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Autore: SonounaCattivaStella    04/10/2021    0 recensioni
Con occhi sbarrati e un’espressione basita in viso, Izuku guardava il ragazzo biondo che aveva davanti in quel momento. Era da due anni o poco più che non lo vedeva e ritrovarselo lì, con la solita aria annoiata mentre Kirishima lo presentava con entusiasmo al loro gruppo di amici, lo aveva spiazzato per un lungo attimo. Mille sensazioni differenti – alcune familiari, altre totalmente sconosciute – lo colpirono in pieno lasciandolo spiazzato, facendogli fare i conti con qualcosa che credeva di aver dimenticato da tempo.
{Questa storia partecipa al Writober di Fanwriter.it}
Genere: Introspettivo, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Izuku Midoriya, Kaminari Denki, Katsuki Bakugou, Kirishima Eijirou, Shouto Todoroki
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Questa storia partecipa al Writober di Fanwriter.it

» Prompt: Eccedentesiast (chi nasconde il dolore dietro il sorriso)
» Lista: pumpBLANK
» Fandom: Boku no Hero Academia
» Rating: Verde

 

 

 

Con occhi sbarrati e un’espressione basita in viso, Izuku guardava il ragazzo biondo che aveva davanti in quel momento. Era da due anni o poco più che non lo vedeva e ritrovarselo lì, con la solita aria annoiata mentre Kirishima lo presentava con entusiasmo al loro gruppo di amici, lo aveva spiazzato per un lungo attimo.

«Ragazzi, vi presento Bakugou Katsuki. È un mio amico, facciamo palestra insieme e ho pensato di portarlo con me, stasera. Per voi non è un problema, vero?» Disse in ragazzo dai capelli rossi mettendo un braccio attorno alle spalle dell’altro che gli rifilò una gomitata per levarselo di dosso.

«Figurati! Gli amici tuoi sono amici nostri!» Rispose Kaminari con tono allegro, dando delle sonore pacche sulle spalle dei due ragazzi – cosa che gli fece guadagnare un’occhiata truce da parte di Bakugou.

Midoriya li osservò in silenzio, notando come l’altro non fosse affatto cambiato, in quegli anni: certo, fisicamente mostrava un aspetto maturo, ma era sempre il solito testardo, scorbutico e orgoglioso Kacchan. Un lieve sorriso malinconico affiorò sulle labbra del ragazzo dai capelli verdi quando lo vide tirare un pugno sulla spalla di Denki; sorriso che si spense in un attimo quando incrociò le sue iridi rosse. Mille sensazioni differenti – alcune familiari, altre totalmente sconosciute – lo colpirono in pieno lasciandolo spiazzato, facendogli fare i conti con qualcosa che credeva di aver dimenticato da tempo. In un baleno, si scoprì essere felice nel rivedere il suo Kacchan, quello con cui era cresciuto, con cui aveva condiviso gran parte della sua infanzia, quello per cui aveva provato un tipo di amore diverso da tutti gli altri. Ma poi la malinconia si fece strada in lui con prepotenza, seguita dal rimorso per come erano andate le cose tra di loro e dalla consapevolezza di essere, di fronte ai suoi occhi, solo uno sconosciuto da guardare con indifferenza. Ed era solo colpa sua se lo aveva perso, due anni prima. Sua e di uno stupido gioco di gruppo.

Se solo non avesse accettato di giocare a “Obbligo o verità?”, quel giorno. Se solo non avesse scelto di fare un obbligo. Se solo si fosse fermato a pensare, prima di alzarsi dalla sedia per andare di fronte a Kacchan e baciarlo sulle labbra.

«Dai un bacio alla persona che ti piace.»

Il suo vecchio compagno di classe non aveva specificato dove dovesse dare quel fatidico bacio; e il cervello di Izuku aveva recepito il messaggio con un secondo di ritardo rispetto al suo cuore, senza dargli il tempo di processarlo nel modo corretto. La parte irrazionale aveva preso il sopravvento e l’aveva fatto muovere di impulso, dando così un senso a quei sentimenti che avevano preso a crescere in lui, a mutare, e ai quali non era riuscito a dare una spiegazione fino a quando non aveva sentito le labbra di Kacchan contro le sue: lo amava, e non nel modo in cui si ama un fratello o un amico.

Inutile dire che Bakugou l’aveva spinto via con forza, facendolo cadere rovinosamente per terra, e l’aveva guardato incredulo prima di urlargli contro degli insulti e voltargli le spalle. Da quel momento, il loro rapporto si ruppe senza poter dare modo a Izuku di spiegarsi, di riaggiustare le cose. Il biondo aveva deciso di non volerne più sapere di quello che era stato il suo amico di infanzia, optando per quella che per lui era la soluzione più facile per allontanarlo: aveva iniziato a trattarlo male, a chiamarlo Deku, a ferirlo sia mentalmente che fisicamente, fino ad arrivare a trattarlo come se non fosse più niente, una nullità, un estraneo. E più di ogni botta presa, più di ogni insulto, era proprio quell’indifferenza a ferirlo. Era stata colpa sua se l’unica persona che avesse mai amato l’aveva tagliato fuori dalla propria vita, proprio come si strappa via un foglio scarabocchiato e inutilizzabile da un quaderno.

Il dolore si fece nuovamente strada dentro di lui mentre vedeva Kacchan voltare lo sguardo per puntarlo su Kirishima e seguire ciò che stava dicendo, con interesse. La consapevolezza che le cose erano rimaste immutate, in quei due anni, e che non sarebbero cambiate perché l’altro non aveva alcuna intenzione di dargli un’opportunità lo colpì violentemente, mozzandogli il respiro. E faceva male vederlo sorridere con i suoi nuovi amici; faceva male perché, un tempo, era con lui che condivideva quegli attimi felici, era con lui che rideva e parlava. Faceva male perché non era lui la causa di tutto ciò, perché aveva capito da tempo che Kacchan era stato in grado di stare bene senza di lui, mentre lui aveva dovuto combattere con i suoi stessi sentimenti. Aveva dovuto mettere da parte il dolore per non fare preoccupare sua madre che l’aveva visto scivolare in uno stato di sconforto dal quale rischiava di non risalire più, l’aveva nascosto magistralmente dietro sorrisi forzati e mentendo per il bene degli altri.

«Midoriya, c’è qualcosa che non va?»

Izuku mise a fuoco il viso di Todoroki che lo guardava con evidente preoccupazione. Non sapeva bene cosa avesse spinto l’amico a porgli quella domanda; forse aveva ben stampato in viso proprio quel dolore che era tornato a tormentarlo e che aveva, per un attimo, dimenticato come celare agli occhi di chi lo circondava.

«No, non è niente. Sto bene.» Rispose a Shoto mettendo su il migliore dei sorrisi, mentendo ancora una volta a sé stesso e a chi dimostrava di tenerci a lui.

Andava bene così.
 

N° Parole: 910

   
 
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