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Autore: heliodor    05/10/2021    0 recensioni
Valya sogna di diventare una grande guerriera, ma è solo la figlia del fabbro.
Quando trova una spada magica, una delle leggendarie Lame Supreme, il suo destino è segnato per sempre.
La guerra contro l’arcistregone Malag e la sua orda è ormai alle porte e Valya ingaggerà un epico scontro con forze antiche e potenti per salvare il suo mondo, i suoi amici… e sé stessa.
Aggiunta la Mappa in cima al primo capitolo.
Genere: Avventura, Fantasy, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Cronache di Anaterra'
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Il debito

 
Myron Chernin sorseggiò del vino dalla coppa. “Pensi che mi importi qualcosa se vai a Ferrador o in qualsiasi altro posto? Sono solo felice che te ne vada. Mi serviva la stanza che ti ho dato. Ci sarà più spazio in questa casa e una preoccupazione in meno.”
Ros deglutì a vuoto.
“Vuoi dire qualcosa?” gli chiese il padre. “Potrebbe essere l’ultima occasione che ti resta per dirmi quello che pensi.”
“Io” iniziò a dire. “Non ti ho mai capito. Perché mi odi? Perché mi hai fatto nascere?”
Suo padre sorrise mesto. “Io non ti odio affatto, Rosen. Il problema è che tu non ti ami. Accetti tutto quello che ti viene fatto senza reagire. Se i tuoi fratelli ti picchiano o ti insultano, tu ti limiti a chiedere scusa. Se io ti tolgo ogni dignità e ti tratto come un animale, ti accontenti di quello che decido di concederti per misericordia. Non è così che si comporta un uomo o un Chernin. Noi ci prendiamo quello che ci serve e lo facciamo nostro, che gli altri siano d’accordo o no.”
“Ho cercato di essere rispettoso nei tuoi riguardi e verso i miei fratelli maggiori” si difese.
“Nessuno di noi ha chiesto il tuo rispetto” disse il padre. “Né ti è stato elargito. Noi Chernin il rispetto ce lo prendiamo, non lo accettiamo né lo diamo in dono a chi non se lo merita. E tu non te lo sei meritato. Credi di essere speciale, Rosen? Credi che io sia stato ingiusto con te?”
“Non mi hai mai trattato bene” disse Ros con voce spezzata.
“Hai mai domandato ai tuoi fratelli che cosa ho fatto a loro quando erano più giovani di te? Una volta, quando aveva solo undici anni, ho frustato tuo fratello Rezan perché aveva rubato da uno dei miei magazzini. Aveva preso delle cose che appartenevano a me pensando che fossero sue” disse alzando la voce. “E io non lo potevo tollerare. Nessuno ruba a Myron Chernin. Nessuno.”
Ros si sentì fremere. “Questo non è giusto.”
“Cosa ne sai tu di che cosa è giusto e cosa non lo è?” lo incalzò suo padre. “Tu che cosa avresti fatto al mio posto?”
“Non lo so” disse. “Avrei detto a Rezan che rubare è sbagliato.”
Suo padre sogghignò. “E credi che ti avrebbe dato ascolto? Sai che cosa fece Rezan dopo che lo frustai?”
Scosse la testa.
“Venne il giorno dopo a chiedermi scusa. E poi mi colpì con un pugno.” Ridacchiò. “Proprio qui sul mento.” Scosse la testa. “Anche a undici anni aveva la mano pesante.”
Ros lo guardò senza rispondere.
“Se ti avessi frustato” disse suo padre. “Che cosa avresti fatto tu? Te lo dico io. Saresti andato a nasconderti sotto il letto per la paura e non ne saresti uscito finché non avessi chiamato un’ancella per farti tirare fuori.”
“Ma” disse Ros. “Io sono intelligente. Potrei mandare avanti gli affari di famiglia meglio di tutti i miei fratelli.”
“Ros, Ros, Ros” disse suo padre scuotendo la testa. “Tu pensi che io sia intelligente? Che lo sia più di te?”
Tacque.
“Rispondi, su, non ti punirò. Voglio solo che tu mi dica che cosa pensi veramente.”
“Non ti ho mai visto leggere un libro, padre.”
“È vero, né mai ne ho aperto uno. So leggere solo i contratti e a malapena so vergare la mia firma su quei documenti. E allora? Pensi che non riesca a mandare avanti i nostri commerci? Sono l’uomo più ricco di Cambolt e per trovare qualcuno che abbia più monete di me devi viaggiare per almeno trecento miglia in ogni direzione. Sorprendente per uno che non legge quanto te, vero? I libri che ami tanto non ti serviranno a niente se non imparerai a capire le persone. E io sono bravo a capirle. Infatti ho capito te.”
Ros si sorprese ad annuire.
“Leggere libri o collezionare pietre e fiori che raccogli mentre sei in giro non ti iuteranno quando dovrai trattare con un mercante di Lormist o una carovana di Belliron. Quella gente ti farebbe a pezzi prima ancora di farti aprire bocca e in meno di cinque o sei Lune ci ritroveremmo senza affari né clienti.” Scosse la testa affranto. “L’azienda starà meglio nelle mani di uno come Blenn o Leyan. Rezan ha un carattere troppo forte, gli servirebbe una bella lezione per imparare a tenere la testa bassa quando non deve alzarla. Ma tu, Ros, tu saresti il meno adatto di tutti.” Sospirò. “Vai a Ferrador o in qualsiasi altro posto desideri. Ti darò duecento monete per le spese e un passaggio garantito con una delle mie carovane. Non disturbarti a tornare qui perché non ci troveresti niente che ti appartiene.”
“Padre” disse cercando le parole. “Mi spiace di averti deluso.”
Myron Chernin bevve un’altra sorsata di vino dalla coppa.
 
La porta gli si parò davanti, alta almeno una trentina di passi e ampia dieci, era un rettangolo intagliato nella parete di roccia. La superficie era coperta di simboli e disegni che alla fioca luce della lampada a olio sembravano danzare di vita propria.
Riconobbe un viso dai tratti affilati e gli occhi dalla strana forma, così come una creatura dalle grandi zanne che se ne stava acquattata nell’erba come in attesa della sua preda.
C’erano i simboli dei due triangoli che si toccavano per le punte insieme ai cerchi concentrici, la A rovesciata sul fianco e le mezzelune tagliate in due da una linea.
Poggiò una mano sui disegni assaporandone la ruvida consistenza, come se quel tocco li rendesse reali e non un’illusione creata dalla sua fantasia.
“Che posto è questo?” si chiese a voce alta. “E perché proprio qui?”
Quello che vedeva non aveva senso e quella porta alla fine del lungo viaggio che avevano intrapreso ne aveva anche di meno.
Devo tornare da Nykka e Valya, si disse. E riferire ciò che ho trovato. E magari anche trovare il modo per ridare i poteri alla spada di Valya.
Non era sicuro di poterci riuscire, ma se la sfera di terracotta aveva quel simbolo non poteva essere un caso. Tutto doveva avere un senso.
Il viaggio di ritorno fino alla sala del pozzo fu più facile e veloce di quello d’andata e quando entrò nell’ultimo cunicolo la fiamma della lampada a olio stava iniziando a tremolare, segno che era passato parecchio tempo da quando si era messo in marcia.
Appena riemerse nella sala cercò le figure di Nykka e Valya. Trovò la prima seduta con la schiena appoggiata al muro mentre l’altra non c’era.
“Nykka” esclamò avvicinandosi alla strega.
Lei alzò la testa di scatto e si guardò attorno. “Per l’Unico” esclamò. “Devo essermi appisolata. Che succede?”
“Dov’è Valya?”
“Era qui seduta vicino a me. Sembrava essersi calmata dopo che eri andato via.”
Ros fece vagare lo sguardo nella sala. “Non c’è. Deve essersi allontanata.”
“Senza luce? Non sarà andata lontana.”
“Vado a cercarla.”
“No” disse Nykka. “È meglio se resti qui. Vado io da lei.”
Ros annuì. “Hai ragione. Sono anche piuttosto stanco.”
“Sei stato via parecchio” disse la strega alzandosi e sistemandosi il mantello con la sacca a tracolla. “Hai trovato qualcosa?”
Annuì mentre tirava fuori dalla sacca una delle sfere di terracotta.
“Che cos’è?” domandò Nykka.
“Speravo lo sapessi tu. Hanno uno strano marchio inciso sopra.”
Nykka ne prese una in mano e la osservò incuriosita. “Mai vista una cosa del genere.”
“L’ho trovata in una cassa uguale a quelle del livello sopra questo” spiegò. “Ce n’erano parecchie e tutte integre.”
La strega annuì. “Puoi scoprire che cosa sono?”
“Dovrei aprirne una.”
“Io vado a cercare Valya” disse. “Tu nel frattempo cerca di capirci qualcosa.”
“Ho trovato anche dell’altro” disse.
Nykka si accigliò.
“Una porta. Credo.”
Sul viso di lei apparve un sorriso. “Ne sei sicuro?”
“No. Forse. Vorrei che venisti a vedere anche tu appena avrai trovato Valya.”
“Aspettaci qui” disse allontanandosi. “Se hai ragione ti dedicheranno una statua appena tornati a Lormist.”
Ros si limitò ad annuire e andò a sedersi nello stesso punto occupato da Valya quando era andato via. Poggiò la sacca a tracolla sul pavimento e l’aprì tirando fuori una delle sfere di terracotta.
Scelse quella con le due D rovesciate, lo stesso simbolo tracciato sulla spada di Valya.
Non può essere un caso, pensò. Tutto deve essere collegato. Ma come?
Si passò una mano sul viso come a voler togliere una ragnatela che vi si era posata sopra.
Ci sono persone migliori di me che dovrebbero studiare la spada di Valya, si disse. Io non sono adatto. Non sono abbastanza intelligente e l’intelligenza è tutto quello che ho.
Ripensò alle parole di suo padre.
I libri non ti aiuteranno sempre.
Non sei capace di capire le persone.
È vero, si disse. Non sono capace. Non ho capito Valya. Tiene così tanto alla sua spada, al potere che è in essa, come io credo ai libri e quello che c’è scritto dentro.
Nykka tornò con l’espressione accigliata. “Non la trovo.”
Ros si alzò in piedi a fatica. “Hai detto tu che senza una luce non potrebbe andare lontana.”
“I suoi occhi si saranno abituati all’oscurità” rispose. “Cosa suggerisci di fare?”
Ros allargò le braccia. “Non lo so. Potrebbe essere tornata indietro? O è andata avanti?”
“Tu sei venuto dal livello inferiore. Avresti dovuto vederla.”
“C’erano altri due condotti dove ho trovato le casse. Non so dove portano.”
Nykka annuì. “Proviamo con quelli allora.”
Scesero al livello successivo ripassando dalla sala con le casse. Nykka volle fermarsi per qualche istante.
“Le hai rotte tu?”
Ros annuì. “Dovevo vedere cosa contenessero.”
“La prossima volta non correre simili rischi, intesi?”
“Sì” rispose senza mostrare quanto fosse poco convinto della sua risposta.
Nella sala successiva si ritrovarono davanti ai tre condotti.
“Quello al centro porta a una grande sala dove c’è l’uscita” disse.
“E gli altri due?”
Scrollò le spalle.
Nykka annuì. “Io vado a destra, tu a sinistra. Chi torna per primo aspetta gli altri qui, d’accordo?”
Annuì.
La strega imboccò il condotto di destra e Ros prese quello a sinistra. Mentre il buio lo avvolgeva ripensò alla sua partenza da Cambolt, due giorni dopo la chiacchierata con suo padre. Quella era stata anche l’ultima volta che gli aveva parlato. Con le duecento monete in tasca si era unito alla carovana in partenza per Ferrador. I tre carri che la componevano erano guidati da un ometto dall’aria annoiata e dai suoi figli.
Ros si era presentato a loro dicendo di essere il figlio di Myron Chernin.
“Sì, sì” aveva detto il mercante. “Tuo padre mi ha avvertito. Ti ho lasciato un posto sul carro in coda dove dormono anche i miei figli. Ha detto che ti piace stare comodo.”
Ros non aveva risposto e aveva messo la sua sacca dove l’uomo gli aveva indicato. Era salito sul carro ed era rimasto in attesa che partissero.
Mentre i figli del mercante caricavano casse e sacche una figura si era avvicinata ai carri. Ros aveva sbirciato fuori ed era trasalito.
“Razen” aveva sibilato tra i denti.
Che ci fa qui? Si era chiesto. Deve aver saputo che stavo partendo e non vuole perdere l’occasione di umiliarmi di nuovo.
Ros era rimasto paralizzato mentre suo fratello si avvicinava al carro e ci saltava sopra. Non si era mosso quando lui aveva scostato il velo che copriva l’entrata e si era infilato dentro.
Lo aveva visto torreggiare sopra di lui come tutte le altre volte in cui lo aveva picchiato e si era preparato.
Almeno sarà l’ultima volta, si era detto.
Razen lo aveva fissato inespressivo, la sua mano era corsa alla cintura e aveva afferrato un sacchetto che vi era legato. Aveva preso il sacchetto e glielo aveva lanciato. Qualcosa al suo interno aveva tintinnato quando era atterrato in mezzo alle gambe di Ros.
Lui era rimasto immobile.
“Sono cinquanta monete” aveva detto suo fratello.
Ros era rimasto in silenzio a fissarlo.
“È per ripagarti del debito.”
“Quale debito?”
“Quello che ho con te.”
Ros aveva fatto per chiedergli di cosa stesse parlando ma suo fratello era saltato giù dal carro senza dargliene il tempo.
Lo aveva visto allontanarsi a testa bassa e senza voltarsi verso i carri, finché non si era confuso tra le case di Cambolt.
Solo allora aveva ripreso a respirare come prima. Il sacchetto era pieno di monete. Cinquanta, stabilì dopo averle contate scuotendo la testa.
Aveva perso quasi tutte le monete che suo fratello gli aveva dato quel giorno, tranne due o tre che era riuscito a conservare nonostante tutto.
Le teneva nascoste sul fondo della sacca, avvolte in pezze sudice dove nessuno sarebbe mai andato a controllare pensando di trovarvi qualcosa di prezioso.
Stava ripensando a quelle monete quando un grido rimbalzò sulle pareti di roccia del condotto facendolo trasalire. Subito dopo udì un rombo sommesso e la roccia sembrò sgretolarsi attorno a lui.
  
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