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Autore: aki_penn    05/10/2021    4 recensioni
Hinata era come un raggio di sole.
Uno di quelli che riflettono sulle superfici lucide e ti si piantano fastidiosamente negli occhi, ti si tatuano sulle cornee e continui a vederli anche quando sono spariti.
Genere: Fluff, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Shouyou Hinata, Tobio Kageyama
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
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Non avevo intenzione di scrivere questa cosa, perché ho iniziato parecchie fic un po’ più corpose, ma Spotify mi ha proposto una canzone che mi ha fatto venire in mente i KageHina e ho dovuto assolutamente buttare giù questa cosa senza capo né coda.
Contando che mi sono incasinata i suggerimenti di YouTube guardando video in cui la gente si faceva la barba e una serie di ricette in portoghese (adesso la mia Home è un florilegio di novità sui migliori rasoi), spero che ne sia valsa la pena e che questa storia sia almeno un po’ piacevole da leggere. :D
 
Feels like summer
 
Hinata era come un raggio di sole.
Uno di quelli che riflettono sulle superfici lucide e ti si piantano fastidiosamente negli occhi, ti si tatuano sulle cornee e continui a vederli anche quando sono spariti.
Uno di quelli contro i quali anche gli occhiali da sole non possono niente e devi distogliere lo sguardo perché sono insopportabili.
Era come se si portasse dietro l’estate e ti costringesse a sudare insieme a lui finché non si allontanava.
Di quei raggi di sole insopportabili se ne ricordava uno in particolare, a Rio, l’unica volta che lui e Hinata si erano visti durante la sua permanenza in Brasile per le Olimpiadi. Tra le pertite e i turni di lavoro di Shouyou era stato un miracolo riuscire a vedersi almeno quel pomeriggio.
Hinata l’aveva portato in un posticino un po’ squallido della zona residenziale dove viveva, abbastanza lontano dell’hotel di lusso dove alloggiava Tobio e dal tipo di posti che avrebbe frequentato come turista.
Si era seduto sulla sua sedia, con lo schienale di fili in plastica e i piedini arrugginiti, e aveva continuato a muoversi come un tarantolato, cercando un punto dove il sole non lo colpisse direttamente in faccia.
Hinata sembrava divertirsi un mondo nel vedere la sua insofferenza e rideva rumorosamente a ogni suo nuovo tentativo di proteggersi dal sole.
Il posto non era un granché da vedere, l’arredamento pareva stato comprato negli anni ’60 e mai più toccato. Il lato del frigo era scrostato e Kageyama poteva vedere un rampicante di ruggine salire fino alla sommità.
Il sudore gli colava sulla fronte da sotto il cappello e gli inumidiva la maglietta. Anche Hinata era sudato, in faccia, sulle braccia, ma era come se fosse semplicemente diventato più luminoso.
In quel posto misero però aveva assaggiato le migliori croquetes de camarão che avesse mangiato in tutta la sua permanenza in Brasile. Alla fine erano diventate il suo piatto preferito, anche se non era mai riuscito a pronunciare bene il nome.
“Sono la cosa che preferisco cucinare.”
“Tu non sai cucinare neanche un uovo sodo!”
“Non sono io quello che ha dato fuoco alla cucina per sbaglio.”
“Io non ho dato fuoco alla…”
“Non mi prendere in giro. Me l’ha raccontato Yamaguchi!”
Hinata sembrava conoscere tutti in quel posto, era sempre il solito Hinata. Nessuna novità. Mentre Tobio era sempre il solito Tobio, non avrebbe fatto amicizia con nessuno nemmeno se avesse conosciuto il portoghese. E comunque non lo conosceva.
Hinata aveva un sorriso accecante e Kageyama aveva sentito una stretta allo stomaco quando l’aveva rivisto dopo tutto quel tempo, quasi fastidiosa come il raggio di sole che l’aveva importunato mentre mangiava le croquetes de camarão.
Era incredibile come riuscisse sempre a farlo sudare, che stessero sfidando la congestione nelle acque del mare che bagnava la spiaggia di Rio, dopo un’abbuffata di crocchette di gamberi e churrasco, o in videochiamata da un continente all’altro.
A Rio de Janeiro erano le otto e mezza del mattino e il sole batteva contro le piastrelle bianche del bagno dietro a Hinata, che aveva appoggiato il cellulare allo specchio e chiacchierava mentre si faceva la barba.
“… e poi questo tipo ha fatto un servizio spettacolare. Avrebbe fatto tremare le ginocchia pure a te!”
“Ma figurati se mi tremano le ginocchia!”
Per guardare lo schermo a volte doveva stringere gli occhi, quel riflesso di luce contro la ceramica lo innervosiva come se si fosse trovato lì accanto a lui a sudare, mentre Hinata si tirava la pelle della tempia e si faceva scendere il rasoio sulla guancia portando via la schiuma.
A Kageyama la barba quasi non cresceva, ma sudava come se ci fossero stati i trenta gradi del gennaio brasiliano invece che i due gradi di Tokyo, mentre correva nel parco di Ueno alle otto e mezza di sera.
“Ah, e comunque torno a casa!”
Le budella di Tobio si erano strette in un nodo indistricabile.
D’un tratto gli sembrò di avere di nuovo quindici anni, sentendosi esattamente come quando si era reso conto che Hinata batteva tutto quello che lui gli mandava senza fare domande. Quando aveva pensato che sarebbe sempre stato lì per lui.
E poi non era stato davvero così, se n’era andato dall’altra parte del mondo, ma adesso stava tornando.
Si strinse nel cappotto, mentre attraversava le strisce pedonali che l’avrebbero portato davanti alle porte scorrevoli dell’entrata dell’aeroporto di Narita.
Faceva un freddo cane, il respiro gli si condensava davanti alla faccia e aveva le labbra screpolate. Il riscaldamento dell’aeroporto gli diede un po’ di sollievo, ma aveva ancora le mani gelate.
Il cuore gli stava battendo all’impazzata, pompando non si sapeva quale sangue dato che continuava a non sentirsi le dita dei piedi.
Il cartellone degli arrivi diceva che il volo che stava aspettando era atterrato venticinque minuti prima.
Strinse le labbra e si mise a fissare le porte automatiche che si aprivano subito dopo la sala per il recupero dei bagagli.
Trattenne il fiato quando le vide schiudersi e espirò deluso quando vide sgusciare fuori una donna con un bambino. Si voltò, controllò l’ora e quando tornò a fissare le porte, quelle si stavano chiudendo dietro a qualcuno che decisamente non aveva capito che stagione fosse in Giappone.
Tutto il corpo di Kageyama in un solo istante riprese a sudare, come non gli capitava da quando era stato a Copacabana, sdraiato sulla sabbia bollente. D’un tratto aveva le mani e i piedi bollenti.
Hinata avanzò portandosi dietro il trolley, con i pantaloni cargo che gli arrivavano al ginocchio e la pelle color biscotto.
I suoi occhi vagarono veloci sul mare di facce sconosciute, fino a posarsi sulla sua.
Kageyama vide le labbra piegarsi all’insù fino a mostrare i denti e si sentì investito da un’ondata di calore.
A quanto pareva, l’estate era arrivata in anticipo.
 
 
 
   
 
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