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Autore: FreDrachen    30/09/2021    1 recensioni
Luca aveva davvero tutto nella vita. Era una promessa del calcio, popolare tra i suoi coetanei tanto da essere invitato a ogni festa, ed era oggetto di attenzione di ogni ragazza e non.
Insomma cosa si poteva volere dalla vita quando si aveva tutto?
Basta, però un semplice attimo, un incidente lo costringerà a una sedia a rotelle, e per questo sarà abbandonato dalle persone che un tempo lo frequentavano e veneravano quasi come un Dio.
Con la vita stravolta si chiude in se stesso e si rifiuterà di frequentare la scuola. Sua madre, esasperata da questa situazione, riesce a ottenere la possibilità, dalla scuola che Luca frequenta, di lezioni pomeridiane con un tutor che avrà lo scopo di fargli recuperare il programma perso.
E chi meglio di uno dell'ultimo anno come lui può riuscire nell'impresa?
Peccato che Luca sia insofferente agli intelligentoni e non sembra affatto intenzionato a cedere.
Peccato che Akira non sia affatto intenzionato ad arrendersi di fronte al suo carattere difficile.
Due ragazzi diversi ma destinati ad essere trascinati dall'effetto farfalla che avrà il potere di cambiare per sempre le loro vite.
[Storia presente anche su Wattpad, nickname FreDrachen]
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Slash
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Scolastico
Capitoli:
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Capitolo 14 parte 1



Se avessi scoperto l'inghippo penso che non ci sarei andato.

Appena sveglio il giorno dopo avevo trovato un messaggio di Akira che mi chiedeva se mi andava di vederci prima del suono della campanella per fare colazione assieme.

Inutile dire che mi aveva fatto così tanto piacere tanto che mi ero dovuto trattenere dall'esultare a voce troppo alta.

Mi ero preparato in fretta, non era proprio una passeggiata vestirmi velocemente nelle mie condizioni, tanto da lasciare esterefatta mia madre che ancora stava in cucina a fare colazione in pigiama, mio padre invece era ancora a letto dato che avrebbe comicniato a lavorare molto più tardi.

Per fortuna nessuno si era reso conto del mio momento di cedimento della sera prima, dato che prima che mia madre mi chiamasse per cena ero andato in bagno a sciacquarmi la faccia e ad attendere che gli occhi non fossero più rossi e lucidi.

La cena era stata si può dire più fredda del circolo polare artico, tanto che mentalmente mi chiesi se avremmo avuto l'invasione in casa di orsi polari e foche alla ricerca di un loro nuovo habitat.

Ero andato a letto abbastanza presto per i miei standard, prima dell'incidente mi vedevo al pc diverse partite di calcio per poter assimilare le tecniche di gioco di grandi giocatori fino a tardi, mentre ora avvertivo il sonno accumulato dalle ore che avevo perso per svegliarmi per andare a scuola.

Ma che problemi c'erano se avessimo cominciato più tardi? Io di certo sarei stato l'ultimo a lamentarmi.

Ma anche se ero andato a letto prima delle suore di clausura al risveglio ero lo stesso messo peggio di uno zombie.
Inutile dire che il messaggio da parte di Akira mi aveva risollevato la giornata.

Non appena l'ebbi accennato a mamma, lei si aprì in un sorriso. Sinceramente non capivo il motivo di tanta allegria da parte sua. Non era lei che avrebbe passato del tempo con Akira.

Sempre con quel mega sorriso stampato in faccia non si era lamentata quando le avevo chiesto di accompagnarmi, cosa che in parte capivo, perchè o mi accompagnava lei oppure avrei speso soldi per un taxi. Il teletrasporto purtorppo non l'avevano ancora inventato, per sfortuna.

Dopo il tragitto in macchina trovai Akira ad aspettarmi di fronte all'ingresso del bar, lo zaino in spalla e l'espressione persa in chissà che pensieri che tornò subito alla realtà non appena mi vide.

«Ohayō Luca-chan» disse aprendosi in un sorriso che mi lasciò un attimo bloccato al mio posto. Era davvero sempre stato così bello?

Ok, questi pensieri di primo mattino no eh!

Cercai di affrettarmi a sedermi sulla sedia a rotelle che mia madre, con l'aiuto di Akira, aveva aperto, a disagio per via di questi pensieri.

Non significavano niente, forse era quello che ogni amico avrebbe potuto pensare nei confronti di un altro a cui si é profondamente affezionato. In fondo non era da dimenticarsi che Akira era il primo vero amico che avevo. Ippolito forse lo sarebbe stato se non fosse che avevo scoperto questo suo lato borioso che aveva tenuto celato e che l'aveva trasformato ai miei occhi in un autentico estraneo.

"Si certo, sono proprio tipici pensieri da amico a amico" si inserì una vocina molesta.

"Perché no?"

"Ma ti senti quando parli? Davvero?"

"É difficile sentire quando non si parla effettivamente"

"Questi sono dettagli. Davvero credi che si facciano questo tipo di pensieri?"

"Ah no? E tu che ne sai, voce frutto della mia immaginazione?"

"Bah, che ci parlo a fare con te?"

"Come pensi di parlare con me se nemmeno esist..."

«Luca-chan» mi chiamò la voce di Akira, al che sussultai e mi accorsi  che sia mia madre che Akira mi stavano osservando.

«Tutto a posto? Stavi fissando un punto indefinito di fronte a te con sguardo assente. Qualcosa non va?»

D'istinto arrossì senza ritegno, facensomi sprofondare nell'imbarazzo completo.

Oddio, ma che cazzo di reazione era? Dovevo subito correre ai ripari, altrimenti senza dubbio avrebbe capito che qualcosa davvero era successa. E se avesse scoperto i miei reali pensieri?

«Ah...ehm...ecco io...» cominciai a dire.

"Forza Luca  pensa! Cerca una scusa plausibile, una che non ti faccia fare la figura del completo cretino e che tenga i tuoi pensieri al sicuro".

«Stavo...stavo fissando l'edera» dichiarai non appena i miei occhi si posarono sul muro tapezzato di questa pianta rampicante.

Bella mossa Luca. Perchè cazzo dovevi metterti a guardare  l'edera?

Sia Akira che mia madre mi fissarono perplessi e quasi riuscì a intravvedere i loro pensieri. Di certo pensavano che ero matto da legare. Fantastico. Ed era solo martedì.

Per fortuna la situazione si sciolse permettendomi di tornare a respirare con regolarità (ma quando cazzo avevo smesso?), quando entrambi non cercarono di approfondire quello che ai loro occhi doveva esser stato un attimo di follia. Le loro ipotesi potevano essere infinite, da tutte le botte che avevo preso cascando dagli alberi da piccolo a quella piú recente ossia l'incidente.

Non ebbi ulteriore tempo a perdermi nei miei castelli mentali, prima ne facevo ma ora sembrava che ne fossi diventato il re, che Akira salutò mia madre con tutto il rispetto possibile (a volte mi chiedevo se fosse veramente del tutto umano, non poteva essere così perfetto) seguito da uno mio frettoloso, e dopo che lei si fu allontanata in macchina lo seguì all'interno del bar. Non era tanto grande e oltre che il bancone lo spazio era maggiormente occupato da tavolini di forma rotonda o rettangolare, tutti coperti da morbide tovaglie color crema che richiamano il colore anche delle sedie imbottite. Sembrava avere una forma a L ed era per questo che appena entrati non si riusciva a vedere il fondo del locale.

Akira si avvicinò alla commessa con cui scambiò qualche parola veloce prima che questa gli porgesse un sacchetto bianco e un bicchiere contenete caffè  e dalle sue mani passarono alle mie.

«Sono riuscito a procurarti l'ultima croissant al cioccolato e già che c'ero ti ho già datto fare il caffè. Ecco...insomma spero che ti possano piacere» disse, le goti gli si tinsero debomente di rosso.

Le mie mani strinsero involontariamente un poco la presa sui due contenitori. Nessuno aveva mai pensato a un gesto simile in tutta la mia vita e seppur semplice riuscì a commuovermi. Akira era una sorpresa dietro l'altra.

«Ti ringrazio Aki» risposi, mordendomi il labbro.

Ci fissamo e fu come se tra noi si fosse creato un legame invisibile fatto tutto si molecole inpazzite in sintonia con i nostri respiri e battiti. La tempesta si stava arrendendo all'abisso. Non avevo idea di cosa stesse succedendo. Il mio corpo sembrava non voler sentire nessuno a parte quell'ancesteale connessione con Akira. Ma la vera domanda era volevo altro? Non avevo risposta e constatai che in difficoltà si trovava anche Akira.

«Ehi voi due, ci raggiungete oppure volete rimanere a fare i pali per tutta la mattinata?»

Quella voce.

Vidi il proprietario della voce alias Capelli Tinti comparire dall'angolo della L facendomi capire il motivo per cui non l'avevo notato. Se c'era lui molto probabilmente c'erano anche gli altri.

Ciò che si era creato tra me e Akira ormai si era infranto per colpa di quell'essere.

Maledizione ma che cazzo ci facevano qui pure loro? Pensavo fosse una colazione a due. Se l'avessi saputo prima...avrei architettato un modo per liberarmi del magnifico trio di Nerd che se ne stavano sempre in mezzo ai piedi.
Ah bè ormai ero qui e non avrei dato loro alcuna soddisfazione di vedermi levare le tende. Dovevano capire che non avrei rinunciato alla presenza di Akira per colpa della loro presenza ai libelli massimi di nerdaggine. Cazzo, mi sentivo come un lupo alpha che mancava il territorio.

Akira lo raggiunse lasciandomi il tempo però di stargli vicino a pochi passi, e come avevo dedotto c'erano anche gli altri due accampati attorno a un tavolo rettangolare, poggiati sopra la loro colazione e un blocco da disegno a spirale.

Timido prontamente tolse una sedia per potermi permettere di posizionarmi al tavolo e per questo lo ringraziai con un breve cenno del capo, mentre Akira prese posto accanto a Capelli Tinti che mi scoccò un sorrisetto.

«Buongiorno Luca-chan. Era ora che arrivassi».

Borbottai a mezza voce un "Vaffanculo" prima di dedicarmi alla colazione. Sbaffai in pochi secondi la croissant e infine mi dedicai alla degustazione del caffè, abbastanza dolce come mi piaceva. Ma come faceva Akira a saperlo? Non gliel'avevo mai detto. Forse era meglio non sapere.

«Stavami discutendo di una cosa prima che arrivassi» continuò Capelli Tinti incurante del mio malumore dovuto alla sua presenza. Se ne era consapevole lo stava palesemente ignorando e questo me lo fece stare ancora più sul cazzo.

«Ci stavamo chiedendo il perché non ti sei comprato delle protesi».

Quasi mi strozzai con il caffè che stavo finendo di bere.

«Cosa?» domandai abbastanza perplesso. Insomma come potevo essere oggetto dei loro discorsi, ma soprattutto perché non si facevano i cazzi loro? A parte Akira gli altri dovevano continuare a non pensare alla mia presenza.

«Insomma esistono diversi modelli di protesi che ti permetterebbero di muoverti con più facilità che con quella sedia» continuò Capelli Tinti prima di addentare un pezzo di croissant.

Incrociai le braccia al petto e mi appoggiai allo schiebale.

«Ma saranno cazzi miei?» borbottai a mezza voce assottigliando gli occhi.

«Simo-kun, non penso sia il caso di...» cercò di intervenire Akira ma lui lo interruppe.

«É una domanda lecita. Insomma, uno che voleva diventare un calciatore di serie A, uno che é abituato a muoversi che si arrende a una vita statica, scusaremi se mi sono saliti un bel po' di dubbi» si difese Capelli Tinti alzando le braccia.

Strinsi la mano sotto il tavolo e tenni lo sguardo basso, assottigliando le labbra. Lui non poteva assolutamente capire cone mi sentivo. Non poteva capire fino in fondo che per me quella era una limitazione che prima o poi mi avrebbe fatto uscire di testa. Ma non potevo fare altrimenti.

Ci avevo provato, a neppure un giorno dalle mie dimissioni dall'ospedale.  Avevo chiamato quello che mi pareva uno studio in cui venivano progettate su misura le protesi. Era stato semplice richiedere un appuntamento ma altrettanto non si sarebbe detto per il trasporto fino a quel luogo, ma per fortuna esistevano taxi.

Il giorno dell'appuntamento mi ero diretto lì e dopo aver preso tutte le misurazioni ero tornato circa una settimana dopo, erano stati piuttosto veloci, a ritirare le protesi. Erano fatte principalmente in plastica con altri componenti di metalli e materiali che non sapevo riconoscere.

Le avevo portate a casa, cullandole manco fossere il sacro Graal, per provare a mettermele. L'avevo già fatto per vedere se andavano bene ma non era la stessa cosa. Dopo che me le sarei messe sarei forse tornato più o meno a com'ero prima. Una parte di me sarebbe stata meccanica, mi sentivo quasi cone Frankenstein, ma per lo meno avrei potuto tornare a camminare, e forse addirittura ritornare a giocare a calcio.

Mi ero diretto a casa e seduto sul letto avevo estratto le protesi dalla custodia in cui erano adagiate. Ma, per mia sfortuna, poco prima che potessi farlo era entrato mio padre nella stanza, in mano la carta di credito che avevo usato per pagare anticipatamente le protesi.

Era successo tutto in una manciata di secondi. Un attimo prima avevo le protesi, un attimo dopo mio padre le teneva in mano, quella libera dalla carta di credito, e le reggeva manco fossero dei topi morti.

«Cosa significano queste?» mi aveva domandato con voce gelida tanto da mettermi i brividi.

«Sono protesi per camminare. A cosa pensi che servano?» gli avevo domandato sfacciatamente al che lui si era irrigidito.

«Non usare questo tono con me. Pensi sul serio di meritarti di tornare a camminare, di tornare a essere quasi umano?»

Quelle parole avevano un che di spregevole e cattivo.

«Sono lo stesso di prima papà. Non c'è nulla di diverso in me».

«Tu credi? Sei un uomo a metà, debole per aver ceduto a quelle schifezze e a ridurti in questo stato. Tu non meriti di tornare a camminare. La tua punizione deve essere proporzionale a quello che hai fatto. Hai disubbidito a quello che ti avevo detto, e per questo sei statoro punito da Dio, dal destino non importa. Fatto sta che se ti hanno privato di una parte di te devi rimanere così. Nessuna protesi, é già tanto se ti permettiamo l'usi della sedia a rotelle. Fosse stato per me saresti rimasto a letto e per muoverti avesti dovuto strisciare a terra come i vermi».

Mio padre non era mai stato uno che prediligeva le punizioni fisiche, usava le parole come armi. E anche in quel momento ciò che pronunciava si incideva in modo indelebile facendomi sentire debole, sporco. Maledetto.

Mia madre era arrivata in quel momento a quelle ultime parole terribili che mi avevano fatto inumidire gli occhi. L'ultima cosa che volevo era il disprezzo di mio padre.

«Alfio, non credo sia il caso di...»

«Taci. Questa é la sua punizione e deve accettarla fino in fondo». E con quelle parole con un gesto di rabbia aveva sbattuto contro il miro le due protesi. Pezzi di intoncaco si staccarono per cadere a terra ma non gli bastò. Uscì dalla stanza e d'istinto lo seguì dopo essermi seduto sulla sedia a rotelle, seguendolo assieme a mia madre fino in cucina.

Aveva appoggiato le due protesi sul tavolo e nel mentre aveva recuperato il martello che calò sulla mia ultima speranza di tornare a essere quello che volevo.

Avevo cominciato a piangere inconsciamente e lui subito se n'era accorto.

«Vedi cosa sei diventato? Una nullità debole che non merita altro che vivere una vita fatta solo di umiliazione e senso di inadeguatezza». E di nuovo con violenza colpì le protesi.

"Ti prego smettila" pensavo ma lui imperterrito continuava la sua opera di distruzione.

"Non farlo" urlava silenziosamente la mia mente ma lui era sordo o peggio. Sembrava insensibile al dolore che mi stava causando.

Continuò per un tempo che parve interminabile, nel mentre mia madre in un angolo su era unita al mio pianto silenzioso.

A opeazioe finita gettò quello che erano state delle protesi ai miei piedi.

«Fa anche solo un altro di questi scherzi e ti scordi la carta di credito. A differenza tua sono magnanimo e ti permetto di continare a vivere abbastanza dignitosamate la vita che ti rimane». Notando che avevo stretto i pugni come a volerlo strozzare mi si avvicinò.

«Ricordati che tutto questo non è altro che colpa tua».
 

Angolino autrice:

Buonsalve :3
Eccomi con la prima parte del capitolo 14 😊
Diciamo che si sono capito alcuni retroscena (tristissimi 😭😭😭) di Luca...nella seconda parte di scoprirà una cosa di un personaggio 😊🙈

Cercherò di non farvi aspettare tanto 😍
Ringrazio davvero tantissimo tutti voi che seguite la storia 😭❤️

A presto!
FreDrachen

 

   
 
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