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Autore: Little Firestar84    05/10/2021    5 recensioni
[AU]Tredici mesi, una settimana, due giorni e una manciata di ore da quando lei era uscita dalla Hall dell’albergo dove avrebbero dovuto unirsi in matrimonio. 402 giorni. 9650 ore. 579.000 minuti. Quasi trentacinque milioni di secondi.
A tutti diceva che avevano fatto bene a lasciarsi, ma in realtà dentro si sentiva cascare il mondo addosso. A volte, era come morire.

Amici, colleghi, amanti: Ryo e Kaori sono stati tante cose, dal giorno in cui si sono incontrati. Ma dopo una lunga lontananza ed essersi spezzati il cuore a vicenda, sapranno riscoprirsi e ritrovarsi?
Genere: Azione, Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Hideyuki Makimura, Kaori Makimura, Ryo Saeba, Saeko Nogami
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: City Hunter
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“Servizio in camera!” Ryo sbraitò mentre se ne stava un po’ nascosto contro il muro, aspettando che la sua preda se ne uscisse fuori. Dall’altra parte della camera d’albergo, Maki, che con la macchina fotografica in mano aspettava che il loro pollo aprisse.
Ryo squadrò l’amico: era decisamente strano. Teso, denti stretti, le dita serrate intorno all’apparecchio fotografico, ed un’espressione sì seria, ma quasi distaccata. Rabbiosa. La cosa puzzava, ma Ryo sapeva che le cose erano, in realtà, molto più semplici di quanto il buon Makimura non le volesse far apparire: se stava agendo così era principalmente per ripicca, perché lui e Saeko avevano avuto un’altra delle loro solite litigate.
Ryo aveva ormai perso il conto delle volte che era successo, nel corso degli anni: almeno due o tre volte l’anno da quando erano tutti e tre insieme in Accademia. Litigavano per qualcosa (principalmente per ragioni familiari), stavano qualche settimana imbronciati, comportandosi con professionale distacco, oppure da semplici amici, poi cedevano e tornavano insieme.
Ma stavolta sembrava diverso: Maki era piuttosto distaccato e seccato con Saeko, lei sembrava alternare momenti di rattristato rammarico a malcelata indignazione, quindi non solo non avevano ancora fatto pace, ma sembrava che stavolta le cose fossero messe peggio del solito, come indicato dal fatto che quell’idea malsana non fosse, per una volta, partita da Ryo…
“Ryo, senti… ti andrebbe di arrotondare un po’?” Maki gli chiese, a bassa voce, facendo attenzione che nessuno intorno a loro li ascoltasse.
Ryo alzò un sopracciglio, chiedendosi se fosse una trappola: che Maki lo volesse mettere alla prova? Lui, serio e ligio, non aveva mai contemplato di fare dei lavoretti per arrotondare, e anzi, tutte le volte che Ryo aveva anche solo avanzato tale ipotesi, si era beccato un sermone morale sull’onore, e la sacralità del loro lavoro che avrebbe fatto addormentare chiunque, e che aveva fatto venire il dubbio a Ryo che fosse il buon Makimura a scrivere i discorsi al loro capo…
“Dove sta l’inghippo?”
“Nessun trucco, niente inganno.” Maki sbuffò, alzando gli occhi al cielo. “Un amico avvocato mi ha chiesto di consegnare un mandato di comparizione, e mi serve qualcuno che mi fotografi mentre lo faccio. Tutto qui. Dodicimila yen ciascuno per cinque minuti del nostro tempo. Allora, ci stai o no? ”
 “Ma io non ho chiesto il servizio in camera!” Un uomo sibilò, aprendo la porta con un colpo secco, con tale forza che la fece quasi sbattere contro il muro. Ryo gli Sbattè, quasi letteralmente, il mandato sotto il naso, e si posizionò di fianco all’ometto, un tizio comune, forse sui sessant’anni, come ce n’erano tanti. Ryo lo squadrò velocemente, facendo fatica a credere che potesse essere un delinquente: sembrava più che tutto un cretino un po’ sciocco. “Cosa volete!?”
“Signor Suzuki Ado, c’è un mandato di comparizione per lei!” Ryo sghignazzò, mentre Maki scattava due istantanee con la vecchia Polaroid. “Su, sorrida!” 
Rapido, mentre l’ometto aveva in mano il mandato, Hide scattò re foto; gettò una copia in mano ad Ado, mentre mise in tasca le altre due. Ado guardava il mandato, la foto, e Ryo e Maki, ma dalla sua bocca non usciva un singola suono: tuttavia, aveva preso a sudare, ed una singola goccia gli era scesa dalla fronte fino al labbro.
“A… aspettate…. Io… io non… c’è un errore... per favore…”
Ma ormai era troppo tardi: i due uomini se n’erano già andati.
“Sai, avevi proprio ragione… i soldi più facili che abbiamo mai fatto!” Ryo sghignazzò, mentre apriva la portiera della Mini. Mentre però stava per salire, si irrigidì, e fermò l’amico con un gesto brusco, gettandolo a terra; Ryo si nascose dietro al veicolo, pistola in pugno, certo di cosa aveva sentito, il rumore di una sicura disinnescata, e di un proiettile che andava in canna, pronto per essere sparato…
Un colpo. Due. Tre… andò avanti, ancora e ancora e ancora, un intero caricatore svuotato, poi un altro ed un altro ancora: chiunque fosse, non stava certamente scherzando. L’echeggiare degli spari mandò nel panico la gente, che correva alla rinfusa, urlando, cecando riparo da qualcosa che non riuscivano né a vedere né a percepire. Ryo e Maki si guardavano intorno, ma non capivano da dove provenissero gli spari: dalla hall? No. Il giardino, il parcheggio, la piscina? Nemmeno…
Cosa stava accadendo?
E poi, un tonfo, e schegge di vetro e vernice rossa volarono nell’aria intorno a loro, mentre un corpo sanguinante si accasciava sul tettuccio del veicolo. Cessata la sparatoria, Ryo si alzò, e controllò rapido, cercando per prima cosa il polso, ma nulla: non c’era battito, e gli occhi, vitrei, erano spalancati, eppure ormai privi di vita, nonostante rimanesse da vedere cosa lo avesse ucciso, se gli spari oppure la caduta.
Poco importava, comunque: Suzuki Ado giaceva privo di vita sul tettuccio della macchina di Ryo.
 
            In piedi di fianco all’auto storica, l’affascinante medico legale Kazue stava segnando i parametri della vittima, mentre lanciava occhiate curiose a Ryo e Maki, che Saeko, in versione impassibile, stava letteralmente bruciando vivi: il suo sguardo di fuoco non sembrava lasciare loro scampo, la pietà, in quel momento, non era nelle sue corde.
“Giusto per capire, cosa diavolo ci facevate voi due insieme a Suzuki Ado, a meno di una settimana dall’ultima udienza del suo processo?” sibilò la bella poliziotta. Aria marziale, sembrava voler indirizzare le sue ire principalmente su Maki, che rispondeva nel medesimo modo: sguardo tagliente  e lingua aguzza. Ryo fece un mezzo passo all’indietro, nella speranza di divincolarsi e sparire, certo che, presi da quelle loro baruffe romantiche, i due non se ne sarebbero nemmeno resi conto, ma nel momento in cui Saeko gli ringhiò contro come un mastino, nonostante il soprannome di Pantera, si fermò all’istante, decidendo che, tutto sommato, rischiare la sorte non gli sarebbe dispiaciuto.
“Processo? Che processo?” Ryo Sbattè le ciglia, grattandosi il capo come un ragazzino ingenuo, facendo finta di cadere dalle nubi; si portò un dito al mento, come per meglio concentrarsi, ma di nuovo lei lo gelò all’istante, facendolo sentire in colpa per aver finto di non essere a conoscenza di quella vitale informazione, quel tassello di cui tutto il dipartimento parlava. “Ah, sì, Suzuki Ado, era quello che ha rubato i fondi della sua ditta…”
“Fondi???” Saeko sbottò, battendo una scarpa col tacco sul pavimento incatramato del posteggio. “Quell’uomo ha svuotato i conti della sua azienda, rubato il fondo pensione integrativo, il TFR, non ha mai pagato un solo centesimo di cassa pensione…” Saeko sbuffò, abbassando moscia il capo, già immaginandosi le ore di straordinario e i fogli che avrebbe dovuto compilare per togliere quei due dai guai. La cosa che più la preoccupava, però, era sapere che stavolta Maki sembrava esserci dentro fino al collo, e peggio, le sembrava di aver inteso che era stato il suo “ex” a scatenare quel putiferio, e la cosa…
La addolorava. La preoccupava.
Maki era sempre stato quello con la testa sulle spalle; tra lui e Ryo, era il secondo il combina guaì, quello che era un miracolo se era ancora vivo, ed in servizio- e tutto per merito di Makimura, ma dall’ultima volta che si erano lasciati, per l’ennesima volta, sembrava che qualcosa si fosse rotto nel suo caro amico ed ex amante: era come se Hideyuki si fosse sentito vecchio, stanco, stufo ed arrabbiato, tutto insieme, all’improvviso.
La donna lanciò un’occhiata triste e compassionevole al suo (ex) uomo, che distolse lo sguardo, quasi volesse addossare a lei delle colpe; decisa e determinata, Saeko si voltò verso Kaori, che stava parlando con Reika e con Kazue.
“Reika, Ado aveva moglie e figlia, notifica il decesso. Kaori, molti degli ex dipendenti della ditta di Ado gli avevano fatto causa presso il tribunale civile. Controlla che nessuno di loro abbia precedenti per reati contro la persona, e dopo che Reika ha fatto la notifica, vedi di scoprire se la nostra vittima avesse ricevuto minacce.”
Kaori emise un flebile gemito di disperazione: aveva seguito il caso attraverso la stampa, e ricordava che si parlava di 700 soggetti che avevano fatto causa… quindi, minimo 700 sospettati. Non sarebbe mai tornata a casa, altro che passare la serata con il suo fidanzato ad organizzare il matrimonio!
E la colpa era, ancora una volta, di un casino combinato da Ryo in cui, come al solito, era stato trascinato anche Hide… Sembrava quasi che quei due complottassero per impedirle di arrivare all’altare, e la cosa iniziava a non divertirla più, nemmeno un po’.
Kaori diede loro le spalle, allontanandosi con Reika digrignando i denti e mugugnando parole intellegibili nel maggiore dei casi, e nel restante parole che non potevano essere riportate, e che mai e poi avrebbero dovuto lasciare le labbra di una vera signora.
“E adesso veniamo a noi…” Saeko sbuffò, una volta che le colleghe si erano allontanate; prese da parte i due uomini, sistemandosi con loro in una zona d’ombra, tranquilla, dove difficilmente sarebbero stati disturbati, e alzò gli occhi al cielo sospirando. “Cosa stavate facendo qui?”
“Beh, ecco…” Ryo iniziò a balbettare, alla disperata ricerca delle parole, di una scusa che non gli avrebbe fatto passare troppi guai. Stranamente, però, Maki, diversamente dal suo solito, prese l’iniziativa, e sporse al capo la fotografia che vedeva Ryo in posa con mandato e Ado.
“Arrotondiamo lo stipendio. “ Si limitò a rispondere, senza mai distogliere lo sguardo dalla donna, fuoco nel fuoco. “Serviva qualcuno che consegnasse un mandato per conto di uno degli avvocati della parte civile e io mi sono offerto. E comunque, un giorno potrei decidere di fare l’investigatore privato a tempo pieno, questa sarebbe una solida base da cui partire.”
“Solo alcuni dei più alti membri delle forze dell’ordine sapevano che Ado era rintanato qui,” Saeko disse a voce bassa, lentamente, distogliendo lo sguardo dall’uomo che ancora amava, cercando di non far trasparire il duro colpo che le sue parole le avevano inferto, e decise di cambiare discorso. “Come l’avete trovato?”
“Informatori, Saeko…non è poi così difficile se sai a chi chiedere…. E poi Ado era noto. Non era certo il tipo che passava inosservato.” Maki le rispose, sistemandosi con una nonchalance che era lungi dal provare gli occhiali. “Qualcuno deve averlo riconosciuto e deve aver sparso la voce in giro. Quindi puoi stare tranquilla, non siamo stati noi a far ammazzare Ado, né abbiamo utilizzato risorse ufficiali per rintracciarlo.”
“Beh, ci sarebbe mancato solo quello, già siete nei casini così…” Kazue intervenne, raggiungendoli con passo deciso. Aveva in viso la sua solita espressione determinata, quella da donna che non permetteva a fatti privati di inferire sulla sua ferrea etica lavorativa. Con cipiglio deciso, sollevò una pinzetta, simile a quelle delle sopracciglia, e mostrò agli agenti quello che appariva essere un baffo posticcio dello stesso colore di quello di Ado. “Ha anche un parrucchino e lenti a contatto.”
“Cosa?” Saeko sbattè le ciglia, guardò il baffo, poi si avvicinò al cadavere per studiarlo attentamente, infine gettò un’occhiata alla foto che Maki le aveva dato; lei stessa aveva lavorato alla sicurezza di Ado, quindi sapeva che doveva trattarsi di lui… eppure… eppure, era così: nonostante l’incredibile somiglianza, non si trattava del loro uomo, ma di qualcun altro… e senza quei travestimenti, la cosa era ben chiara.
Ryo chinò il capo, abbattuto, affranto, avvertendo la delusione montargli dentro: nemmeno questa l’aveva fatta giusta, era riuscito a fare un casino anche per una cosa semplicissima. 
 
            “Allora, le forze dell’ordine hanno accompagnato Ado in Hotel appena uscito dal tribunale, quindi abbiamo la certezza che era lui in quel momento. “ Reika spiegò, seduta alla scrivania nella grande sala che accoglieva la loro unità. “Le telecamere di sorveglianza ci dicono che c’era qualcuno di somigliante a Ado ieri pomeriggio sul balcone, ma è difficile capire se fosse lui o l’attorucolo…”
“E di lui, cosa sappiamo?” Saeko domandò, a braccia incrociate, voltandosi verso Kaori; Ryo e Maki erano in un angolo, ad ascoltare senza la possibilità di parlare, sentendosi colpevole e vergognandosi l’uno, indisponente e cocciuto l’altro.
“Kudo Senso, di anni cinquantasei. Attore e truffatore a tempo perso.” Kaori appese alla lavagna un'istantanea, presa forse da internet, o un ingrandimento della carta di identità; l’uomo che vi era ritratto era simile ad Ado, decisamente somigliante nei lineamenti, ed era evidente come, con qualche espediente, fosse  potuto passare per lui: era bastato che cambiasse colore degli occhi e dei capelli, ed aggiungesse un paio di baffi. “Le pallottole che lo hanno ucciso sono compatibili con quelle di una Glock 17, non ho trovato riscontri nel database… non mi meraviglierei se qualche americano della base navale l’avesse venduta denunciandone lo smarrimento, conscio che sarebbe apparso solo nel registro statunitense e non nel nostro.”
“La vera domanda è, chi era la vittima, lui o Ado?” Ryo intervenne scendendo dalla scrivania su cui era seduto e raggiungendo la lavagna.
“Cosa vuoi dire?” Saeko gli domandò, alzando un sopracciglio, non con tono rancoroso e dubitevole, ma aperto e disponibile- fiera dell’apporto alle indagini dei suoi uomini.
“Beh, se Ado era l’obbiettivo, abbiamo quasi mille sospetti tra cui indagare, ma se l'obiettivo fosse stato Senso…” Ryo fece un sorrisetto. “Potrebbe benissimo essere stato Ado ad ucciderlo, per far sparire le sue tracce, far credere a tutti di essere morto e godersi i soldi.”
“Quindi in questo caso qualcosa potrebbe essere andato storto…” Maki si massaggiò il mento. Sembrava leggermente più rilassato, quasi più dolce, ma c’era qualcosa in lui che indicava quanto ancora si sentisse fuori luogo, non fosse a suo agio, anche se nemmeno chi lo conosceva bene era in grado di dire se fosse una questione di lavoro… o di cuore. “Forse la nostra presenza lo ha agitato? Probabilmente aveva in mente di fare qualcosa per cui avremmo pensato che si trattasse di Ado senza tuttavia usare DNA o le impronte dentali… o forse voleva soltanto guadagnare tempo. L’assassinio di questo tizio distoglie l’attenzione dal suo caso e lui ne approfitta per lasciare il paese e scappare in qualche nazione senza estradizione, magari un paradiso fiscale, facendo fessi tutti quanti.”
“Io intanto ho fatto venire l’avvocato che aveva contattato i nostri e la vedova e la figlia...” Reika aggiunse con un sorrisetto, indicando i due uomini con fare malizioso. “Ho fatto andare in sala interrogatori uno lui mentre le signore sono nella due…. ci pensiamo noi due insieme, sorellina, a farli cantare?”
“No,” Saeko le rispose, volgendosi verso il corridoio. “Ci pensiamo Hideyuki ed io a parlare con l’avvocato, voglio proprio sentire cosa ci dirà… le due signore, invece, lasciamole stare ancora un po’ lì da sole, voglio che si sentano nervose e sotto pressione, se sanno qualcosa potrebbero anche tradirsi!.”
Mani in tasca dei pantaloni di tessuto scuro, Hide la seguì, senza tuttavia proferire parola; i due entrarono nella stanza con il falso, enorme specchio, dove li attendeva l’avvocato, una vecchia conoscenza di Maki e Ryo; non proprio un amico, ma un tizio che bazzicava i loro stessi posti, e con cui avevano stretto una specie di legame cameristico: Mamoko Rensuke.
“Mamoko…” Maki lo chiamò, sedendosi davanti a lui al tavolo, sistemandosi gli occhiali. “Vorremmo chiacchierare con te del signor Ado…”
“Di Ado? E di cosa vorresti parlare? Sono rovinato!” L’uomo piagnucolò, mettendosi le mani nei capelli ingrigiti e crespi; aveva un’aria trasandata, che sembrava gridare che fosse solo un avvocato da quattro soldi, di quelli che finivano spesso e volentieri per perdere le cause e prenderle dai clienti. Maki ricordava che Ryo una volta gli aveva parlato di tipi del genere, dicendo che lavoravano raccogliendo i dolori delle disgrazie altrui: a Ryo gli avvocati non erano mai piaciuti, ma quel tipo di avvocati, ancora di meno, era solito dire di loro che rincorrevano le ambulanze alla ricerca di feriti e morti... “Proprio adesso che stavamo vedendo la luce alla fine del tunnel!”
“Mi dica, potrebbe fornire un alibi per ieri sera? Diciamo...le nove?” Saeko gli domandò; si era seduta davanti a lui, composta ed elegante nel suo abito color pervinca. Aveva un’aria quasi angelica, rassicurante, studiata per mettere a suo agio le persone che le stavano intorno, specie chi desiderava interrogare.
“Beh, ero dove sono tutte le sere alle nove…” L’uomo sospirò, grattandosi il capo. “Alla mia scrivania, stavo studiando il caso. L’avvocato di Ado aveva presentato tutta una serie di mozioni e volevo capire come  rispondere…”
“Capisco…” la donna giunse le mani, guardando davanti a sé. “E mi dica, da grande conoscitore del caso… ha idea di chi potrebbe aver voluto uccidere Ado?”
“Ha l’elenco telefonico delle prefettura di Tokyo?” le domandò ridendo, incrociando le braccia. “Persino sua moglie e sua figlia gli stavano facendo causa!”
I due alzarono contemporaneamente un sopracciglio, guardandomi negli occhi, la loro intesa chiara. Saeko si alzò, e andò nella stanza accanto, preferendo però come secondo Ryo; uomo dall’indubbio fascino, sapeva far andare in tilt i cervelli delle donne più sagge e mature, e sarebbe potuto essere utile per destabilizzare le donne.
“Signore, sono Saeko Nogami, dirigo questa unità, e questo è uno dei detective incaricati del caso, Ryo Saeba…” Ryo, conscio del gioco dell’amica, si sedette sul tavolo, gambe che ciondolavano, guardando in viso le due donne: era lampante che la signora Ado non fosse la prima moglie, perché le due dovevano essere coetanee; ma dove la figlia del ladro era semplice, la sua vedova era un concentrato di silicone e firme.
“Piacere di Conoscerla, io sono Ana Ado, la quarta moglie di Suzu, questa invece è nostra figlia, Keiko.”
“Io non sono tua figlia, Ana, dannazione, brutta oca, andavamo a scuola insieme!” Keiko alzò gli occhi al cielo, e dopo la sfuriata sospirò. “Io sono nata dal primo matrimonio di mio padre, e prima che me lo chiediate voi, mia madre vive in America, non torna in Giappone da anni ormai. Dove siano le moglie numero due e tre, non chiedetemelo, non sono solita stare dietro alle donne di quel grosso dongiovanni da strapazzo!”
“E mi dica, signora Ado…” Ryo le domandò, chino verso la consorte dell’uomo, cercando di manipolarla con il suo fascino, la voce suadente, bassa. Ado non era certo sexy, ed c’era da scommetterci che una come Ana amasse più il suo portafogli che lui: facilmente la fatalona se la faceva con qualcuno di aitante (e scroccone) alle spalle del marito, e questo la rendeva facilmente manipolabile con un bel viso e qualche moina – ed in questo, Ryo era perfetto. “Quando ha visto suo marito l’ultima volta?”
“Tre giorni fa...abbiamo avuto un bruttissimo litigio, io, io gli ho detto che alla sua salute potevo pensare io, e che non ci serviva più un personal trainer… e lui se n’è andato sbattendo la porta… io… io ho sentito dentro di me che stavolta non sarebbe stata come le altre e che pucci-pucci non sarebbe tornato da me, ma… ma non pensavo sarebbe morto…. Che non lo avrei rivisto mai più…”
Dopo aver proferito queste parole, la donna scoppiò in un pianto isterico; le lacrime le lasciavano gli occhi chiari, e prese a soffiare rumorosamente il naso con un delicato fazzoletto di sangallo bianco che aveva nella minuscola borsetta; Keiko, invece, alzò gli occhi al cielo, borbottando.
“Chiedo scusa, ma invece di ascoltare questa lagna potremmo parlare di cose serie? Come il certificato di morte di mio padre? Devo sistemare le questioni dell’eredità, preparare il suo funerale, tutto quanto!”
Il telefono di Ryo squillò, e l’uomo si allontanò discretamente per rispondere; in un angolo della sala interrogatori, appoggiato con la schiena contro il muro, il volto girato verso la bella vedova che lo stava mangiando con gli occhi, rispose a monosillabi, prima di uscire senza dire nulla… e soprattutto, senza dare spiegazioni al suo capo.
 
            “Sai Ryo, mi ricordavo che quando eravamo all’accademia tu mi facevi il filo… ma non credevo che saresti arrivato al punto di invitarmi in albergo!”
Nella struttura fatiscente, un love hotel per coppie clandestine, Ryo aprì la porta al capo, spalancandola, e le fece segno di entrare; in piedi in un angolo, la schiena contro il muro, un vecchietto dall’aria dimessa, probabilmente uno dei barboni di cui Ryo si serviva come informatori, stava stropicciando un vecchio cappello di stoffa che aveva visto giorni migliori, mentre seduto sul letto c’era Ado.
“Vedo che Maki aveva ragione sui tuoi informatori..” la donna gli disse, con una risata secca e rapida, prima di incedere come una letale pantera nel minuscolo locale, verso l’uomo che tutti credevano morto; si mise davanti a lui, mani ai fianchi, decisa e determinata. “Signor Ado, ho delle domande per lei.”
“Io non rispondo a nulla” L’uomo rispose, secco. “Io non sono un criminale! Io sono vittima di un errore finanziario! Prendetevela col mio commercialista!”
“Beh, certo, lei dice di essere vittima di un errore, ma secondo me…” Ryo fece schioccare la lingua contro il palato; mani in tasca, scostò leggermente il tessuto della giacca lasciando che si intravedesse la fondina, facendolo apparire quasi come un gesto svogliato o non voluto. “Lei ha ucciso quell’attore. Cos’è, sperava che ce ne saremmo accorti quando lei era già ai Caraibi?”
“Caracas,” L’uomo grugnì, sollevando gli occhi al cielo, quasi fosse esasperato. “Volevo scappare in Venezuela con la mia amante.”
“La sua amante?!” Saeko si stupì, mentre Ryo scoppiò a ridere. “Cosa se ne fa di un’amante che ha una moglie che avrà vent’anni?”
“Trentuno,” Lui rispose piccato, quasi lei lo avesse offeso, sentendosi indignato e colpito nella sua virilità. “Mia moglie ha trentun anni, mentre la mia amante ventidue… Ana aveva insistito tanto per assumerla, sa, era un’atleta della nazionale Olimpica Venezuelana di Ginnastica artistica!”
“Signor Ado!” Saeko sibilò a denti stretti, sbattendo i piedi e chiudendo i pugni. Incombeva su di lui come un minaccia, creatura di puro terrore e rabbia che sentiva il bisogno di sfogarsi su qualcuno… preferibilmente maschio, dato che era un maschio che le stava mandando messaggi contrastanti e la stava facendo andare su tutte le furie. “Le do due minuti d’orologio per convincermi che la vera vittima di questo crimine doveva essere lei… perciò smetta di dire fesserie e mi dica subito chi poteva volerla morta!”
“Mia moglie che era incazzata che mi ero fatto l’amante, mia figlia che era incazzata che mi facevo una sua ex compagna di scuola e una più giovane di lei e che ero ritenuto un criminale, le mie tre ex mogli, tutti gli oltre settecento tizi che mi hanno fatto causa, i loro avvocati, i loro amici e le loro famiglie, tutti quelli che ci avevano rimesso ma non mi hanno fatto causa perché non se lo potevano permettere, il mio allibratore a cui dovevo dei soldi, dei tizi poco raccomandabili della Yakuza che non volevano ridarmi i soldi che gli avevo prestato… mezzo Giappone, in pratica.”
“Saeko cara, credo che potrebbe essere arrivato il momento di far tornare in vita il nostro signor Ado, anche perché inizio a pensare che forse abbiamo guardato a questa cosa nel modo sbagliato, e che lui potrebbe effettivamente essere innocente…” Ryo si voltò verso di lei, sorridendole sornione prima di volgere lo sguardo verso l’uomo; rideva, il sorriso malevolo, ma stranamente e crudelmente soddisfatto. “Ed intanto signor Ado lei è in arresto per sostituzione di persona e compravendita di documenti contraffatti, e chissà che non riusciamo a far aggiungere anche qualcosa d’altro, eh? Ih, ih, ih!”
 
            Nella sala interrogatori uno, la “vedova” Ado, la figlia di quest'ultimo e Rensuke era seduti l’uno accanto all’altro; tesi, si scambiavano occhiate furtive, certi che nessuno se ne accorgesse; Saeko li guardava con un sopracciglio alzato, mentre Ryo se la stava ridendo sotto i baffi. Era seduto a cavallo di una sedia, le braccia incrociate sul tavolo di ferro, e si stava godendo con malcelata soddisfazione quello spettacolo un po’ grottesco, ed un po’ penoso.
“Allora…. siamo a conoscenza che lei sapeva dove si trovava suo marito….” Ryo disse alla signora Ado, prima di voltarsi verso l’avvocato, indicandolo con l’indice destro. “E un uccellino mi ha detto che lei ha una Glock, non registrata, dello stesso calibro di quella usata per uccidere la nostra vittima…. e per quello che riguarda te, bella signorina, sulla tua macchina abbiamo trovato tracce di sangue della vittima… io direi che dopo che la signorina Ado è venuta da lei per parlare della causa vi siete messi tutti d’accordo, ognuno fornendo un pezzo del piano… peccato che non sapevate che Ado avesse scritturato quell’attore per fingere di essere lui e guadagnare tempo.. che lui morisse non aveva faceva parte del piano originale, vero? Era ad Ado che voi puntavate!”
“Sì, però non abbiamo ucciso mio marito...quello era un attore!” La procace Ana rispose con voce melliflua, sbattendo le ciglia e mettendo il petto in fuori, un gesto che fece grugnire la figliastra che sbattè la borsetta sul tavolo con un tonfo deciso: voleva solo andarsene, a quel punto, anche le manette erano meglio di starsene con quella sciocca oca.
“Sì,  noi non abbiamo mai avuto intenzione di uccidere l’altro uomo,” L’avvocato rispose, tronfio e sicuro di sé; fu il turno di Ryo di guardare sconcertato i tre occupanti di quel tavolo: non era solo la moglie, tutti e tre erano senza cervello; forse, a salvarsi, era solo la figlia di Ado, che sembrava sconcertata lei stesa dalla stupidità di chi le stava intorno.
“Guardi che non conta, se pianifica un omicidio e uccide la persona sbagliata, sempre omicidio è!”
“Ah, davvero?” L’avvocato sbatté le palpebre, incredulo, mentre le donne si mordicchiavano l’una un’unghia, l’altra alzava gli occhi al cielo. “Ehm… ne siete sicuri?”
“Rensuke, ma davvero hai studiato diritto?” Ryo gli domandò, e l’uomo abbassò il capo, mormorando le parole Università on-line dei Caraibi Orientali a mezza voce, probabilmente vergognandosi, quasi certamente a ragione. Ryo prese un sospiro, alzando gli occhi al cielo, le mani incrociate dietro alla nuca. “Allora… direi che qui abbiamo due delle tre ragioni per cui si uccide un uomo… gelosia, denaro e vendetta… o ci sono tutte e tre?”
Squadrò le tre persone: sì, era così. Doveva esserlo per forza.
La moglie aveva ucciso per gelosia, perché lui la stava lasciando per un modello più recente.
La figlia, per vendetta: il padre aveva abbandonato la madre, che ora viveva in povertà e rifiutava di incontrare la figlia, troppo orgogliosa.
L’avvocato aveva ucciso per denaro, perché convinto che così sarebbe stato più facile ottenere i soldi per i suoi clienti.
“Siete tutti in arresto…” Saeko sospirò, sistemandosi con un gesto una ciocca di capelli prima di lasciare la stanza; ringraziando tutti i suoi uomini, andò nel suo ufficio, avvolto nelle tenebre, e fu sorpresa di trovarvi Maki seduto sul divano. Al buio, guardava fuori dalla finestra, bevendo una birra dalla bottiglia – cosa insolita per lui.
Sussultando, la poliziotta accese una luce, e  si voltò verso di lui, raggiungendolo con passi lenti e cadenzati. “Maki! Cosa ci fai qui? Credevo fossimo rimasti solo più Ryo ed io…”
“Volevo chiederti scusa…” le disse con voce bassa. Si alzò, andando a posare la bottiglia sulla scrivania della donna, e si tolse gli occhiali. Appoggiato al tavolo, guardava Saeko, con aria triste, parendo molto più vecchio dei suoi effettivi anni. “Non mi sono comportato bene con te ultimamente. Ho lasciato che i miei sentimenti personali oscurassero la mia ragione e mi sono… sono stato scorretto. Con gli altri, ma soprattutto con te. Non… non sono stato professionale. Un buon poliziotto.”
“Maki, no!” La donna gli disse, correndogli incontro. Si gettò nelle sue braccia, battendo delicata i pugni sulla camicia dell’uomo: piangeva, mentre lo faceva. “Sono io che ho sbagliato. Tu… avevi ragione. Hai ragione. Avrei dovuto essere onesta con tutti...con mio padre, tutta la mia famiglia, e… e con te, soprattutto. Ti criticavo tanto perché da giovani mettevi Kaori prima di noi, e adesso che invece mi volevi mettere davanti a tutto il resto, sono io che ti ho delusa.”
“No, Saeko, non dire così…” le poggiò le mani sulla spalle, delicato, mentre con il dorso della mano la donna si cancellava le lacrime. “Io ti avevo chiesto tempo allora, avrei dovuto darlo a te adesso… solo che… ero stufo di aspettare, e venire sempre per secondo. Per una volta, volevo essere al primo posto per te.”
“Non è stato solo questo. Quando te ne sei uscito con la storia che mio padre non fosse un buon poliziotto e fosse stato messo al suo posto solo perché è un po’… un po’ manipolabile, ecco, io mi sono arrabbiata, credevo che parlassi a sproposito. Ma… ma Yuka mi ha detto cosa è successo, cosa tu e Ryo avete fatto per lui, e forse…” la donna scoppiò in una timida risata che le arrossì le gote, nascondendo la cosa dietro le dita delicate di una mano. “Forse tutti i torti non li hai!”
Hideyuki arrossì anche lui, un po’ in imbarazzo, e si grattò il collo. Allentò il nodo della cravatta, iniziando a boccheggiare, quasi fosse alla ricerca delle parole giuste da usare, ma la compagna di tanti anni scosse il capo, fermandolo: toccava a lei questa discussione.
“Maki lasciami finire, per favore!” La donna lo pregò; posò i palmi sulle mani dell’uomo, e tra le lacrime gli sorrise, guardandolo dritto in quegli occhi profondi. “Maki, ormai non siamo più due ragazzini, e credo che abbiamo sprecato fin troppo tempo. Quindi.. ecco… ciò che voglio dirti è…” si morse le labbra, quasi alla ricerca delle parole giuste. Hideyuki le strinse le dita, e le sorrise, facendole un cenno col capo, dandole il permesso, e l’incoraggiamento, per andare avanti. “Hideyuki, mi vuoi sposare?”
Con un sorriso radioso, lui si chinò a baciarla: Saeko non aveva bisogno di ulteriori risposte, quel gesto, e come lo aveva fatto, parlava per lui più di tanti discorsi, quel dolce, lento bacio languido esprimeva tutto ciò che entrambi nutrivano l’uno per l’altra, e che finalmente erano pronti a mostrare al mondo intero.
Era giunto per entrambi il momento di smettere di scappare, e di vivere appieno il loro amore.
 
Quando Kaori arrivò al Cat’s Eye Cafè, dopo che Hide l’aveva chiamata per darle la notizia che lui e la compagna avevano deciso di fare finalmente il grande passo,  vide che amici e colleghi erano quasi tutti a circondare la coppietta innamorata che, leggermente imbarazzata, si tenevano ora per mano, ora si stringevano l’un l’altra, scambiandosi dolci sguardi carichi d’amore. Saeko sembrava perfino più serena – più umana, vera, qualcuno avrebbe potuto dire. I capelli erano meno impeccabili del solito, c’era qualche piega nella camicetta immacolata, e si permetteva di apparire quasi stanca.
Kaori lanciò un sorriso alla donna che presto o tardi sarebbe divenuta sua cognata: finalmente, Saeko si permetteva di apparire per chi voleva essere veramente, una donna comune, come le altre. Una donna innamorata.
Tuttavia, una cosa stupiva Kaori: Ryo, la cui Mini era parcheggiata in bella vista davanti al locale,  non era con Hide e Saeko. Certo, lui era, come noto, allergico ai matrimoni, ma possibile che avesse rinunciato all’opportunità di bere a sbafo?  Prese a guardarsi intorno, finché, in un angolo oscuro, rintanato da solo ad un tavolo in fondo al locale, non lo vide; stava sorseggiando un liquido da un bicchiere – che tipo di superalcolico fosse, Kaori non lo sapeva dire con certezza - e aveva davanti a sé parecchi bicchieri vuoti e una bottiglia trasparente sul cui fondo rimaneva ben poco.
Scuotendo leggermente il capo, Kaori si fece forza e lo raggiunse; sapeva bene quanto Ryo fosse sempre stato restio tanto a chiedere aiuto quanto ad accettarlo, ma lei era sempre stata caparbia e testarda, e non aveva mai accettato un no come risposta - e non aveva la benché minima intenzione di farlo adesso.
“Ehi, cretino, dammi le chiavi della macchina!” esordì senza troppi preamboli, le mani ai fianchi, col tono da maestrina. Ryo si limitò a sbuffare, e guardare altrove, nella speranza che Kaori sparisse o smettesse di prestargli attenzione. “Andiamo, Ryo, dammi le chiavi, sei più sbronzo di una spugna, non puoi andare a casa in questo stato!”
“Guarda che un taxi me lo so chiamare pure io, sai! Non c’è mica bisogno di essere sobrio, per quello… e poi, peggiore dei casi, lo fa Umi per me!” biascicò lui, seccato, voltandosi così velocemente verso la sua ex che avvertì un leggero capogiro e le vertebre scricchiolare. “E poi, cosa ti impicci sempre? Mica stiamo più insieme, no? Valla a fare al tuo fidanzatino la morale… oppure lui è così perfetto che non ha mai alzato il gomito una sola volta da quando state insieme, eh? Scommetto che mister perfezione bionda è pure astemio!”
Kaori sollevò un sopracciglio: ed ecco che Ryo iniziava a sputare sentenze, e dire cosa veramente pensava, mostrare i suoi reali sentimenti. Era sempre stata una sua caratteristica: se Kaori aveva la sbornia allegra, lui aveva quella triste – ma soprattutto onesta.
“Non sarò più la tua ragazza, ma sono sempre tu amica, Ryo - e tua collega.” Gli rispose con un sorriso che era sì dolce, ma aveva un qualcosa di malinconico. Gli mise le mani intorno ad uno dei bicipiti d’acciaio, e lo strattonò, cercando di sollevarlo a forza. “Dai, ti accompagno a prendere un po’ d’aria fresca e nel frattempo aspettiamo un taxi insieme, va bene?”
Controvoglia, l’uomo accettò, perché, nonostante il penoso stato in cui si trovava, sapeva che Kaori non avrebbe desistito fino a che non avesse ottenuto quello che voleva; uscirono dal locale, con lei che salutò gli amici e mandò un bacio al fratello- e Saeko che, imbarazzandola, le faceva l’occhiolino- sorreggendo con il suo solo apparentemente fragile corpo Ryo. Si allontanarono di qualche metro dall’entrata, alla ricerca di maggiore tranquillità, e si appoggiarono entrambi con la schiena contro una parete di solidi mattoni rossi, fingendo di non rubarsi occhiate piene di significato, le loro menti avvolte dai ricordi di tutte le volte che lei o Maki lo avevano raccattato in strada, troppo sbronzo per tornarsene a casa sui suoi piedi.
“Tutto bene?” Gli domandò lei, titubante, dopo un silenzio che era parso quasi interminabile. Ryo aveva il capo rivolto verso l’alto, la brezza della sera che gli accarezzava il viso, che gli scompigliava i già ribelli capelli, e accennò un sorriso di assenso, mugugnando qualcosa. Poi, si voltò verso di lei, e lentamente la guardò, studiandola con un’espressione di meraviglia quasi la stesse vedendo per la prima volta. Si scostò dalla parte e, con le mani nelle tasche dei jeans, si mise davanti a Kaori, cercando i suoi occhi.
“Sai a cosa sto pensando?” Le domandò, e lei, arrossendo, fece cenno di no col capo – una reazione che fece divenire ancora più grande il sorriso di Ryo, che aveva la netta impressione che la stessa cosa stesse passando per le loro menti. “Alla prima volta che ci siamo baciati… anzi… alla prima volta che tu mi hai baciato.”
“Guarda che non ci posso fare niente se hai litigato con Hide. Lo sai che lui è più cocciuto di te!” Kaori, vestita nella sua divisa scolastica, nelle mani la cartella di cuoio marrone, camminava per la stradina del parco cittadino, mentre le foglie, i cui colori andavano dal giallo al rosso più acceso, volavano nel vento come quasi in una favola. Ryo era andato ad attenderla fuori scuola, nella speranza di cavarle qualche informazione su cosa avesse reso così suscettibile Hideyuki, con cui aveva avuto un litigio che era quasi scaturito in una rissa vera e propria, ma la diciassettenne ne sapeva quanto lui. “E comunque, tendo a credere che sia colpa tua se avete litigato!”
“Ma come sei simpatica!” Ryo sbuffò. Ridendo, Kaori fece uno scatto per superare quell’uomo che le appariva quasi come un gigante, nel suo oltre metro e novanta, ma non vide, nel terreno, una radice che spuntava… si inciampò, e perdendo l’equilibrio cadde Ryo che, colto alla sprovvista, rovinò a terra, con Kaori sopra di lui, e le labbra della ragazza a sfiorare, seppur involontariamente, le sue…
“Non l’avevo fatto apposta…” lei gli rispose, volgendo il capo di lato e mordendosi il labbro. “Mi ero inciampata!”
Un braccio appoggiato al muro, a fianco dei ricci rossi, con un sorriso luminoso Ryo si chinò su di lei, per assaporare ancora una volta quelle labbra, certo che Kaori avrebbe ricambiato il bacio- che nel profondo lo amasse ancora, non avesse mai smesso.
Lei dischiuse le labbra con un gemito, accettando quel sensuale attacco, nella sua mente ricordava ogni bacio, ogni carezza, tutti i bei momenti passati con Ryo… le risate, gli abbracci, com’era bello stare insieme, felici, spensierati, giovani… e poi, ricordò anche altro, il resto.
Per quanto fosse sempre stato tenero a volte, appassionato altre, dedito sempre, soprattutto tra le lenzuola, non le aveva mai detto di amarla.
Non era stato in grado di dire quel sì alle loro nozze.
Non l’aveva fermata quando era partita.
E ora, lei portava al dito l’anello di un altro, che pesava come un’incudine sulla sua mano, bruciava come un marchio a fuoco vivo.
“Sei ubriaco, Ryo, è l’alcool che parla…” Kaori appoggiò i palmi sul petto virile, e spinse con quanta forza aveva in corpo, allontanandolo da sé. Sentiva montare dentro di sé una profonda rabbia feroce, anche se non era certa contro chi fosse indirizzata: Ryo, se stessa, Shinji, la vita, il destino…. “Ryo, è troppo tardi adesso… Io sto con un altro! Sono fidanzata, sto per sposarmi!”
“Non potrà mai essere troppo tardi per noi, Kaori, e poi… poi, i fidanzamenti possono rompersi!” le rispose sibillino, ma lei scosse il capo. Si mordeva le labbra, rattristata, delusa, non sapeva se da lui o se dal fatto che, nonostante tutto, una parte di lei desiderava ardentemente cedere a Ryo e alle sue avances. Lo desiderava ancora, nonostante ricordasse le concenti delusioni più volte provate nel corso della loro altalenante relazione. “E poi… poi, lo so perché volevi vendere l’anello, sai? Avevi paura di essere tentata di rimettertelo al dito… e che avresti finito per non toglierlo più…hai paura di voler tornare da me,  perché lo sai che siamo fatti l’uno per l’altra!”
“Questo lo dici tu!” La donna lo attaccò, sentendosi punta nel profondo, colta in fallo. “E sentiamo, per cosa dovrei lasciare Shinji? Per farci una scopata in nome dei vecchi tempi?” Gli rispose, con voce sibilante, le lacrime che le bruciavano gli occhi, pronta a dirgli finalmente tutto quello che in quei mesi, in quell’ultimo anno, si era così disperatamente tenuta dentro per non mandare a monte tutto- per poterlo avere almeno ancora come amico e collega, e per non rovinare il rapporto di Ryo e Hide. “Ryo, io voglio farmi una famiglia, essere madre…. e tu? Tutte le volte che parlavamo di matrimonio o famiglia cambiavi discorso, dicevi vedremo… l’unico motivo per cui mi hai chiesto di sposarti è perché era quello che ti dicevano tutti di fare! Giuro,  a volte sembrava che tu volessi solo qualcuna da portarti  a letto e che ti tenesse a posto la casa!”
“Ma… ma non è vero, Kaori, adesso non esagerare!” Provò a difendersi lui – tuttavia, senza troppa convinzione: Ryo, dopotutto, sapeva che  alcune  delle cose che Kaori stava dicendo erano vere.
“Ryo, prima che venissi da te casa tua era un porcile con tutti scatolini chiusi in giro, nonostante tu vivessi in quell’appartamento da anni, e quando ti chiedevo di dare una mano, tu avevi sempre qualcosa da fare in giro, e sparivi! Io mi arrabbiavo ma ti preparavo cena lo stesso, tu tornavi mezzo ubriaco dai tuoi giri, ti mangiavi la cena scaldata poi tornavi dalla cretina che ti aveva aspettata sveglia a letto, mi facevi due moine, e io come una scema credevo a tutte le panzane che mi dicevi!” Gli sibilò contro, con una voce sì arrabbiata, ma stranamente controllata: sembrava quasi che si stesse, finalmente, liberando di un peso.
“E a parte che se mi volevi tanto indietro avresti potuto benissimo prenderti la briga di aprire quella tua dannata boccaccia quando ti ho lasciato, o quando sono partita, o mentre ero via, ma invece no, il signorino lo fa adesso…” Kaori continuò, parlando con tale velocità che Ryo, anche avesse voluto, non sarebbe riuscito a fermarla. “Lo sai cosa succede, se adesso accetto di venire con te, lo sai, eh, eh? Te lo dico io! Che torneremo insieme, ma tutte le volte che io proverò a intavolare il discorso nozze o figli tu svicolerai, e tra dieci anni io sarò ancora lì a tavola ad aspettarti che te ne torni dai tuoi giri, incazzata e sola come un cane, mentre tu scorrazzerai in giro per locali con i tuoi amichetti, facendo il cretino con tutte con la scusa del lavoro!”
“Non è vero!” Controbatté l’uomo, mettendo tanta rabbia quanto lei nelle sue parole, anche un po’ indispettito. “Lo sai che tengo a te e a tuo fratello più della mia stessa vita! Tra noi non potrebbe mai essere solo sesso… né ti tratterei come una cameriera!”
“Credi che non lo sappia che ci vuoi bene? Questo non è mai stato in dubbio!” Le parole di Kaori le uscivano come fuoco dalle labbra, una dopo l’altra, senza controllo, censure, filtri, pura onestà. “Ma io non voglio qualcuno che mi voglia solo bene, io voglio qualcuno che mi ami, che metta sempre e solo me al primo posto, che sia disposto a fare delle rinunce per me… e tu non sei in grado di farlo! La colpa non è tua… sono io che… che mi ero illusa di poterti cambiare!”
“Posso farlo!” Sbraitò lui, dando un pugno nel muro. “Voglio farlo!”
“Non è vero, Ryo, sei solo geloso e ferito e orgoglioso, tutto qui.” Gli accarezzò la guancia, con le lacrime agli occhi, lasciando poi un delicato bacio nel punto su cui aveva depositato quella carezza, delicata e leggera come una piuma. “Ma tu non mi vuoi nel modo in cui io ti voglio. Non nel modo in cui mi vuole Shinji. Non avrei mai dovuto cercare di cambiarti…premere per il matrimonio... te l’ho già detto, ho sbagliato… e mi spiace. E sono ancora più dispiaciuta se ti ho fatto credere che ci potesse ancora essere qualcosa tra di noi. Che le cose potessero tornare come prima.”
Senza aggiungere altro, si allontanò, stringendosi forte nelle sue esili braccia,  lasciando Ryo solo con i suoi rimpianti.
   
 
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