disgusto.

Se avesse avuto la forza, non avrebbe esitato a tagliare loro la gola.

Lo avevano legato, gli avevano strappato la maglia e la sferza, implacabile, si era abbattuta sulla sua schiena.

Pur con fatica, era riuscito a non gridare. A quei colpi crudeli di scudiscio aveva opposto il duro silenzio, pur di non sottomettersi a quei due bastardi.

Dovevano morire di vergogna davanti alla sua dignità.

La loro stupida classe sociale doveva svanire davanti alla sua forza.

Non li avrebbe fatti divertire con le sue lacrime.

Ci era riuscito, nonostante tutto.

Accennò ad un sorriso. I suoi fratellastri erano stupidi.

Con i soldi del padre, pensavano di potere comprare qualsiasi cosa, ma non riuscivano a piegare il suo spirito.

Per loro, era un piccolo ribelle e meritava di essere punito, anche senza alcuna colpa.

Lo odiavano perché osava esprimere il suo diritto ad essere rispettato, incurante delle punizioni e delle torture.

Era fiero di se stesso e della sua fermezza.

Quanti bambini ricchi avrebbero reagito con tanta veemenza ad una simile ingiustizia?

I suoi occhi, ad un tratto, si riempirono di lacrime e dolorosi singhiozzi strinsero il suo petto. Poteva essere soddisfatto, ma questo non riempiva il suo senso di oppressione.

Il vuoto dilaniava la sua anima con artigli feroci e si nutriva del suo tormento.

Gli mancava sua madre, che, nei pur ristretti limiti delle sue possibilità, lo aveva riempito d’amore e di premure.

Non le importava la sua origine e lo considerava un tesoro cullato dal mare.

Lei, abile pescatrice, era innamorata dell’acqua e gli aveva insegnato tanto.

Quando ancora era forte, non dilaniata dalla tisi, non aveva esitato a portarlo con sé e a mostrargli le tecniche di pesca.

Fissò ancora la luna e mormorò una preghiera. Quei momenti, per lui, erano sempre tristi, ma non aveva perduto la sua amata madre.

Lara Ferreira viveva in lui, perché entrambi amavano l’immensità dell’oceano, in tutte le sue sfaccettature.

Te lo prometto, mamma… Fuggirò da questo inferno e diventerò marinaio. Te lo giuro. Grazie a me, vedrai il mare. – promise, mentre il vento confondeva le sue parole con i sospiri degli alberi.


   
 
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