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Autore: LadyG    01/09/2009    2 recensioni
Era impazzita. Ecco spiegate le bambole, e le scenate. Nei momenti in cui riacquistava la lucidità, era una donna incredibile. La sua unica sfortuna fu sposarsi. Ne conservo ancora un ricordo dolce, guastato da un leggero retrogusto amaro. Ricordi. E così fino all’età di sei anni, vissi nel mio mondo fatato. Un mondo di sola bellezza, prati fioriti, risate, Titite e di specchi incantati. Una giungla intricata di romanzi, rossetti, bambole e pianti. In cui tutta via non trovavo nulla di strano. All’epoca credevo che “C’era una volta” equivalesse a c’è qui ora. Mi sbagliavo ma me ne accorsi molto dopo. No. Non ho mai rivelato queste cose a uno psicologo, sarebbe cambiato qualcosa? Penso di no. Siamo noi a crearci il nostro destino, ma forse qualcosa è già scritto. Se non la vedo in quest’ottica, impazzisco.
Genere: Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Hinata Hyuuga
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Cristo è morto per i nostri peccati. Abbiamo la sfacciataggine di rendere vano il suo martirio non commettendone? Feiffer


C’era una volta…

Tutte le favole che leggevo iniziavano così: c’era una volta.

Solo ora mi soffermo a soppesare l’importanza di quell’imperfetto: “C’era”. Non c’è. Non ci sarà. C’era. Eppure da bambina avevo la sciocca pretesa, di immaginarmi la mia vita come una favola. Ben lungi da immaginarmi i dilemmi che ella mi avrebbe riservato, la veneravo. Incondizionatamente. La ritenevo la mia “amata immortale”. Nulla di più sciocco. Ora come ora, non posso definirmi disgustata da essa, sarei un ipocrita, ma quantomeno ne sono profondamente delusa. Ripercorrendo mentalmente ogni singolo minuto della mia esistenza, rivedo una serie di errori innumerevoli. Ho trascorso la mia infanzia in Inghilterra. I miei genitori erano ricchi, e rientravano in quella classe definita, in tempi scorsi, Elite. Forse, il loro era stato l’ultimo matrimonio combinato della storia. Non erano felici. Ma la parola “divorzio”, non rientrava nel loro vastissimo dizionario. Io e mia sorella minore, imparammo prestissimo a compensare l’assenza di nostro padre, e le stramberie di nostra madre. Tuttavia, la seconda occupò un posto parecchio rilevante nella mia vita. La ricordo bene. Era bellissima. Passava le ore davanti allo specchio dalla cornice d’argento, in camera sua. Amava più me di mia sorella. Io ero più graziosa. E quando era di buon umore, mi mandava a chiamare, e mi teneva con se nella sua stanza. Per me, così poco abituata ad avere contatti umani, quei momenti erano quanto di più dolce si potesse desiderare. Me ne vantavo per settimane con mia sorella, che all’inizio mi fissava rapita, e poi per difendersi,costruiva un delizioso e inutile broncio. Forse è in quei momenti di vana gloria, di cui tanto gioivo, che va ricercata la futura ostilità di questa nei miei confronti. Ma tornando a mia madre, dove ero rimasta? Ah, si. In quei pomeriggi, chiuse nella camera padronale, lei mi truccava e mi vestiva. Finivo sempre per rassomigliare a una bambola. I vestiti di pizzo, le labbra precocemente tinte di rosso, i grandi occhi grigi spalancati che contrastavano con le morbide trecce nere. Di bambole mamma ne aveva tante. Le curava, come una bambina, facendole cambiare i vestiti dalle domestiche. Riversava su di esse l’affetto, che avrebbe dovuto appartenere a mia sorella e me. Tutta via non me ne lamentavo. Mi piacevano quelle bambole, tutte perfette, tutte diverse pur essendo simili. Erano di porcellana, fredda e dura, con i capelli veri e le labbra dipinte a mano. A volte, se le osservavi nella penombra, le notti di luna piena, sembravano vive. Anche in quei momenti di eccezionale intimità, io e mia madre conversavamo poco. Sei bella, Hinata. Sei molto bella. Troverai un buon marito che ti amerà, perché sei bella. Per molti anni, l’idea che l’uomo potesse giudicare una donna, in base a un criterio diverso, rispetto a quello esteriore, mi parve una cosa ridicola. Mia sorella dal canto suo, si chiudeva sempre più in se stessa. Non parlava, non leggeva, non scriveva,e non dipingeva. Si rifiutò di imparare a scrivere fino all’età di sei anni, ed anche allora lo fece passivamente. Non coltivò mai nessun interesse prima dei tredici anni. Io ero diversa. Mi dedicavo anima e corpo alla bellezza, per compiacere mia madre. Mio padre mi riteneva, già all’epoca, una bambina frivola. Non me ne curavo. Lui non c’era mai. Lui non mi conosceva. Tuttavia il mondo letterario mi affascinava. Mi piacevano le favole. Quelle, che per l’appunto iniziavano con c’era una volta, e finivano con vissero felici e contenti. Mi piaceva vivere, quanto amavo stare sola. La prima cosa mi divenne sgradevole con l’età, la seconda mi riuscì sempre facile. E così, i primi sei anni della mia vita, li passai tra sogni di felicità, e frammenti d’ideali. Vedevo mio padre di tanto in tanto, e la cosa mi lasciava indifferente. Ormai abituata agli sbalzi d’umore di mia madre, consideravo le sue follie come normali. Fui cresciuta da Titite. La vecchia domestica, che aveva cresciuto anche mio padre. Era una donna pia, dai capelli argentati e le mani grandi e sgraziate. Tuttavia era gentile, si prendeva cura di me e mia sorella,come fossimo figlie sue. Quando realizzai che quello era il suo compito, ne rimasi delusa. Speravo che almeno il suo amore,fosse incondizionato, come quello che i principi nutrivano per le belle principesse. Ci crebbe con la giusta decisione, e ci incoraggio a coltivare le nostre passioni. Tuttavia,disprezzava la mia abnegazione nei confronti di un ideale di bellezza,che lei definiva”Opera di Satana, destinata a punire i giusti figli di Dio,e indurli in tentazione”. Oscillava fra una totale devozione nei confronti di mio padre, e un disdegno profondo per il suo modo di trattarci. Disapprovava che non si curasse minimamente di noi. Lui dal canto suo se ne infischiava. Hyashi Hyuuga, si definiva un uomo integro. Aveva una laurea in medicina, conquistata a pieni voti, tuttavia non esercitava. Suo padre, mio nonno, gli aveva lasciato due fabbriche gemelle da gestire, una in america e l’altra a Londra, che rendevano bene. Godeva dei benefici di un titolo nobiliare, pur vivendo in un mondo in cui stava perdendo importanza, e aveva vasti possedimenti. La casa d’oro delle miei memorie da infante, nell’Hampshire, era semplicemente la più lussuosa, che noi alternavamo con quella di Londra. Vestiva in modo distinto, ma al contempo sobrio. Non si distingueva in nulla, ma brillava in tutto. Tra un viaggio e l’altro, aveva sposato mia madre. All’epoca non conoscevo bene mio padre. Non sapevo che tipo di musica ascoltasse, ne che romanzi amasse. Neanche se gli piacesse la cioccolata. Nulla. Ne soffrivo, ma ero arrivata a considerare quella situazione normale. Sapevo che avevo i suoi occhi, e che mia sorella aveva il suoi lineamenti e gli stessi capelli. Sunako Hyuuga, mia madre, era una donna strana. Oscillava tra periodi di enormi frivolezza e dissolutezza, con altri in cui appariva estremamente calma e saggia. Perfettamente istruita, aveva una laurea in lettere, presa tra una gravidanza e l’altra. Si era sposata a diciotto anni per volontà di suo padre. I capelli scuri e gli occhi ardenti, un profilo nobile e la pelle candida. Scoprii solo molti anni dopo, che a causa di una complicazione durante il parto di mia sorella, al suo cervello era mancata per pochi istanti l’aria, e si era rovinato. Era impazzita. Ecco spiegate le bambole, e le scenate. Nei momenti in cui riacquistava la lucidità, era una donna incredibile. La sua unica sfortuna fu sposarsi. Ne conservo ancora un ricordo dolce, guastato da un leggero retrogusto amaro. Ricordi. E così fino all’età di sei anni, vissi nel mio mondo fatato. Un mondo di sola bellezza, prati fioriti, risate, Titite e di specchi incantati. Una giungla intricata di romanzi, rossetti, bambole e pianti. In cui tutta via non trovavo nulla di strano. All’epoca credevo che “C’era una volta” equivalesse a c’è qui ora. Mi sbagliavo ma me ne accorsi molto dopo. No. Non ho mai rivelato queste cose a uno psicologo, sarebbe cambiato qualcosa? Penso di no. Siamo noi a crearci il nostro destino, ma forse qualcosa è già scritto. Se non la vedo in quest’ottica, impazzisco.



Non mi chiedete come la mia povera mente bacata abbia partorito un simile incipit, ne dove voglia andare a finire. A dire la verità non so neanche se lo continuerò...è uscito di getto, e ho deciso di pubblicarlo così, quasi per gioco. Spero comunque che gradiate. LadyG


  
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