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Autore: Lum1ya    02/10/2021    0 recensioni
Dopo qualche minuto che scorreva con il pollice la schermata del suo telefono, Will lo posò sul tavolo con il display rivolto verso il basso. Satura di vedere foto dalle vetrine delle meravigliose vite altrui sui social, decise di fare una cosa piuttosto insolita per quel periodo storico, all’alba del 2020 seduta al tavolo di un caffè-libreria: iniziare a scrivere su un taccuino.
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Attenzione: questa storia tiene conto degli eventi del fumetto solamente fino al termine dell’arco del libro di Ludmoore. Per gli eventi successivi si basa sulla fanfiction “Ritorni” di MaxT, che quindi vi consiglio di leggere prima di questa!
Genere: Fantasy, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Cedric, Cornelia Hale, Orube, Wilhelmina (Will) Vandom
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Intermezzo
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Malhék adorava i vigneti di Grendal. Erano il suo posto sicuro, dove si recava ogni volta che aveva bisogno di riflettere. Non che gli piacessero le situazioni complicate: era un ragazzotto semplice, lui. Diverso dai suoi coetanei per via della sua grossa stazza e il suo colore blu, mentre i suoi amici erano praticamente tutti verdolini, fin da piccolo si era comunque guadagnato il rispetto e persino l’affetto di tutti quelli che avevano a che fare con lui. Ogni volta che c’era un conflitto tra i suoi amici, lui riusciva a riportare il buonumore ricordando loro che i problemi nella vita sono ben altri e litigare per le ragazze era inutile. 

Eppure, c’erano giorni in cui si svegliava particolarmente malinconico e si sentiva infelice. In quei giorni avrebbe tanto desiderato parlare con il suo fratellone, oppure prendere la palla e andare fuori a giocare con lui. Ma purtroppo suo fratello non c’era più. Erano già passati  sei anni da quel giorno. 

Quando si sentiva così, andava al vigneto della famiglia Nidhàl e camminava tra i filari, finché non sbucava alla fine della loro proprietà e i filari si aprivano mostrandogli la Torre di Grendal che si stagliava all’orizzonte. I Nidhàl abitavano e coltivavano la proprietà che confinava con quella dei suoi genitori e lo conoscevano bene, quindi non si facevano problemi quando Malhék faceva due passi nei loro campi.

Quello era uno di quei giorni. Aveva già percorso quasi tutta la strada sterrata sotto il sole cocente che separava la casa della sua famiglia dalla proprietà dei Nidhàl e gli mancavano pochi passi all’inizio dei filari di vigne. Eppure, c’era qualcosa di strano nell’aria. Gli sembrò di vedere due dei filari di fronte a sé ondeggiare, come se fossero separati da lui da un sottilissimo velo d’acqua che scorreva in verticale. Si stropicciò gli occhi. Non aveva mai avuto problemi di vista e gli era già capitato di camminare in quei campi sotto il sole alto. Probabilmente era un effetto del caldo.

Malhék fece spallucce e continuò ad avanzare, pensando che avvicinandosi quello strano effetto sarebbe svanito. Effettivamente non gli sembrò più di vedere il velo d’acqua, eppure quando attraversò il punto in cui gli sembrava di averlo visto, un brivido lo percorse lungo la schiena. 

Prima di addentrarsi nel filare davanti a sé, si voltò per guardare indietro, verso il punto che aveva appena attraversato. Tutto regolare. Attorno a lui solo vasti campi di erba, dove l’unico segno dell’intervento degli abitanti era la carreggiata che aveva percorso. Era solo suggestione, forse non aveva mangiato abbastanza quel giorno. Non c’era da stupirsi: per Malhék il cibo non era mai abbastanza. 

Malhék di addentrò nel vigneto e inspirò a fondo. II profumi famigliari dell’erba e dell’uva matura lo fecero sentire subito meglio. Continuò a camminare, sfiorando con la punta delle grosse dita le foglie di vite. Un giorno sarebbe stato anche lui il proprietario di un campo, quello dei genitori, che però coltivavano praticamente tutto tranne l’uva. Ma non gli importava: anche se avesse messo un vigneto nella sua proprietà, per Malhék non sarebbe stata la stessa cosa e avrebbe sempre preferito quello della famiglia Nidhàl. 

Nel giro di quello che per lui era stato un tempo troppo breve si ritrovò quasi alla fine del filare che stava percorrendo. Chiuse gli occhi e si preparò mentalmente alla meraviglia che si sarebbe ritrovato davanti una volta emerso dallo stretto corridoio formato da due file di vigna. La Torre di Grendal, con le due grosse cupole di vetro rosso, il piazzale sempre gremito di gente che visitava il mercato… Ancora pochi passi e avrebbe potuto vederla. Era incredibile come ogni volta che raggiungeva la fine del campo si sentiva infinitamente meglio di quando vi si era addentrato. 

Tre passi, due passi, un passo e… finalmente aprì gli occhi. 

Gli si mozzò il fiato in gola quando vide ciò che lo aspettava al di là del campo.

La Torre di Grendal era là, con la forma caratteristica che ricordava, le due cupole di vetro, la torre alta e sottile, ma non era la stessa che aveva visto fino a pochi giorni prima. Era di un verde-azzurro e la piazza che la precedeva era completamente deserta. Dalla torre pendeva uno stendardo, come nella Torre che conosceva, ma anche lo stendardo non era rosso come avrebbe dovuto essere. Era blu e riportava uno stemma che ricordava di aver visto solamente quando era bambino, e del quale i genitori gli avevano spiegato il significato tanti anni prima. 

Era lo stemma di Elyon, regina di Meridian. 

Malhék era pietrificato. Che razza di scherzo era quello? Indietreggiò senza avere il coraggio di voltare le spalle a quella Torre tanto strana, finché non si ritrovò di nuovo nel filare e la vista della Torre gli fu nascosta. 

Si fermò, ansante. Cos’aveva appena visto? Una parte di lui avrebbe voluto tornare là fuori e vedere se era stato solo un miraggio, uno strano scherzo della sua mente come quello di prima di entrare nel filare. 

Si sentiva però tremare le gambe e non voleva più pensarci. Si incamminò con passo veloce verso l’inizio del campo, da dove era entrato. Ora voleva solamente andare a casa e dimenticare quell’episodio. Affrettò il passo sempre di più e raggiunse l’inizio quasi correndo. Ce l’aveva fatta, la carreggiata che l’avrebbe portato a casa iniziava ad intravedersi fra i tralci.

«Ehi, tu, ragazzone!»

Una voce femminile ferma e decisa lo fece bloccare appena prima di lasciarsi il vigneto alle spalle. Malhék credette di riconoscere quella voce, quindi si voltò verso la direzione da cui proveniva senza troppa paura. Non si sbagliava: era Vala Nidhàl, la moglie del proprietario di quel terreno, che si avvicinava a lui brandendo una zappa dal lungo manico di legno. Malhék si sforzò di sorriderle. 

«Vala, ciao, ehm… Spero di non averti disturbata! Stavo giusto tornando a casa!» disse alla donna dalla pelle verde, che era alta la metà ma larga quasi quanto lui. 

Lei lo guardò furiosa e continuò ad avanzare quasi minacciosa. «E tu come lo sai il mio nome? Sei uno di quei ladruncoli che vengono a rubarci l’uva e il pollame, eh? Ma stavolta ti ho beccato, te lo faccio vedere io chi è Vala!» gridò agitando nell’aria un indice minaccioso. 

Malhék rimase di stucco. «Ma… Sono io, Malhék!» si giustificò, non capendo. Ma le sue parole sembravano non aver alcun effetto su Vala, che ormai l’aveva raggiunto ed aveva alzato la zappa in aria come per colpirlo. Non appena realizzò cosa la donna stava per fare, Malhék indietreggiò boccheggiando. 

«Vieni qua, delinquente!» gridava lei, allungando una mano dai lunghi artigli per afferrarlo per la veste. Malhék cercò di girarsi il più in fretta possibile per correre via, ma la donna fece in tempo ad affondargli gli artigli nella carne attraverso la veste e a strappare un lembo penzolante della sua blusa, e non solo quello a giudicare dal dolore. Malhék non fece caso al dolore e iniziò a correre. Sentiva i passi della donna andargli dietro per un po’, ma poi si fermarono. 

Lui invece continuò a correre senza guardarsi più indietro. Ma che stava succedendo? Se non era Vala, chi era quella donna? O forse era lui a non essere più Malhék? 

Raggiunse di nuovo il punto in cui poco prima si era sentito strano, ma non fece caso alla presenza o meno del sottile velo ondeggiante. Lo superò correndo a perdifiato.

Un grosso boato proveniente da dietro le sue spalle lo stordì e una forte spinta sulla schiena lo fece cadere in avanti, facendogli stampare il muso blu sull’erba. 

Quando riuscì a rialzarsi sui gomiti guardò dietro, oltre la sua spalla, aspettandosi di ritrovarsi Vala a sovrastarlo pronta a piantargli la zappa sulla schiena. 

E invece no, non vide nessuno dietro di sé. Ancora steso a terra, si girò supino tenendosi sollevato sui gomiti per riuscire a vedere l’orizzonte. Il vigneto era là, come prima, ma non c’era più traccia di Vala. 

Confuso, si rimise in piedi un po’ a fatica, e iniziò a zoppicare verso casa.
 

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