Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: Rosa Marina    04/10/2021    0 recensioni
«Come ti chiami Cadetto?»
«Nanashi E-basta» rispose il ragazzo dagli occhi incredibilmente verdi semi celati dalla lunga frangia.
«Molto bene, Cadetto Nanashi E-basta, sei pronto ad offrire il tuo cuore per il popolo Eldiano e per la libertà?»
«Lo sono » rispose il ragazzo, mentre la mano stretta a pugno raggiungeva il suo cuore.
Fece un passo avanti mentre pronunciava un solenne «Shinzou wo Sasageyo»
Quel giorno soffiava una lieve brezza ed i suoi capelli corvini brillarono mossi dal vento mentre sollevava lo sguardo rivolgendolo verso il palco delle autorità.
Dei presenti, oltre ai sopravvissuti del 104mo corpo Cadetti, erano rimasti in pochi a ricordare l’aspetto di un giovane cadetto che sembrava aver fretta di morire, di nome Eren Jeager. Tra questi Rico Brzenska che rammentava chiaramente i suoi singolari occhi verdi. Ricordava distintamente anche sua sorella adottiva, (che a lei e suoi compagni non era sfuggito fosse anche la sua innamorata), una fanciulla dai tratti somatici caratteristici e serici capelli corvini, quindi, appena il Cadetto pronunciò il suo giuramento, non potè non notare l’incredibile somiglianza tra il giovane in piedi difronte a lei e il ricordo che aveva di Eren Jeager e Mikasa Ackerman
Genere: Drammatico, Guerra, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Armin Arlart, Levi Ackerman, Mikasa Ackerman, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Shingeki no Kyojin Chronicles'
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«Mhmmm… innamorati dici?»

«Si… per sposarsi bisogna essere così!» stava dicendo la giovanissima Ymir allargando le braccia e facendo spallucce ad un perplesso ragazzino senza nome che la osservava da sotto la lunga frangia corvina. Quella mattina, a scuola, avevano trattato l’argomento del matrimonio come unione fra un uomo e una donna in età del consenso, fondato sull’amore reciproco e volto ad istituire una nuova famiglia.

Quando si incontrarono in cortile per l’intervallo e i maschi più grandicelli stavano discutendo sull’argomento con certi ghignetti sul volto mentre il ragazzino che tutti chiamavano “senza nome” li guardava perplesso, la sua amica Ymir gli aveva fatto capire roteando vistosamente la mano e muovendo le labbra che nel pomeriggio sarebbe andata all’orfanotrofio ed avrebbero studiato insieme. Ora, sotto un albero mentre soffiava un leggero venticello, stavano osservando una coppia di sposi disegnata sul libro di studio che tenevano sulle ginocchia.

Frequentavano entrambi l’ultimo anno della scuola che offriva a tutti i bambini una formazione di base per crearsi un futuro nella nuova società che stava velocemente avanzando anche a Paradise Island. Al termine del quinquennio di istruzione, all’età di circa undici anni avrebbero dovuto scegliere quale strada intraprendere nel loro futuro.

Le nuove riforme avviate durante il governo della Regina Historia puntando molto sulla formazione delle future generazioni avevano istituito una scuola pubblica che aveva la durata di cinque anni. Nei primi due veniva insegnato agli studenti a leggere a scrivere e a contare, successivamente una volta appresi i rudimenti della letto scrittura e dei calcoli si passava allo studio della storia e della geografia. Grazie alle moderne conoscenze, frutto della collaborazione con i popoli del Continente, in breve tempo furono stampati libri di storia che narravano le reali vicende di Paradise Island e atlanti di Geografia che riportavano disegni sia dell’Isola che della Terraferma.

Non mancava inoltre, anzi era ritenuta fondamentale, una formazione fin dalla tenera età alla disciplina marziale. Sia gli alunni che gli insegnanti indossavano una divisa verde militare con lo stemma del nuovo impero Eldiano e in ogni locale vi era esposto un ritratto della Regina Historia in alta uniforme e con il pugno stretto sul cuore. Ogni mattina prima di cominciare le lezioni veniva eseguito l’alzabandiera nel cortile della scuola e il saluto militare al grido di «Shinzou Wo Sasageyo!» era la prima cose che veniva insegnata ai giovani studenti. Le classi erano divise in maschili e femminili anche se i programmi era identici per entrambi i sessi. Oltre alle principali materie veniva proposta agli studenti anche una formazione di base sulla struttura sociale e politica del loro paese. Anche l’educazione religiosa aveva una sua importanza seppur al momento riguardava principalmente l’antico culto delle Mura e rientrava nei programmi di storia sulle venerande tradizioni. Il nascente culto del Salvatore di Paradise Eren Jeagher, serpeggiava per lo più a livello popolare ancora in attesa di un riconoscimento legittimo da parte della Corona che tardava ad arrivare a causa delle complesse trattative con il Clero. Il nome di Eren veniva pronunciato con una certa riserva.

Al termine di questo ciclo di studi i ragazzi potevano scegliere tra diverse opzioni lavorative, i più facoltosi avevano l’opportunità di intraprendere la carriera clericale oppure di studiare alla prima Università di Paradise Island, che di lì a pochi anni sarebbe stata inaugurata e diventare giornalisti o insegnanti, altrimenti potevano seguire le orme dei genitori con attività di commercio o di artigianato, di agricoltura e allevamento del bestiame . Vi era per tutti inoltre la possibilità di entrare all’Accademia militare e servire il paese come soldati del nuovo Iimpero di Eldia.

 

Quella mattina a scuola, Ymir e il ragazzo senza nome che frequentavano entrambi l’ultimo anno del primo ciclo di istruzione, avevano affrontato il tema della famiglia come struttura sociale ed ora stavano ripassando insieme. I rispettivi maestri avevano spiegato loro che la famiglia era alla base della società e si fondava sull’unione sancita da un patto di reciproca fedeltà tra un uomo e una donna in giovane età ed in grado di procreare. All’interno di questa struttura sociale la donna che era moglie e madre aveva il compito di badare alla casa ed ai figli, mentre l’uomo che era marito e padre aveva il dovere di lavorare per garantire il sostentamento alla prole, aveva in oltre l’obbligo di dare il proprio cognome ai figli nati da questa legittima unione. Il matrimonio era indissolubile e legava i due contraenti (gli sposi) per tutta la vita. Una volta avuti dei figli diventavano genitori e formavano insieme ad essi una famiglia.

 

Per un ragazzino, cresciuto senza una madre e un padre, quell’argomento era assai curioso e per questo motivo aveva chiesto ad Ymir, che invece aveva dei genitori, di spiegargli cosa fossero.

 

«Anche io un giorno dovrò sposarmi e fare dei figli», gli stava spiegando l’amica ora più seria, «non ho alternative perché devo garantire una successione al sangue reale della mia famiglia e dare un erede al mio popolo, anche io diventerò madre e i miei figli avranno un padre».

 

«Dunque un padre è….?» le stava chiedendo il ragazzo invitandola con lo sguardo ad essere esaustiva.

«Il marito della mamma, il suo innamorato… l’amore della sua vita...» rispose lei saccente.

«Anche i miei genitori sono innamorati».

«E.. come lo sai?»

«Da certe cose...»

«Cosa?»

«Per esempio perché la mamma indossa sempre uno scialle blu, non che non ne abbia altri, ma quello in particolare le è stato regalato da mio padre quando sono nata io. Lei lo indossa sempre e quando si rompe lo rammenda con le sue mani…. Ecco… poi ci sono altre cose… si guardano sempre con certi sguardi e lei...»

 

«Capisco...» rispose distrattamente il ragazzo pensieroso, stava riflettendo sulla sciarpa rossa che “M” teneva sempre avvolta al collo e che spesso le aveva visto accarezzare con sguardo strano. Si ricordò che una volta la osservò mentre la stava cucendo in un punto dove si era strappata, in effetti era piuttosto logora e sgualcita ma non ricordò di averla mai vista senza.

 

***

«A chi apparteneva?» chiese di getto a Mikasa che come ogni settimana era andata a trovarlo, lei lo guardò con evidente espressione interrogativa.

 

«La sciarpa!» rispose lui con l’aria di chi da qualcosa per scontato.

Istintivamente Mikasa accarezzò il tessuto ruvido e caldo, guardò intensamente e a lungo il ragazzo difronte a lei, incapace di trovare le parole più giuste per rispondere.

 

«Eren...» pensò.

 

«Era l’amore della mia vita...» rispose in un sussurro, quasi stesse parlando a sé stessa «… e lo è ancora...».

Stringendo la sciarpa a sé guardò lontano. Erano passati dieci anni da quel giorno ma il suo amore per Eren non era cambiato, era sempre lo stesso, intenso ed assoluto. Il ricordo di lui continuava a riempirle la mente e non passava istante senza che vi rivolgesse il pensiero. Spesso era malinconica e a volte ancora piangeva sulla tomba del suo amato, ma non si sentiva disperata, era felice così, quando le sembrava di sentire Eren vicino a lei in un sussurro del vento o nel volo di un uccello, non avrebbe avuto senso per lei tentare di dimenticare il suo amato e cercare appagamento tra le braccia di un altro, sapeva che non sarebbe mai stata vera felicità. Era consapevole che lo stesso Eren glielo aveva chiesto, aveva capito che lui la amava e voleva solo che vivesse una lunga vita serena circondata di affetto, ma la sua risposta era sempre la stessa, adesso come allora non poteva fare quello che lui le aveva chiesto, non poteva e non voleva dimenticarlo. Eren fu, era e sarebbe sempre stato il solo e unico amore della sua vita.

«Lui… era mio padre?» la domanda del ragazzino al suo fianco la colse come un fulmine a ciel sereno. Lo guardò colpita da tanta perspicacia. Ancora una volta, per un attimo valutò la possibiltà di rivelargli ogni cosa.

Lui la scrutava attentamente, ma anche in questo caso lei non rispose se non con un’altra affermazione, che non era una assenso ma nemmeno una negazione.

«Vieni… passeggiamo, ti racconterò la storia di questa sciarpa».

 

Camminarono fianco a fianco fino a tarda sera, sedendosi di tanto in tanto quando il racconto si faceva più avvincente o drammatico.

Mikasa parlava con voce tranquilla, a volte leggermente incrinata dall’emozione. Gli narrò di come Eren la salvò da bambina e di quando la avvolse nella sua sciarpa, gli parlò della famiglia Jeager che l’aveva accolta e di come lei e Eren trascorsero l’infanzia fianco a fianco come fratelli, del sogno di Eren e di Armin di vedere il mare, dell’attacco a Shiganshina e del loro arruolamento come Cadetti.

Il ragazzino fu molto affascinato dai racconti sull’ addestramento militare e dal fatto che lei fosse il miglior cadetto dell’Accademia diplomata come prima fra i primi dieci. Mikasa gli narrò del 104mo Corpo Cadetti, dell’attacco al distretto di Trosth, della trasformazione di Eren in un gigante e della maledizione di una vita destinata a spegnersi dopo tredici anni. Gli raccontò del Corpo di Ricerca e del Capitano Levi, della custodia di Eren, del tradimento di Annie, Reiner e Berthold e della vittoria che aveva visto la regina Historia salire al trono. Gli parlò del gigante Bestia, del sacrificio di Erwin Smith e della missione oltre le mura, della chiave che Eren portava al collo.

Gli narrò del momento in cui finalmente giunsero a vedere il Mare.

Solo quando si trattò di raccontare dell’attacco a Liberio e della battaglia decisiva divenne vaga, spiegando che lei e il suo amato avevano partecipato assieme allo scontro passato alla storia come "battaglia fra Terra e Cielo". Fu evasiva sul suo ritorno in patria e non gli disse nulla degli Azumabito.

 

«É… morto durante quella battaglia?» le chiese il ragazzo con i cangianti occhi bagnati dalle lacrime per la troppa emozione che tale racconto gli aveva suscitato.

 

Mikasa annuì in silenzio mentre si stringeva nella sciarpa. Guardò intensamente suo figlio, il figlio suo e di Eren, scrutò in quegli occhi verdi fino a vederne l’anima pura, sapeva che un giorno avrebbe dovuto raccontargli tutto ma, per ora voleva lasciarlo libero, libero di scegliere da solo cosa fare della sua vita.

 

«Come si chiamava?» la sorprese il ragazzo.

Era stata attenta a non pronunciare mai il nome di Eren Jeager. Aprì la bocca come a voler articolare una “E” poi «...non ha importanza...» disse vaga, volgendo lo sguardo altrove come a fissare un punto lontano. Il ragazzo comprese che non avrebbe aggiunto altro.

 

   
 
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