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Autore: flyerthanwind    28/09/2021    2 recensioni
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La vita di Sam è quanto di più normale esista: ha una gemella che la conosce meglio delle sue tasche, un fratello con cui condivide la passione per il calcio e una squadra a cui tiene più della sua media scolastica –ma questo non ditelo alla madre!
Eppure, dal giorno in cui un vecchio amico di suo padre si trasferisce in città, la situazione prende una strana piega. Innanzitutto, le motivazioni del trasferimento appaiono strane, suo padre è strano e i sentimenti sono strani. Questo perché il figlio del tipo di cui sopra ha uno strano potere attrattivo nei suoi confronti.
Ottimi presupposti per una bella dose di disagio, non vi pare?
Genere: Commedia, Romantico, Sportivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
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Il ragazzo delle scale

L'aria di fine agosto, alla sera, regalava alla città un lieve tepore in cui era piacevole trovarsi. L'ennesima giornata afosa volgeva a termine insieme a quell'estate mentre la luna splendeva rischiarando la notte, unico astro visibile nel cielo scuro a causa della grande illuminazione di quel giardino.

Era un peccato dato che amavo soffermarmi a osservare le stelle fino a farmi dolore tutti i muscoli del collo, in sostanza vivevo con il naso perennemente all’insù.

Ero stata trascinata a una serata di beneficenza dai miei genitori, i quali, in qualità di finanziatori di un’associazione benefica e del lavoro svolto da entrambi, erano stati invitati a presenziare. Stavo invidiando estremamente mia sorella Amelia, costretta in casa dall'influenza.

Se non l’avessi conosciuta abbastanza bene avrei scommesso che se l'era inventata pur di non partecipare, ma purtroppo sapevo fin troppo bene che lei adorava presenziare a quel genere di eventi.

«Questo posto è enorme» bisbigliai tra me e me mentre mi addentravo nella villa dei padroni di casa. Non mi era ben chiaro chi fossero i proprietari, anche se ero quasi del tutto certa che la mamma me li avesse presentati all'entrata, insieme a una mole di altre persone a cui avevo sorriso e annuito, senza degnarli di particolare attenzione.

Mi guardai un po' intorno, osservando meravigliata le pareti ricoperte da quadri arricchiti con cornici dorate mentre il mio cellulare vibrava nella pochette. Sorrisi leggendo il messaggio di mio fratello Lucas che annunciava di essere atterrato e che i suoi amici lo stavano portando a casa, poi mi domandava come procedesse la serata.

«Giuro che se papà non mi salva da questo strazio oggi mi mozzo le caviglie» risposi con una nota vocale mentre adocchiavo l'imponente scalinata in marmo bianco e mi ci gettavo come un naufrago che vede la terra natia dopo aver vagato anni.

E Ulisse può solo accompagnare.

L'unica cosa che non tolleravo del dover accompagnare i miei genitori era il dress code. Ovviamente agli eventi di quella portata si doveva essere eleganti, quasi fosse una gara a chi sfoggia l'abito più costoso e non a chi sgancia più quattrini per la giusta causa. I miei genitori non sono mai stati quel tipo di persone, eppure non mi risparmiavano di attenermi all'etichetta.

Non che mi dispiacesse indossare il lungo abito verde smeraldo che avevo ripescato dall'armadio: aveva sottili spalline che, partendo dalla scollatura a barca, si intrecciavano in una rete di sottili fili sulla schiena che, altrimenti, sarebbe stata completamente scoperta, scendeva attillato sul seno e poi si allargava leggermente, senza fasciarmi troppo il resto del corpo. Chiunque sarebbe stato carino con quell'abito magnifico.

Il vero problema erano quegli strumenti di tortura che mia madre si ostinava a chiamare tacchi a spillo e a cui, ovviamente, non ero riuscita a opporre resistenza. A nulla erano servite le mie lamentele e le probabili minacce che il mio allenatore le avrebbe rivolto se mi fossi infortunata.

Amelia aveva ridacchiato tutto il tempo, rannicchiata sotto le coperte, mentre la mamma alternava rimproveri a me che ero in ritardo e dovevo indossare quei cosi e occhiate cariche di preoccupazione a lei, che la rassicurava che se la sarebbe cavata per un paio d'ore e che poi sarebbe tornato Lucas ad accudirla.

«Non ti piacciono proprio i tacchi, eh?»

Una voce alle mie spalle mi fece sobbalzare e sussultai, portandomi una mano sul cuore. Ero praticamente stravaccata su quelle scale, in una posa decisamente non elegante e che non si confaceva a una signorina – come avrebbe sicuramente sottolineato mia madre se fosse stata lì.

«Scusami, non volevo spaventarti, pensavo mi avessi visto» disse un ragazzo uscendo dalla penombra mentre si accomodava su un gradino alla mia stessa altezza, mantenendo comunque la distanza.

Se ne stava lì, immobile, con la schiena tesa e lo smoking nero – probabilmente cucito su misura – che gli fasciava le gambe e le braccia come una seconda pelle a causa della sua posa rannicchiata.

«Ero sovrappensiero» confessai con una smorfia mentre lui abbozzava una risatina. Avrà avuto circa la mia età, forse qualche anno in più, ma non l'avevo mai notato agli eventi.

«Non sei di queste parti?» gli domandai, dando voce ai miei pensieri. Ero certa che i suoi riccioli d’oro e i suoi occhioni blu, che nonostante la distanza e la penombra sembravano brillare, non potessero passare inosservati.

E poi io e Amelia ci divertivamo sempre a eleggere il nostro personale Mister evento a ogni cerimonia a cui ci costringevano a presenziare, per cui era impossibile che fosse sfuggito a entrambe. Insomma, io potevo anche essere un po’ svampita e distrarmi di tanto in tanto, ma lei era un dannatissimo falco quando si trattava di bei ragazzi.

«No, mi sono appena trasferito» rispose tranquillamente, passandosi una mano tra i capelli.

Non seppi interpretare quel gesto poiché non riuscivo a osservare bene le sue espressioni; poteva essere un’abitudine, come Lucas che ogni dieci secondi sentiva la necessità di lisciarsi il ciuffo con le dita, oppure un tentativo di smorzare la tensione che, con i miei sguardi curiosi, stavo contribuendo ad aumentare. O ancora avrebbe potuto essere un modo per stemperare il disagio che provava nel trovarsi in un ambiente nuovo e ignoto con una perfetta sconosciuta.

Prima che potessi anche solo pensare di fare un'altra domanda – giusto per avere qualche informazione in più da riportare ad Amy una volta a casa –, una voce dall'ingresso spezzò quell'equilibrato silenzio in cui ci eravamo rifugiati.

«Sam, sei qui?» la voce di mia madre mi raggiunse leggermente ovattata, probabilmente stava cercando di non urlare per non far comprendere ai padroni di casa che sua figlia si era intrufolata nella loro dimora.

«Ops, adesso mia madre mi uccide» sbiancai, alzandomi immediatamente in piedi e rischiando, per quel passo falso, di perdere l'equilibrio, «Ci si vede» aggiunsi con un cenno mentre sparivo lentamente dalla sua visuale per tornare dalla mamma.

Mi sarebbe piaciuto conversare un altro po’ con lui, chiedergli da dove si era trasferito e quanto avevano intenzione di restare, ma l’idea della strigliata che mia madre non mi avrebbe risparmiato una volta a casa mi fece desistere. In fondo ci sarebbe stato tempo per fare conoscenza.

Forse.

La mamma mi aveva cercata per presentarmi alcuni vecchi amici del college – quella serata più che un evento di beneficenza sembrava un raduno degli ex alunni – così misi su il miglior sorriso del mio repertorio e mi lasciai ricoprire di complimenti scontati e strette di mano.

Se avessero conosciuto mia sorella avrebbero smesso di dirmi quanto fossi elegante, chiunque lo sarebbe stato con un abito del genere; Amelia, invece, lo sarebbe stata anche con un sacco addosso: lei aveva l'anima elegante, e il fatto che fossimo gemelle omozigote, purtroppo, non aveva fatto sì che l’avessi anche io.

Una leggera spallata di mio padre mi riscosse dai miei pensieri, si era sporto con troppo vigore per placcare un uomo alle mie spalle e mi aveva inavvertitamente urtato, facendo traballare il liquido chiaro nel mio flûte.

«Ma guarda chi si vede, Klaus Rogers!» disse all'uomo brizzolato, poggiandogli una mano sulla spalla come si fa con gli amici di vecchia data.

L'altro dapprima lo osservò stupito, poi i suoi occhi si illuminarono, come se avesse appena riconosciuto mio padre.

 «Non ci credo, George Miller» replicò infine, tirando mio padre e salutandolo con amichevoli pacche sulla schiena dopo avermi abilmente dribblata.

Dal sorriso di circostanza di mia madre e dallo sguardo confuso di quella che presumevo essere la moglie di tale Klaus Rogers, dedussi che entrambe non avevano idea di chi fosse l'altro. I due si scambiarono alcuni convenevoli, poi decisero di dar retta anche a noi e ci introdussero nella conversazione.

A quanto pare erano andati al college insieme, ma poi l'uomo brizzolato si era trasferito in un altro Stato e col tempo avevano perso i contatti. Aveva quindi sposato Meredith, la donna che ora sorrideva tranquilla al suo fianco, e avevano avuto due figli.

Normalmente mi sarei defilata da una conversazione del genere subito dopo essermi presentata, tuttavia c'era qualcosa di magnetico in quella donna; anche mia madre doveva essersene accorta a giudicare dagli sguardi adoranti che le rivolgeva. 

Non aveva un aspetto particolare: i capelli biondi erano raccolti in una crocchia ordinata e indossava un lungo abito blu notte allacciato sul collo, ma erano i suoi occhi a essere magnetici, di un blu talmente intenso da brillare nonostante l'oscurità.

La mamma conversava amabilmente con lei, affascinata dai suoi modi composti ma gentili, evidentemente la reputava diversa dalla maggior parte delle persone presenti all'evento, per le quali il gala altro non era che un modo per sfoggiare abiti firmati e auto di lusso.

Avevo sempre mal tollerato quell’ambiente, ma per amore dei miei genitori – e, soprattutto, per le giuste cause che sostenevano – avevo sempre ingoiato il rospo, cucendomi addosso un sorriso di circostanza e sfoggiando tutta la buona educazione che mi era stata impartita fin dall’infanzia.

«Ma davvero? Sam adora il calcio» chiocciò amabilmente mia madre a un certo punto, distogliendomi dalle mie elucubrazioni e guadagnandosi un'occhiataccia da parte mia; papà, intanto, mandava giù champagne nel vano tentativo di reprimere una risatina.

Dire che adoravo il calcio era piuttosto riduttivo dal momento che mi allenavo tre volte a settimana e giocavo quasi tutti i weekend in un campionato piuttosto competitivo.

«Dovremmo proprio presentarvi Austin allora» disse a quel punto Klaus Rogers, dopo aver appreso che anche mio fratello giocava nella squadra della scuola e che detenevano il titolo di primi in classifica da ben tre anni consecutivi.

«Oh, che casualità, eccolo che arriva» chiocciò Meredith tirando su un sorriso soddisfatto e voltandosi verso il ragazzo che si stava avvicinando.

Era molto alto, da quella distanza sembrava persino più alto di Lucas che superava abbondantemente il metro e ottanta; lo smoking scuro che indossava lo fasciava alla perfezione, mettendo in risalto le spalle larghe, il petto ampio e le gambe muscolose, senza tuttavia tendersi troppo a livello delle giunture. Ma solo quando fu abbastanza vicino da notare che i suoi riccioli biondi contornavano due profondi occhi blu lo riconobbi.

Era il ragazzo delle scale.

N.d'A.

Salve! Grazie a chiunque abbia letto fin qui, mi fa davvero molto piacere! Sarei ancora più contenta di sapere cosa ne pensi... magari con una recensione :D
Che ve ne pare di Sam? Spero vi ispiri simpatia ahahaha
Uscirà un nuovo capitolo ogni martedì!
A presto

Luna Freya Nives

 

   
 
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